martedì, aprile 02, 2019

Modello Inglese – Bolton Wanderers



Un'interessante riflessione di ALBERTO GALLETTI sul decantato "Modello Inglese" in ambito calcistico.

In questo periodo di scarso interesse e rancore verso un mondo del calcio sempre più impazzito e insopportabile, la notizia mi era sfuggita.
Oggi, 20 marzo, il Bolton Wanderers comparirà in tribunale per difendersi da una petizione di messa in liquidazione emessa dal HMRC (Her Majesty Revenue & Customs), l’agenzia di riscossione di tasse e tributi britannica. Ai più il nome può non dire granchè ma per gli appassionati più attenti si tratta di un brutto colpo, se accolta, la richiesta metterà fine alla vita del glorioso club.

Il Bolton Wanderers è uno dei club più antichi al mondo, fondato nel 1874, una lunga e a tratti gloriosa storia alle spalle.
E’ stato uno dei membri fondatori del campionato inglese nel lontano 1888, ha giocato 73 campionati nella massima divisione inglese di cui tredici di Premier League, ha vinto 4 FA Cup nel 1923, 1926, 1929 e 1958, non è mai sceso sotto la terza divisione a parte per la stagione 1987/88 e ha sempre giocato nei campionati professionistici. Un pilastro, e un’istituzione del calcio inglese.
Espressione, come tanti dei maggiori club inglesi ancora in auge, di un area industriale e operaia all’interno della quale trovò da subito sostenitori e protagonisti (calciatori).
Fu duramente colpito dall’abolizione del maximum wage che liberalizzò i compensi dei calciatori nel 1961, se fino ad allora aveva disputato solo sette campionati su settantacinque fuori dalla massima serie, ne disputerà solo due di 1st division nei successivi trenta. Ma al tempo il calcio era roba da operai, non da ricchi o o da chi lo vuol far sembrare tale e l’essere appassionati di calcio, così come la gestione dei club poteva risultare accettabile anche nelle serie inferiori. Oggi è tutto cambiato e il Championship, la vecchia 2nd division, è un campionato dove parecchie squadre sono di proprietà di miliardari, tutti stranieri, che immettono cifre enormi nelle casse dei club per inseguire la promozione alla Premier League in modo da poter incassare poi gli enormi proventi dei diritti televisivi e pubblicitari, rientrare dei loro investimenti e guadagnarci. Poi però ci devono rimanere, altrimenti nel giro di tre/quattro stagioni le finanze del club in questione si dissestano e avremo dei nuovi Bolton. A questi aggiungiamo i club che non riescono a fare il salto e sono già in stato di crisi potenziale, sono circa una decina.

Il Bolton è stato però, anche uno dei primi club, se non il primo, a percorrere quello che oggi viene definito dagli incompetenti superficiali che si occupano di calcio a casa nostra, il cosiddetto modello inglese.

Quando al termine della stagione 1996/97 , terminata con la vittoria dell’allora 1st Division, 98 punti e 100 gol segnati e la promozione roboante in Premier League, una nuova alba sembrava stagliarsi al grigio orizzonte di questo agglomerato industriale, Bolton non è neanche una città, l’ultimazione del nuovo avveniristico impianto per le gare casalinghe, l’acclamato Reebok Stadium, costruito fuori città, a dieci chilometri dal centro cittadino, ma strategicamente ben pensato e posizionato in prossimità dello svincolo 6 dell’ autostrada M61 e a ridosso della linea ferroviaria per Blackpool, sulla quale venne realizzata apposita fermata per i i tifosi, e un hotel sotto una delle due tribune che diede profitti da subito.
Tutto ok.
Si ,anche se Allardyce commentò, non senza lungimiranza e polemica, da vecchio uomo di calcio ‘ Ci serviva uno stadio e abbiamo costruito un monumento’. Parole sante, vedremo poi.

Tutto ok si, ad ogni modo, nonostante il commento di Allardyce, perché da qui inizia l’ultimo periodo d’oro del club, proprio sotto la guida di Big Sam, con undici campionati di fila in Premier League, la finale in Coppa di Lega del 2004 persa contro il Middlesbrough e qualificazioni alle competizioni europee nel 2005 e 2007 che diedero vita ad un paio di nottate europee speciali con il 2-2 sul campo del Bayern nella fase a gironi e soprattutto l’eliminazione dell’Atletico Madrid nei sedicesimi (0-0 in Spagna e vittoria 1-0 nel ritorno a Bolton).
Parecchi grandi giocatori indossarono durante quel periodo il bianco dei Trotters, da Ivan Campo a Djorkaeff, da Jay-Jay Okocha a un giovane Gary Cahill, ad Anelka, Gary Speed, Kevin Davies e Kevin Nolan al monumentale Fernando Hierro.
Un misto di campioni verso la fine presi a poco , ma con alti stipendi e giovani presi a zero con bassi stipendi; risultante: costo medio dei trasferimenti quasi zero , mentre quello degli stipendi diventava medio. Un modello che per un po ha funzionato.

Ma, come sempre accade nel calcio, le squadre vanno a cicli, e i cicli si esauriscono, checche ne pensino gli analisti finanziari che hanno occupato con la loro screanzata invadenza i consigli d’amministrazione dei club dei campionati più importanti con le loro sgradevoli presenze e tutti i loro programmi a suon di ‘investimenti’, un vocabolo calcisticamente blasfemo che dovrebbe essere bandito dal lessico pallonaro.
Quando il ciclo è esaurito la squadra va rifatta, e quasi sempre non ci si riesce, perché avere i soldi per comprare non significa anche possedere la capacità di comprare quelli giusti, di saperli mettere insieme , di riuscire a farli giocare insieme e fargli far dei risultati. Risulta così ovvio che non si possa parlare di investimento per dei ritorni che non sono per nulla garantiti, visto che sono legati ad una situazione assai aleatoria: i risultati del campo, ragion per cui nel calcio i soldi si spendono, non si investono.
E basta I risultati della squadra cominciarono così a venir meno con conseguenti cadute di livello, ergo retrocessioni.

Dieci anni dopo le notti europee di Monaco e Madrid, il Bolton si trovava in terza serie, con le presenze allo stadio crollate da più di 25.000 a circa 15.000, cifra di tutto rispetto in una serie C, ma drammaticamente insufficiente a sostenere una realtà che deve mantenere un impianto moderno e costoso quando anche i diritti televisivi ,decapitati a meno di un quinto e nonostante un budget stipendi ridotto da 53 a 13 milioni di sterline.
E niente restava della squadra che per due campionati di fila aveva battuto l’onnipotente e Manchester United ad Old Trafford.

Neanche i soldi per gli stipendi a giocatori di serie C.

Eppure avevano (ed hanno ancora) lo stadio di proprietà. E con i diritti sul nome dell’impianto venduti allo sponsor, il perfetto modello inglese! Mi dicano i sapientoni che scoreggiano in tv e sui giornali invece di fare informazione onesta, come mai se il modello inglese, lo stadio di proprietà, è fondamentale per risolvere tutte i mali economici del calcio, il Bolton Wanderers è sull’orlo dell’estinzione da tre anni e oggi, per davvero, rischia la chiusura. Perché quel modello, non è inglese, ma per miliardari.
Vero che gli inglesi hanno cominciato per primi,ma vero anche che uno solo tra i club di vertice attuali ha una proprietà inglese, per via di una controllata alle isole Cayman tra l’altro. Ma se non ti chiami, Manchester United, Arsenal, Juventus o Real Madrid con decine di milioni di tifosi, che comunque a volte non bastano perché se poi non hai alle spalle anche l’Abramovich o l’Agnelli di turno, il modello non funziona, perché i numeri sono numeri.
E i numeri necessari oggi per raggiungere quello che rimane di fondo una cosa stupidissima come vincere un campionato di calcio, sono osceni.
I costi delle prime due stagioni dopo la retrocessione dalla Premiership, conclusasi senza promozione, hanno affossato il club, che da allora ha imboccato un’inesorabile spirale verso il basso.
Come mai i sapientoni prezzolati del carrozzone massmediologico italico non parlano di modello inglese anche quando le cose vanno male.
Dove sono quando la giustizia britannica si muove e nel giro di poco tempo mette, o cerca di mettere, la parola fine a 145 di storia calcistica in una delle regioni, il Lancashire, che ha dato di più in termini di origine, formazione ed identità al calcio mondiale.
Dove sono, infine, quando il modello inglese fallisce, clamorosamente, in casa propria?
Quale servizio rendono alla comunità calcistica italiana?
Nessuno.
Solo ed esclusivamente tesi al loro personale tornaconto.
Ricordo loro che già nel 1986 il Bolton Wanderers, in difficoltà economiche, vendette una delle due curve del vecchio stadio a J. Sainsbury che ci costruì un supermercato. Modello inglese anche questo, successev anche al Notts County che vendette una curva per farci costruire una palestra e col ricavato tirò avanti per un po, anni ’80.

E cosa dire del Coventry City che, avendo costruito un nuovo stadio ed essendo poi retrocesso dalla Premiership fini in progressive difficoltà finanziarie tali da finire, nel giro di pochi anni, in amministrazione controllata dopo anni di anonima seconda e terza serie.
Ma con uno stadio da 30.000 posti seduti , pomposamente ribattezzato Ricoh Arena , diritti sul nome ceduti anche qui, semivuoto e fallimento evitato per un soffio a costo di un ridimensionamento delle ambizioni sportive ai minimi termini, la squadra in quarta serie e pure costrettia ad andare a giocare a Northampton nel 2015 perché nel frattempo per necessità di rastrellare liquidi aveva ceduto parte delle azioni della società che controlla lo stadio ad una società di capitali alla quale non avevano mai pagato l’affitto e li portò in tribunale. Che dire? Modello inglese.
Che gli stessi inglesi, quelli dotati di senso critico: Four-Four-Two una delle riviste migliori, lo ha definito il peggior stadio d’Inghilterra.

Atmosfera desolante, spalti semivuoti e un’esperienza deprimente. Modello inglese. Dal 2015 ci giocano anche i Wasps, uno dei maggiori club professionistici inglesi, che sarebbero di Londra e anche qui si aprirebbe una parentesi piuttosto ampia, che hanno acquistato la metà dell’ impianto. E guarda caso hanno fatto registrare il record di pubblico per lo stadio.
Modello inglese, certo, arrampicarsi sugli specchi per far fronte a sventatezza economiche insensate.

I debiti del Bolton Wanderers ammontano all’esorbitante cifra di 172.9 milioni di sterline ai quali se ne aggiungono altri 2.2 di debiti con HMRC e probabilmente anche altri, che per questo ha emesso richiesta di messa in liquidazione del club immediata, il che significherebbe fine della storia.
La petizione di oggi, la sesta in 18 mesi per tasse e IVA non pagate riguarda un ammontare di un milione e duecentomila sterline.

Il fallimento della trattativa di vendita da parte del proprietario, Ken Anderson, che si tinge i capelli e vive a Montecarlo, ad un consorzio guidato da un uomo d’affari , tale Parminder Basran,che avrebbe portato nelle casse del club 27 milioni di sterline, ha fatto precipitare la situazione e oggi HMRC vuole i soldi, li vuole da un’anno e mezzo e non ha fatto mistero che punta alla messa in liquidazione del club e quindi alla cessata attività per rientrare del dovuto.
L’alternativa è l’amministrazione controllata una deduzione di dodici punti in classifica, che significherebbe retrocessione sicura in terza serie e conseguente ulteriore crollo dei ricavi, ma il milione come minimo , insieme ad un piano di rientro deve saltar fuori.
A questo si aggiungano le ultime due settimane di febbraio non pagate ai calciatori, compensi non pagati a stewards e personale addetto alla sicurezza per le partite che potrebbe portare alla revoca della certificazione di sicurezza dello stadio per le partite e la chiusura del centro di allenamento, sotto sequestro.
Dubito che la spunteranno un’altra volta. Magari si e proprio lo stadio potrebbe salvarli, o prolungarne l’agonia, venendo venduto. Spero di sbagliare.

Modello inglese, si. Solo quello delle autorità di controllo, li si che i giornalisti italiani potrebbero guardare modello inglese invece di far cominciare campionati di Serie B o C a squadre che non hanno i soldi per arrivare alla fine di ottobre.
Se penso a gente come Nat Lofthouse , Phil Neal e Alan Stubbs mi vien da piangere.
Echi di glorie distanti, si trasformano in inconsolabili malinconie in quella che oggi risulta essere l’ora più buia nella storia del club. Che rischia di sparire.
Oggi sapremo.

P.S. 20 marzo ore 18:00
E’ arrivata, nel pomeriggio la decisione del tribunale. Il Bolton non avrà penalizzazioni nel corso di questa stagione. La minaccia di finire in amministrazione controllata però rimane.
Il caso della richiesta di messa in liquidazione è stato aggiornato al 3 aprile.
Il club ha due settimane di tempo per saldare il debito con il fisco pari a 1.2 milioni di sterline ed evitare la messa in liquidazione o in amministrazione controllata. O trova i soldi o trova un compratore.
Il club era già stato in questa identica situazione nel 2016 quando evitò bancarotta e scomparsa per un soffio grazie all’acquisto della vecchia società che possedeva il club proprio da parte dell’attuale presidente.
Che in tre anni ha fatto aumentare i debiti, ottenuto risultati sportivi disastrosi ed ora si ritrova al punto di partenza. Il tutto per l’immaginabile gioia dei tifosi, gli unici con un interesse autentico verso le sorti del club e autentica parte lesa di tutta questa storia.
Una delle tante purtroppo.

5 commenti:

  1. Grande Alberto...la turbofinanza dopo averci fottuto la vita si frega anche i sogni...

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  2. Super Gallo quanta ragione..
    Ave Pibio!
    C

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  3. Cambia mestiere Alberto che è meglio

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  4. Il calcio inglese è dieci volte avanti caro Alberto e vai a vedere il tuo caro Bolton nella finale 2023 a wembley davanti a 80000 persone battere 4 0 il plymouth

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