Parte bene il 2025 con gli album di Bob Mould, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi.
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, The Lings, Putan Club, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.
BOB MOULD - Here we go crazy
Capita sempre più di rado emozionarsi o commuoversi ascoltando nuova musica. Bob Mould è uno dei rari esempi che distrugge ogni barriera emozionale. Quella voce, quella chitarra, quella personalità unica che nel quindicesimo album solista riesce ancora una volta a lacerare cuore e anima, facendoci capire quanto siano stati "importanti quegli anni" e quanto gli Husker Du siano stati uno dei gruppi (punk) rock più straordinari mai avuti.
Eccellente e basta.
THE LOFT - Everything changes everything stays the same
Furono tra i primi gruppi accasati alla Creation di Alan McGee, per cui incisero due singoli (nel 1984 e 85), prima di sciogliersi e dare vita ai Weather Prophets e alla carriera solista del leader Peter Astor.
Dopo 40 anni tornano insieme per incidere il primo album in assoluto, "Everything changes everything stays the same", gioiello in bilico tra Sixties, Lloyd Cole and the Commotions, Alex Chilton, REM (e pure Weather Prophets ovviamente).
Disco primaverile, solare, con qualche nuvola in cielo, malinconicamente irresistibile.
NEOPRIMITIVI - Orgia mistero
La visionaria band romana mette a frutto ore di concerti, prove, improvvisazioni, sperimentazioni, in un album d'esordio abbacinante nella sua esplosione di colori e sapori psichedelici, a cui si aggiungono riferimenti alle esperienze nostrane tardo anni Sessanta di band come Chetro & Co e Le Stelle di Mario Schifano, al kraut rock, a tutto quell'immaginario a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Non c'è solo quello perché non è difficile scovare appigli diretti a ritmi e groove afro funk, fiati soul o a sguardi a quel capolavoro dimenticato che fu "666" degli Aphrodites Child. In poche parole: tutto stupendo.
BRIAN D'ADDARIO - Till The Morning
Una metà dei Lemon Twigs in veste solista e un album per il quale non c'è altro termine di delizioso. Brian scava tra Beach Boys, John e Paul solisti, gli XTC più 60's oriented e una lunga serie di omaggi e riferimenti a quegli anni. Il tutto però con una classe compositiva di raro spessore. Niente di clamoroso ma davvero bello da ascoltare.
ANNIE & THE CALDWELLS - Can't Lose My Soul
Da quarant’anni, Annie Caldwell guida un gruppo gospel nel Mississippi, con il marito Joe alla chitarra, le due figlie Deborah Caldwell Moore e Anjessica Caldwell. la figlioccia Toni Rivers.
Il figlio maggiore Willie Jr. Caldwell è al basso e quello più piccolo Abel Aquirius Caldwell alla batteria.
Durante la settimana lavorano, nei weekend suonano.
In questo album ci sono disco, soul, intensissimi blues, gospel a profusione, tecnica sublime nel trattare strumenti, voci e arrangiamenti.
Emozionante e travolgente.
THE WAR AND TREATY - Plus one
La coppia americana firma un nuovo album (il quarto più uno sotto altro nome) con 18 brani e più di un'ora di musica. Il tratto prevalente guarda al country ma ci sono abbondanti dosi di soul, gospel, rock, blues, canzoni che potremmo trovare in un album di Fantastic Negrito o Bellrays, fino a rimandi palesi a Janis Joplin e a infuocati e sparatissimi country punk. Un lavoro completo e complesso, ricchissimo di spunti di altissimo livello.
THROWING MUSES - Moonlight concessions
Album scarno, aspro, minimale, dai tratti drammatici e inquietanti ma, paradossalmente, estremamente fascinoso. Chitarre acustiche, violoncello, la voce di Kristin Hersch, un senso di decadenza e abbandono. Ottimo lavoro.
PUTAN CLUB - Filles d'octobre
Il duo franco/italiano aggiunge un altro devastante tassello alla sua demolizione progressiva delle convenzioni sonore. Il nuovo è dal vivo, registrato in Portogallo all'Amplifest. Drum machine, chitarra, basso, distorsione, tutto è estremo, riduttivo definirlo noise, siamo oltre. Ci sono echi post punk che arrivano da chi a suo tempo aveva incominciato a prendere a mazzate il suono più ovvio: Killing Joke, Public Image LTD, Theatre Of Hate. Ma anche riferimenti al tribalismo sperimentato nelle varie esperienze africane della band, industrial, pura e semplice attitudine punk. Il famoso o li si ama o li si odia bene si addice ai Putan Club. Noi li si ama incondizionatamente.
BLIND ALLEY - Live Tuxedo 1982
Nei primi anni Ottanta le uscite discografiche di band underground italiane erano centellinate, rare, difficili da trovare, soprattutto se relative all'ambito mod e affini.
Nel 1983 uscì il primo singolo dei Four By Art e l'anno successivo quello degli Underground Arrows.
Per il resto c'erano solo le cassette.
Quando il primo e unico 45 giri dei BLIND ALLEY, pubblicato dalla Shirak nel 1983, mi arrivò a casa fu motivo di grande giubilo, nonostante a quel punto la band fosse alla fine della breve carriera, iniziata nel 1980.
Non erano propriamente una mod band ma suonavano canzoni molto vicine allo spirito del 1979 e ai Jam, con l'aggiunta di punk, power pop, i primi Elvis Costello e Joe Jackson, il piglio dei Clash.
Gigi Restagno, prima della prematura scomparsa, proseguì con altre sonorità con Defear, Difference e Misfits (dove ritrovò il chitarrista Luca Bertoglio), Marco Ciari invece rimase fedele al gusto Sixties con i Party Kids, prima di approdare a Franti e Fratelli di Soledad.
Onde Italiane pubblica ora un ottimo live, registrato il 24 novembre 1982, con 13 brani che se fossero usciti all'epoca avrebbero costituito un album imperdibile.
Ora testimoniano la qualità e lo spessore compositivo di una band eccellente.
La registrazione è più che buona, l'eccellente cover di "Modern world" dei Jam testimonia quale fosse la principale matrice di riferimento.
DERYA YILDRIM & GRUP SIMSEK - Yarin Yoksa
Quarto album per la band turco/tedesca a base di una sinuosa e affascinante miscela di soul, funk, melodie anatoliche, jazz, psichedelia. La voce di Derya Yildrim è avvolgente, dalle volute mediorientali, la band macina un sound ipnotico e oppiaceo, l'insieme è originale e di immediata presa.
GYASI - Here comes the good part
Un cocktail con parti uguali di Marc Bolan, David Bowie, Led Zeppelin, Slade, primi Roxy Music e spezie affini. Ovvero non una lacrima di originalità ma un remake perfetto di quelle atmosfere e suoni. Ma l'effetto è davvero piacevole, fatto benissimo, gustoso e rinfrescante.
THE TUBS - Cotton Crown
Secondo album poer la band gallese, in cui si alternano influenze accattivanti come Husker Du/Bob Mould, Dinosaur Jr, un po' di primi Clash, qualche chitarra alla Smiths e non rari accenti Welleriani. Il tutto spolverato da un approccio folk irlandese. Niente di clamoroso ma da tenere d'occhio.
ANDY BELL - Pinball wanderer
Andy Bell è stato membro di Ride (tuttora in attività), Oasis, Beady Eye. Il terzo album solista lo coglie tra brani strumentali, ipnotici, di ispirazione kraut/psichedelica e qualche episodio più tradionalmente rock di gusto ovviamente Britpop. Solo per completisti.
AA.VV. - Paul Weller Presents That Sweet, Sweet Music
Sono ricorrenti le compilation basate sulle scelte di artisti conosciuti.
Paul Weller è un raffinato estimatore di soul music e dintorni e qui ci regala una selezione di 24 brani che vanno dai 10 minuti iniziali di funk liquido e torrido degli Headhunters con "God Made Me Funky", al classico "That's Enough" di Roscoe Robinson, al travolgente rhythm and soul di "Soulshake" di Peggy Scott & Jo Jo Benson.
E ancora il folk soul di Ritchie Havens, una bellissima e super groovy "Summertime" di Billy Stewart, un omaggio al dimenticatissimo Baby Huey con "Hard times", l'inconsueta "Blackrock" dei Blackrock, band di session men della Stax e Hi Records, alle prese con un funk psichedelico targato 1969, una versione di "The bottle" di Gil Scott Heron eseguita dai Brother To Brother dall'omonimo album del 1974.
C'è da divertirsi. Weller sa il fatto suo, non ne dubitavamo e qui si capisce molto delle sue (già note) fonti di ispirazione.
AA.VV. - Everybody is a star The Sly StoneSongbook
Compilation molto interessante e godibile, che raccoglie una ventina di cover di Sly Stone e Sly and the Family Stone.
Versioni particolari e strane, realizzate nel corso del tempo, che coinvolgono artisti sorprendenti, vedi Raincoats o Magazine, ottimi o la bruttina "Family affair" di Iggy Pop.
Classica e stupenda "I Want to Take You Higher" di Ike & Tina Turner & the Ikettes, bellissimo il disco funk di "Le Lo Li" di Diana Ross (originariamente in "High On You" di Sly del 1975), scartato dall'album della cantante dell'anno successivo.
C'è anche una "Everyday people" rifatta da Jeff Buckley (uscita su singolo nel 2015 per il RSD), piena di pathos.
ELISA ZOOT - Clever Crow
Elisa Zoot è una cantante, produttrice e compositrice per TV e film, nonché co-fondatrice della band alt-rock londinese Black Casino And The Ghost. La sua musica e la sua voce sono state utilizzate in molti programmi TV di successo negli Stati Uniti e in varie serie di Netflix e in molti spot pubblicitari, serie, trailer e film in Usa e Europa.
Il suo esordio solista, coadiuvata da collaboratori come Alex Reeves (Elbow) alla batteria, Ariel Lerner (Black Casino and The Ghost), Steve Ouimette (T-Ride) e Massimo Martellotta (Calibro 35) alle chitarre, la vede alle prese con dieci brani avvolgenti, misteriosi, in cui elettronica e gusto vintage si abbracciano alla perfezione.
Tra dream pop, post wave alla Cocetau Twins, Portishead, un marcato gusto per le atmosfere cinematografiche e rimandi ai Sixties. Album di rara intensità e tensione emotiva.
FIESTA ALBA - Pyrotechnic Babel
Il primo album della misteriosa band, la cui identità è occultata da maschere, è un condensato di molteplici influenze, di difficile definizione e collocazione all'interno di un genere particolare. Più genericamente math rock contaminato con elementi afro, dub, elettronica, nu jazz British jazz (in particolare le varie incarnazioni di Shabaka Hutchings), drum’n’bass, un groove funk in costante filigrana. Opera complessa, in progress, molto stimolante e innovativa. Eccellente.
MELTY GROOVE - Free hands
Il trio torinese conferma le premesse apprezzate nei singoli che hanno preceduto questo brillante esordio. Sette brani (tra cui una coraggiosa e straniante versione semi prog di "Amore che vieni amore che vai" di Fabrizio De André) che spaziano senza limiti, a "mani libere", tra funk, canzone d'autore, fusion, jazz, soul. Il tutto suonato magnificamente, con classe, raffinatezza e urgenza espressiva. Album sorprendente ed esplosivo.
SINGOLI
The Molotovs - More More More
I due giovanissimi fratelli inglesi, dopo anni di progressiva crescita, approdano al singolo d'esordio. Un brano in pieno stile Jam 1979, potente, ben prodotto ed efficace. Sul lato B una versione dal vivo della stessa canzone e una, ottima, di "Suffragette City" di Bowie. Attendiamo sviluppi.
Jimi Tenor - Summer Of Synesthesia
Due brani dai vellutati ritmi funk soul, affascinanti e sinuosi.
Odario X Mad Professor ft. Yolanda Sargeant - The situation
Infuocato mix di dub, reggae e hip hop che unisce il rapper canadese e la leggenda del dub. Pura classe.
Rodina - Trust in this Life (feat Joe Tatton Trio & The Haggis Horns)
Fusion funk unito a un groove acid jazz per la cantante Aoife Hearty, tastierista dei New Mastersounds e Joe Tatton, tratto dal nuovo album "Good Company" in uscita in vinile a giugno 2025. Stupendo.
Bacao Rhythm & Steel Band’s - Let’s Grow
Ottimo singolo per la misteriosa band di Amburgo, tra funk e influenze caraibiche. Sempre efficaci.
ASCOLTATO ANCHE:
LANCE FERGUSON (discreto lavoro di soul funk strumentale da una colonna sonora del 1981, recentemente ristampata), EDWYN COLLINS (carino ma soporifero), BURNT SUGAR (funk, spiritual jazz, sperimentazione), THE HORRORS (inutile come tutta la loro discografia), STEVEN WILSON (neo prog con riferimenti a Yes, Genesis, Pink Floyd ma anche Bowie. Solo per appassionati del genere).
LETTO
Steve Wynn - Non lo direi se non fosse vero. Memorie di musica, vita e Dream Syndicate
Steve Wynn racconta una storia banale.
Quella di un giovane ragazzo ossessionato dalla musica tanto da diventare un musicista.
Ovvero una storia straordinaria. Fatta di tutte quelle straordinarie banalità che caratterizzano la vita che molti artisti, pur non essendo mai diventati i Rolling Stones, ben conoscono.
Sacrifici di ogni tipo, rinunce, notti insonni, delusioni, sconforto, fatiche inenarrabili ma alla fine quella gratitudine infinita per avere avuto quell'opportunità incredibile di vivere con e nella musica.
Steve Wynn ha lavorato in un negozio di dischi, fatto il DJ, fondato i Dream Syndicate e dato vita, negli anni Ottanta, al cosiddetto Paisley Underground, a fianco di Rain Parade, Bangles, Green On Red, Long Ryders, mischiando psichedelia, rock e punk.
Con la sua band ha sfiorato il grande successo, tra tour con REM e U2, album in classifica ma alla fine è sempre mancato il guizzo finale.
Nella sua autobiografia, pubblicata recentemente da Jimenez Edizioni, “Non lo direi se non fosse vero” (tradotta da Gianluca Testani), traspare qualche velato rammarico, soprattutto all'indomani dello scioglimento della band (poi riformatasi nel 2012 e ancora in splendida attività con album freschi e mai nostalgici), quando esplodono il grunge e l'indie rock di cui i Dream Syndicate erano stati in qualche modo precursori e padrini e altre band a loro contemporanee (Meat Puppets, Flaming Lips, Sonic Youth) trovavano finalmente successo e riconoscimenti:
“Sarebbe potuto accadere a noi? Non ha senso chiederselo. Non è successo.”
Il racconto è avvincente, molto (auto) ironico, ricchissimo di aneddoti gustosi e talvolta imprevedibili, tra eccessi alcolici e non solo, concerti sold out e serate semi deserte in luoghi sperduti dell'America davanti a un pubblico indifferente. Fotografa al meglio la vicenda di una band che alla fine è riuscita comunque a ritagliarsi un posto nella storia del rock e diventare riferimento per tantissimi altri artisti in mezzo mondo.
Steve Wynn ha proseguito con una carriera solista ricca di soddisfazioni e ottimi dischi oltre a una lunga serie di collaborazioni e progetti sempre più che dignitosi.
Sarà il tema del secondo capitolo della sua nuova carriera letteraria che in questo caso si ferma allo scioglimento della band, nel 1988, relegando a poche pagine la prosecuzione successiva.
La riga finale è un capolavoro di colto citazionismo musicale:
“Ci vediamo in giro per locali”.
La frase che disse George Harrison agli altri Beatles il 10 gennaio 1969, quando lasciò (momentaneamente) la band.
Lance Henson - Entità /Entities
Lance Henson è Cheyenne, Oglala e Cajun e membro della confraternita dei Soldati Cane (Dog Soldiers) Cheyenne, della Native American Church (il culto del peyote) e dell’American Indian Movement.
Ha spesso rappresentato la propria tribù nel Gruppo di lavoro dei popoli indigeni presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Ha pubblicato circa cinquanta raccolte, che sono state tradotte in ventisette lingue. È anche co-autore di due pièces teatrali.
Il nuovo libro di poesie lo coglie alle prese con l'attualità, tra guerre e violenza ma, come sempre, con una spiritualità intensa, profonda, ancestrale.
"Nonostante le stragi, la distruzione, la follia e dell' "odio infuocato" degli infami, del calpestio degli "stivali dei folli", nonostante tutto, i popoli nativi resistono nella parola dei loro poeti."
Il volume si presenta con il testo a fronte, come traccia essenziale del dire necessariamente in più lingue – southern cheyenne/tsistsistas, inglese (che per Lance è la lingua del nemico), italiano.
"Sono sul crinale
In America appena
da qualche tra furore e libertà".
Alessandro Pagani, Massimiliano Zatini - I Punkinari
Molto divertente e gustosa la marmorea staticità di due calciatori perennemente in panchina a scambiarsi freddure, sempre di spalle, lo sguardo rivolto verso un immaginario campo di calcio, mentre trascorrono le stagioni.
Decine di tavole, ben disegnate e sceneggiate, un inno alla (talvolta disperata) nullafacenza, al "do nothing", all'attesa consapevole che tanto non entrerai mai in campo.
Fabio Massera - Xés
Fabio Massera è un appassionato e profondo conoscitore di rock e punk.
In questo libro mette insieme il retaggio culturale assorbito da migliaia di ascolti (citati all'inizio di ogni capitolo, da Stones a Jimi Hendrix, Kina, Cure, Sex Pistols, Goblin) e un gusto lirico per Bukowsky e Henry Miller.
Ne esce un centinaio di pagine di "letteratura punk" in cui provocazione, erotismo e storie di strada si incrociano.
VISTO
The Missing Boys di Davide Catinari
Davide Catinari, cantante dei Dorian Gray, precedentemente dei Crepesuzette, direttore artistico del festival Karel Music Expo, traccia in questo film l'intensa e sentita storia di chi, dalla fine degli anni settanta a quella degli Ottanta, scelse la strada di un'alternativa arrivata a illuminare, pardadossalmente con un lato oscuro, la strada di un gruppo di adolescenti che trovò nel punk, new wave e affini una nuova identità, artistica e filosofica.
Musica, arte, cinema, teatro, grafica, tutto insieme, un mix terribilmente nuovo ed esplosivo.
In questo specifico caso ancora più urgente in quanto relativa alla realtà della Sardegna, geograficamente e logisticamente lontanissima, soprattutto ai tempi, dal "continente".
I testimoni che ne ricordano gli eventi nel documentario rimarcano spesso la mancanza di un'etichetta che potesse garantire un'opportunità di realizzazione e distribuzione per gli artisti, al di là delle singole autoproduzioni, e il rammarico di come tanti validi talenti non abbiamo potuto usufruire delle opportunità che ha invece avuto chi è nato a Milano, Bologna, Firenze, nello stesso periodo.
Passano (attraverso testimonianze dei protagonisti e rari filmati d'epoca) nomi come Agorà, Anonimia, Autosuggestion, Crepesuzette, Démodé, Ici on va faire, Maniumane, Physique du role, Polarphoto, Quartz, Rosa delle Ceneri, Vapore 36, Weltanschauung.
Un ritratto comune a mille altre realtà di provincia in cui l'unico traino erano la passione, l'urgenza, la creatività, la voglia di scrivere nuove pagine.
The Missing Boys” ha vinto il premio nella categoria Best Feature Documentary ai New York Independent Cinema Awards.
Adolescence di Philip Barantini
La mini serie in quattro episodi, in onda su Netflix, Adolescence di Philip Barantini è al centro del dibattito nei social.
Il giudizio, come sempre in questi casi, oscilla tra il capolavoro e la stroncatura.
Personalmente eviterei l'eccessivo entusiasmo, pur se la regìa di Barattini è eccellente (la scelta del piano sequenza dona al tutto ancora più pathos e immediatezza, il costante clima plumbeo è perfetto per l'ambientazione di una storia cupa e turpe) e l'interpretazione di Stephen Graham (il padre) e di Owen Cooper (il giovane figlio) è a livelli altissimi.
Ci sono alti e bassi, qualche inciampo ma il contenuto è straziante, inquietante, spiazzante, terribilmente attuale e realistico e che si riassume in una terribile contemplazione della "banalità del male".
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.
Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/
Presentazione a Genova, martedì 15 aprile, ore 18, Giardini Luzzati.
lunedì, marzo 31, 2025
domenica, marzo 30, 2025
Ringo Starr, batterista
Un po' di recenti interviste e podcast sul libro che ho scritto su Ringo Starr "Ringo Starr, batterista" per Low Edizioni.
Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/
Rai Radio 3 nella trasmisisone "Qui comincia" con Arturo Stalteri.
Regia e scelte musicali di Federico Capitoni (dal minuto 18)
https://www.raiplaysound.it/audio/2025/03/Qui-comincia-del-28032025-24cf3fbb-9b1c-4293-ab86-b8f63be61b5b.html
Mezzora di intervista video con Franco Zanetti nelle pagine di Rockol.
https://www.rockol.it/news-750868/ringo-starr-il-metronomo-dei-beatles E infine una chiacchierata in video di quasi due ore con Pierpaolo Scuro e il suo "Parole e Suoni Podcast".
https://www.youtube.com/watch?v=Til62GM02QA
Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/
Rai Radio 3 nella trasmisisone "Qui comincia" con Arturo Stalteri.
Regia e scelte musicali di Federico Capitoni (dal minuto 18)
https://www.raiplaysound.it/audio/2025/03/Qui-comincia-del-28032025-24cf3fbb-9b1c-4293-ab86-b8f63be61b5b.html
Mezzora di intervista video con Franco Zanetti nelle pagine di Rockol.
https://www.rockol.it/news-750868/ringo-starr-il-metronomo-dei-beatles E infine una chiacchierata in video di quasi due ore con Pierpaolo Scuro e il suo "Parole e Suoni Podcast".
https://www.youtube.com/watch?v=Til62GM02QA
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I me mine
sabato, marzo 29, 2025
Appuntamenti vari
Giovedì 3 Aprile 2025 - Ore 21.30
@ Camera Del Lavoro, via 24 Maggio 18 - Piacenza
𝐌𝐔𝐒𝐈𝐂𝐀 𝑃𝐸𝑅 𝐋𝐀𝐕𝐎𝐑𝐎 “ Bello! Il tuo lavoro vero invece qual è?”
Anteprima di 𝐶𝑜𝑙𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 - 𝑆𝑒𝑡𝑡𝑖𝑚𝑎𝑛𝑎 𝑑𝑖 𝑃𝑜𝑝𝑜𝑙𝑜 𝑒 𝑑𝑖 𝐹𝑒𝑠𝑡𝑎 e quindi anche dell’imminente 𝐶𝑢𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑠𝑠, una serata “multi strato” da non perdere:
🗣️ 𝐀𝐍𝐓𝐎𝐍𝐈𝐎 𝐁𝐀𝐂𝐂𝐈𝐎𝐂𝐂𝐇𝐈 ci guida tra contributi e quattro chiacchiere con i protagonisti piacentini della filiera musicale nazionale per fare il punto sullo stato di salute delle professioni che vivono di e con la musica, da prima della pandemia a oggi, per capire se effettivamente la musica può essere considerata un “lavoro” e per scoprire che magari sono anche due, tre o più lavori insieme. Sul palco assieme a lui:
𝐀𝐋𝐁𝐄𝐑𝐓𝐎 𝐂𝐀𝐋𝐋𝐄𝐆𝐀𝐑𝐈 - Fondatore e Sound Engineer di Elfo Recording Studios /Produttore musicale
𝐂𝐑𝐈𝐒𝐓𝐈𝐀𝐍𝐎 𝐒𝐀𝐍𝐙𝐄𝐑𝐈 - Direttore di produzione
𝐄𝐍𝐑𝐈𝐂𝐎 𝐂𝐑𝐈𝐏𝐏𝐀 - Liutaio Sound City guitar repair shop
🎸 Un pochettino subito e poi a seguire live in duo di Giorgia D’Eraclea, in arte 𝐆𝐈𝐎𝐑𝐆𝐈𝐄𝐍𝐄𝐒𝐒.
Musicista e songwriter indipendente, da 10 anni si esibisce sui palchi dei principali club e festival italiani, dall’Alcatraz di Milano al Concertone del Primo Maggio a Roma.
Ha all’attivo 4 album e 2 EP, oltre a numerose collaborazioni.
Una serie di appuntamenti in ambito MOD.
Le locandine dicono tutto!
@ Camera Del Lavoro, via 24 Maggio 18 - Piacenza
𝐌𝐔𝐒𝐈𝐂𝐀 𝑃𝐸𝑅 𝐋𝐀𝐕𝐎𝐑𝐎 “ Bello! Il tuo lavoro vero invece qual è?”
Anteprima di 𝐶𝑜𝑙𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 - 𝑆𝑒𝑡𝑡𝑖𝑚𝑎𝑛𝑎 𝑑𝑖 𝑃𝑜𝑝𝑜𝑙𝑜 𝑒 𝑑𝑖 𝐹𝑒𝑠𝑡𝑎 e quindi anche dell’imminente 𝐶𝑢𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑠𝑠, una serata “multi strato” da non perdere:
🗣️ 𝐀𝐍𝐓𝐎𝐍𝐈𝐎 𝐁𝐀𝐂𝐂𝐈𝐎𝐂𝐂𝐇𝐈 ci guida tra contributi e quattro chiacchiere con i protagonisti piacentini della filiera musicale nazionale per fare il punto sullo stato di salute delle professioni che vivono di e con la musica, da prima della pandemia a oggi, per capire se effettivamente la musica può essere considerata un “lavoro” e per scoprire che magari sono anche due, tre o più lavori insieme. Sul palco assieme a lui:
𝐀𝐋𝐁𝐄𝐑𝐓𝐎 𝐂𝐀𝐋𝐋𝐄𝐆𝐀𝐑𝐈 - Fondatore e Sound Engineer di Elfo Recording Studios /Produttore musicale
𝐂𝐑𝐈𝐒𝐓𝐈𝐀𝐍𝐎 𝐒𝐀𝐍𝐙𝐄𝐑𝐈 - Direttore di produzione
𝐄𝐍𝐑𝐈𝐂𝐎 𝐂𝐑𝐈𝐏𝐏𝐀 - Liutaio Sound City guitar repair shop
🎸 Un pochettino subito e poi a seguire live in duo di Giorgia D’Eraclea, in arte 𝐆𝐈𝐎𝐑𝐆𝐈𝐄𝐍𝐄𝐒𝐒.
Musicista e songwriter indipendente, da 10 anni si esibisce sui palchi dei principali club e festival italiani, dall’Alcatraz di Milano al Concertone del Primo Maggio a Roma.
Ha all’attivo 4 album e 2 EP, oltre a numerose collaborazioni.
Una serie di appuntamenti in ambito MOD.
Le locandine dicono tutto!
venerdì, marzo 28, 2025
The Standells
La recente scomparsa di Larry Tamblyn, voce, tastiere e leader degli STANDELLS ha ispirato questo speciale dedicato alla band californiana.
Già attivi dal 1962, passati attraverso una lunga serie di cambi di nome e line up, si stabilizzano nel 1965, trovando un contratto discografico e la produzione di Ed Cobb (che firmerà diversi loro brani).
La discografia è limitata a quattro album tra il 1966 e il 1967, uno del 2013, durante una delle varie reunion e alcuni live del 1966.
In Person at PJ's - 1964
Live On Tour 1966 - 2015
Quando ancora erano una party band da piccoli club registrarono (benissimo) lo splendido live "In Person at PJ's" in un locale di Los Angeles in cui dimostrano tutta la loro tecnica strumenbtale e vocale. Tutte cover tra cui una rocciosa "You can't do that" dei Beatles, un'arrembante "I'll go crazy" di James Brown e più canoniche esecuzioni di "Money (that's What I Want)" o "Louie louie". Un ottimo documento.
Live On Tour 1966 documenta la band alla vigilia del "successo" con cover ben riuscite di "Midnight hour", "Gloria" e "Sunny afternoon" e le due loro hit "Sometimnes good guys don't wear white" e "Dirty water". Discreto.
Dirty Water - 1966
Un capolavoro del garage beat, ruvido e diretto ma anche melodico e Beatlesiano a tratti ("Pride And Devotion" di Tamblyn) registrato in due giorni.
La title track è tra i brani più noti e influenti del garage punk, vera e propria pietra miliare, e poi la stupenda e souleggiante "Sometimes Good Guys Don't Wear White" (come la precedente scritta dal produttore Ed Cobb) dall'incedere in levare, una sparata "Hey Joe" (ai tempi già in repertorio Leaves, Byrds, Love, Music Machine), la psichedelia/fuzz ante litteram di "Medication" (ripresa poi dai Vipers in "Outta the nest" nel 1984).
Tutti i semi del garage punk beat sono qua.
Why Pick on Me — Sometimes Good Guys Don't Wear White - 1966
The Hot Ones - 1967
Uscito cinque mesi dopo il precedente, cercando di sfruttare il piccolo successo del precedente è una raccolta un po' raffazzonata e disomogenea di materiale vario. Una calligrafica cover di "Paint It Black", una terribile "Mi hai fatto innamorare" (in italiano con accento americano, a firma del chitarrista Tony Valentino), la ripresa della title track, "My Little red Book" di Burt Bacharach, già portata al successo da Manfred Mann e Love (successivamente, in una riuscita versione, dai Litter).Il resto è piuttosto anonimo.
"The Hot Ones" viene pubblicato addirittura due mesi dopo il precedente. Tutte cover, ben fatte e ottimamente scelte (ma calligrafiche) di brani contemporanei, usciti da poco (Monkees, Donovan, Kinks, Stones etc). Fa eccezione una "Eleanor Rigby" elettrica, arrangiata molto bene.
Album decisamente superfluo.
Try It - 1967
Nell'ottobre del 1967 esce l'ultimo album della band, un mix di stili che denota una fase transitoria e confusa, tra ottimi brani soul, con tanto di fiati, un classico del garage psych come "Riot on Sunset Strip", blues, psichedelia, beat.
La title track fu bannata da alcune radio statunitensi a cuasa di un testo ritenuto "lascivo". E' comunque un ottimo lavoro, ben suonato e che rivela che con maggiore calma e una migliore messa a fuoco degl iobbiettivi, la band avrebbe potuto avere un futuro di qualità.
Bump - 2013
Agli inizi degli anni Ottanta incominciano varie reunion, con questo o senza quell'altro membro, tra concerti e un album nel 2013 con il solo Tamblyn della line up originale.
Un lavoro tranquillamente dimenticabile, con sonorità hard rock e cover discutibili di "Pushin too hard", "7&7 Is" dei Love e soprattutto di "Help you Ann" dei Lyres.
Anche i brani autografi non brillano in creatività.
Già attivi dal 1962, passati attraverso una lunga serie di cambi di nome e line up, si stabilizzano nel 1965, trovando un contratto discografico e la produzione di Ed Cobb (che firmerà diversi loro brani).
La discografia è limitata a quattro album tra il 1966 e il 1967, uno del 2013, durante una delle varie reunion e alcuni live del 1966.
In Person at PJ's - 1964
Live On Tour 1966 - 2015
Quando ancora erano una party band da piccoli club registrarono (benissimo) lo splendido live "In Person at PJ's" in un locale di Los Angeles in cui dimostrano tutta la loro tecnica strumenbtale e vocale. Tutte cover tra cui una rocciosa "You can't do that" dei Beatles, un'arrembante "I'll go crazy" di James Brown e più canoniche esecuzioni di "Money (that's What I Want)" o "Louie louie". Un ottimo documento.
Live On Tour 1966 documenta la band alla vigilia del "successo" con cover ben riuscite di "Midnight hour", "Gloria" e "Sunny afternoon" e le due loro hit "Sometimnes good guys don't wear white" e "Dirty water". Discreto.
Dirty Water - 1966
Un capolavoro del garage beat, ruvido e diretto ma anche melodico e Beatlesiano a tratti ("Pride And Devotion" di Tamblyn) registrato in due giorni.
La title track è tra i brani più noti e influenti del garage punk, vera e propria pietra miliare, e poi la stupenda e souleggiante "Sometimes Good Guys Don't Wear White" (come la precedente scritta dal produttore Ed Cobb) dall'incedere in levare, una sparata "Hey Joe" (ai tempi già in repertorio Leaves, Byrds, Love, Music Machine), la psichedelia/fuzz ante litteram di "Medication" (ripresa poi dai Vipers in "Outta the nest" nel 1984).
Tutti i semi del garage punk beat sono qua.
Why Pick on Me — Sometimes Good Guys Don't Wear White - 1966
The Hot Ones - 1967
Uscito cinque mesi dopo il precedente, cercando di sfruttare il piccolo successo del precedente è una raccolta un po' raffazzonata e disomogenea di materiale vario. Una calligrafica cover di "Paint It Black", una terribile "Mi hai fatto innamorare" (in italiano con accento americano, a firma del chitarrista Tony Valentino), la ripresa della title track, "My Little red Book" di Burt Bacharach, già portata al successo da Manfred Mann e Love (successivamente, in una riuscita versione, dai Litter).Il resto è piuttosto anonimo.
"The Hot Ones" viene pubblicato addirittura due mesi dopo il precedente. Tutte cover, ben fatte e ottimamente scelte (ma calligrafiche) di brani contemporanei, usciti da poco (Monkees, Donovan, Kinks, Stones etc). Fa eccezione una "Eleanor Rigby" elettrica, arrangiata molto bene.
Album decisamente superfluo.
Try It - 1967
Nell'ottobre del 1967 esce l'ultimo album della band, un mix di stili che denota una fase transitoria e confusa, tra ottimi brani soul, con tanto di fiati, un classico del garage psych come "Riot on Sunset Strip", blues, psichedelia, beat.
La title track fu bannata da alcune radio statunitensi a cuasa di un testo ritenuto "lascivo". E' comunque un ottimo lavoro, ben suonato e che rivela che con maggiore calma e una migliore messa a fuoco degl iobbiettivi, la band avrebbe potuto avere un futuro di qualità.
Bump - 2013
Agli inizi degli anni Ottanta incominciano varie reunion, con questo o senza quell'altro membro, tra concerti e un album nel 2013 con il solo Tamblyn della line up originale.
Un lavoro tranquillamente dimenticabile, con sonorità hard rock e cover discutibili di "Pushin too hard", "7&7 Is" dei Love e soprattutto di "Help you Ann" dei Lyres.
Anche i brani autografi non brillano in creatività.
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Get Back
giovedì, marzo 27, 2025
The Missing Boys di Davide Catinari
Davide Catinari, cantante dei Dorian Gray, precedentemente dei Crepesuzette, direttore artistico del festival Karel Music Expo, traccia in questo film l'intensa e sentita storia di chi, dalla fine degli anni settanta a quella degli Ottanta, scelse la strada di un'alternativa arrivata a illuminare, pardadossalmente con un lato oscuro, la strada di un gruppo di adolescenti che trovò nel punk, new wave e affini una nuova identità, artistica e filosofica.
Musica, arte, cinema, teatro, grafica, tutto insieme, un mix terribilmente nuovo ed esplosivo.
In questo specifico caso ancora più urgente in quanto relativa alla realtà della Sardegna, geograficamente e logisticamente lontanissima, soprattutto ai tempi, dal "continente".
I testimoni che ne ricordano gli eventi nel documentario rimarcano spesso la mancanza di un'etichetta che potesse garantire un'opportunità di realizzazione e distribuzione per gli artisti, al di là delle singole autoproduzioni, e il rammarico di come tanti validi talenti non abbiamo potuto usufruire delle opportunità che ha invece avuto chi è nato a Milano, Bologna, Firenze, nello stesso periodo.
Passano (attraverso testimonianze dei protagonisti e rari filmati d'epoca) nomi come Agorà, Anonimia, Autosuggestion, Crepesuzette, Démodé, Ici on va faire, Maniumane, Physique du role, Polarphoto, Quartz, Rosa delle Ceneri, Vapore 36, Weltanschauung.
Un ritratto comune a mille altre realtà di provincia in cui l'unico traino erano la passione, l'urgenza, la creatività, la voglia di scrivere nuove pagine.
The Missing Boys” ha vinto il premio nella categoria Best Feature Documentary ai New York Independent Cinema Awards.
Il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=5FQ8eiLfltg
Musica, arte, cinema, teatro, grafica, tutto insieme, un mix terribilmente nuovo ed esplosivo.
In questo specifico caso ancora più urgente in quanto relativa alla realtà della Sardegna, geograficamente e logisticamente lontanissima, soprattutto ai tempi, dal "continente".
I testimoni che ne ricordano gli eventi nel documentario rimarcano spesso la mancanza di un'etichetta che potesse garantire un'opportunità di realizzazione e distribuzione per gli artisti, al di là delle singole autoproduzioni, e il rammarico di come tanti validi talenti non abbiamo potuto usufruire delle opportunità che ha invece avuto chi è nato a Milano, Bologna, Firenze, nello stesso periodo.
Passano (attraverso testimonianze dei protagonisti e rari filmati d'epoca) nomi come Agorà, Anonimia, Autosuggestion, Crepesuzette, Démodé, Ici on va faire, Maniumane, Physique du role, Polarphoto, Quartz, Rosa delle Ceneri, Vapore 36, Weltanschauung.
Un ritratto comune a mille altre realtà di provincia in cui l'unico traino erano la passione, l'urgenza, la creatività, la voglia di scrivere nuove pagine.
The Missing Boys” ha vinto il premio nella categoria Best Feature Documentary ai New York Independent Cinema Awards.
Il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=5FQ8eiLfltg
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Film
mercoledì, marzo 26, 2025
Fabio Massera - Xés
Fabio Massera è un appassionato e profondo conoscitore di rock e punk.
In questo libro mette insieme il retaggio culturale assorbito da migliaia di ascolti (citati all'inizio di ogni capitolo, da Stones a Jimi Hendrix, Kina, Cure, Sex Pistols, Goblin) e un gusto lirico per Bukowsky e Henry Miller.
Ne esce un centinaio di pagine di "letteratura punk" in cui provocazione, erotismo e storie di strada si incrociano.
Per contatti: https://www.facebook.com/fabio.massera.18
In questo libro mette insieme il retaggio culturale assorbito da migliaia di ascolti (citati all'inizio di ogni capitolo, da Stones a Jimi Hendrix, Kina, Cure, Sex Pistols, Goblin) e un gusto lirico per Bukowsky e Henry Miller.
Ne esce un centinaio di pagine di "letteratura punk" in cui provocazione, erotismo e storie di strada si incrociano.
Per contatti: https://www.facebook.com/fabio.massera.18
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Libri
martedì, marzo 25, 2025
The Impressions - Young Mods' forgotten story
Un titolo che ha sempre parecchio intrigato gli appartenenti alla scena MOD.
Non è mai stato appurato se il riferimento fosse esplicito ma, essendo il contenuto una sorta di concept su un giovane che si interroga su società e realtà circostante, in cui si interseca la sua vita sentimentale, non è escluso che ci sia un rimando a chi, dall'altra parte dell'oceano, incarnava, fino a poco tempo prima un ideale di gioventù, speranza, "pulizia", sguardo al nuovo e al futuro.
La storia del YOUNG MOD non deve essere dimenticata.
CURTIS MAYFIELD alla fine dei 60 abbraccia sempre più le tematiche sociopolitiche che stavano infiammando l'America (nera ma non solo) e le mette in musica.
Affiancato da Donny Hathaway e Johnny Pate come arrangiatori e dai Funk Brothers come backing band, sforna, nel 1969, con gli IMPRESSIONS un album di strepitoso funk soul che palesa la volontà di un progressivo racconto già dal brano introduttivo, la title track, un soul epico e corale che parte con l'incipit: "Let me sing a song/ I won't make it too long/ About the Young Mods' forgotten story."
Dove si nasconde il GIOVANE MOD?
Forse è quella figura che appare sullo sfondo sia sulla copertina che nel retro, un'ombra nascosta e lontana di cui raccontare la storia.
"Choices of colors", grande soul ballad orchestrale, pone il ragazzo di fronte ad alcune domande di portata epocale e decisamente innovative e provocatorie per i tempi:
"Se puoi scegliere un colore, quale preferiresti, fratello? Per quanto odierai ancora il tuo maestro bianco? Chi dice che tu debba amare il tuo predicatore nero?"
"The girl I find", dolce ballata in pieno stile Curtis, introduce la figura della (nuova? o della ex?) compagna del protagonista.
Un groove Northern Soul accompagna "Wherever you leadeth me" mentre si tinge di gospel e blues "My deceiving heart", due dichiarazioni d'amore per la ragazza.
Il secondo brano è una sorta di invocazione al perdono:
"Ma non è rimasto altro che amarezza, frustrazioni, una relazione persa a causa del mio cuore ingannatore".
La quasi gioiosa e saltellante "Seven years" ricorda i sette anni di relazione, ormai finiti.
Il lento soul "Love's miracle" esalta il potere dell'amore mentre "Jealous man" (che ricalca armonicamente in un continuum il precdente brano) ribadisce che, nonostante tutto, il YOUNG MOD rimane, inevitabilmente, un uomo geloso, con le conseguenze del caso.
"Soulful love" sembra una dichiarazione d'amore alla vecchia fiamma:
"Sei stata l'unica ragazza. In questo mondo Chi significa così tanto per me. L'ho scoperto molto tempo fa".
L'album si chiude con l'irresistibile funk di "Mighty Mighty" con affondo sociopolitico:
"E noi che siamo divisi / Alcuni sono indecisi / Pensaci un po '/ Siano stati tutti colti dalla stupidità".
Il YOUNG MOD riflette ad alta voce su quello che gli accade, l'amore, la vita, la politica, l'attualità.
Una storia dimenticata.
THE IMPRESSIONS - Choice of colors
https://www.youtube.com/watch?v=hpf0XckJKQc
Dal titolo dell'album prese ispirazione il quartetto vocale di Detroit, gli YOUNG MODS che incise nel 1970 il 45 giri "Gloria"/ “You Brought The Sunshine.”
Young Mods - Gloria
https://www.youtube.com/watch?v=QdqfpCT3Aeg
Young Mods - You brought the sunshine
https://www.youtube.com/watch?v=d_FBI4bfYrk
Ispirato da:
https://www.chicagomaroon.com/2005/4/3/mayfield-ensured-his-young-mod-would-not-be-forgotten/
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Mod Heroes
lunedì, marzo 24, 2025
Adolescence di Philip Barantini
La mini serie in quattro episodi, in onda su Netflix, Adolescence di Philip Barantini è al centro del dibattito nei social.
Il giudizio, come sempre in questi casi, oscilla tra il capolavoro e la stroncatura.
Personalmente eviterei l'eccessivo entusiasmo, pur se la regìa di Barattini è eccellente (la scelta del piano sequenza dona al tutto ancora più pathos e immediatezza, il costante clima plumbeo è perfetto per l'ambientazione di una storia cupa e turpe) e l'interpretazione di Stephen Graham (il padre) e di Owen Cooper (il giovane figlio) è a livelli altissimi.
Ci sono alti e bassi, qualche inciampo ma il contenuto è straziante, inquietante, spiazzante, terribilmente attuale e realistico e che si riassume in una terribile contemplazione della "banalità del male".
https://www.youtube.com/watch?v=bu_OiEfNdHY&t=1s
Per i dettagli qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Adolescence
Il giudizio, come sempre in questi casi, oscilla tra il capolavoro e la stroncatura.
Personalmente eviterei l'eccessivo entusiasmo, pur se la regìa di Barattini è eccellente (la scelta del piano sequenza dona al tutto ancora più pathos e immediatezza, il costante clima plumbeo è perfetto per l'ambientazione di una storia cupa e turpe) e l'interpretazione di Stephen Graham (il padre) e di Owen Cooper (il giovane figlio) è a livelli altissimi.
Ci sono alti e bassi, qualche inciampo ma il contenuto è straziante, inquietante, spiazzante, terribilmente attuale e realistico e che si riassume in una terribile contemplazione della "banalità del male".
https://www.youtube.com/watch?v=bu_OiEfNdHY&t=1s
Per i dettagli qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Adolescence
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Film
sabato, marzo 22, 2025
Classic Rock, Piacenzasera, RadioCoop
Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK ho dedicato un paio di pagine di intervista (nella rubrica "Negozi D.o.c.") alle gestrici del negozio di dischi e non solo Tutto Musica di Imperia.
Due pagine (e recensione del nuovo disco) di parole anche per Elli De Mon.
E poi recensioni degli album di Songhoy Blues, Neal Francis, Body Count, 4GOT10.
Prosegue la mia rubrica settimananel "La musica che gira intorno" nel portale PIACENZASERA (www.piacenzasera.it e https://www.facebook.com/piacenzasera.it con una serie di articoli di vario stampo.
Uno sul Liscio e i suoi orchestrali
https://www.piacenzasera.it/2025/03/584546/584546/
Un omaggio a David Johansen
https://www.piacenzasera.it/2025/03/tra-rock-ed-eccessi-se-ne-andata-lultima-delle-bambole/583476/
Un ricordo di Rosa Balistreri
https://www.piacenzasera.it/2025/03/la-voce-indomita-di-rosa-balistreri-cantautrice-che-non-temeva-la-mafia/582292/
Nelle pagine di RADIOCOOP ogni settimana creaiamo con la redazione varie playlist su Spotify (italiani, stranieri, nuova musica dall'Africa).
Periodicamente aggiorno quella iniziata tempo fa e dedicata al NORTHERN SOUL, attualmente con una quarantina di canzoni.
https://open.spotify.com/playlist/1JP6dHun8AEUfjaafk2gxZ?si=f5a3f09126dc4570&fbclid=IwY2xjawJLelRleHRuA2FlbQIxMAABHRYRQSGlg3ZcfzNb0cciDhmRWrl2Tw7ilZpU-E3Tjp_ZtGXfU4wYDOY11Q_aem_P3UySoYd6jqaYeMN8SIlGQ&nd=1&dlsi=c5ae6ec3f9c24961
Due pagine (e recensione del nuovo disco) di parole anche per Elli De Mon.
E poi recensioni degli album di Songhoy Blues, Neal Francis, Body Count, 4GOT10.
Prosegue la mia rubrica settimananel "La musica che gira intorno" nel portale PIACENZASERA (www.piacenzasera.it e https://www.facebook.com/piacenzasera.it con una serie di articoli di vario stampo.
Uno sul Liscio e i suoi orchestrali
https://www.piacenzasera.it/2025/03/584546/584546/
Un omaggio a David Johansen
https://www.piacenzasera.it/2025/03/tra-rock-ed-eccessi-se-ne-andata-lultima-delle-bambole/583476/
Un ricordo di Rosa Balistreri
https://www.piacenzasera.it/2025/03/la-voce-indomita-di-rosa-balistreri-cantautrice-che-non-temeva-la-mafia/582292/
Nelle pagine di RADIOCOOP ogni settimana creaiamo con la redazione varie playlist su Spotify (italiani, stranieri, nuova musica dall'Africa).
Periodicamente aggiorno quella iniziata tempo fa e dedicata al NORTHERN SOUL, attualmente con una quarantina di canzoni.
https://open.spotify.com/playlist/1JP6dHun8AEUfjaafk2gxZ?si=f5a3f09126dc4570&fbclid=IwY2xjawJLelRleHRuA2FlbQIxMAABHRYRQSGlg3ZcfzNb0cciDhmRWrl2Tw7ilZpU-E3Tjp_ZtGXfU4wYDOY11Q_aem_P3UySoYd6jqaYeMN8SIlGQ&nd=1&dlsi=c5ae6ec3f9c24961
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I me mine
venerdì, marzo 21, 2025
Miyuki-Zoku




I Miyuki-Zoku (nome che deriva da Miyuki Street strada di shopping di lusso nel prestigioso quartiere di Ginza a Tokyo e da Zoku che significa più o meno "gang" o gruppo) apparvero improvvisamente nella suddetta zona nella primavera del 1964.
Erano teenager, vestiti nello stile Ivy league dei college americani che avevano visto nella rivista Heibon Punch, "importata" da Kensuke Ishizu che aveva visitato gli States a fine anni 50 e creato il marchio VAN che ne riprendeva lo stile.
Abitualmente arrivavano sul posto, vestiti con le divise scolastiche, si cambiavano nei bar e diventavano impeccabili modelli di un nuovo stile, inedito in Giappone.
Il Giappone conservatore, ancora a pezzi dopo la recente disfatta della Seconda Guerra Mondiale, non tollerava un'estetica diversa da quella tradizionale e considerava l'amore per uno stile americano qualcosa di assolutamente inaccettabile.
Inoltre Tokyo si preparava, ad ottobre, a ospitare le Olimpiadi, primo atto di un ritorno nel consesso internazionale dopo quanto successo nel 1945.
Di conseguenza nulla doveva turbare la normalità, in vista dell'arrivo di migliaia di atleti e ospiti da tutto il mondo.
In settembre le autorità chiesero (imposero?) a Ishizu di organizzare un "Big Ivy Style Meet-up” alla Yamaha Hall, sponsorizzato dalla VAN, aiutandolo ad affiggere centinaia di poster promozionali in Miyuki Street.
Arrivarono in 2000 e a tutti fu dato un "buono" per ritirare una borsa Van all'indirizzo del negozio.
Il 4 settembre 1964 la polizia si presentò in massa arrestando tutti i partecipanti, processandone e condannandone 85, distruggendo per sempre il neo nato "Movimento".
Grazie a Fabio Tintore
giovedì, marzo 20, 2025
Roberto Roversi in "Stracci" di Lilith
Uno degli episodi artistici della mia modesta carriera musicale e affini, rimasti nascosto e dimenticato nel tempo.
ROBERTO ROVERSI (scrittore, poeta, paroliere, giornalista, collaborò con Pasolini e Lucio Dalla, fu direttore di "Lotta Continua"), nel 1996 scrisse (grazie all'intercessione dell'amico CLAUDIO GALUZZI) una presentazione (che compare all'interno della copertina) per "Stracci", album conclusivo della carriera di LILITH.
"Ho ascoltato e letto, ho letto e ascoltato.
Dunque: canzoni forti. Anche belle? Anche belle, da leggere e ascoltare.
Ma soprattutto canzoni forti: una voce protesa che tenta di lacerare il cielo.
E non è male, in questi tempi grigi.
Ogni canzone si fa ascoltare perché vuole comunicare, in quel momento, tutto: ogni testo si fa leggere, perché vuole comunicare, in diretta, emozioni concluse.
E io credo che niente sia più indispensabile, urgente, in questo enorme mondo di suoni, che vede ogni giorno le pareti della casa vibrare e incrinarsi per l'arruffarsi delle mille voci, per lo scompagniarsi arlecchinesco dei mille suoni: mentre i guerrieri del recente passato di buone battaglie, ormai esausti, girano da un paese all'altro solo alla ricerca degli ultimi oboli.
Ho anche apprezzato fino in fondo l'ordine nella successione delle canzoni, ciascuna conclusa in sé dopo avere bene operato e scavato, ma nessuna slegata dalle altre, tanto da costituire la struttura di un racconto delle passioni e delle idee che non ha fine.
E il passaggio nell'ombra di un dialetto duro non lacera l'attenzione ma semmai la sorprende e la induce a percepire e inseguire significati che risaltano dentro l'inquietudine di una comunicazione certamente drammatica.
Questo è un gruppo omogeneo di canzoni, definite dopo un lungo duro lavoro di verifiche e riscontri interni a LILITH, che non dovranno andare perdute e invece muoversi e durare."
L'album non ebbe purtroppo particolare riscontro, fu composto e registrato senza la necessaria passione e coesione e divenne il canto del cigno di quell'esperienza.
mercoledì, marzo 19, 2025
Cocoa Tea
L'amico Pier Tosi ricorda la figura di COCOA TEA, recentemente scomparso.
Lo scorso 11 marzo è scomparso in Florida a soli 65 anni Cocoa Tea, uno degli autentici eroi del reggae degli anni ottanta e novanta.
Il suo vero nome era Calvin Scott ed era nato il 3 settembre 1959 a Rocky Point nel parish di Clarendon in Giamaica e la sua provenienza dalla campagna aveva permeato la naturalezza del suo modo di cantare unita comunque ad un livello non comune di raffinatezza riscontrabile in pochi altri artisti della scena reggae.
Per questioni anagrafiche è stato un artista nato all'interno della scena dancehall ed attraverso le sue consuetudini: a soli quattordici anni nel 1973 ha debuttato in studio a Kingston per il produttore Willie Francis con la traccia ‘Searching in the hills’ proseguendo una vitale tradizione di artisti bambini che ha avuto in Dennis Brown e Delroy Wilson (guarda caso due artisti che lo hanno molto influenzato) due dei suoi più grandi esponenti.
Il brano non ha successo ed oltre che lavorare negli anni successivi come fantino o pescatore, Calvin non si perde d'animo, continua a comporre canzoni ed ad affinare la sua arte ed ogni volta che può si esibisce nelle dancehalls sempre con buon successo ed il sostegno della sua comunità.
La sua grande occasione arriva all'inizio del 1983 in cui prende il microfono ad una dance del famigerato Volcano Sound ottenendo ovviamente un grande successo ed assicurandosi una audizione presso il suo boss, il producer Junjo Lawes, il personaggio forse più egemone del momento nella scena giamaicana.
Le porte del successo a questo punto di spalancano e l'artista, che nel frattempo si fa già chiamare Cocoa Tea registra per Lawes i primi successi come 'Lost My Sonia' e 'Rocking Dolly' che lo proiettano nel firmamento delle stelle sull'isola.
I suoi primi albums escono nel 1985, l'anno della svolta digitale interna alla musica giamaicana, dettata dall'enorme successo dello Sleng Teng Riddim, uno dei primissimi ritmi totalmente digitali, prodotto da Prince (poi King) Jammy.
Cocoa Tea inizia una fiorente collaborazione proprio con Jammys, un grande innovatore del suono del reggae di quel periodo, che frutta vari grandi singoli come 'Come Again' o 'Tune In'.
Un altro innovatore e cioè Gussie Clarke è il suo altro producer di riferimento e Cocoa Tea fiorisce in questo periodo quindi attraverso la sua magnifica voce di cui non perde mai il controllo e attraverso cui canta con grande eleganza e proprietà di linguaggio di vari temi ed argomenti di cronaca, spaziando dalle canzoni d’amore e le reality e ‘Rasta tunes’ ad azzeccatissimi brani sugli accadimenti della vita giamaicana e mondiale come per esempio lo scandalo Clinton/Lewinski alla Casa Bianca o la prima Guerra del Golfo.
Per le forti critiche anti-iperialiste contenute in questo senso nella sua 'Oil Ting', il brano viene bandito dalle radio commerciali inglesi ma primeggia nelle reggae charts grazie al sostegno delle 'pirate stations' a cui pagherà tributo insieme a Home T e Shabba Ranks nel monster hit 'Pirates Anthem'.
Grazie alla sua consapevolezza Rasta entra negli anni novanta essendo tra i pochissimi artisti che continuano a cantare la spiritualità nella dancehall in un momento di edonismo generale essendo di esempio in questo senso per tutta una nuova generazione di giovani artisti che si affacciano sulla scena.
Questo sarà per lui un decennio di autentici trionfi attraverso il lavoro per due grandi producers come Fatis Burrell e Bobby Digital.
Cocoa Tea mantiene un piede ben saldo nelle sue radici dancehall e con grande abilità compone brani sui riddims classici di questa tradizione o reinterpreta brani altrui con grande personalità ed efficacia: d’altro canto è anche un ottimo autore ‘conscious’ e di sicuro una grossa influenza per artisti come Garnett Silk o Luciano che riportano i temi della roots music in ambito dancehall segnando una sorta di rivoluzione positiva interna alla scena reggae a metà anni novanta.
La vitalità dell'industria musicale fa si che siano richiesti anche tre o quattro albums all'anno ad un artista oltre che una enorme quantità di singoli: Cocoa non si tira indietro e per Fatis Burrell ed il suo marchio Xterminator centra il bersaglio con ‘Good life’, ‘She loves me now’ ed ‘Israel King’ mentre per Bobby Digital trionfa con ‘Holy Mount Zion’ e le bellissime covers di Bob Marley ‘The Heaten’ e ‘Waiting In Vain’, quest’ultima anche in combination con Cutty Ranks. La sua voce semplice ed aggraziata che affronta grandi prove vocali senza apparenti sforzi si lega molto bene in innumerevoli combinations con lo stile graffiante di tanti toasters e deejays tra cui citiamo Louie Culture, Sizzla, Buju Banton, Shabba Ranks e Cutty Ranks.
Molti dei grandi brani di cui abbiamo parlato sono racchiusi nell’album ‘Holy Mount Zion’ pubblicato addirittura in USA dalla mitica etichetta Tamla/Motown.
Nel 1996 fonda la propria etichetta Roaring Lion ed apre il suo studio personale attraverso cui si auto-produce in varie occasioni e cerca di dare opportunità di successo a giovani artisti della sua zona di provenienza.
Il suo primo CD del nuovo millennio si intitola ‘Unforgettable’ e la title track è un bellissimo tributo all’amico, lo straordinario cantante Dennis Brown da poco scomparso.
In questo periodo Cocoa Tea è già una leggenda ed amministra il suo successo realizzando regolarmente musica all'altezza della sua fama.
Nel 2008 passa alla storia il suo endorsement a Barak Obama con le sue‘Yes we can’ e 'Barak Obama'.
Nonostante ami passare il tempo nel suo ‘country’ di Rocky Point a Clarendon, amministrando tra l'altro un allevamento di purosangue ed una azienda di confezionamento alimentare e non ami molto viaggiare si concede al suo pubblico globale attraverso vari tours mondiali che toccano anche il nostro paese.
L'ultimo album della sua consistentissima discografia è 'Sunset In Negril' del 2014.
Lo scorso 11 marzo è scomparso in Florida a soli 65 anni Cocoa Tea, uno degli autentici eroi del reggae degli anni ottanta e novanta.
Il suo vero nome era Calvin Scott ed era nato il 3 settembre 1959 a Rocky Point nel parish di Clarendon in Giamaica e la sua provenienza dalla campagna aveva permeato la naturalezza del suo modo di cantare unita comunque ad un livello non comune di raffinatezza riscontrabile in pochi altri artisti della scena reggae.
Per questioni anagrafiche è stato un artista nato all'interno della scena dancehall ed attraverso le sue consuetudini: a soli quattordici anni nel 1973 ha debuttato in studio a Kingston per il produttore Willie Francis con la traccia ‘Searching in the hills’ proseguendo una vitale tradizione di artisti bambini che ha avuto in Dennis Brown e Delroy Wilson (guarda caso due artisti che lo hanno molto influenzato) due dei suoi più grandi esponenti.
Il brano non ha successo ed oltre che lavorare negli anni successivi come fantino o pescatore, Calvin non si perde d'animo, continua a comporre canzoni ed ad affinare la sua arte ed ogni volta che può si esibisce nelle dancehalls sempre con buon successo ed il sostegno della sua comunità.
La sua grande occasione arriva all'inizio del 1983 in cui prende il microfono ad una dance del famigerato Volcano Sound ottenendo ovviamente un grande successo ed assicurandosi una audizione presso il suo boss, il producer Junjo Lawes, il personaggio forse più egemone del momento nella scena giamaicana.
Le porte del successo a questo punto di spalancano e l'artista, che nel frattempo si fa già chiamare Cocoa Tea registra per Lawes i primi successi come 'Lost My Sonia' e 'Rocking Dolly' che lo proiettano nel firmamento delle stelle sull'isola.
I suoi primi albums escono nel 1985, l'anno della svolta digitale interna alla musica giamaicana, dettata dall'enorme successo dello Sleng Teng Riddim, uno dei primissimi ritmi totalmente digitali, prodotto da Prince (poi King) Jammy.
Cocoa Tea inizia una fiorente collaborazione proprio con Jammys, un grande innovatore del suono del reggae di quel periodo, che frutta vari grandi singoli come 'Come Again' o 'Tune In'.
Un altro innovatore e cioè Gussie Clarke è il suo altro producer di riferimento e Cocoa Tea fiorisce in questo periodo quindi attraverso la sua magnifica voce di cui non perde mai il controllo e attraverso cui canta con grande eleganza e proprietà di linguaggio di vari temi ed argomenti di cronaca, spaziando dalle canzoni d’amore e le reality e ‘Rasta tunes’ ad azzeccatissimi brani sugli accadimenti della vita giamaicana e mondiale come per esempio lo scandalo Clinton/Lewinski alla Casa Bianca o la prima Guerra del Golfo.
Per le forti critiche anti-iperialiste contenute in questo senso nella sua 'Oil Ting', il brano viene bandito dalle radio commerciali inglesi ma primeggia nelle reggae charts grazie al sostegno delle 'pirate stations' a cui pagherà tributo insieme a Home T e Shabba Ranks nel monster hit 'Pirates Anthem'.
Grazie alla sua consapevolezza Rasta entra negli anni novanta essendo tra i pochissimi artisti che continuano a cantare la spiritualità nella dancehall in un momento di edonismo generale essendo di esempio in questo senso per tutta una nuova generazione di giovani artisti che si affacciano sulla scena.
Questo sarà per lui un decennio di autentici trionfi attraverso il lavoro per due grandi producers come Fatis Burrell e Bobby Digital.
Cocoa Tea mantiene un piede ben saldo nelle sue radici dancehall e con grande abilità compone brani sui riddims classici di questa tradizione o reinterpreta brani altrui con grande personalità ed efficacia: d’altro canto è anche un ottimo autore ‘conscious’ e di sicuro una grossa influenza per artisti come Garnett Silk o Luciano che riportano i temi della roots music in ambito dancehall segnando una sorta di rivoluzione positiva interna alla scena reggae a metà anni novanta.
La vitalità dell'industria musicale fa si che siano richiesti anche tre o quattro albums all'anno ad un artista oltre che una enorme quantità di singoli: Cocoa non si tira indietro e per Fatis Burrell ed il suo marchio Xterminator centra il bersaglio con ‘Good life’, ‘She loves me now’ ed ‘Israel King’ mentre per Bobby Digital trionfa con ‘Holy Mount Zion’ e le bellissime covers di Bob Marley ‘The Heaten’ e ‘Waiting In Vain’, quest’ultima anche in combination con Cutty Ranks. La sua voce semplice ed aggraziata che affronta grandi prove vocali senza apparenti sforzi si lega molto bene in innumerevoli combinations con lo stile graffiante di tanti toasters e deejays tra cui citiamo Louie Culture, Sizzla, Buju Banton, Shabba Ranks e Cutty Ranks.
Molti dei grandi brani di cui abbiamo parlato sono racchiusi nell’album ‘Holy Mount Zion’ pubblicato addirittura in USA dalla mitica etichetta Tamla/Motown.
Nel 1996 fonda la propria etichetta Roaring Lion ed apre il suo studio personale attraverso cui si auto-produce in varie occasioni e cerca di dare opportunità di successo a giovani artisti della sua zona di provenienza.
Il suo primo CD del nuovo millennio si intitola ‘Unforgettable’ e la title track è un bellissimo tributo all’amico, lo straordinario cantante Dennis Brown da poco scomparso.
In questo periodo Cocoa Tea è già una leggenda ed amministra il suo successo realizzando regolarmente musica all'altezza della sua fama.
Nel 2008 passa alla storia il suo endorsement a Barak Obama con le sue‘Yes we can’ e 'Barak Obama'.
Nonostante ami passare il tempo nel suo ‘country’ di Rocky Point a Clarendon, amministrando tra l'altro un allevamento di purosangue ed una azienda di confezionamento alimentare e non ami molto viaggiare si concede al suo pubblico globale attraverso vari tours mondiali che toccano anche il nostro paese.
L'ultimo album della sua consistentissima discografia è 'Sunset In Negril' del 2014.
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Reggae
martedì, marzo 18, 2025
Antonio Bacciocchi/ Luca Frazzi - 40 years of music Graham Day
Il 16 settembre 2021 uscì il terzo titolo della mia mini casa editrice Cometa Rossa, dedicato alla carriera di Graham Day, scritto in coppia con Luca Frazzi, "40 anni di musica targata Graham Day".
I dettagli sono qui: https://tonyface.blogspot.com/2021/09/antonio-bacciocchi-luca-frazzi-40-anni.html
Ora due fan hanno deciso di farne un'edizione (peraltro particolarmente lussuosa con copertina rigida e carta patinata) in lingua inglese che traduce l'opera originale ma cambia e aggiunge alcune foto (alcune delle quali a colori, contrariamente all'edizione italiana in cui erano solo in bianco e nero).
Per ora è stata stampata in edizione privata in poche copie ma l'intenzione é di farne un'edizione più o meno ufficiale.
Per ulteriori informazioni: tkbuch@t-online.de
I dettagli sono qui: https://tonyface.blogspot.com/2021/09/antonio-bacciocchi-luca-frazzi-40-anni.html
Ora due fan hanno deciso di farne un'edizione (peraltro particolarmente lussuosa con copertina rigida e carta patinata) in lingua inglese che traduce l'opera originale ma cambia e aggiunge alcune foto (alcune delle quali a colori, contrariamente all'edizione italiana in cui erano solo in bianco e nero).
Per ora è stata stampata in edizione privata in poche copie ma l'intenzione é di farne un'edizione più o meno ufficiale.
Per ulteriori informazioni: tkbuch@t-online.de
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Libri
lunedì, marzo 17, 2025
Steve Wynn - Non lo direi se non fosse vero. Memorie di musica, vita e Dream Syndicate
Riprendo la recensione che ho scritto sabato scorso nelle pagine di "Alias" de "Il Manifesto".
Steve Wynn racconta una storia banale.
Quella di un giovane ragazzo ossessionato dalla musica tanto da diventare un musicista.
Ovvero una storia straordinaria. Fatta di tutte quelle straordinarie banalità che caratterizzano la vita che molti artisti, pur non essendo mai diventati i Rolling Stones, ben conoscono.
Sacrifici di ogni tipo, rinunce, notti insonni, delusioni, sconforto, fatiche inenarrabili ma alla fine quella gratitudine infinita per avere avuto quell'opportunità incredibile di vivere con e nella musica.
Steve Wynn ha lavorato in un negozio di dischi, fatto il DJ, fondato i Dream Syndicate e dato vita, negli anni Ottanta, al cosiddetto Paisley Underground, a fianco di Rain Parade, Bangles, Green On Red, Long Ryders, mischiando psichedelia, rock e punk.
Con la sua band ha sfiorato il grande successo, tra tour con REM e U2, album in classifica ma alla fine è sempre mancato il guizzo finale.
Nella sua autobiografia, pubblicata recentemente da Jimenez Edizioni, “Non lo direi se non fosse vero” (tradotta da Gianluca Testani), traspare qualche velato rammarico, soprattutto all'indomani dello scioglimento della band (poi riformatasi nel 2012 e ancora in splendida attività con album freschi e mai nostalgici), quando esplodono il grunge e l'indie rock di cui i Dream Syndicate erano stati in qualche modo precursori e padrini e altre band a loro contemporanee (Meat Puppets, Flaming Lips, Sonic Youth) trovavano finalmente successo e riconoscimenti:
“Sarebbe potuto accadere a noi? Non ha senso chiederselo. Non è successo.”
Il racconto è avvincente, molto (auto) ironico, ricchissimo di aneddoti gustosi e talvolta imprevedibili, tra eccessi alcolici e non solo, concerti sold out e serate semi deserte in luoghi sperduti dell'America davanti a un pubblico indifferente. Fotografa al meglio la vicenda di una band che alla fine è riuscita comunque a ritagliarsi un posto nella storia del rock e diventare riferimento per tantissimi altri artisti in mezzo mondo.
Steve Wynn ha proseguito con una carriera solista ricca di soddisfazioni e ottimi dischi oltre a una lunga serie di collaborazioni e progetti sempre più che dignitosi.
Sarà il tema del secondo capitolo della sua nuova carriera letteraria che in questo caso si ferma allo scioglimento della band, nel 1988, relegando a poche pagine la prosecuzione successiva.
La riga finale è un capolavoro di colto citazionismo musicale:
“Ci vediamo in giro per locali”.
La frase che disse George Harrison agli altri Beatles il 10 gennaio 1969, quando lasciò (momentaneamente) la band.
Steve Wynn
Non lo direi se non fosse vero. Memorie di musica, vita e Dream Syndicate
Jimenez Edizioni
282 pagine
22 euro
Steve Wynn racconta una storia banale.
Quella di un giovane ragazzo ossessionato dalla musica tanto da diventare un musicista.
Ovvero una storia straordinaria. Fatta di tutte quelle straordinarie banalità che caratterizzano la vita che molti artisti, pur non essendo mai diventati i Rolling Stones, ben conoscono.
Sacrifici di ogni tipo, rinunce, notti insonni, delusioni, sconforto, fatiche inenarrabili ma alla fine quella gratitudine infinita per avere avuto quell'opportunità incredibile di vivere con e nella musica.
Steve Wynn ha lavorato in un negozio di dischi, fatto il DJ, fondato i Dream Syndicate e dato vita, negli anni Ottanta, al cosiddetto Paisley Underground, a fianco di Rain Parade, Bangles, Green On Red, Long Ryders, mischiando psichedelia, rock e punk.
Con la sua band ha sfiorato il grande successo, tra tour con REM e U2, album in classifica ma alla fine è sempre mancato il guizzo finale.
Nella sua autobiografia, pubblicata recentemente da Jimenez Edizioni, “Non lo direi se non fosse vero” (tradotta da Gianluca Testani), traspare qualche velato rammarico, soprattutto all'indomani dello scioglimento della band (poi riformatasi nel 2012 e ancora in splendida attività con album freschi e mai nostalgici), quando esplodono il grunge e l'indie rock di cui i Dream Syndicate erano stati in qualche modo precursori e padrini e altre band a loro contemporanee (Meat Puppets, Flaming Lips, Sonic Youth) trovavano finalmente successo e riconoscimenti:
“Sarebbe potuto accadere a noi? Non ha senso chiederselo. Non è successo.”
Il racconto è avvincente, molto (auto) ironico, ricchissimo di aneddoti gustosi e talvolta imprevedibili, tra eccessi alcolici e non solo, concerti sold out e serate semi deserte in luoghi sperduti dell'America davanti a un pubblico indifferente. Fotografa al meglio la vicenda di una band che alla fine è riuscita comunque a ritagliarsi un posto nella storia del rock e diventare riferimento per tantissimi altri artisti in mezzo mondo.
Steve Wynn ha proseguito con una carriera solista ricca di soddisfazioni e ottimi dischi oltre a una lunga serie di collaborazioni e progetti sempre più che dignitosi.
Sarà il tema del secondo capitolo della sua nuova carriera letteraria che in questo caso si ferma allo scioglimento della band, nel 1988, relegando a poche pagine la prosecuzione successiva.
La riga finale è un capolavoro di colto citazionismo musicale:
“Ci vediamo in giro per locali”.
La frase che disse George Harrison agli altri Beatles il 10 gennaio 1969, quando lasciò (momentaneamente) la band.
Steve Wynn
Non lo direi se non fosse vero. Memorie di musica, vita e Dream Syndicate
Jimenez Edizioni
282 pagine
22 euro
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venerdì, marzo 14, 2025
Elton John - Saturday Night's Alright for Fighting
Pubblicato come singolo nel luglio del 1973 e tratto dal suo capolavoro "Goodbye Yellow Brick Road" è uno dei brani più potenti e rock del repertorio di ELTON JOHN.
La particolarità è che il testo (di Bernie Taupin) descrive alla perfezione il tipico sabato di un Boot Boy dell'epoca, ispirato dall'adolescenza dell'autore, all'insegna del vagabondaggio e della vita da pub.
Si sta facendo tardi, hai visto i miei amici?
Ma dimmi quando i ragazzi arrivano qui
Sono le sette e voglio spaccare
voglio riempirmi la pancia di birra
Mio padre è più sbronzo
di una botte piena
e mia madre, a lei non importa
mia sorella ha un aspetto carino
con le bretelle e i boots
e un po' di brillantina sui capelli
Non dateci nessuna delle vostre seccature
Ci siamo rotti della vostra disciplina
Sabato sera è OK per battersi
Mettiamoci un po' d'azione
Ci muoviamo oliati come un treno a diesel
accenderemo questa festa danzante
perché sabato sera è la serata che mi piace
Sabato sera è OK, OK, OK
Un paio di suoni che mi piacciono davvero
sono i suoni di un coltello a serramanico
e di una moto
Sono un giovane prodotto
della classe lavoratrice
il cui migliore amico sta in fondo ad un bicchiere
Non dateci nessuna delle vostre seccature
Ci siamo rotti della vostra disciplina
Sabato sera è OK per battersi
Mettiamoci un po' d'azione
Elton John
https://www.youtube.com/watch?v=NagnbRHdh-0
Fu l'unico brano dell'album registrato in Giamaica dove avevano pianificato di realizzarlo per poi constatare la pochezza tecnica dello studio e tornare frettolosamente in Europa.
E stato ripreso anche da Who, Queen, Giuda e numerose altre band oltre ad aver ispirato (al limite del plagio) "Gloria" di Umberto Tozzi.
The Who
https://www.youtube.com/watch?v=PE_aXE8oudY
Queen
https://www.youtube.com/watch?v=0sRInAse9hs
Giuda
https://www.youtube.com/watch?v=T6685iy6ypY
La particolarità è che il testo (di Bernie Taupin) descrive alla perfezione il tipico sabato di un Boot Boy dell'epoca, ispirato dall'adolescenza dell'autore, all'insegna del vagabondaggio e della vita da pub.
Si sta facendo tardi, hai visto i miei amici?
Ma dimmi quando i ragazzi arrivano qui
Sono le sette e voglio spaccare
voglio riempirmi la pancia di birra
Mio padre è più sbronzo
di una botte piena
e mia madre, a lei non importa
mia sorella ha un aspetto carino
con le bretelle e i boots
e un po' di brillantina sui capelli
Non dateci nessuna delle vostre seccature
Ci siamo rotti della vostra disciplina
Sabato sera è OK per battersi
Mettiamoci un po' d'azione
Ci muoviamo oliati come un treno a diesel
accenderemo questa festa danzante
perché sabato sera è la serata che mi piace
Sabato sera è OK, OK, OK
Un paio di suoni che mi piacciono davvero
sono i suoni di un coltello a serramanico
e di una moto
Sono un giovane prodotto
della classe lavoratrice
il cui migliore amico sta in fondo ad un bicchiere
Non dateci nessuna delle vostre seccature
Ci siamo rotti della vostra disciplina
Sabato sera è OK per battersi
Mettiamoci un po' d'azione
Elton John
https://www.youtube.com/watch?v=NagnbRHdh-0
Fu l'unico brano dell'album registrato in Giamaica dove avevano pianificato di realizzarlo per poi constatare la pochezza tecnica dello studio e tornare frettolosamente in Europa.
E stato ripreso anche da Who, Queen, Giuda e numerose altre band oltre ad aver ispirato (al limite del plagio) "Gloria" di Umberto Tozzi.
The Who
https://www.youtube.com/watch?v=PE_aXE8oudY
Queen
https://www.youtube.com/watch?v=0sRInAse9hs
Giuda
https://www.youtube.com/watch?v=T6685iy6ypY
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giovedì, marzo 13, 2025
Ruth Copeland
Personaggio strano e particolare, cantante e compositrice molto sottovalutata, assurta a una buona popolarità agli inizi degli anni Settanta con tre buoni album e poi scomparsa dalla scena.
Inglese, nata nel 1946, arrivò progressivamente alla musica con esperienze minori (Ed and the Intruders in particolare) fino a quando il suo bell'aspetto e una voce potente e black non la portò alla possibilità di firmare per la Apple Records.
Scelse invece la Invictus, l'etichetta fomdata dai mitici Brian Holland, Lamont Dozier e Eddie Holland, che avevano da poco lasciato la Motown, dopo essersi spostata a Detroit.
Incontrò lì Jeffrey Bowen, futuro marito, che aveva, pure lui, appena abbandonato la Motown e cercò di lanciare Ruth come la "Diana Ross bianca". I New Play Starring Ruth Copeland, pubblicarono, con scarso successo, il singolo "The Music Box" / "A Gift of Me" nel 1969.
Bowen le fece conoscere George Clinton, mente dei Parliament. Ruth fu chiamata a produrre (e a scrivere due brani) "Osmium" , l'album di debutto della band, nel 1970.
Nel 1971 Ruth Copeland pubblica il suo primo album solista "Self Portrait", pubblicato nell'ottobre 1971, accompagnata da vari membri di Funkadelic/Parliament oltre a Dennis Coffey dei Funk Brothers. Un lavoro tanto vario (tra soul, funk, folk, perfino "Un Bel Di" da "Madama Butterfly").
Ha l'opportunità di andare in tour, supportata da membri dei Funkadelic, con Sly and the Family Stone (in un periodo già ultratossico di Sly con cui rompe i rapporti e viene sostanzialmente cacciata).
Il secondo album "I Am What I Am" del 1971 è invece un piccolo gioiello funk soul con influenze West Coast, con due strepitose cover degli Stones, gli otto minuti infuocati di "Gimme Shelter" e i sette di "Play with fire" e canzoni piene (spesso scritte con George Clinton) di groove con la sua voce tra Grace Slick, Julie Driscoll, Betty Davis e Janis Joplin a troneggiare.
Suona anche prima di David Bowie il 28 settembre 1972 alla Carnegie Hall di New York ma con sacrso successo.
Chiude la carriera cinque anni dopo con "Take Me to Baltimore" con musicisti d'eccellenza come Bob Kulick e Dick Wagner (Lou Reed, Alice Cooper, Kiss etc), Steve Jordan (attuale batterista degli Stones) i fiati dei fratelli Michael e Randy Brecker le percussioni di Jimmy Maelen (ha suonato con "tutti").
Compone con lei alcuni brani Daryl Hall.
Non andrà bene e sparirà ben presto dalla circolazione.
Lascia la musica e si dedica al lavoro alla The Blue Book Building & Construction Network, la directory informativa per l'industria edile americana, fino alla pensione.
Gimme shelter
https://www.youtube.com/watch?v=jT_y6X58gkY
You're love been so good to me
https://www.youtube.com/watch?v=6UObKvytj2Y
Inglese, nata nel 1946, arrivò progressivamente alla musica con esperienze minori (Ed and the Intruders in particolare) fino a quando il suo bell'aspetto e una voce potente e black non la portò alla possibilità di firmare per la Apple Records.
Scelse invece la Invictus, l'etichetta fomdata dai mitici Brian Holland, Lamont Dozier e Eddie Holland, che avevano da poco lasciato la Motown, dopo essersi spostata a Detroit.
Incontrò lì Jeffrey Bowen, futuro marito, che aveva, pure lui, appena abbandonato la Motown e cercò di lanciare Ruth come la "Diana Ross bianca". I New Play Starring Ruth Copeland, pubblicarono, con scarso successo, il singolo "The Music Box" / "A Gift of Me" nel 1969.
Bowen le fece conoscere George Clinton, mente dei Parliament. Ruth fu chiamata a produrre (e a scrivere due brani) "Osmium" , l'album di debutto della band, nel 1970.
Nel 1971 Ruth Copeland pubblica il suo primo album solista "Self Portrait", pubblicato nell'ottobre 1971, accompagnata da vari membri di Funkadelic/Parliament oltre a Dennis Coffey dei Funk Brothers. Un lavoro tanto vario (tra soul, funk, folk, perfino "Un Bel Di" da "Madama Butterfly").
Ha l'opportunità di andare in tour, supportata da membri dei Funkadelic, con Sly and the Family Stone (in un periodo già ultratossico di Sly con cui rompe i rapporti e viene sostanzialmente cacciata).
Il secondo album "I Am What I Am" del 1971 è invece un piccolo gioiello funk soul con influenze West Coast, con due strepitose cover degli Stones, gli otto minuti infuocati di "Gimme Shelter" e i sette di "Play with fire" e canzoni piene (spesso scritte con George Clinton) di groove con la sua voce tra Grace Slick, Julie Driscoll, Betty Davis e Janis Joplin a troneggiare.
Suona anche prima di David Bowie il 28 settembre 1972 alla Carnegie Hall di New York ma con sacrso successo.
Chiude la carriera cinque anni dopo con "Take Me to Baltimore" con musicisti d'eccellenza come Bob Kulick e Dick Wagner (Lou Reed, Alice Cooper, Kiss etc), Steve Jordan (attuale batterista degli Stones) i fiati dei fratelli Michael e Randy Brecker le percussioni di Jimmy Maelen (ha suonato con "tutti").
Compone con lei alcuni brani Daryl Hall.
Non andrà bene e sparirà ben presto dalla circolazione.
Lascia la musica e si dedica al lavoro alla The Blue Book Building & Construction Network, la directory informativa per l'industria edile americana, fino alla pensione.
Gimme shelter
https://www.youtube.com/watch?v=jT_y6X58gkY
You're love been so good to me
https://www.youtube.com/watch?v=6UObKvytj2Y
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mercoledì, marzo 12, 2025
Gaznevada e "Going Underground" di Lisa Bosi
Riprendo l'articolo che ho dedicato ai GazNevada e al docufilm "Going Underground" di Lisa Bosi, nelle pagine di "Alias" de "Il Manifesto" di sabato scorso.
E' un documento acre nella sua modalità, talvolta perfino spietata, nel fotografare le cose così come erano in “Going Underground”, il docufilm di Lisa Bosi per Sonne Film e Wanted Cinema, sulla storia dei Gaznevada (fresco vincitore della undicesima edizione del SeeYouSound Festival di Torino come Best Documentary).
Probabilmente la migliore per attitudine e creatività. Hanno lasciato dischi e canzoni importanti (da “Mamma dammi la benza” e “Nevadagaz” all'album “Sick soundtrack” del 1980, anno in cui affiancarono Edoardo Bennato nel brano omonimo nel suo album “Uffa uffa”, vero e proprio hardcore punk ante litteram per l'Italia). Mischiavano punk e la new wave più aspra e sperimentale (A Bologna c’erano band che ancora suonavano progressive, rock, blues, rock blues, jazz-rock e comunque sound già codificati con testi più o meno “ribelli”. Noi suonavamo i Ramones…Ciro Pagano, ai tempi Robert Squibb, chitarrista).
I Gaznevada ebbero il coraggio e il pregio di non arenarsi sul sound che loro stessi avevano creato ma si spostarono velocemente e freneticamente verso nuovi orizzonti, approdando a una dance evoluta e contaminata.
Come spesso accade non furono capiti, né si comprese che lo spirito primigenio del punk era quello di provocare, di bruciare come una fiammata, di disorientare, confondere, di non lasciarsi fossilizzare.
E gli strali di “traditori” giunsero subito e con puntualità.
Ancora Ciro Pagano:
Noi eravamo ragazzi irrequieti mossi da un’insaziabile urgenza creativa. Ci stancavamo subito di quel che facevamo e così abbandonammo il rock demenziale di “Mamma dammi la benza” ancor prima che venisse coniato il termine di rock demenziale, brano peraltro che abbiamo riproposto in chiave elettronica nel 2024. Poi dopo la pubblicazione della cassettina nel marzo del 1979, il momento punk della band, eravamo già interessati alla new wave e no wave, e poi l’elettronica e ancora il dancefloor di “I.C. Love Affair”, uno dei brani a cui sono più legato, e poi ancora cambiamenti di sound, di formazione, di luoghi, di etichette discografiche. Adesso siamo in uscita con tre inediti contenuti nel docufilm e il sound va ancora una volta in altra direzione: si siamo dei traditori, evoluti però.
Un aspetto inusuale in operazioni analoghe è la totale mancanza nel documentario di toni agiografici e celebrativi, di dichiarazioni di esterni su quanto fossero bravi e importanti.
Anzi, la pellicola non ci risparmia nulla di quello che accadeva in quegli anni, funestati dall'eroina, dalla repressione di stato, dall'annientamento del dissenso ideologico.
La registra Lisa Bosi lo mette bene in chiaro:
Non è mai semplice raccontare la vita di qualcun altro perché un regista è sempre un filtro, non è mai uno specchio, volente o nolente. Nel caso dei Gaznevada la sfida per me era trasmettere anche esteticamente la “crudeltà” e originalità della band. Volevo che il pubblico si sentisse risucchiato nell’underground di una città che era stata letta in modo vivido da Andrea Pazienza.
Come disse lui, parlando di uno dei suoi personaggi più famosi, ispirato proprio a Ciro dei Gaznevada, “Zanardi è cattivo quanto può esserlo un’antenna RAI, cioè è un ripetitore”. Loro percepivano perfettamente cosa accedeva attorno e si rifugiavano nella “Fabbrica dei Sogni”.
Sono stata molto fortunata a trovare due produttori come Sonne Film e Wanted Cinema che mi hanno dato piena libertà espressiva. Nel film, per esempio, ritorna in maniera compulsiva una clip sull’eroina. Fa parte di una mia estetica disturbante. Amo registi come Gaspar Noè, che non mettono mai a proprio agio lo spettatore. Bisogna essere disposti ad uscire dalla propria zona di comfort per intraprendere viaggi come quello che ripercorre la storia dei Gaznevada. E magari alzarsi dalla poltrona alla fine del film e chiedersi se si sta vivendo la vita che si desiderava.
Il taglio della pellicola è molto particolare.
I Gaznevada ne sono i protagonisti, certo, ma è quello che “parla” intorno a loro a dare il ritmo, a buttarci in faccia e colpirci allo stomaco, con vicende mai sufficientemente approfondite nel modo corretto.
Ciro Pagano:
Sono stati scritti diversi libri e girati alcuni documentari su di noi e sulla casa di via Clavature, la Traumfabrik (luoghi storici della controcultura bolognese dei tempi. NdR), più in generale su quel periodo, ma personalmente ho sempre rifiutato di parteciparvi. Quando conoscemmo Lisa la prima volta, e poi nei successivi incontri, lei mi diede una lettura visionaria dei Gaznevada di quegli anni e della storia che li coinvolgeva.
Anche un argomento “ruvido” come quello delle droghe ha varie sfaccettature e dipendono tutte dal punto di vista con le quali le osservi. Possono essere interpretate e raccontate in tanti modi e questo nonostante la drammaticità e la sofferenza che questo tipo di storie porta con sé.
Lisa lo ha fatto in modo visionario, cupo, amorevole e la sua curiosità ci ha convinto: Going Underground è diventato il nostro racconto. Bologna ardeva di creatività, di stimoli, di vitalità.
Ne finì arsa viva ma ha lasciato un segno indelebile nella nostra (contro)cultura.
Dice ancora Lisa Bosi:
Personalmente penso che non sia un caso che Bologna sia diventata la città della musica UNESCO.
Sono varie le storie musicali che in questa città hanno scritto pagine importanti, indelebili. Pensiamo anche alle posse per esempio. Io sono nata a Bologna e faccio fatica a staccarmene. Come scrisse Guccini “Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli”, è meno elegante di Milano, non ti toglie il fiato come Roma, ma quando sei con lei il tempo si ferma e la mente fa pensieri sinceri. Sai che con lei puoi essere veramente te stesso, senza false ideologie. È una madre che non ti stressa, ti lascia fare il tuo cammino, nel bene e nel male, nelle cantine e sopra i suoi colli. Anche i Gaznevada non ne uscirono indenni, tra lutti, enormi difficoltà, successo e declino, problemi di ogni tipo.
Allo scioglimento della band, Ciro Pagano troverà un nuovo successo con la techno dei Datura, gli altri si disperderanno in altre esperienze.
In “Going underground” si sente risuonare la frase “ci sentivamo tutti dei geni, lo sapevamo”. Personalmente credo lo fossero e con il senno di poi (e non di quei tempi, che di senno ce n'era poco in giro) potessero diventare dei nuovi Devo o Talking Heads ma l'importante è che non siano rimasti rimpianti, come testimonia ancora Ciro Pagano:
Personalmente non ho nessun rimpianto: a volte le cose si muovono in una direzione giusta altre volte no, è importante però che si muovano. Questa cosa che ci sentissimo tutti geni innescava conflitti importanti tra noi, e tra noi e gli altri. Erano conflitti dai quali nascevano molto spesso anche le nostre produzioni e non solo quelle musicali, penso alla realizzazione delle copertine, la scrittura dei testi, l’immagine della band. Il fatto è che noi pensavamo di essere la nostra musica. E’ eccessivo lo so, ma il nostro modo di essere Gaznevada era di appartenenza totale e non eravamo simpatici a tutti: c’è sempre un prezzo da pagare.
Il documentario rende giustizia a una band geniale e a un periodo inimitabile, nel bene e nel (spesso molto) male e si candida ad essere una delle migliori testimonianze dell'epoca.
Un'esperienza che ha piantato semi e radici ma, paradossalmente, allo stesso tempo ha, alla fine dell'opera, bruciato la pianta, lasciando, per quanto preziosa, solo cenere.
Ovvero la perfetta incarnazione del primo spirito punk.
E' un documento acre nella sua modalità, talvolta perfino spietata, nel fotografare le cose così come erano in “Going Underground”, il docufilm di Lisa Bosi per Sonne Film e Wanted Cinema, sulla storia dei Gaznevada (fresco vincitore della undicesima edizione del SeeYouSound Festival di Torino come Best Documentary).
Probabilmente la migliore per attitudine e creatività. Hanno lasciato dischi e canzoni importanti (da “Mamma dammi la benza” e “Nevadagaz” all'album “Sick soundtrack” del 1980, anno in cui affiancarono Edoardo Bennato nel brano omonimo nel suo album “Uffa uffa”, vero e proprio hardcore punk ante litteram per l'Italia). Mischiavano punk e la new wave più aspra e sperimentale (A Bologna c’erano band che ancora suonavano progressive, rock, blues, rock blues, jazz-rock e comunque sound già codificati con testi più o meno “ribelli”. Noi suonavamo i Ramones…Ciro Pagano, ai tempi Robert Squibb, chitarrista).
I Gaznevada ebbero il coraggio e il pregio di non arenarsi sul sound che loro stessi avevano creato ma si spostarono velocemente e freneticamente verso nuovi orizzonti, approdando a una dance evoluta e contaminata.
Come spesso accade non furono capiti, né si comprese che lo spirito primigenio del punk era quello di provocare, di bruciare come una fiammata, di disorientare, confondere, di non lasciarsi fossilizzare.
E gli strali di “traditori” giunsero subito e con puntualità.
Ancora Ciro Pagano:
Noi eravamo ragazzi irrequieti mossi da un’insaziabile urgenza creativa. Ci stancavamo subito di quel che facevamo e così abbandonammo il rock demenziale di “Mamma dammi la benza” ancor prima che venisse coniato il termine di rock demenziale, brano peraltro che abbiamo riproposto in chiave elettronica nel 2024. Poi dopo la pubblicazione della cassettina nel marzo del 1979, il momento punk della band, eravamo già interessati alla new wave e no wave, e poi l’elettronica e ancora il dancefloor di “I.C. Love Affair”, uno dei brani a cui sono più legato, e poi ancora cambiamenti di sound, di formazione, di luoghi, di etichette discografiche. Adesso siamo in uscita con tre inediti contenuti nel docufilm e il sound va ancora una volta in altra direzione: si siamo dei traditori, evoluti però.
Un aspetto inusuale in operazioni analoghe è la totale mancanza nel documentario di toni agiografici e celebrativi, di dichiarazioni di esterni su quanto fossero bravi e importanti.
Anzi, la pellicola non ci risparmia nulla di quello che accadeva in quegli anni, funestati dall'eroina, dalla repressione di stato, dall'annientamento del dissenso ideologico.
La registra Lisa Bosi lo mette bene in chiaro:
Non è mai semplice raccontare la vita di qualcun altro perché un regista è sempre un filtro, non è mai uno specchio, volente o nolente. Nel caso dei Gaznevada la sfida per me era trasmettere anche esteticamente la “crudeltà” e originalità della band. Volevo che il pubblico si sentisse risucchiato nell’underground di una città che era stata letta in modo vivido da Andrea Pazienza.
Come disse lui, parlando di uno dei suoi personaggi più famosi, ispirato proprio a Ciro dei Gaznevada, “Zanardi è cattivo quanto può esserlo un’antenna RAI, cioè è un ripetitore”. Loro percepivano perfettamente cosa accedeva attorno e si rifugiavano nella “Fabbrica dei Sogni”.
Sono stata molto fortunata a trovare due produttori come Sonne Film e Wanted Cinema che mi hanno dato piena libertà espressiva. Nel film, per esempio, ritorna in maniera compulsiva una clip sull’eroina. Fa parte di una mia estetica disturbante. Amo registi come Gaspar Noè, che non mettono mai a proprio agio lo spettatore. Bisogna essere disposti ad uscire dalla propria zona di comfort per intraprendere viaggi come quello che ripercorre la storia dei Gaznevada. E magari alzarsi dalla poltrona alla fine del film e chiedersi se si sta vivendo la vita che si desiderava.
Il taglio della pellicola è molto particolare.
I Gaznevada ne sono i protagonisti, certo, ma è quello che “parla” intorno a loro a dare il ritmo, a buttarci in faccia e colpirci allo stomaco, con vicende mai sufficientemente approfondite nel modo corretto.
Ciro Pagano:
Sono stati scritti diversi libri e girati alcuni documentari su di noi e sulla casa di via Clavature, la Traumfabrik (luoghi storici della controcultura bolognese dei tempi. NdR), più in generale su quel periodo, ma personalmente ho sempre rifiutato di parteciparvi. Quando conoscemmo Lisa la prima volta, e poi nei successivi incontri, lei mi diede una lettura visionaria dei Gaznevada di quegli anni e della storia che li coinvolgeva.
Anche un argomento “ruvido” come quello delle droghe ha varie sfaccettature e dipendono tutte dal punto di vista con le quali le osservi. Possono essere interpretate e raccontate in tanti modi e questo nonostante la drammaticità e la sofferenza che questo tipo di storie porta con sé.
Lisa lo ha fatto in modo visionario, cupo, amorevole e la sua curiosità ci ha convinto: Going Underground è diventato il nostro racconto. Bologna ardeva di creatività, di stimoli, di vitalità.
Ne finì arsa viva ma ha lasciato un segno indelebile nella nostra (contro)cultura.
Dice ancora Lisa Bosi:
Personalmente penso che non sia un caso che Bologna sia diventata la città della musica UNESCO.
Sono varie le storie musicali che in questa città hanno scritto pagine importanti, indelebili. Pensiamo anche alle posse per esempio. Io sono nata a Bologna e faccio fatica a staccarmene. Come scrisse Guccini “Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli”, è meno elegante di Milano, non ti toglie il fiato come Roma, ma quando sei con lei il tempo si ferma e la mente fa pensieri sinceri. Sai che con lei puoi essere veramente te stesso, senza false ideologie. È una madre che non ti stressa, ti lascia fare il tuo cammino, nel bene e nel male, nelle cantine e sopra i suoi colli. Anche i Gaznevada non ne uscirono indenni, tra lutti, enormi difficoltà, successo e declino, problemi di ogni tipo.
Allo scioglimento della band, Ciro Pagano troverà un nuovo successo con la techno dei Datura, gli altri si disperderanno in altre esperienze.
In “Going underground” si sente risuonare la frase “ci sentivamo tutti dei geni, lo sapevamo”. Personalmente credo lo fossero e con il senno di poi (e non di quei tempi, che di senno ce n'era poco in giro) potessero diventare dei nuovi Devo o Talking Heads ma l'importante è che non siano rimasti rimpianti, come testimonia ancora Ciro Pagano:
Personalmente non ho nessun rimpianto: a volte le cose si muovono in una direzione giusta altre volte no, è importante però che si muovano. Questa cosa che ci sentissimo tutti geni innescava conflitti importanti tra noi, e tra noi e gli altri. Erano conflitti dai quali nascevano molto spesso anche le nostre produzioni e non solo quelle musicali, penso alla realizzazione delle copertine, la scrittura dei testi, l’immagine della band. Il fatto è che noi pensavamo di essere la nostra musica. E’ eccessivo lo so, ma il nostro modo di essere Gaznevada era di appartenenza totale e non eravamo simpatici a tutti: c’è sempre un prezzo da pagare.
Il documentario rende giustizia a una band geniale e a un periodo inimitabile, nel bene e nel (spesso molto) male e si candida ad essere una delle migliori testimonianze dell'epoca.
Un'esperienza che ha piantato semi e radici ma, paradossalmente, allo stesso tempo ha, alla fine dell'opera, bruciato la pianta, lasciando, per quanto preziosa, solo cenere.
Ovvero la perfetta incarnazione del primo spirito punk.
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Cultura 80's
martedì, marzo 11, 2025
Lance Henson - Entità /Entities
Lance Henson è Cheyenne, Oglala e Cajun e membro della confraternita dei Soldati Cane (Dog Soldiers) Cheyenne, della Native American Church (il culto del peyote) e dell’American Indian Movement.
Ha spesso rappresentato la propria tribù nel Gruppo di lavoro dei popoli indigeni presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Ha pubblicato circa cinquanta raccolte, che sono state tradotte in ventisette lingue. È anche co-autore di due pièces teatrali.
Il nuovo libro di poesie lo coglie alle prese con l'attualità, tra guerre e violenza ma, come sempre, con una spiritualità intensa, profonda, ancestrale.
"Nonostante le stragi, la distruzione, la follia e dell' "odio infuocato" degli infami, del calpestio degli "stivali dei folli", nonostante tutto, i popoli nativi resistono nella parola dei loro poeti."
Il volume si presenta con il testo a fronte, come traccia essenziale del dire necessariamente in più lingue – southern cheyenne/tsistsistas, inglese (che per Lance è la lingua del nemico), italiano.
"Sono sul crinale
In America appena
da qualche tra furore e libertà".
Lance Henson
Entità /Entities
Forum Edizioni
128 pagine
18 euro
Ha spesso rappresentato la propria tribù nel Gruppo di lavoro dei popoli indigeni presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Ha pubblicato circa cinquanta raccolte, che sono state tradotte in ventisette lingue. È anche co-autore di due pièces teatrali.
Il nuovo libro di poesie lo coglie alle prese con l'attualità, tra guerre e violenza ma, come sempre, con una spiritualità intensa, profonda, ancestrale.
"Nonostante le stragi, la distruzione, la follia e dell' "odio infuocato" degli infami, del calpestio degli "stivali dei folli", nonostante tutto, i popoli nativi resistono nella parola dei loro poeti."
Il volume si presenta con il testo a fronte, come traccia essenziale del dire necessariamente in più lingue – southern cheyenne/tsistsistas, inglese (che per Lance è la lingua del nemico), italiano.
"Sono sul crinale
In America appena
da qualche tra furore e libertà".
Lance Henson
Entità /Entities
Forum Edizioni
128 pagine
18 euro
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lunedì, marzo 10, 2025
Jazz on a Summer's Day
Bert Stern, fotografo (successivamente con Vogue) filma il Jazz Festival di Newport in Rhode Island del 1958.
Due anni dopo realizza il film "Jazz on a Summer's Day" (ne esiste una versione italiana con il titolo "Jazz in un giorno d'estate", pubblicata nel 1960) in cui raccoglie spezzoni delle esibizioni di vere e proprie star del jazz (Thelonious Monk, Gerry Mulligan, Jimmy Giuffre, Louis Armstrong, Chico Hamilton, Anita O' Day), del blues e gospel (Mahalia Jackson, Dinah Washington, Big Maybelle) e un brano di Chuck Berry, una "Sweet Little Sixteen" jazz n roll. In scaletta ma non ripreso, Ray Charles).
Qualità delle immagini modernissima e superba, di livello eccelso.
Ma quello che risalta è lo sguardo sul pubblico, il look, le movenze, gli sguardi, i balli, un'ingenuità di fondo, la COOLNESS diffusa.
Un documento preziosissimo che coglie un momento di transizione nell'estetica e nella musica.
Pura eccellenza.
Il film è qua:
https://www.youtube.com/watch?v=DKAPRqQ8q9Y&t=1970s
Due anni dopo realizza il film "Jazz on a Summer's Day" (ne esiste una versione italiana con il titolo "Jazz in un giorno d'estate", pubblicata nel 1960) in cui raccoglie spezzoni delle esibizioni di vere e proprie star del jazz (Thelonious Monk, Gerry Mulligan, Jimmy Giuffre, Louis Armstrong, Chico Hamilton, Anita O' Day), del blues e gospel (Mahalia Jackson, Dinah Washington, Big Maybelle) e un brano di Chuck Berry, una "Sweet Little Sixteen" jazz n roll. In scaletta ma non ripreso, Ray Charles).
Qualità delle immagini modernissima e superba, di livello eccelso.
Ma quello che risalta è lo sguardo sul pubblico, il look, le movenze, gli sguardi, i balli, un'ingenuità di fondo, la COOLNESS diffusa.
Un documento preziosissimo che coglie un momento di transizione nell'estetica e nella musica.
Pura eccellenza.
Il film è qua:
https://www.youtube.com/watch?v=DKAPRqQ8q9Y&t=1970s
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