venerdì, gennaio 17, 2020

Stefano Gilardino / Roberto Caselli - La storia del Rock in Italia



Armati di una buona dose di incoscienza e coraggio gli autori si cimentano in un'impresa difficile, ampia e insidiosa come la storia del rock in Italia.

Un'avventura che evidenzia come spesso si sia trattato di una realtà prevalentemente derivativa ma che dalla fine degli anni 50 ad oggi non siano poche le eccellenze che hanno saputo distinguersi con una proposta personale e originale.
Allo stesso modo sono rari i casi in cui le nostre espressioni sonore in ambito rock sono riuscite ad emergere all'estero dove il verbo italiano rimane relegato al pop più deteriore.

Il libro è totalmente esaustivo, ogni epoca ha una contestualizzazione socio/politica/storica e di costume, c'è una ricca discografia, eccellente cura grafica, foto rare e particolari, curiosità, approfondimenti, interviste.

Senza avere mai i caratteri di un'enciclopedia ma quelli di una storia fluente e affascinante.
Dal rock 'n' roll di Peppino di Capri, passando per beat, prog, punk, elettronica, riviste, festival, siti, portandoci fino ai nostri giorni, trovate l'intero scibile del rock italiano.

A seguire una breve intervista a uno degli autori, Stefano Gilardino.

Due parole sulla metodologia della scelta dei nomi e sullo spazio dedicato ai singoli gruppi o artisti. È stato un lavoro difficile?
Rispetto al mio precedente libro è stato più difficile, un po’ per la vastità dell’argomento, ma anche perché in questo caso non è solamente un libro musicale ma pure una storia culturale, sociale, politica e di costume del nostro paese.
La scelta dei nomi è stata meno impegnativa del previsto, anche perché abbiamo seguito un procedimento inverso: chi o cosa vogliamo lasciare fuori? I cantautori, per esempio, sono stati i primi esclusi, così come molto del pop nazionale. Poi è subentrato anche il gusto personale, perché è giusto che un libro rifletta le opinioni di chi scrive. Quindi ci sono grandi esclusi e sorprendenti inclusioni, ma spero che il tutto sia giustificato in qualche modo.
Nella mia testa, lo è di sicuro.

Ha sollevato dubbi e incertezze durante la stesura?
Purtroppo sì, molti più di quanti mi sarei aspettato, la gestazione non è stata scorrevole e semplice. Abbiamo effettuato cambiamenti in corso d’opera, sostituzioni, aggiustamenti, persino dopo la fine della prima stesura.
Non credo però che si potesse fare altrimenti, troppo vasto il periodo in esame, troppo vaga la definizione di rock e troppo personale il suo concetto. Alla fine però siamo giunti a una chiusura soddisfacente.

Hai trovato qualche riluttanza da parte dei soggetti coinvolti?
In linea di massima ho ricevuto massima collaborazione da parte di tutti, qualcuno non aveva troppo tempo da dedicarmi e lo capisco pure, ma va bene così, fa parte del gioco.
In ogni caso ho usato anche molto materiale di repertorio, aver scritto per oltre 25 anni su riviste musicali è servito a qualcosa.

Come mai nonostante le tante eccellenze praticamente nessuno è riuscito a imporsi massicciamente all'estero?
Credo che l’unica musica italiana che abbia avuto successo massiccio all’estero sia quella melodica e piuttosto orrenda.
Il che la dice lunga sulla considerazione musicale di cui spesso godiamo. Forse solo Morricone, che non fa certamente rock, gode di una fama mondiale.
Credo sia semplicemente una questione di DNA, che nel nostro caso non contempla o quasi il rock. Quindi, niente Beatles o Nirvana da noi, ma possiamo consolarci con una nutrita serie di band che ha avuto riconoscimenti pregiati nel corso degli anni: Lacuna Coil, Uzeda, Negazione, Raw Power, Afterhours, Not Moving, Calibro 35, Linea 77, Litfiba. Molti di loro sono conosciuti all’estro più che Ligabue e Vasco Rossi, che sono fenomeni tipicamente nazionali, e questo lo trovo in qualche modo consolatorio.

Pensi che il rock italiano abbia ancora molto da esprimere o si è chiuso su se stesso?
Più che il rock italiano, credo che il rock in generale sia chiuso in se stesso, avvitato su posizioni retrò e poco stimolanti.
È musica per vecchi, c’è poco da dire, ma per fortuna esistono ancora sacche di resistenza, soprattutto nelle nicchie. Nonostante sia un genere museizzato, mi piace pensare che abbia ancora qualche freccia al proprio arco, ecco…

La mia solita domanda conclusiva: consiglia cinque o dieci dischi all'ignaro ascoltatore della Tasmania che vuole avere un primo impatto con il rock italiano.
Cinque sono molto pochi, ma vedo di farcela, compatibilmente coi miei gusti: CCCP-Fedeli Alla Linea (Affinità e divergenze….), Afterhours (Hai paura del buio?), Area (Crac), Franco Battiato (Fetus), Eugenio Finardi (Diesel)

6 commenti:

  1. OT Amici calciofili..avete sentito la storia di vietare i colpi di testa sotto i 12 anni?????? ma sono fuori?!?!?
    C

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    1. Bel problema. In Inghilterra sono anni che ci dan sotto. Fu quando morì il grande Jeff Astle, per una forma di demenza che la famiglia sostenne dovuta ai colpi di testa, né faceva fino 500 al giorno in allenamento. Fu poi provato che era vero.
      Ultimamente ho letto di Chris Nicholl, nostro capitano al Villa che io ricordo meglio al Southampton formidabile colpitore di testa, che ha ammesso di essere affetto da dementia e sempre più frequentemente non ricorda dove abita.
      Shearer ha fatto un documentario per la Bbc sulla questione

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  2. SICURAMENTE la nostra testa non è programmata per prendere colpi quotidiani per anni. Vedi i pugili che non arrivano tanto bene alla vecchiaia. Colpire con la testa un pallone quando le ossa sono ancora in formazione può essere ancora più dannoso.

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    1. Il problema vero è che (se sarà scientificamente provato) il colpo di testa è dannoso anche per gli adulti.
      Probabilmente si arriverà a qualche assurda limitazione regolamentare, spero per allora di esser già andato all'altro mondo.

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  3. Allo stesso modo imparare a colpire di testa dopo i 12 anni è una bella limitazione per un calciatore.

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  4. Non credo, dopo i 14 c'è tutto il tempo di imparare. Fino ai 12 comunque non si usa quasi, si gioca quasi esclusivamente palla a terra,cross pochissimi, rinvii del portiere praticamente aboliti.
    Nel rugby ad esempio fino ai 14 circa la mischia non la giocano e i placcaggi hanno forti limitazioni

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