mercoledì, aprile 30, 2025

Aprile 2025. Il meglio

Senza accorgecene siamo già a un terzo del 2025: tra i migliori album quelli di Bob Mould, Sam Akpro, Little Barrie & Malcolm Catto, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi.
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Canni, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.


SAM AKPRO - Evenfall
Esordio fulminante, perché parla la lingua ibrida di oggi, del presente e dell'immediato futuro.
Alla domanda con chi avrebbe voluto suonare, risponde "con il Miles Davis di "Bitches Brew" e con i Joy Division".
Non si sentono direttamente ma ci sono.
Insieme a tanto dub e post punk, elettronica, atmosfere cupo/apocalittiche, hip hop, urban e tanto altro.

LITTLE BARRIE - & MALCOLM CATTO - Electric war
I silenti e dimenticati Little Barrie tornano dopo cinque anni ad affiancare il produttore e batterista Malcolm Catto degli Heliocentrics, per ripetere l'esperienza vincente di "Quatermass Seven". Gli otto brani del nuovo album sono un avvolgente mantello tessuto a rock, funk, jazz e psichedelia, suonato con un approccio "jam live in studio", diretto e spontaneo. Disco molto bello, Hendrixiano, bluesy,e groovy.

SMITH & The HONEY BADGERS - Killing Time
L'esordio della band di otto elementi londinese raccoglie brani composti in dieci anni di attività. E' il classico torrido mix di soul, funk, rhythm and blues in salsa vintage 60/70s con la voce di Marietta Smith protagonista, una sezione ritmica pulsante, sezione fiati raffinata e un bel tiro.
Non cambierà la storia della soul music ma l'umore della vostra giornata sicuramente.

STONE FOUNDATION – The revival of survival
L'undicesimo album del collettivo inglese festeggia il 25° anno della loro attività nel migliore dei modi, con il consueto funk/soul/disco/acid jazz pieno di ritmo, eleganza, groove. Arricchito dalla presenza di Mick Talbot alle tastiere e dalle voci soul di JP Bimeni, Omar, Laville, è una conferma della qualità del loro sound.

GUY HAMPER TRIO - Goddess Tree
In una delle sue mille incarnazioni torna Billy Childish, in una labum strumentale affiancato nientemeno dal vecchio sodale James Taylor all'Hammond (con cui già aveva condiviso un album simile lo scorso anno). Dodici brani strumentali tra cui due omaggi agli Yardbirds ("For your love" e "Shapes of things") a base della consueta e prevedibile formula Booker T & the Mg's/primo James Taylor Quartet/Jimmy Smith etc. Molto piacevole.

GAZZARA - Criminal Sounds - A musical journey into 1960-1970s cop and spy movies
Il grande tastierista e Hammondista romano, firma un ennesimo album di pregio, rivisitando quindici temi cinematografici, da "Goldfinger" ai nostri "Profondo rosso" e " Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto". In mezzo anche "Starsky and Hutch" o "Mission impossible". Il tutto però spogliato dalle parti orchestrali e rivisitato in chiave funk jazz da una super band che macina classe ed eleganza, registrato live in studio, restituendo a classici senza tempo immediatezza, urgenza, spontaneità. Super groovy.

WATERBOYS - Life, Death and Dennis Hopper
Sempre avuto scarsa considerazione e attenzione per i Waterboys, soprattutto dopo averli visti aprire ai Pretenders il 1° giugno 1984 a Milano al Festival dell'Amicizia (la festa dei democristiani...andai, in incognito, per amore di "Learning to crawl" di Chrissie Hynde & co., uno dei miei album da isola deserta).
Il nuovo disco mi ha incuriosito per il concept dedicato a uno dei miei attori preferiti, DENNIS HOPPER.
Un disco sorprendente, un'ora di musica, 25 brani (di cui una decina brevi intermezzi di un minuto/due, spesso un po' inutili), in cui spaziano da rock classico a Bob Dylan, da momenti alla Who, pause in stile Burt Bacharach, country rock, ospiti come Bruce Springsteen, Fiona Apple, Steve Earle, episodi esagerati ("frank, let's f**k", insopportabile). Tanta roba, troppa, ma mi affascinano questi tour de force artistici, questo rischio (in)consapevole di fare il passo troppo lungo, questi "London calling/Sandinista/White Album".
Un album intrigante nella sua ridondanza.
Complimenti al coraggio.

THE GODFATHERS - Electric deja vu
Di loro in tanti ricordano l'eccellenza di due grandi album come "Birth, School, Work, Death" (1988) e "More Songs About Love and Hate" (1989).
Ma dopo il ritorno nel 2008 hanno inciso altri tre dischi di grande livello, sempre a base di un grintoso punk 'n' roll, personale e immediatamente distinguibile.
Da questi ultimi la band trae ora un Greatest Hits, per festeggiare i 40 anni di attività (in attesa del nuovo album il prossimo anno).
Le 18 canzoni confermano tutta la bontà del loro stile e la forza del sound di una band troppo spesso sottovalutata.

SURE FIRE SOUL ENSEMBLE - Gemini
La band di nove elementi di San Diego ci delizia con un buon album di soft funk strumentale molto ben fatto. Pur se non brilla in originalità o spunti particolari l'ascolto è gradevole e stimolante.

ROSETTES - Lifestyles
La band finlandese al debutto con un album in cui soul psichedelico, funk e ritmi alla Meters e influenze caraibiche alla Cymande, creano un mix avvolgente e suadente che talvolta riporta alle atmosfere di Sade. Non male.

AA.VV. - Get Ready For The Countdown – Mod, Brit Soul, R&B, & Freakbeat Nuggets
La miniera illimitata dei Sixties continua a essere saccheggiata in compilation a tema.
Anche i 3 CD di questa compilation confermano la qualità di quell'irripetibile sound, figlio di soul, rhythm and blues, rock 'n' roll, blues, ska, che imperversò per qualche anno nei club inglesi.
Qui ci sono 70 brani, alcuni già conosciuti dai connaiseurs, altri più che oscuri e dimenticati.
Gli amanti di quegli anni ne godranno.

PLASTIC MAN – The end and the beginning
Terzo album per la band toscana capitanata dal cantante/chitarrista Raffaele Lampronti e una nuova discesa in un magma psichedelico che spazia dalle immancabili radici di Syd Barrett e arriva fino agli XTC. In mezzo Love, Tomorrow, Grateful Dead e tutto quello che si tinge di colori fluorescenti e acidi. Suonato con grande perizia e arrangiato con perfetta conoscenza della materia affrontata (non è l’esperienza quella che manca all’autore). Un ottimo lavoro di altissima qualità, perfetto per gli appassionati del genere, senza cadere in scontati revivalismi.

CRISTIANO GODANO – Stammi accanto
Composto in periodo pandemico, posticipato per cinque anni, vede ora la luce il più che pregevole secondo album solista di Cristiano Godano, pubblicato poco dopo l’acclamato tour celebrativo per i trenta anni di “Catartica” dei Marlene Kuntz. Un lavoro molto intimo, malinconico e romantico, che non di rado attinge da una delle sue principali passioni, Neil Young, nell’incedere folk country di molte canzoni ma che guarda anche all’Eugenio Finardi più riflessivo (anche nell’esecuzione vocale). La qualità compositiva di Godano è sempre eccelsa, fresca ed efficace e, paradossalmente, sembra esprimersi al meglio proprio in un’ottica acustica (per quanto l’importanza dei Marlene Kuntz nella musica italiana sia assoluta). Una sorta di “altro” Godano, altrettanto autorevole e di grande pregio.

LA NINA - Furèsta
Un album potente e viscerale, che scava nella tradizione napoletana e campana, senza tradizionalismi calligrafici ma con un respiro attuale, pur conservando il battito cardiaco ancestrale. Una produzione eccellente inietta ai brani i colori primordiali delle radici ma rende tutto moderno e nuovo. Le melodie mediterranee si fanno di volta in volta malinconiche e struggenti ("Ahi!"), ipnotiche, minacciose (la stupenda "Figlia d''a tempesta"), travolgenti. Tutto splendido.

I CANI - Post Mortem
Il ritorno (in)aspettato (a lungo) della creatura di Niccolò Contessa ne conferma l’unicità stilistica e artistica, in questo paesaggio sonoro in cui convergono elettronica, new wave, una visione indie pop del tutto personale e distintiva. Da cui partono improvvise sferzate lo fi kraut punk alla CCCP (“Nella parte del mondo in cui sono nato”, forse il brano più riuscito e immediato dell’album) o ricordi alla Beck (“Colpevole”). Tanta carne al fuoco per un lavoro, ancora una volta, riuscito e convincente.

BILLY BOY E LA SUA BANDA – s/t
Torna su vinile la band emiliana, a rimpinguare una discografia ricca di uscite, dalla nascita nel lontano 1994, tra 45, compilation e un album. I quattro brani sono il classico assalto sonoro a cui ci hanno abituato, tra street punk, Oi!, punk rock, Peter and the Test Babies, The Businnes con impennate hardcore e un tocco hard 70, a condire il tutto. Sound compatto, “music for the terraces”, cori e voci perfette al contesto. Un gioiello ruvido che può diventare, al bisogno, oggetto contundente.

MEGAN IS MISSING - Depression Is a Fashion
Torna il trio napoletano con un travolgente ep, abrasivo, potentissimo, devstatante. Approccio garage punk che vira verso la rabbia più estrema dell'hardcore, sorta di esasperazione del sound di Amyl and the Sniffers, sporcato da distorsioni alla Sonic Youth e dal groove dei primi Black Flag di "Nervous Breakdown". La cover di "Bit It You Scum" di GG Allin chiude alla perfezione la sequenza dei cinque brani. A real kick in the ass!

THE BRAVO MAESTROS - Keep It Simple, Stupid! 
La partenza discografico del trio biellese (insieme dal 2024) è di quelle che rendono le giornate più felici e serene. Il loro power pop beat che attinge a piene mani dagli anni Sessanta di Beatles e Monkees ma in chiave moderna e attuale (dai Romantics e Shoes ai Weezer e un'immancabile spruzzata di Ramones), è pieno di freschezza, energia, semplicità e immediatezza. Nessuna rivoluzione musicale, solo un disco godibilissimo, ben fatto e ottimamente composto, di pregevole fattura.

ANDREA TICH - Masturbati Prima e Dopo
Andrea Tich debuttò nel 1978 per l'etichetta Cramps di Gianni Sassi con l'album Masturbati, uno dei lavori più anomali, meno definibili e circoscrivibili in un genere, nella storia della canzone d'autore italiana. Un album che in qualche modo guardava alla new wave che stava esplodendo ovunque ma che in Italia ancora non era arrivata, se non saltuariamente e occasionalmente. Ma anche allo stile provocatorio e poliedrico di Frank Zappa, il tutto proposto con una personalità unica. Rivive ora in questa versione, in cui troviamo provini originali, live, inediti e remix e che dimostra di non avere perso nemmeno un briciolo di quella freschezza e spontaneità creativa dell'originale. L'occasione ideale per (ri)scoprire tanto talento.

SINGOLI

SPECIALS FAMILY - When A Light Goes Out
Il progetto nasce dall'idea di Lynval Golding di rendere omaggio agli amici Terry Hall e John Bradbury degli Specials, prematuramente scomparsi.
"When A Light Goes Out" è un ottimo brano rocksteady/ska che vede all'opera Golding, altri membri degli Specials e Steve Cradock, chitarrista di Paul Weller.
Nel singolo anche la versione dub.

THE HORMONAUTS - Turn On The Light
Tornano finalmente con un singolo a spaccare tutto con il loro inconfondibile punkabilly di cui conosciamo bene le coordinate. Classe, irruenza, sguaiati come sempre. Grandi!.

THE GALILEO 7 - Look Away / Over The Horizon
Tra un concerto e l'altro dei Prisoners, Allan Crockford non perde di vista il progetto che porta avanti da anni e torna con un ottimo singolo in perfetto equilibrio tra beat, psichedelia, freakbeat, che si avvale di una (come sempre) ottima qualità compositiva ed esecutiva ma soprattutto di una ormai acquisita maturità distintiva e riconoscibile.

THE CAPELLAS - Love Prayer / Zig Zag Wanderer
La band inglese, composta da elementi che arrivano da Missing Souls, Thee Vicars, Baron Four, Embrooks, Barracudas, torna dopo un ep d'esordio con un singolo che mischia alla perfezione la voce soul di Elsa Whittaker con un groove garage beat mid 60's.

THEE STRAWBERRY MYNDE - Reflections Il trio del nord est inglese (con un ex Jarvis Humby) ci delizia con quattro brani di ruvido garage beat, dalle influenze rhythm and blues e blues (Crawdaddys, primi Pretty Things, Birds).
Duri e aspri.

DOM MARIANI - Jangleland - Day After Day Il re del power pop e leader degli Stems ci regala un avvolgente singolo in pieno groove jingle jangle con un originale e una bellissima e riuscita e spedita cover di "Day after day" dei Badfinger.
Classe e stile.

ASCOLTATO ANCHE:
BUTCHER BROWN (soul disco sofisticata con pennellate nu soul e nu jazz). VADOU GAME (afro funk dal Togo, molto groovy), HEAVY LUNGS (buon punk rock).

LETTO

Cesare Ferioli - Come schegge furiose. Storie di strade e mutazioni
"QUEL" periodo a cavallo tra anni Settanta e primi Ottanta è stato ormai abbondantemente analizzato, approfondito e raccontato.
Ma continua a conservare un fascino incredibile (soprattutto per chi lo ha vissuto - e che spesso si ritrova ad avere percorso gli stessi sentieri o i luoghi ed eventi descritti - ma anche per chi ancora non c'era).
Cesare Ferioli è un veterano della scena sottoculturale bolognese e nazionale, passato dal punk allo skinhead fino ad approdare al rockabilly e dintorni.

Batterista con Uxidi, Tribal Noise, Jack Daniel's Lovers, Dirty Hands, Wu Ming Contingent, Nabat, protagonista dell'interessante progetto solista elettronico Big Mojo, rivive quegli anni, fatti di musica, risse, fughe, scontri, droghe, ricerca identitaria, rabbia e naiveté adolescenziale che spesso sconfinano nella "stupidità" dell'età, all'insegna di atti tanto sciocchi quanto divertentissimi, tra Bologna, Milano e Londra.
C'è tanta ironia e un taglio romanzato, su fatti veramente accaduti e in cui in tanti non avranno difficoltà a riconoscersi.
Il tutto corroborato da una scrittura validissima ed efficace.
(Il capitolo dedicato al viaggio a Londra è una perfetta fotografia di come si vivevano quei momenti in quegli anni) .

Giuseppe Velasco - Nemici. Scontri memorabili nella musica pop
Un libro veloce e agile che analizza alcune delle rivalità più note nella musica pop/rock (i Gallaghers, Paul e John, Blur e Oasis, Waters e Gilmour) ma anche quelle più occulte (Prince/Michael Jackson, Simon e Garfunkel, l'incredibile intreccio di antipatie e odio all'interno dei Beach Boys).
Non è, appunto, del tutto noto il ruolo del padre padrone e manager dei fratelli Wilson dei Beach Boys, Murry, esautorato alla fine da Brian, a sua volta privato dello scettro di leader da Mike Love né l'acrimonia che ha accompagnato tutta l'avventura di Paul Simon e Art Garfunkel.
Quella tra Tupac Shakur e Notorius B.I.G finì molto male, non si è ancora del tutto placato lo scontro tra Madonna e Lady Gaga e tra Taylor Swift e Kanye West.
Gustoso e divertente, ricco di aneddoti e curiosità.

Aldo Pedron - Il tuo plagio e’ come un rock
Aldo Pedron, storico giornalista e scrittore, ci porta alla scoperta di una serie di similitudini (più o meno marcate, inconsapevoli o volutamente plagiariste) tra canzoni di artisti italiani, circoscrivendo prevalentemente il contesto agli anni Sessanta/Settanta quando molti autori italiani si attribuivano composizioni altrui, contando su una scarsa attenzione delle case discografiche.
Una appropriazione indebita, sfruttando la scarsa attenzione della SIAE e la difficoltà degli autori stranieri nel monitorare i propri diritti in Italia.
Certi autori si attribuivano brani interi senza alcuna autorizzazione, registrando a proprio nome composizioni originali straniere, intascandone i diritti d’autore senza alcuna conseguenza legale. L’ente preposto, per ignoranza, disinteresse o semplice lassismo, raramente verificava l’autenticità delle opere registrate.
Questo sistema ha permesso a molti autori (e ai loro eredi) di guadagnare royalties su brani che non avevano mai scritto, a discapito dei veri compositori, spesso ignari di tutto.
Un altro aspetto interessante è come giovani autori si appoggiassero a musicisti già abilitati per registrare ufficialmente le loro composizioni (per diventare autore alla SIAE era necessario un esame, non facilissimo).
Questo sistema, pensato per garantire una certa professionalità nella scrittura musicale, si rivelava spesso un’arma a doppio taglio, portando a situazioni di disaccordo e contenziosi.
I casi presi in considerazione nel libro sono spesso clamorosi, altre volte più defilati e più opinabili.
Diciamo che, in particolare, Adriano Celentano prima e Zucchero dopo, hanno fatto man bassa di "ispirazioni" più o meno palesi.
Ma non mancano Equipe 84, Nomadi, Edoardo Bennato, tra i tanti, e quando si ascolta il ritornello di "Acqua azzurra, acqua chiara" di Lucio Battisti confrontato a quello di "Bring a little lovin" dei Los Bravos, inciso l'anno prima, le similitudini sono evidenti.
Un libro divertente e ben documentato con relativo interessante contributo fotografico.

VISTO

Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius) di Ahmir "Questlove" Thompson
La figura di Sly Stone, tra i più grandi (e non sempre appieno compreso e adeguatamente valutato) innovatori della musica pop rock moderna, ha ultimamente avuto un progressivo riconoscimento.
Dalla discreta “storia orale” di Joel Selvin “Sly & the Family Stone: An Oral History” in cui raccoglie le testimonianze di una lunga serie di collaboratori più o meno stretti ma senza la voce del protagonista principale, a “Thank you (Falettinme be mice elf agin)” biografia (recentemente tradotta in Italia da Jimenez Edizioni), created in collaboration con Sly, dello scrittore Ben Greeman (e l'ex fidanzata di Sly, Arlene Hirschkowitz) in cui il musicista si descrive con dovizia di particolari.
Giunge ora sugli schermi “Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius)” di Ahmir "Questlove" Thompson, musicista, produttore, regista, autore di quel capolavoro che è stato “Summer of Soul”, affascinante documentario che sintetizza il “The Harlem Cultural Festival, a New York, una serie di concerti che andarono in scena dal 29 giugno al 24 agosto del 1969.
Il documentario ripercorre in maniera dettagliata ed esaustiva la sua ricca (quanto artisticamente breve) carriera, con dovizia di particolari e filmati inediti (spesso rarissimi e favolosi), estratti di interviste e il consueto elenco di testimoni dell'epoca, tra cui vari membri della band oltre a pareri interessanti di Andre 3000, D'Angelo, Chaka Khan, Q-Tip, Nile Rodgers, Jimmy Jam and Terry Lewis, George Clinton, Ruth Copeland e Clive Davis.
Un doc esaustivo, sgargiante come i vestiti di Sly e della band, che rimarca una volta in più, quanto fosse geniale la sua musica e quanto sia ancora attuale e moderna. Sly Stone, già in epoca infantile/adolescenziale, è una sorta di bambino prodigio.
A undici anni suona tastiere, chitarra, basso, batteria e usa la voce in modo perfetto. Poco dopo forma i Viscaynes, che si fanno notare per la scelta, ai tempi inusuale, fino ad essere provocatoria, di essere composti da due uomini, due donne, un uomo di colore, Sly, e un filippino, in un'epoca in cui l'idea di integrazione, razziale e di genere, era ancora un concetto astruso e improbabile, in gran parte degli States.
Si segnala come ottimo e innovativo DJ radiofonico alla KSOL per poi intraprendere l'attività di compositore e produttore, arrivando fino a nomi altisonanti come i Beau Brummels e i Great Society della futura leader dei Jefferson Airplane, Grace Slick.
Nel frattempo compone e sperimenta e quando è giunto il momento nasce la nuova creatura, Sly and the Family Stone.
"Facevamo tutte le cose sempre insieme, eravamo come un "Chiesa".
La selezione dei musicisti non è casuale.
Sono tutti eccellenti strumentisti ma Sly sceglie in base a un concetto socio/politico ben preciso: uomini e donne, bianchi e neri, insieme, suonando una musica il più possibile contaminata e libera da preconcetti. Le radici sono nel blues e rhythm and blues ma c'è spazio anche per rock, latin sound, jazz e tanto altro. I filmati ci mostrano uno Sly puntiglioso, insistente nel trovare il suono o il ritmo giusti, provando e riprovando.
Siamo a cavallo tra il 1966 e il 1967, vedere su un palco bianchi e neri insieme è prerogativa rara anche nel jazz, ancora meno nel rock e più in generale nella black music. Non a caso l'album d'esordio, nello stesso anno, si intitola “A whole new thing” (“una cosa completamente nuova”).
Il seme è stato piantato, si intuisce che qualcosa di effettivamente nuovo sta arrivando, pur essendo ancora ancorato solidamente ai classici schemi rhythm and blues. Con il successivo “Dance to the music” si passa a un sound sempre più tribale, con il basso, quasi distorto, di Larry Graham che introduce un ritmo pulsante che diventerà un marchio di fabbrica della band. Il resto è un mix di gospel, rock e psichedelia, spesso suonato a ritmi forsennati, con tastiere acide e intrecci strumentali originali e imprevedibili. Altrettanto innovativo e sorprendente è il gioco delle voci che si alternano, dialogano, sovrappongono, uscendo dai canoni del solista ma diventando uno strumento aggiuntivo.
I testi sono un altro aspetto di importanza primaria, un costante inno al pacifismo, alla convivenza senza barriere di razza o genere, l'invito a stare insieme.
I successivi “Life” e “Stand!” quest'ultimo pubblicato poco prima della mitica apparizione al Festival di Woodstock dell'agosto 1969 e all'Harlem Cultural Festival nello stesso periodo, ne sublimeranno popolarità e personalità.
“I Want To Take You Higher” diventa un inno, vende centinaia di migliaia di copie, “Stand!” è la summa della loro carriera, tra proto funk, soul, rock, psichedelia. Sly non teme di affrontare temi caldi come il razzismo ma lo fa in modo sempre colloquiale, con costanti inviti alla reciprocità, in funzione della tolleranza e amicizia.
E' in questo periodo che rigetta l'invito delle Black Panthers a un sostegno alla loro causa, liquidata in modo sprezzante.
In questi lavori ci sono le radici sonore che ritroveremo presto nei Funkadelic e Parliament di George Clinton e nella breve carriera di Betty Davis. Sarà lei, moglie di Miles Davis, a spingere il marito verso altre sonorità e cultura musicale. Ne farà tesoro soprattutto in “On The Corner” del 1972. Ma è da qui che, inequivocabilmente (attingendo a piene mani anche dalle modalità di esibizioni live), Prince che assorbirà tantissimo dalla loro esperienza, aspetto evidenziato spesso nel doc di Questlove.
Il successo devasta Sly che sprofonda in un abisso di abusi di ogni tipo, cocaina, alcol, sesso. Le sue finanze si assottigliano, i concerti che saltano sono più di quelli portati a termine, si chiude nella sua casa di Los Angeles in una nebbia di eccessi, circondato da spacciatori, consumatori, gente di malaffare.
Ne riemergerà a stento nel 1971 con un capolavoro assoluto della black music, “There’s a riot goin’ on”, una visione pessimista, cruda e decadente del presente (suo e della società), registrato suonando quasi tutto da solo e utilizzando, tra i primissimi, una batteria elettronica, su cui ne reincide una acustica, mischiando i due suoni, creandone uno unico e all’avanguardia.
I brani sono spesso lunghi e ipnotici, intrisi di funk ma ricoperti da una patina paranoica e malata. Gli anni successivi sono un declino costante con ancora qualche discreto album solista (in cui sono intuibili il genio e lo spessore artistico ma male utilizzati) e il congedo definitivo nel 1982, sopraffatto da scelte di vita inconciliabili con una normale carriera musicale.
Scompare dalla scena, a parte sporadiche apparizioni come nel 1993 quando Sly and the Family Stone entrano nella Rock n Roll Hall of Fame. Rimane sul palco un minuto, saluta e se ne va. Tornerà a farsi vedere nel 2007 con una serie di apparizioni (in stato di salute evidentemente molto precario) con la Family Stone. Si ritira dalla vita pubblica, soggiorna a lungo in una roulotte, sopravvivendo a stento, intenta cause per diritti non pagati, spesso perse o rigettate.
Il documentario ce lo mostra ora in foto, ultra ottantenne, sorridente, apparentemente sereno, abbracciato ai figli.
Un talento artistico incredibile, auto distruttosi per l'incapacità di gestire il successo e la notorietà e la conseguente disponibilità economica spropositata.
Un visionario innovatore che avrebbe potuto dare ancora tantissimo alla musica ma, come peraltro accaduto a molti altri artisti dell'epoca, che è riuscito ad esprimere la propria creatività solo per un contesto temporale limitato.
Sufficiente però a consegnarlo alla storia tra i musicisti più influenti di sempre.

The Record Store & Black Music. A UK History

Il docufilm è su Youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=SoRLLuYGYBA
"The Record Store & Black Music. A UK History", prodotto da Simon Phillips, è un esaustivo e interessante documentario che approfondisce l'importanza dei negozi di dischi in Gran Bretagna, come punto di aggregazione sociale e diffusione della Black Music, dal dopoguerra in poi.
Con le testimonianze di Jazzie B, Trevor Nelson MBE, Marcia Carr, Claudia Wilson, Ammo Talwar MBE, DJ SS, DJ Rap, DJ Spoony, Wookie, Jeff Smith, Simon Dunmore e Carol Leeming MBE FRSA.
E' quest'ultima a rimarcare un aspetto ulteriore:
"(Noi immigrati neri) abbiamo cambiato l'aspetto culturale di questo paese, anche prima dell'arrivo delle prime navi di migranti giamaicani (la nave Empire Windrush, nel 1948).
Il jazz è stato diffuso principalmente da caraibici e africani in Inghilterra.
Abbiamo reso questo paese culturalmente, immensamente, più cool".
La conoscenza dei dischi, di un certo tipo di musica era ciò che aggregava gruppi di persone.
I negozi erano il punto di incontro, i venditori il riferimento, culturale e artistico.
I DJ i divulgatori.
I Tastemakers.
Contempo e Dub Vendor fuorono i principali fari di questo mondo "a parte".
Nei negozi arrivarono blues, soul, rhythm and blues, reggae, ska, funk e poi afro, rap, hip hop, house, drum & bass, electro funk.
Veicolo di identità, cultura, divertimento ma anche rivendicazione politica e sociale.
L'arrivo della digitalizzazione ha raso al suolo i negozi di dischi in tutto al mondo ma, allo stesso tempo, ha successivamente creato un nuovo modo di aggregazionE tra i vecchi cultori del vinile e tanti nuovi adepti che hanno ritrovato il gusto e soprattutto la necessità di "possedere" l'oggetto vinile/disco o anche CD, di guardarlo e toccarlo, in antitesi alla volatilità del file.
Per ulteriori approfondimenti:
www.theblackmusicrecordshop.co.uk

Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli)
12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.

L'amico e collaboratore FABIO PASQUARELLI ci regala questa entusiasta recensione del concerto di Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli), 12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.
Un monologo, un racconto, una confidenza e un concerto: questo è ciò che Steve Wynn (storico leader dei Dream Syndicate e leggenda della musica undeground americana) ha messo in scena per il numeroso pubblico accorso nella serra della Ristorazione Sociale di Alessandria lo scorso sabato 12 aprile.
Questa formula ibrida è stata scelta del musicista per mettere in scena la sua autobiografia “Non Lo Direi Se Non Fosse Vero”, recentemente pubblicata anche in Italia da Jimenez Edizioni.
Per accompagnarlo in questa narrazione, Steve ha scelto la collaborazione di Rodrigo D’Erasmo (violino ed effetti) ed Enrico Gabrielli (tastiere, sax, flauto traverso), due dei musicisti più versatili, colti e sensibili della scena italiana contemporanea.
Il racconto a parole di Wynn inizia nei primi anni 70 in California, con l’infanzia trascorsa in un contesto sociale ancora molto influenzato dai sixties, sempre con la bussola della musica a tracciare un percorso, dal primo blues composto a nove anni alle cover degli Stones coi compagni di scuola.
Parla in tono confidenziale Steve, raccontando tutto con semplicità, mai cattedratico o egoriferito, sempre con un sorriso estatico sulle labbra.
Alcune piccole intermittenze della passione musicale giovanile l’avrebbero portato verso l’illuminazione: la puntina che scende sulla prima traccia del primo album dei Velvet Underground:
“I Velvet ti possono piacere o non piacere, magari non oggi, magari domani, magari mai, c’è fuori tanta musica per accontentare tutti. Ma se capisci i Velvet Underground sei da questa parte della storia. In quel momento, la mia vità cambiò per sempre”.
Ingresso di D’Erasmo e Gabrielli, “Sunday Morning” dolcissima e struggente tra violini, tastiere e chitarre acustiche, e Steve ad agitare lo spettro inquieto di Lou Reed. Confesso di essermi emozionato come non mi capitava da tempo.
E poi una valigia aperta di racconti e avventure (incredibile la storia dell’allontanamento da casa per andare a Memphis a conoscere il suo idolo decaduto, Alex Chilton dei Big Star), fino ad arrivare ai Dream Syndicate e alle canzoni del loro debutto “The Days Of Wine And Roses”.
Un album registrato in una notte e mixato e ultimato in altre due, il disco in cui Steve e il suo gruppo costruirono la musica che avrebbero voluto ascoltare e che non esisteva da nessuna altra parte.
“Tell Me When It’s Over”, “That’s What You Always Say”, “When You Smile” ricevono un trattamento emozionale inedito, con Gabrielli e D’Erasmo che escono dalla zona di comfort dei loro strumenti per accompagnare Wynn in versioni notturne e rarefatte di questi piccoli classici.
Steve parla di tour, di sogni, di gioventù, di aggregazione e di quel realismo magico che solo la vita underground può dare, con le canzoni a raccordare tra di loro le storie.
Poi ancora avanti, al difficile secondo album, in cui la libertà e l’urgenza vengono in qualche modo veicolate da una grossa casa discografica, con un budget consistente e un produttore importante a fare da filtro. Il blocco creativo, i tempi che si allungano, il punk sempre più lontano.
“Medicine Show” suonata come se Steve ci avesse fatto pace introduce all’ultima parte dello spettacolo, che corrisponde allo scioglimento della band dopo l’album “Ghost Stories”, con una versione erratica del classico “Boston”.
“Lo spettacolo sta per finire questa sera perché in questa parte della storia si interrompe il libro, ma le cose sono andate avanti”.
A questo punto Wynn si lascia andare ad un bilancio della sua vita spesa a suonare, dai palchi giganteschi delle tournée con gli U2 e coi REM fino ai piccoli club, dai tempi del Paisley Underground ai dischi solisti, e alla resurrezione dei Dream Syndicate nel 2012, sempre allo stesso livello del suo pubblico, sempre attento a quanto la sua musica e le sue parole contino per chi sta giù dal palco, con un’umanità e un’empatia veramente rare.
Conclusione con “Make It Right” dal suo ultimo album.
Inchino dei musicisti, fine del concerto, fine del tour italiano.
Prima di andare (direttamente a Malpensa con un biglietto per New York) un ultimo stop al banco del merch, per prendersi cura di ognuno dei suoi fans (o sarebbe meglio chiamarli “amici”?) e dare loro l’appuntamento al “prossimo giro” dopo una serata indimenticabile.
Steve Wynn: un esempio, un gentleman, un punk.
Una menzione speciale va all’organizzatore Salvatore Coluccio, che periodicamente ci ricorda quanto la provincia abbia tutto il potenziale per uscire dalla provincia.

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.

Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/

Prossime presentazioni:

Sabato 3 maggio
Cremona

Il Cortile del Vinile • Mercatino del disco • 6ª edizione
Circolo Arcipelago, via Speciano 4
Ore 16.30. Presentazione con Carmine Caletti a condurre.

https://www.facebook.com/events/637225919200572/

7 maggio
Catelvetro (Piacenza)
Ore 21 Biblioteca Comunale

Mercoledì 14 maggio<BR> Bologna - Gallery 19
Ore 19
via Nazario Sauro 16/A

https://www.facebook.com/events/s/presentazione-ringo-starr-batt/1946906045715156



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