domenica, maggio 31, 2015
Varosha
La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia o comunque estremi.
I precedenti post:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo
Negli anni sessanta e settanta, VAROSHA era il luogo turistico per eccellenza di Cipro, abitualmente pieno di turisti (e star del cinema come Richard Burton e Catherine Deneuve) che affollavano i molti alberghi di lusso e si godevano la "dolce vita" locale.
Nell'agosto del 1974 Cipro fu invasa dall'esercito turco, che avanzò fino alla Linea Attila, ad oggi confine che divide rigidamente l'isola tra la comunità turca e quella greco-cipriota.
Poche ore prima che la città di Famagosta (di cui Varosha era un quartiere) venisse attaccata dai turchi, gli abitanti fuggirono precipitosamente, abbandonando completamente il luogo.
L'esercito turco chiuse il quartiere con il filo spinato e lasciò che tutto andasse in totale abbandono, rendendo la zona rigorosamente off limits.
L'unico aspetto positivo è che mentre intorno la città di Famagosta è stata oggetto di una tremenda speculazione edilizia che ha devastato il territorio, Varosha è diventata una sorte di oasi naturale inaccessibile all'uomo dove si riproducono le tartarughe marine e dove la fauna e la flora possono agire indisturbate.
Recentemente sono state avviate trattative tra le due parti per provare a recuperare il luogo in un'ottica ecologista.
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La fine del mondo
sabato, maggio 30, 2015
GIL SCOTT-HERON – L’ultima vacanza
E’ un’opera coraggiosa e benemerita quella della casa editrice LiberAria (http://www.liberaria.it) che con la brillante e riuscita (per quanto complessa) traduzione di Daniela Luicci, porta in Italia il testamento scritto del poeta, artista e musicista afro americano GIL SCOTT HERON, prematuramente scomparso nel 2011, dopo aver lasciato alcuni indimenticabili capolavori della black music.
“L’ultima vacanza” è una parziale autobiografia dei primi anni di vita e carriera e un sentito racconto dell’esperienza che Scott Heron visse nel 1980/1981 in tour con Stevie Wonder. Come era sua caratteristica nei dischi e nei reading, Gil è ironico, pungente, caustico, sincero, diretto, sardonico, scrive magnificamente, sa rimanere in equilibrio tra sorriso e estrema serietà, parla di politica, diritti civili con profondità e leggerezza allo stesso tempo.
Il libro è zeppo di pagine epiche ed è un perfetto approccio per chi ancora non ne conosce l’incommensurabile arte.
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Libri
venerdì, maggio 29, 2015
Il meglio del mese. Maggio 2015
C'è un concorso al MEI che premia il miglior blog privato italiano.
Se vi piace il Nostro blog votatelo e/o fatelo votare qua, grazie !:
https://www.facebook.com/targameimusicletter/posts/688664617904465
Ci si avvia alla metà del 2015 e i titoli che possono ambire alla Top 10 del'anno sono già numerosi.
Tra gli stranieri Paul Weller Gaz Coombes, Noel Gallagher, D’Angelo, Bettye Lavette, Charlatans, Saun and Starr, Sleater Kinney, Pops Staples, Mighty Mocambos, Tobias Jesso Jr., Ryley Walker, The Suffers, Jon Spencer Blues Explosion, Sonics, Blur, Sandra Wright, Soul Motivators. The Slingshots, Saun & Starr.
In Italia Cesare Basile, Salvo Ruolo, Gang, Mads, Big Mojo, Elli de Mon, Sycamore Age, Dellera, Mother Island, Kicca, Simona Norato, Gang, Nico, Randy Roberts.
ASCOLTATO
SINGOLI
STRYPES - Scumbag city blues
Poco da dire, gli STRYPES non mi deludono mai.
Il nuovo singolo ha tre brani come sempre RUVIDI, elettrici, semplici, rhythm and blues e una versione di "Kick out the james" degli MC5 che ha tutto il mio plauso.
NICOLE WILLIS and SOUL INVESTIGATORS - Paint me in a corner/Where are you now
Un singolo DA PAURA.
Puro ruvido 60’s soul con due brani troppo belli. In trepida attesa del nuovo album.
PAUL WELLER - Saturns pattern
Le dichiarazioni relative al nuovo SATURN'S PATTERN rese in fase promozionale da Weller sembravano i consueti lanci programmatici a beneficio della stampa.
Ma dopo l’ascolto del suo dodicesimo album solista non si possono che condividere le sue parole che lo definiscono “diverso da qualsiasi altra cosa abbia mai fatto”.
Weller ancora una volta cambia le carte in tavola, andando avanti (o comunque solamente da un’altra parte) rispetto alla volta precedente, riuscendo ancora una volta a sorprendere, stupire, rinfrescare sound, immagine, proposta.
Chi è rimasto a Jam, Style Council o “Stanley Road” non sempre apprezzerà anche perchè il Nostro non disdegna ambiti anomali, ostici e discutibili. Un album dalle mille direzioni che abbraccia funk, new wave, blues, jazz, dub, beat, dolci ballate pianistiche, cambi di ritmo, curati arrangiamenti vocali.
Il tutto con elegante e raffinata disinvoltura, una totale autorevolezza di chi non ha paura di osare e che finisce per creare un disco che, pur fedele alle consuete radici del Nostro, riesce ad essere ancora una volta diverso dai precedenti. Non un capolavoro e che si pone tranquillamente dietro alle vette di “As is now”, “Stanley Road”, “Wake up the nation” ma che può ambire ad una posizione a ridosso delle sue migliori cose.
Ennesima conferma del valore di Paul Weller, un artista in continuo cambiamento.
SAUN & STARR - Look closer
Le due coriste di Sharon Jones all’esordio su Daptone con uno splendido gioiello SOUL.
Fantastici i brani, grandissime le voci, groove di 60’s soul, funk e rhythm and blues.
Album super !
SLINGSHOTS - Is this soul ?
Dalla Spagna un gran bell’album di soul funk, con eccellente sezione fiati, brani sempre ritmatissimi, eseguiti con classe e grande competenza. Si va dal classico 60’s soul a furibondi funk mid 70’s. Consigliati !
JIM O’ ROURKE - Simple songs
Lui è stato membro e produttore dei Sonic Youth ma anche con Wilco, Beth Orton e tanti altri, autore di decine di album e progetti di tutti i tipi.
Il nuovo lavoro è riuscitissimo. Pop rock elaboratissimo, progressivo, con jazz, folk, sperimentazioni, post rock, complessi arrangiamenti, ritmiche intricate.
Un piccolo capolavoro.
SOUL MOTIVATORS - Free to believe
Arrivano da Toronto con un soul funk di primissima qualità e la voce di Lydia Persaud che fa davvero faville ! La band gira alla grande, tecnica sopraffina, grooves di hard funk si intrecciano a riuscite melodie black, sezione fiati in gran spolvero, tastiere talvolta acide e “space”che impreziosiscono il tutto. Grandi davvero.
SANDRA WRIGHT - Wounded woman
Nel 1974 Sandra Wright (scomparsa qualche anno), cugina del bluesman Memphis Slim, incise per la Stax ai Muscle Shoals questo gioiello di southern soul (molto Aretha oriented) ma che non vide mai la luce se non attraverso qualche brano su 45.
Questa prima edizione postuma ce lo consegna nel suo fulgido splendore, caldissimo soul, mai aspro, avvolgente, raffinato, elegante. Grande album.
ALGIERS - Algiers
Il trio americano viene da Atlanta ma gira tra NY e Londra con un auto definito gospel punk.
In realtà di punk c’è l’attitudine e del gospel c’è l’uso delle armonie vocali. L’album è comunque molto interessante tra atmosfere elettro blues (dalle parti di “I’m new here” di Gil Scott Heron), grooves ritmici avvolgenti, drammaticità lirica notevole (a tratti quasi alla Nick Cave).
THE CLASSMATES - s/t
Il trio bolognese, dopo una breve attività live, approda all'esordio discografico grazie alla sempre benemerita Area Pirata Records. Sound minimale, diretto, senza fronzoli tra 60's rock n roll (Flamin Groovies), punk '77 (Buzzcocks, Adverts), garage (Miracle Workers), punk pop (Soft Pack) .
Il tutto condito da un gusto "teen", un'urgenza, una freschezza comune a pochi. Undici brani ben fatti e godibilissimi.
WARM SODA - Symbolic dream
Texani, suonano un power pop bello sostenuto che riporta al primo Costello, ai Buzzcocks, ai Beat di Paul Collins e a tutte le bellezze del genere. Freschi e diretti, da seguire.
DOWNTOWN BOYS - Full communism
Cattivi, furiosi, aggressivi, schierati politicamente, hanno realizzato il MIGLIOR ALBUM PUNK del 2015.
Mi ricordano i primissimi Black Flag o i dimenticati U.X.A. per la voce femminile (che canta in spagnolo e inglese) ma hanno un disturbante SAX che riporta a XRaySpex, James White & the Contortions e alla No Wave.
Sono durissimi e spietati, hardcore e sguaiati.
FINALMENTE !!!!!!.
HARD LEFT - We are the hard left
Sono californiani, si definiscono una HARD-MOD PUNK BAND ed esplorano nei testi le principali tematiche dell'estrema sinistra.
Sound Oi! potentissimo, grezzo, greve, duro.
Un corroborante pugno nello stomaco.
HIATUS KAIYOTE - Choose yuor weapon
E’ il secondo album per la band americana. Un funk soul molto languido ma anche sperimentale con forti componenti fusion, Prince e D’Angelo in costante agguato, voce femminile superba, arrangiamenti alla Hancock 70’s. Da ascoltare.
DOKKERMAN and the TURKEYING FELLAZ - Illegal move
Afro funk dall’Ungheria può far ridere...però appena girano questi undici brani è tanto il groove, la blackness e convincente il sound che ci si lascia facilmente travolgere. Ottimi !
BABA SISSOKO - Three gees
African blues con un groove afro funk dal Mali, qualche accenno soul e perfino psichedelico, tastiere di sapore 60’s, suoni vintage, registrato live in studio.
Primitivo e caldissimo.
CRISTINA NICO - Mandibole
E’ potente e incisivo, cattivo, risoluto, l’esordio della genovese Cristina Nico, protagonista in “Mandibole” di un album in cui attinge da varie fonti ma sempre solo vagamente definite (PJ Harvey, Nick Cave, Nada tra le tante) riuscendo a proporre una formula originale e un sound personalissimo, grazie anche ad una voce riconoscibile.
L’approccio è ostico, i brani passano senza paura dal folk a sonorità quasi grunge, le parole mordono, sfrontate, l’anima e la carne. Il risultato finale è tra i migliori che ci consegna finora l’Italia alternativa nel 2015.
ASCOLTATO ANCHE
THE EMPIRE STRIKES (dalla Finalndia una corroborante dose di rock n roll e power pop), SICK BOYS REVUE (punk rock e rock n roll, Social Distortion e giusta attitudine), BUFFY ST. MARIE (discreto, tra ottime ballads e poco comprensibili brani semi elettronici, il ritorno della 74enne cantautrice), JOANNA GRUESOME (punkettino un po’ grunge con raffinato tocco di noise...zzzzz) SURFER BLOOD (a loro piacciono Weezer e Beach Boys ma non basta per fare un album decente), PALMA VIOLETS (tra Libertines e pub rock ma poco convincenti), THEE OH SEES (picchiano duro, mischiano tanto ma alla fine lasciano poco), VACCINES (solita band brit tra indie, alt, brit pop etc. Anonimi), SOAK (tra le cose più soporifere degli ultimi anni)
LETTO
GIANNI DALL’AGLIO - Batti un colpo
GIANNI DALL'AGLIO è stato il batterista di ADRIANO CELENTANO, dei RIBELLI con Demetrio Stratos, di LUCIO BATTISTI dal 1968 al 1975 ( "Anima latina" incluso), IL VOLO, Patty Pravo, Pierangelo Bertoli e tanti altri . Attualmente dirige una scuola di musica a Mantova. "Batti un colpo" è un'appassionante autobiografia, piena di preziosi e gustosissimi aneddoti sulla sua carriera a cui affianca momenti intimi e personali spesso toccanti e drammatici ma semplicemente sinceri.
E passare da Celentano a Demetrio, via Battisti e Patty Pravo rende la lettura veloce, divertente e travolgente.
Da divorare in una serata !
ROBERTO RUSSO - Too much too Boohoos
Roberto Russo, tra i principali protagonisti della storia dei Boohoos, band seminale del rock italiano degli 80’s ne rivive la storia in un appassionante libro della Crac Edizioni. Recensione più dettagliata prossima settimana.
PAOLO PIRAS - Bravi e camboni
Per un tifoso del CAGLIARI come il sottoscritto un libro come questo (gentilissimo regalo di Mauri degli Emotionz) è un tuffo in un oceano di ricordi, spesso divertenti, talvolta desolanti, altre volte commoventi fino alle lacrime.
Si parla dei campioni ma soprattutto dei bidoni che hanno attraversato la storia della squadra isolana.
Scoppia il cuore a leggere di GIGI RIVA (Piras scrive troppo bene e coglie alla perfezione la storia di vita del campione varesino) o di TOMASINI, di SCOPIGNO, si piange quando si legge della tristissima parabola diNENE', si resta sconcertati dal talento buttato da campioni comeFABIAN O'NEILL che alle grandi capacità ha sempre preferito la bottiglia, si sorride amaramente per la storia sempre da comprimario della talentuosa riserva di Albertosi, REGINATO, non si può che ridere delle "imprese" di VICTORINO o del portiere MINGUZZI. Ma ci sono anche CELLINO, FRANCESCOLI, URIBE, ZOLA e tanti altri.
Non importa essere tifosi rossoblu, questo è un libro divertentissimo, pieni di passione e da leggere al volo (Ggazie a Mauri Emotionz per il regalo !).
GIL SCOTT-HERON – L’ultima vacanza
E’ un’opera coraggiosa e benemerita quella della casa editrice LiberAria che con la brillante e riuscita (per quanto complessa) traduzione di Daniela Luicci, porta in Italia il testamento scritto del poeta, artista e musicista afro americano GIL SCOTT HERON, prematuramente scomparso nel 2011, dopo aver lasciato alcuni indimenticabili capolavori della black music.
“L’ultima vacanza” è una parziale autobiografia dei primi anni di vita e carriera e un sentito racconto dell’esperienza che Scott Heron visse nel 1980/1981 in tour con Stevie Wonder. Come era sua caratteristica nei dischi e nei reading, Gil è ironico, pungente, caustico, sincero, diretto, sardonico, scrive magnificamente, sa rimanere in equilibrio tra sorriso e estrema serietà, parla di politica, diritti civili con profondità e leggerezza allo stesso tempo.
Il libro è zeppo di pagine epiche ed è un perfetto approccio per chi ancora non ne conosce l’incommensurabile arte.
COSE & SUONI
“RevoLuce” è il nuovo album di Lilith and the Sinnersaints.
Chiuso il tour primaverile saremo il 5 giugno a Cernusco allo Strummer Calling
https://www.facebook.com/pages/Strummer-Calling/528086920610472 poi il 3 luglio in provincia di Pavia al Montegutzo Festival e poi altrove.
www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints
Mie recensioni quotidiane su www.radiocoop.it
IN CANTIERE
MERCOLEDI' 3 giugno a Cortemaggiore (PC) si torna con Alberto Galletti a presentare ROCK n GOAL all'HOSTERIA delle IMMAGINI in Piazza Patrioti alle 21.
VENERDI' 5 giugno a Cernusco LILITH and the SINNERSAINTS allo Strummer Calling con un sacco di altri gruppi.
DOMENICA 7 GIUGNO presentazione al "Mind the Step" di Milano della bio su PAUL WELLER con gli ASSIST in acustico a rifare brani del Nostro.
https://www.facebook.com/events/800059223405726/
LUNEDI' 15 giugno a Piove di Sacco (PD) altra presentazione sul PAUL WELLER book mentre a breve dettagli e conferme per Teramo, Pescara e Campobasso.
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Il meglio del mese
giovedì, maggio 28, 2015
Get Back. Dischi da (ri)scoprire
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
BUDDY MILES - Them changes (1970)
Fresco dell’esperienza con la Band of Gypsies con Jimi Hendrix, Buddy Miles pubblica nel 1970 un piccolo gioiello soul/funk/rock, aiutato da una serie di musicisti di prima qualità, da Billy Cox ad Andre Williams (session man con Who, Labelle, Sly and Family Stone) , il bassista David Hull (che affiancherà poi Joe Cocker e Aerosmith tra gli altri).
Otto brani tra cui spicca il super funk della title track, brani blues pieni di soul come “Down by the river” di Neil Young, un’accademica ma trascinante “Memphis train” di Rufus Thomas (con i Memphis Horns in formissima) lo stupendo Hammond jazz strumentale “Paul B Allen, Omaha, Nebraska” che fà il verso a Booker T and the Mg’s e dove Buddy mostra la sua incredibile tecnica batteristica e un gusto eccelso.
LIONEL HAMPTON - Them changes (1970)
Un inusuale viaggio nel funk elettrico per la leggenda del vibrafono Lionel Hampton, alle prese con una discreta cover di “Light my fire” una “California dreamin” soft funk, un’ottima , sofferta, “Ain’t no sunshine” di Bill Withers, “Tired to be alone” di Al Green e tanto altro tra cui una bellissima versione della title track (di Buddy Miles).
Non sempre convincenti le voci ma grande groove ovunque.
I NOMADI - Noi ci saremo (1977)
I NOMADI - Naracauli e altre storie (1978)
A metà degli anni 70 la band di Daolio e compagni non viveva un periodo di grande popolarità, spesso relegata a suonare in feste di paese e, dopo il successo di “Io vagabondo” di qualche anno prima, lontana da tempo dai vertici delle classifiche.
Escono in questi anni però album interessanti, non sempre riusciti, talvolta prolissi e che riascoltati oggi risentono notevolmente dell’invecchiamento. Ma i due lavori presi in considerazione hanno momenti di eccellenza.
In “Noi ci saremo” spicca quel gioiello di “Il fiore nero” che ben si affianca ad una serie di altri brani dalle tematiche ideologico/politiche piuttosto dure e impegnate mentre i “Naracauli” , altrettanto interessante trova spazio la lunghissima “Joe Mitraglia”, tra le migliori canzoni in assoluto sulla Resistenza.
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Get Back
mercoledì, maggio 27, 2015
Pat Smear
La rubrica DARK SIDE OF THE SUN va alla scoperta di quei personaggi rimasti sempre nell'ombra di grandi artisti (talvolta parenti stretti) ma essenziali nella loro carriera senza godere mai delle luci della ribalta. Dopo Enrico Ciacci (fratello e chitarrista di Little Tony), Ian Stewart pianista fondatore dei Rolling Stones, Simon Townshend, fratello di Pete, il padre/manager di Paul Weller, John Weller, Marco Pirroni, da sempre nelle retrovie di alcuni tra i principali act della scena punk/new wave, Andy Summers, nomade della musica dagli anni 60 ad oggi, è la volta di PAT SMEAR che dopo i Germs ha affiancato alcuni degli acts di maggior successo.
Le altre puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Dark%20side%20of%20the%20sun
Di origini tedesche, native americane, africane, PAT SMEAR è arrivato ai vertici dello stardom affiancando nomi come Nirvana e Foo Fighters come chitarrista ritmico.
Anche se l'impronta più significativa è probabilmente la prima, con quel "GI" con cui i GERMS del compianto Darby Crash nell'ottobre del 1979 scrissero uno degli album punk (prodotto da Joan Jett) più importanti della storia.
Sciolta la band dopo la prematura scomparsa del vocalist Pat si dedica ad un paio di album solisti, a varie collaborazioni, e nel 1981 al nuovo progetto dark punk dei 45 GRAVE con l'ex Germs Don Bolles.
Viene inaspettatamente convocato da Kurt Cobain nel 1993 a fare la ritmica con i NIRVANA con cui incide il famoso (e bellissimo) "Unplugged in New York" prima che la morte di Cobain metta fine all'esperienza.
Dave Grohl lo vuole con sè nella nuova formazione dei FOO FIGHTERS con cui condivide i primi anni per poi lasciarli per un lungo periodo (durante i quali riforma, malamente, i Germs con l'attore Shane West, che impersonava Darby Crash nel fil a loro dedicato, alla voce...).
Torna stabilmente con Dave e la band nel 2005 (trovandosi a suonare anche con Paul McCartney tra i tanti altri...).
Chitarrista solido, grande ritmica, sempre discreta e al servizio dei leader, presenza scenica modesta ma sempre riconoscibile.
"Quando suonavo con i Germs non avevo una chitarra. Me la facevo prestare dagli altri gruppi ad ogni concerto, quello che trovavo andava bene...."
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Dark side of the sun
martedì, maggio 26, 2015
Jimi Hendrix dal 1970 ad oggi
FANTASIE ROCK è una rubrica ironica e leggera che immagina il proseguio della carriera dei defunti prematuramente nella storia del rock.
Jimi Hendrix dopo un lungo silenzio seguito alla riabilitazione dopo l'overdose che lo portò ad un passo dalla morte nel settembre del 1970, condivide il capolavoro On the corner con Miles Davis nel 1972, album epocale ma che rimarrà unico episodio della collaborazione tra i due.
Monumentale ma non del tutto riuscito anche il triplo condiviso con Fela Kuti alla fine dei 70's.
Lavora anche con Funkadelic, Sly and the Family Stone, Gil Scott Heron, realizza ancora qualche ottimo album solista, prima di entrare nella controversa e discussa svolta elettronica degli anni 80 (spesso a fianco di Herbie Hancock) per poi tornare ad un canonico e più convenzionale ma sempre dignitoso blues dagli anni '90 fino ad oggi tra buoni, sempre meno frequenti, album ed esibizioni live sempre all'altezza.
Sempre disponibile alle collaborazioni troviamo la sua chitarra in dischi di Paul McCartney, John Lennon, Bob Dylan, Eric Clapton, Bad Brains, Bob Marley, Herbie Hancock, Chick Corea, Stevie Wonder, Madonna e ultimamente D'Angelo.
Rimangono tuttora oscuri i motivi della rottura con Prince con cui registrò una serie di brani mai pubblicati, rigorosamente segreti e mai ascoltati su bootleg.
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Fantasie Rock
lunedì, maggio 25, 2015
La scritta The Clash di via Trebbiola a Piacenza
Questa scritta è in un androne di un palazzo di via Trebbiola, storica strada in centro a Piacenza.
E' lì dal 1980 ed ancora resiste con il suo antico messaggio.
E' l'ultima di quelle con cui tappezzavamo la città, per lasciare il segno di una "presenza", un attestato di esistenza.
Nel 2015 una scritta simile non ha più alcun significato, è vuota, ma alla fine degli anni '70, inizi anni 80, era importante, distintivo, un richiamo per chi condivideva anche vagamente i nostri gusti e, di conseguenza, la nostra identità.
Se nel 1980 ti piacevano i Clash voleva dire che stavi da una parte ben precisa e il fatto di scriverlo su un muro era come squarciare la montagna dell'omologazione.
Voleva dire: NOI CI SIAMO.
In tempi di nuova omologazione e di ribellione sopita, in cui tutto deve essere lindo, pulito, ordinato, la scritta The Clash di via Trebbiola resiste ancora, dopo 35 anni.
E ogni volta che la vedo mi rincuora.
domenica, maggio 24, 2015
Pyramiden
La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia o comunque estremi.
I precedenti post:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo
Pyramiden, ex avanposto minerario sovietico si trova sull’isola norvegese di Spitsbergen nell’arcipelago delle Svalbard in pieno oceano Artico, appena 1300 km a sud del Polo Nord.
A causa della forma piramidale della montagna che sorge alle sue spalle, la città venne chiamata Piramide dal gruppo di minatori svedesi che la fondò nel 1910.
La città fu venduta nel 1927 all’Unione Sovietica che ne sfruttò le miniere di carbone fino al 1991. Venne abbandonata definitivamente nel 1998 a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica e dell’interruzione dei sussidi alle popolazioni residenti.
Gli edifici sono ancora perfettamente conservati, grazie alle temperature gelide. C'è chi sostiene che potrebbe essere l’ultima città a deteriorarsi sulla faccia della terra.
Pyramiden è attualmente in fase di nuovo sviluppo per accogliere i turisti. Dal 2013 sono circa 30 le persone che vivono qui a turno per mantenere attivo l'insediamento, sono stati aperti un hotel, un piccolo museo, una caffetteria.
L’unico abitante permanente si chiama Vladimir Prokofiev, 33 anni, guida turistica.
Unico modo per raggiungere la città: barca o motoslitta. A Pyramiden sorge il monumento di Lenin più a nord del mondo.
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La fine del mondo
sabato, maggio 23, 2015
venerdì, maggio 22, 2015
Riccardo Fogli - Matteo
GLI INSOSPETTABILI è una rubrica che scova quei dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr, il secondo dei Jam, "Sweetheart of the rodeo" dei Byrds, Arcana e Power Station, "Mc Vicar" di Roger Daltrey, "Parsifal" dei Pooh, "Solo" di Claudio Baglioni, "Bella e strega" di Drupi, l'esordio dei Matia Bazar e quello di Renato Zero del 1973, i due album swing di Johnny Dorelli, l'unico dei Luna Pop," I mali del secolo" di Celentano, "Incognito" di Amanda Lear, "Masters" di Rita Pavone, Julian Lennon, Mimmo Cavallo con "Siamo meridionali"e i primi due album dei La Bionda di inizio 70's, il nuovo album dei Bastard Son of Dioniso, "Black and blue" dei Rolling Stones, Maurizio Arcieri e al suo album "prog" del 1973 "Trasparenze", Gianni Morandi e "Il mondo di frutta candita", il terzo album degli Abba, "666"degli Aphrodite's Child, la riscoperta di Gianni Leone in arte Leonero, il secondo album di Gianluca Grignani, Donatella Rettore e il suo "Kamikaze Rock 'n' Roll Suicide", Alex Britti e "It.Pop", le colonne sonore di Nico Fidenco , il primo album solista dell'e Monkees, Davy Jones, Mike McGear (fratello di Paul McCartney), Joe Perrino, il ritorno di Gino Santercole, l'album del 1969 di Johnny Hallyday con gli Small Faces, la svolta pop della PFM, gli esordi degli Earth Wind and Fire e quelli degli UFO, e l'ultimo di Jovanotti, uno dei primi lavori di Bruno Lauzi, l'album prog del 1972 dei DIK DIK, oggi un insospettabile per eccellenza, quel RICCARDO FOGLI che nel 1979 compose un'opera rock progressive pop piuttosto interessante.
Le altre puntate de GLI INSOSPETTABILI qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Gli%20Insospettabili
Lasciati i Pooh nel 1973, la carriera solista di RICCARDO FOGLI non è stata costellata da episodi artisticamente memorabili anche se il successo non gli è mai mancato e quando la popolarità è scesa dalle nostre parti ne ha trovato in abbondanza nei paesi dell’Est dove è tutt'ora un'icona (è stato ospite speciale nella festa per l'"indipendenza" della Crimea).
In mezzo a dischi super commerciali e ultra melodici, nel 1979 si buttò in un progetto assolutamente anomalo e fuori tempo massimo: un’opera rock di stampo prog, interamente composta da Fogli e prodotta con Marcello Aitiani, prontamente rifiutata dall’etichetta che intuì il prevedibile fiasco di vendite...
Il concept album narra la vita di un uomo ripresa al contrario, dalla morte alla nascita, adattando in musica "Il Curioso Caso Di Benjamin Button" di Fitzgerald.
Per ascoltare “Matteo” bisognerà attendere il 1999 quando la rivista specializzata "Raro!" pubblica in tiratura limitata (1000 copie) la versione rimasterizzata in CD.
L’album, pur indulgendo spesso in melodie palesemente “facili”, è una sopresa continua, passando da brani proto ambient (alla Vangelis) a momenti di rock melodico, tra Procol Harum e Aphrodite’s Child, a episodi che sembrano avvicinarsi ai primi Yes, alle Orme, con arrangiamenti vocali Beatlesiani.
C’è perfino un potentissimo riff hard psych all’inizio di “No mio Dio” che poi prosegue come una versione nostrana dei Genesis.
Un album particolarissimo, originale nell’assemblare una serie di influenze inusuali, molto ben realizzato, a cui vale la pena dare un ascolto.
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Gli Insospettabili
giovedì, maggio 21, 2015
Siamo dei Johnny Ramone o dei Joe Strummer ?
ANTONIO ROMANO ci regala un altro grande pezzo.
I precedenti articoli di Antonio Romano sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Antonio%20Romano
Parto un po’ decentrato rispetto al cuore di questa mia riflessione. Ricordo che, quando lessi per la prima volta, sette anni fa, “Uscito vivo dagli anni 80”, uno degli aneddoti raccontati da Tony che più mi sono rimasti impressi, e che ancora oggi mi rimbalza in testa nei momenti di riflessione, è il suo incontro a Londra con Joe Strummer. Quello che mi ha colpito non è stato tanto il fatto, di per sé straordinario, che Joe avesse invitato a bere con lui un ragazzetto italiano che lo aveva incrociato casualmente di notte per strada, quanto il fatto che quel ragazzetto italiano, fieramente mod, avesse provato quasi imbarazzo, al cospetto di Joe, per le toppe northern soul che aveva cucite sul parka (ora non ho il libro sotto mano, però ricordo distintamente che Tony usa l’espressione “amenità northern soul”).
La mia riflessione verte, dunque, proprio su questo:
quanto, noi che viviamo la musica in maniera così passionale e come stile di vita, riusciamo a bilanciare la nostra anima –permettetemi- conservatrice con l’aspetto –forse questa parola piacerà di più- rivoluzionario del rock’n’roll. Mi spiego: ascoltiamo ed amiamo tutti, per fare degli esempi generalissimi ma che potrebbero accomunarci, Muddy Waters, Elvis, gli Who, i Beatles, James Brown e tutti questi artisti metà morti e metà moribondi; ma, al contempo, ci riteniamo culturalmente “moderni” e progressisti. E quando ascoltiamo artisti a noi “contemporanei” prediligiamo quelli il cui sound e la cui estetica è ancorata o cita quegli altri: sempre mantenendomi vago, i Jam, i Buzzcocks, gli Specials, gli Smiths, gli Oasis e tutti quelli che vogliamo nominare.
Chi siamo quindi? Dei Johnny Ramone, musicalmente reazionari (ok, lui lo era anche politicamente) secondo cui con la fine degli anni ’70 ci sarebbe stata “the end of the Century”, o degli Joe Strummer, che affrontano la vita -e la musica, perché di questo stiamo parlando- all’assalto, con tanto di fazzoletto rosso-nero da guerrigliero Sandinista?
Johnny o Joe? Johnny Ramone è l’emblema del pop, di quello che Andy Warhol intendeva con quel concetto, americano fino all’osso, zero profondità perché non c’è tempo per sedersi a riflettere: è la lattina di Coca Cola che, la compri un barbone o il Presidente degli Stati Uniti, costa uguale ed è buona e fresca allo stesso modo. Joe Strummer incarna, invece, l’artista carismatico ma sensibile, è, senza svilire il senso del termine, il profeta, per dirla con i suoi Mescaleros, “global a go-go”, che da Londra parla a tutte le città del mondo: Joe è quello che si mise a piangere vedendo in tv il servizio sui bombardamenti in Iraq col sottofondo di “Rock the Casbah”.
E a me piace pensare di essere un po’ l’uno e un po’ l’altro. Tutti noi che stiamo leggendo il blog di Tony lo siamo, metà Johnny e metà Joe. Ma, badiamoci, non è una divisione netta, un aspetto non è alternativo all’altro od esclusivo dell’altro, non è una convivenza pacifica o pacificata tra le due tendenze dentro di noi, ma incorporiamo contraddittoriamente l’una e l’altra, contemporaneamente.
Siamo, cioè, esattamente come quelle foto dei primi anni 2000 in cui sono ritratti Johnny Ramone e Joe Strummer insieme: si, ci sono entrambi, uno accanto all’altro che sorridono cortesemente e si prestano all’obiettivo, ma quasi non si toccano, ognuno posa per i fatti suoi, Johnny con la sua tipica aria scazzata, Joe con la sua spavalderia un po’ goffa e quasi rassicurante. Siamo così, con questi due aspetti che non si concilieranno mai, e se a volte emerge l’uno sull’altro è solo perché, facendo a cazzotti, ha momentaneamente prevalso: nella scazzottata di domani potrebbe prevalere l’altro.
Musicalmente siamo, ammettiamolo, più conservatori che progressisti. Abbiamo queste due anime incompatibili una con l’altra, eppure noi le facciamo coesistere, talvolta disinvoltamente, talvolta senza neppure rendercene conto o porci il problema.
Pensiamoci. Ogni volta che, rispondendo alla domanda su quale siano le nostre band preferite, rispondiamo con nomi di quaranta o cinquant’anni fa siamo il Johnny Ramone conservatore e reaganiano con la maglietta dei Marines; ma ogni volta che, ascoltando un brano, ci esaltiamo o commuoviamo per la sua profondità siamo il Joe Strummer che, con i Clash, univa i suoni ribelli del mondo a lui contemporanei (punk, reggae, funky, rap) esibendosi con la maglietta “Brigade Rosse – RAF”.
E ogni volta che rimaniamo ammaliati da una vecchia foto dei Rolling Stones o degli Small Faces siamo sicuramente il Johnny Ramone chitarrista e leader dei Ramones che nel 1974 imponeva a tutti di vestirsi con jeans, maglietta e giacchetta di pelle, less is more, e diventare dei fumetti viventi; ma ogni volta che ci incazziamo di fronte alle ingiustizie siamo il Joe Strummer hippie che nel 1974 suonava in metro sempre la stessa canzone, il Joe Strummer punk del primo album dei Clash o il Joe Strummer di nuovo quasi-hippie del periodo post-Clash.
E ogni volta che, eterni teenager, aspettiamo il weekend per uscire a bere, ballare e, magari, rubare il cuore a una ragazza non siamo altro che il Johnny Ramone con la maglietta di Mickey Mouse che a quarant’anni ancora collezionava figurine di baseball; ma la nostra fede nell’”emancipate yourselves from mental slavery” ci sprona a difenderci, a non fermarci mai per non essere schiacciati, informandoci e restando sempre all’erta nella nostra quotidiana “White Riot”.
E -potremmo continuare all’infinito con gli esempi- non crediamo, con Joe Strummer, che tramite il rock’n’roll, e la musica tutta, possiamo essere liberi, ognuno con la sua identità e la sua diversità, proprio come un “White Man in Hammersmith Palace” che balla il reggae accanto ai rasta? Ma, allo stesso tempo, non facciamo forse parte del “Commando” di Johnny Ramone, ogni qual volta rabbrividiamo ascoltando un brano moderno non suonato da strumenti musicali “veri”?
A queste cose, che magari a tanti potranno sembrare masturbazioni celebrali, io ci penso spesso, ma non sono mai stato in grado di darmi una risposta soddisfacente alla domanda da cui sono partito. L’unica certezza è che so di cullare in me queste contraddizioni: ché amare, per esempio, i Kinks, sperando nel ritorno di una band uguale ai Kinks, non è poi così diverso dall’avere il mito del Sacro Romano Impero, sperando nella sua restaurazione. Ma, allo stesso tempo, proprio come un individuo contemporaneo che aneli al Sacro Romano Impero è chiaro che non vorrebbe mai vivere in condizione di servo della gleba, sono certo che, se la musica non fosse andata avanti e avanti e ancora avanti rispetto agli anni ’60 e ’70, non amerei così tanto i Kinks.
Per questo motivo, ho sempre provato empatia con Tony per la storia del suo imbarazzo di fronte a Joe Strummer: amiamo la musica del passato (a volte remoto), ma ci consideriamo moderni che più moderni non si può e, in tutto questo, spesso non ci sentiamo in contraddizione.
O, almeno, è raro che incontriamo Joe Strummer per farci provare imbarazzo.
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Antonio Romano,
Filosofia
mercoledì, maggio 20, 2015
La musica di destra in Italia
Sono note le mie posizioni ideologiche e politiche, sempre e comunque palesemente antitetiche e agli antipodi, a tutto ciò che si connota “di destra”. Questo viaggio nella musica di destra (o come si è sempre autodefinita "musica alternativa") nasce dalla curiosità di ascoltare, conoscere e riassumere una realtà che esiste ed è esistita, per quanto agli opposti, come contenuti, da ciò che personalmente abitualmente seguo.
Puntate precedenti qui:
http://tonyface.blogspot.it/2015/05/la-musica-di-destra-in-italia.html
Dagli anni 80 ad oggi
Con l’ondata neo skin (successiva al punk) di fine anni 70 di estrema destra, capeggiata dagli inglesi Skrewdriver si sviluppa ovunque una scena che si rifà ad un sound duro e roccioso di derivazione punk oi! con frequenti concessioni al metal.
Gli anni 80 e 90 vedono anche in Italia la nascita di numerosissime formazioni affini, gran parte delle quali destinata a vita breve ed oscura. I testi sono sempre più espliciti e meno mediati da istanze generiche, si entra a piedi uniti su tematiche come razzismo/potere bianco, invettive violente contro gli avversari politici e non, spesso in modo sguaiato e senza alcun filtro dialettico, ben lontani da quanto avvenuto nei decenni precedenti.
Successivamente con l’avvento del Veneto Fronte Skinhead e di Casa Pound l’organizzazione di concerti, circuiti, etichette (la Rupe Tarpea in particolare) si fa sempre più articolata e accurata e le iniziative sempre meno “clandestine”.
I nomi sono ormai decine e decine, i concerti (anche all’estero, negli appositi circuiti) sempre più numerosi, la “scena” ha un seguito costante.
Tra i nomi di spicco da segnalare i vicentini PEGGIOR AMICO con due album e un CD e una decina di anni di carriera dal 1986 in poi con un oi punk sound venato di metal.
Uno dei componenti era membro dei PLASTIC SURGERY band veronese vissuta tra il 1981 e il 1986.
Sempre dal Veneto arrivano i GESTA BELLICA, nati nel 1990 e tutt’ora attivi con un nutrito numero di pubblicazioni (prevalentemente per la vicentina Tuono Records e un largo seguito.
Anche i romani 270 BIS, con sonorità melodiche, nati nei primi 1990 sono tutt’ora in attività con alcuni album all’attivo.
E’ del 2000 la nascita dei triestini ULTIMA FRONTIERA con 4 album all’attivo tra ballate e rock duro.
Tra i nomi di spicco gli ZETAZEROALFA, nati nel 1997, apertamente schierati, una mezza dozzina di album, concerti inEuropa, Canada, Thailandia, “inventori” della “cinghiamattanza” (prendersi a cinghiate sotto il palco).
Da Milano il punk metal dei MALNATT, nati nel 1998, varie produzioni e la partecipazione al film “ACAB” e da Roma i tiratissimi BRONSON.
Da annotare anche l’intensa attività discografica (una decina di lavori dal 2001 ad oggi) del cantautore milanese SKOLL.
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La musica di destra in Italia
martedì, maggio 19, 2015
La non necessità del potere
Torna ancora, come sempre benvenuto, ANDREA FORNASARI e il suo spazio a sfondo filosofico.
Gli altri interventi qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Filosofia
Può servire allo scopo, ad esempio, la ricostruzione delle prime ideologie del potere. Joseph Campbell fornisce tracce molto utili per vedere i passaggi dalle primissime immaginazioni umane di un Creatore increato alle figure mitologiche; dalle figure mitologiche fondatrici alle figure umane degli Eroi; da queste allo sfruttamento del mito in funzione di poteri arbitrari e violenti dei Grandi Sacerdoti e dei Re. Ma da tanti altri dati offerti dagli studi classici si possono dedurre le manipolazioni dei miti primari nei momenti della formazione dei primi poteri dominanti. Sembra, ad esempio, che il mito di Ercole fosse, all'origine, un mito di civiltà agricole antichissime dove l'eroe uccideva le belve che insidiavano i raccolti e inventava sistemi per ripulire le stalle. Furono con ogni probabilità i Micenei a fare di Ercole l'eroe delle dodici fatiche impostegli dal re Euristeo (simbolo del potere miceneo) a cui Ercole obbedì fedelmente, anziché sostenere una fatica sola e, cioé, quella di eliminare l'oppressore.
Ma più in generale si hanno vere e proprie circolazioni di élites sul Monte Ida (Creta) o sull'Olimpo (Grecia) in funzione del potere. Le antiche dee madri, come è noto, devono accettare la subordinazione a déi maschili o essere espulse. Addirittura alcune divinità importanti un tempo come Teti, Proteo, Pan eccetera, e lo stesso Dioniso diventano figure secondarie o negate. Gli déi autocratici, come Zeus, si erigono come sovrani assoluti ed arrivano a partorire, in stravolgimenti incestuosi, le loro stesse dee madri.
La mente astratta maschile ormai dominante si dimostra, così, capace di espropriare l'utero terrestre femminile, assumendo in sé tutti i poteri, anche quello di generare figli.
Intanto Dioniso, dio delle feste, della libertà e dell'uguaglianza fra i sessi, viene sistematicamente calunniato fino a renderlo responsabile, attraverso le Baccanti, dell'assassinio del figlio da parte della madre (in Euripide).
Il mito, da contenitore emblematico e aperto di civiltà umane, si fa rigido contenuto di sacralizzazione del potere, mass media antico, manipolato per creare l'accettazione del dominio dell'uomo sull'uomo. Ma a questa macro-operazione reazionaria c'è anche chi si oppone. Ad esempio Ulisse, che sfugge proprio all'ira degli déi, e ridiventa re-pastore su un'isola rocciosa, re che tratta come amici i suoi 2schiavi" che lo ricambiano con l'amicizia, uomo fra gli altri, ricco di sogni e povero di ricchezze, lui stesso giustiziere di poteri arroganti e parassitari come i Proci.
José Gil mostra come le società senza Stato avevano un loro ordine dove quello che noi impropriamente chiamiamo "capo" era, in effetti, senza altri poteri che quelli di pacificatore e di distributore di ricchezze, fino a non possederne alcuna. Si tratta delle società in cui il capo "è più se ha meno". L'antico capo o quello di molti gruppi tecnologicamente semplici (non primitivi) non accumula violenza, ma opera con giustizia e disinteressatamente. Non c'è ancora lo Stato come monopolio della violenza dove la giustizia è ingiusta per definizione.
Al deficit delle facoltà di scelta e di intervento dei cittadini corrisponde il "pluspotere" dello Stato e delle forze "professioniste" in potere che partecipano al dominio: quanto più si fa minuscola e desautorata la società, tanto più si fa maiuscolo e arrogante lo Stato.
Da Hobbes a Hegel, e oltre, molta filosofia del diritto ha postulato che senza lo Stato non sarebbero mai potute esistere società stabili ed evolutive.
L'antropologia moderna li ha completamente smentiti. Ugualmente le idee cartesiane "chiare e distinte" hanno dissolto le teorie di Bodin, noto e autorevole cacciatore di streghe. Bodin aveva scritto. "Per sovranità si intende quel potere assoluto e perpetuo che è lo stato". Ma oltre a Bodin, a partire dalla rivoluzione protestante, lo Stato moderno sorge: come forza terrestre, anche se sopra gli uomini; come luogo dei vari interessi che si riuniscono negli "stati generali"; come centro legittimato non più dal diritto divino, ma dalla "rappresentanza dal basso". Anche il re diventa un delegato. Tuttavia anche queste, sia pur parzialmente laiche, sono maschere di nuovi poteri, emersi con la rivoluzione inglese del '600 e con quella francese del '700.
Oggi sappiamo che la rappresentanza è una finzione, una cerimonia o addirittura un festival, come nelle elezioni presidenziali americane. Ho preferito effettuare questo feedback anziché azzardarmi in prospettive (che potrebbero troppo facilmente esser fatte passare per utopie), per ricordare che gli Stati in cui viviamo non sono per nulla né naturali, né necessari, né il male minore, e per chiarire, alla luce delle moderne ricerche, che questo tipo di Stato è nato solo recentemente - con radici che volendo possiamo far risalire a circa cinquemila anni fa, senza essere stato affatto condiviso o praticato da tutte le civiltà rispetto ad una vicenda umana di milioni di anni e di cinquantamila anni di homo sapiens sapiens.
Ormai, il possibile superamento della divisione in dominanti e dominati, dirigenti e diretti, governanti e governati sta nel passare oltre le due grandi stupidità moderne: in alto, per chi comanda sempre più fittiziamente ed illusoriamente, e in basso per chi tesse continuamente rapporti orizzontali che formano l'essenza dei nuovi modi di collaborazione organizzativa, anche produttiva, del mondo telematico, ma non ha ancora trovato l'intelligenza o la volontà per accorgersene.
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Filosofia
lunedì, maggio 18, 2015
Necrofilia musicale
Una pratica, per fortuna ultimamente sembra sempre più limitata, che ha caratterizzato spesso la storia del rock è quella di far “rivivere” i musicisti defunti utilizzando registrazioni effettuate prima della prematura scomparsa, sovraincidendo nuovi strumenti, rimixando, completando, tirandone fuori nuovi brani pronti a soddisfare la sete dei fans.
Incominciò addirittura alla fine degli anni 50 il manager di BUDDY HOLLY che pubblicò sei brani lasciati incompleti dal giovane rocker nell’album dell’aprile 1960 “The Buddy Holly Story vol. 2” tra cui “Crying, waiting, hoping” poi assurta a maggiore celebrità con la cover che ne fecero i Beatles nel 1962 nell’audizione, fallita, per la Decca.
Il produttore Alan Douglas invece prese alcune incisioni demo di JIMI HENDRIX, le fece reincidere da vari session men (che Jimi non aveva mai nemmeno conosciuto), togliendo spesso le basi originali suonate dalla Experience o da Buddy Miles e Billy Cox. Nacquero così “Midnght lighning” e “Crash landing”, pubblicati nel 1975. La cosa si ripetè anche in brani successivi sparsi nella miriade di uscite postume.
Nel 2007 “If I can dream” di ELVIS PRESLEY venne ripresa in duetto da CELINE DION durante “American Idol” sovrapponendo le immagini in diretta con quelle di un oshow del Re del 1968 (con la stessa tecnica usata per il film “Forrest Gump”).
Allo stesso modo aveva già fatto NATALIE COLE con il brano “Unforgettable” del padre NAT KING COLE nel 1992, riprendendo la versione originale del 1951.
Nel 1978 i DOORS superstiti musicarono alcune poesie recitare da JIM MORRISON portando l’album derivato “An American prayer” molto in alto nelle classifiche.
Nel 1999 il jazzista KENNY G, duettò con i lsuo sax con il povero LOUIS ARMSTRONG su “Wonderful world” restando sommerso da una (giustificatissima) marea di critiche.
Dopo la morte di MICHAEL JACKSON sono usciti (solo) due album con brani ripescati da vari scarti. In “Milk and honey” di JOHN LENNON e YOKO ONO, del 1984, i brani di John sono lasciati come nelle versioni originali (provini o poco più) mentre quell idi Yoko furono rifatti completamente. Diverso il discorso del postumo di GEORGE HARRISON “Brainwashed” completato da Jeff Lynne e dal figlio Dhani dopo la sua morte ma su sua precisa indicazione su come e dove intervenire.
Allo stesso modo FREDDY MERCURY incise alcune tracce vocali lasciando al esto dei QUEEN il compito di registrare le basi musicali dopo la sua morte. Il tutto finì in "Made in heaven" nel 1995.
TUPAC SHAKUR ha visto una lunga serie di album pubblicati dopo la sua morte, tra cui “Pac’s life” del 2006 con la solita sequela di duetti. Addirittura un suo ologramma si esibì sul palco del Coachella Festival nel 2012 !!
Il caso più eclatante e famoso è però relativo alla “reunion” dei BEATLES in occasione della pubblicazione dei tre volumi di “Anthology” che tra il 1995 e il 1996 raccolsero decine di rarità dei Fab Four con tanto di splendido documentario con la storia dettagliatissima della band.
A corredo Paul, George e Ringo aggiunsero i loro strumenti e voci a due demo suonati e cantati da John (concessi da Yoko), “Free as a bird” e “Real love” (un terzo “Now and then” o altrimenti conosciuto come “I dont want to lose you” fu iniziato e lasciato incompiuto).
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Rock Tales
domenica, maggio 17, 2015
Cidade de Kilamba
La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia o comunque estremi.
I precedenti post:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo
Cidade do Kilamba - Kilamba Kiaxi è una città dell'Angola, nella provincia di Luanda a circa 20 km dalla capitale, inaugurata l'11 luglio del 2011.
Il progetto fu concepito per ospitare 82.000 abitazioni su una superficie totale di 54 chilometri quadrati, destinate a mezzo milione di persone.
750 palazzine, una dozzina di scuole, campi sportivi modernissimi, il tutto realizzato dalla società cinese statale Citic (che ha tra l'altro impiegato quasi esclusivamente operai cinesi e non la popolazione locale che non ha tratto alcun vantaggio dall'operazione) in cambio delle concessioni petrolifere nel paese africano, ma completamente disabitato.
Il problema è che gli appartamenti a Kilamba costano tra 120 mila e 200 mila dollari, un prezzo fuori dalla portata dei circa due terzi di angolani che vivono con meno di 2 dollari al giorno.
Dei primi 2.800 appartamenti, solo 220 sono stati davvero venduti ma sembra che pochissimi si siano in realtà trasferiti in città.
E non sono stati sufficienti le numerose campagne del governo per invogliare all'acquisto.
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La fine del mondo
sabato, maggio 16, 2015
Bravi e Camboni - Paolo Piras
Per un tifoso del CAGLIARI come il sottoscritto un libro come questo (gentilissimo regalo di Mauri degli Emotionz) è un tuffo in un oceano di ricordi, spesso divertenti, talvolta desolanti, altre volte commoventi fino alle lacrime.
Si parla dei campioni ma soprattutto dei bidoni che hanno attraversato la storia della squadra isolana.
Scoppia il cuore a leggere di GIGI RIVA (Piras scrive troppo bene e coglie alla perfezione la storia di vita del campione varesino) o di TOMASINI, di SCOPIGNO, si piange quando si legge della tristissima parabola di NENE', si resta sconcertati dal talento buttato da campioni come FABIAN O'NEILL che alle grandi capacità ha sempre preferito la bottiglia, si sorride amaramente per la storia sempre da comprimario della talentuosa riserva di Albertosi, REGINATO, non si può che ridere delle "imprese" di VICTORINO o del portiere MINGUZZI. Ma ci sono anche CELLINO, FRANCESCOLI, URIBE, ZOLA e tanti altri.
NOn importa essere tifosi rossoblu, questo è un libro divertentissimo, pieni di passione e da leggere al volo.
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Libri
venerdì, maggio 15, 2015
Cobresal
A El Salvador, paese di settemila persone a 2300 metri nel deserto di Atacama, il luogo più arido del pianeta, in CILE, dagli anni ’60 sorge un insediamento minerario di giacimenti di rame.
Nel 1979 per ordine di Pinochet viene creata la squadra di calcio del COBRESAL, grazie ad una elargizione statale, per tenere buoni i minatori, abitualmente piuttosto riottosi contro il governo.
Lo stadio che ospita le partite è El Cobre Stadium dalla capienza di 20.000 persone (ovvero il triplo della popolazione locale!).
Alle spalle il Cobresal poteva vantare un successo in Coppa del Cile nel 1987 quando tra le sue fila militava il futuro madrilista e interista Zamorano.
Dopo una lunga permanenza nelle serie inferiori e il ritorno in Serie A, quest'anno, partito con l'unico scopo di salvarsi, il COBRESAL ha vinto, contro ogni pronostico e logica, il campionato CILENO.
Media di spettatori per partita 898, nessun nazionale in squadra, tutti i giocatori, con l'eccezione di qualche argentino, sono cileni.
L’anno prossimo il Cobresal giocherà la Copa Libertadores.
Ogni tanto un altro calcio è possibile.
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