Riprendo l'articolo che ho dedicato ai GazNevada e al docufilm "Going Underground" di Lisa Bosi, nelle pagine di "Alias" de "Il Manifesto" di sabato scorso.
E' un documento acre nella sua modalità, talvolta perfino spietata, nel fotografare le cose così come erano in “Going Underground”, il docufilm di Lisa Bosi per Sonne Film e Wanted Cinema, sulla storia dei Gaznevada (fresco vincitore della undicesima edizione del SeeYouSound Festival di Torino come Best Documentary).
Probabilmente la migliore per attitudine e creatività. Hanno lasciato dischi e canzoni importanti (da “Mamma dammi la benza” e “Nevadagaz” all'album “Sick soundtrack” del 1980, anno in cui affiancarono Edoardo Bennato nel brano omonimo nel suo album “Uffa uffa”, vero e proprio hardcore punk ante litteram per l'Italia). Mischiavano punk e la new wave più aspra e sperimentale (A Bologna c’erano band che ancora suonavano progressive, rock, blues, rock blues, jazz-rock e comunque sound già codificati con testi più o meno “ribelli”. Noi suonavamo i Ramones…Ciro Pagano, ai tempi Robert Squibb, chitarrista).
I Gaznevada ebbero il coraggio e il pregio di non arenarsi sul sound che loro stessi avevano creato ma si spostarono velocemente e freneticamente verso nuovi orizzonti, approdando a una dance evoluta e contaminata.
Come spesso accade non furono capiti, né si comprese che lo spirito primigenio del punk era quello di provocare, di bruciare come una fiammata, di disorientare, confondere, di non lasciarsi fossilizzare.
E gli strali di “traditori” giunsero subito e con puntualità.
Ancora Ciro Pagano:
Noi eravamo ragazzi irrequieti mossi da un’insaziabile urgenza creativa. Ci stancavamo subito di quel che facevamo e così abbandonammo il rock demenziale di “Mamma dammi la benza” ancor prima che venisse coniato il termine di rock demenziale, brano peraltro che abbiamo riproposto in chiave elettronica nel 2024. Poi dopo la pubblicazione della cassettina nel marzo del 1979, il momento punk della band, eravamo già interessati alla new wave e no wave, e poi l’elettronica e ancora il dancefloor di “I.C. Love Affair”, uno dei brani a cui sono più legato, e poi ancora cambiamenti di sound, di formazione, di luoghi, di etichette discografiche. Adesso siamo in uscita con tre inediti contenuti nel docufilm e il sound va ancora una volta in altra direzione: si siamo dei traditori, evoluti però.
Un aspetto inusuale in operazioni analoghe è la totale mancanza nel documentario di toni agiografici e celebrativi, di dichiarazioni di esterni su quanto fossero bravi e importanti.
Anzi, la pellicola non ci risparmia nulla di quello che accadeva in quegli anni, funestati dall'eroina, dalla repressione di stato, dall'annientamento del dissenso ideologico.
La registra Lisa Bosi lo mette bene in chiaro:
Non è mai semplice raccontare la vita di qualcun altro perché un regista è sempre un filtro, non è mai uno specchio, volente o nolente. Nel caso dei Gaznevada la sfida per me era trasmettere anche esteticamente la “crudeltà” e originalità della band. Volevo che il pubblico si sentisse risucchiato nell’underground di una città che era stata letta in modo vivido da Andrea Pazienza.
Come disse lui, parlando di uno dei suoi personaggi più famosi, ispirato proprio a Ciro dei Gaznevada, “Zanardi è cattivo quanto può esserlo un’antenna RAI, cioè è un ripetitore”. Loro percepivano perfettamente cosa accedeva attorno e si rifugiavano nella “Fabbrica dei Sogni”.
Sono stata molto fortunata a trovare due produttori come Sonne Film e Wanted Cinema che mi hanno dato piena libertà espressiva. Nel film, per esempio, ritorna in maniera compulsiva una clip sull’eroina. Fa parte di una mia estetica disturbante. Amo registi come Gaspar Noè, che non mettono mai a proprio agio lo spettatore. Bisogna essere disposti ad uscire dalla propria zona di comfort per intraprendere viaggi come quello che ripercorre la storia dei Gaznevada. E magari alzarsi dalla poltrona alla fine del film e chiedersi se si sta vivendo la vita che si desiderava.
Il taglio della pellicola è molto particolare.
I Gaznevada ne sono i protagonisti, certo, ma è quello che “parla” intorno a loro a dare il ritmo, a buttarci in faccia e colpirci allo stomaco, con vicende mai sufficientemente approfondite nel modo corretto.
Ciro Pagano:
Sono stati scritti diversi libri e girati alcuni documentari su di noi e sulla casa di via Clavature, la Traumfabrik (luoghi storici della controcultura bolognese dei tempi. NdR), più in generale su quel periodo, ma personalmente ho sempre rifiutato di parteciparvi. Quando conoscemmo Lisa la prima volta, e poi nei successivi incontri, lei mi diede una lettura visionaria dei Gaznevada di quegli anni e della storia che li coinvolgeva.
Anche un argomento “ruvido” come quello delle droghe ha varie sfaccettature e dipendono tutte dal punto di vista con le quali le osservi. Possono essere interpretate e raccontate in tanti modi e questo nonostante la drammaticità e la sofferenza che questo tipo di storie porta con sé.
Lisa lo ha fatto in modo visionario, cupo, amorevole e la sua curiosità ci ha convinto: Going Underground è diventato il nostro racconto. Bologna ardeva di creatività, di stimoli, di vitalità.
Ne finì arsa viva ma ha lasciato un segno indelebile nella nostra (contro)cultura.
Dice ancora Lisa Bosi:
Personalmente penso che non sia un caso che Bologna sia diventata la città della musica UNESCO.
Sono varie le storie musicali che in questa città hanno scritto pagine importanti, indelebili. Pensiamo anche alle posse per esempio. Io sono nata a Bologna e faccio fatica a staccarmene. Come scrisse Guccini “Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli”, è meno elegante di Milano, non ti toglie il fiato come Roma, ma quando sei con lei il tempo si ferma e la mente fa pensieri sinceri. Sai che con lei puoi essere veramente te stesso, senza false ideologie. È una madre che non ti stressa, ti lascia fare il tuo cammino, nel bene e nel male, nelle cantine e sopra i suoi colli. Anche i Gaznevada non ne uscirono indenni, tra lutti, enormi difficoltà, successo e declino, problemi di ogni tipo.
Allo scioglimento della band, Ciro Pagano troverà un nuovo successo con la techno dei Datura, gli altri si disperderanno in altre esperienze.
In “Going underground” si sente risuonare la frase “ci sentivamo tutti dei geni, lo sapevamo”. Personalmente credo lo fossero e con il senno di poi (e non di quei tempi, che di senno ce n'era poco in giro) potessero diventare dei nuovi Devo o Talking Heads ma l'importante è che non siano rimasti rimpianti, come testimonia ancora Ciro Pagano:
Personalmente non ho nessun rimpianto: a volte le cose si muovono in una direzione giusta altre volte no, è importante però che si muovano. Questa cosa che ci sentissimo tutti geni innescava conflitti importanti tra noi, e tra noi e gli altri. Erano conflitti dai quali nascevano molto spesso anche le nostre produzioni e non solo quelle musicali, penso alla realizzazione delle copertine, la scrittura dei testi, l’immagine della band. Il fatto è che noi pensavamo di essere la nostra musica. E’ eccessivo lo so, ma il nostro modo di essere Gaznevada era di appartenenza totale e non eravamo simpatici a tutti: c’è sempre un prezzo da pagare.
Il documentario rende giustizia a una band geniale e a un periodo inimitabile, nel bene e nel (spesso molto) male e si candida ad essere una delle migliori testimonianze dell'epoca.
Un'esperienza che ha piantato semi e radici ma, paradossalmente, allo stesso tempo ha, alla fine dell'opera, bruciato la pianta, lasciando, per quanto preziosa, solo cenere.
Ovvero la perfetta incarnazione del primo spirito punk.
mercoledì, marzo 12, 2025
Gaznevada e "Going Underground" di Lisa Bosi
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Cultura 80's
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Su che piattaforma si può trovare ?
RispondiEliminaPer ora si può vedere solo nelle proiezioni che stanno facendo in giro per l'Italia.
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