mercoledì, agosto 06, 2014
Umbria Rock Festival 2014: tre giorni nell'Umbriashire
Grande reportage del Nostro CHARLIE dall'Umbria Rock Festival 2014 con PAUL WELLER, CHARLATANS, PETER HOOK, KAISER CHIEFS, JAMES etc.
Foto di Armando Allegretti (prese dal web).
Un prato sconfinato della profonda campagna umbra, delimitato da una chiesa del 700 da un lato e da una catena montuosa dall’altro è stato il degno palcoscenico di Umbria Rock Festival, creatura fortemente voluta da un imprenditore inglese di origine indiana, Yash Bajaj, che da tempo passa le sue estati in questa oasi verde.
Partito sottotraccia e tra lo scetticismo generale di molti addetti ai lavori, il festival umbro si è rivelato per attitudine ed organizzazione il parente tricolore più prossimo dei festival anglosassoni e la forte risposta della comunità britannica, che sceglie l’Umbria come meta turistica estiva, unita a diversi stranieri giunti per l’occasione, ha dato alle tre serate rock un respiro internazionale.
Un po’ tiepida invece la risposta degli appassionati indie-rockers italiani ma trattandosi di un debutto c’è poco da lagnarsi, pure il celebrato e famoso Umbria Jazz 40 anni fa partì in sordina per poi rivelarsi un appuntamento irrinunciabile dell’estate italiana.
C’è quindi solo da augurarsi che nelle prossime edizioni il festival rock segua l’ascesa del suo fratello maggiore Umbria Jazz.
Ma veniamo alla musica.
Ovviamente l’offerta era ampia, come in ogni festival che si rispetti, e di altissimo livello e alla fine le defezioni di Basement Jaxx e The Courtneers sono state solo un effetto collaterale rispetto a quanto si è potuto vedere nel mastodontico palco “martano”.
PETER HOOK, a cui spetta il compito di chiudere la prima serata data l’assenza dei Jaxx, è un vecchio principe oscuro che con i suoi giri di basso ha fatto compagnia a molte inquiete adolescenze, sentire di nuovo dal vivo pezzi del calibro di Atmosphere, Ceremony o Love will tear us Apart da ancora quel brivido cupo dal sapore mancuniano anni ’80.
Chiaro, la sua voce non è quella di Ian Curtis, il cui spirito aleggiava nello sterminato prato umbro, ma come giustamente diceva una ragazza accanto a me “Hook in fin dei conti alla voce se la cava, e poi mica è colpa sua se Ian Curtis si è suicidato”.
Realismo umbro.
Il concerto di Hook fila via che è un piacere, tra reminiscenze dark e suoni della Manchester che viveva 24 ore su 24 (24 hour party people) e se i pezzi dei Joy Division fanno bene al cuore quelli dei New Order riattivano la circolazione.
Impossibile rimaner fermi per Blue Monday e Temptation.
Al venerdì a tinte dark fa seguito un sabato di forte impronta MODernista. PAUL WELLER ha dalla sua oltre 30 anni di onorata carriera, senza nessuna caduta di stile (in fin dei conti è il Modfather) ed un pubblico adorante che lo segue ovunque tanto che pure in questo lembo di campagna il suo concerto ha avuto un ottimo seguito.
Prima di Weller si sono fatti apprezzare gli emiliani Doormen, dal tiro brit adatto all’uopo, mentre un po’ fuori luogo son sembrati i cinesi Re-Tros una sorta di band post-punk a tinte scure che forse avrebbe trovato più estimatori nella serata del venerdì.
Detto del forfait dei The Courtneers spetta quindi ai CHARLATANS, della premiata ditta Burgess-Blunt, scaldare il pubblico che attende il divino Paul.
I Charlatans sono una leggenda di quel rock baggy britannico che vede nei Stone Roses il suo apice indiscusso, i pezzi del live set trasportano l’ascoltatore in un viaggio nel tempo che parte nel 1990 e che arriva fino ai giorni nostri.
E se durante The Only One I Know pare quasi di scorgere Jimmy Grimble che palleggia sul prato di Massa Martana, è con pezzi del calibro di Can’t get Out the Bed, Here come the Soul Saver e la torrida Sprostron Green finale che si viene travolti dalla carica dei Charlatans e del loro buffo cantante, Tim Burgess, acconciato come una Raffaella Carrà qualunque.
La band delle West Midlands regala al pubblico un’ora di ottima musica e scalda ottimamente la platea che attende Mr Weller con una certa impazienza. Il set del Modfather non delude affatto.
Si parte a pieni giri, con un robusto rock’n’roll sulle note di Sunflower e via a seguire con Wake up the Nation, From the floorboards Up, Fast Car-Slow Traffic, insomma un inizio molto movimentato a cui segue una chicca pescata dal repertorio degli Style Council.
Sulle note di My Ever Changing Moods il pubblico più datato (gli over 40 per capirsi) fa scattare quel sano entusiasmo che sa tanto di “io a quei tempi c’ero, con la mia vespa, la mia Fred Perry ed il mio pantalone perfettamente stirato” e poco conta se la Vespa invece che per Camden girava per Ponte San Giovanni.
Il pubblico di Weller è trans-generazionale quindi non fa specie vedere padri che si godono lo show con figli adolescenti salvati dall’incubo di un Vasco Rossi qualsiasi.
Lo show prosegue con momenti catchy al suono di Come on/Let’s go e Friday Street mentre è con Above the Clouds che si rischia di nuovo di concepire bambini.
Insomma un grande Weller, in ottima forma, che ha regalato tanti momenti memorabili tra i quali bisogna segnalare Start, dei leggendari The Jam, e poi il gran finale dove prima ci si culla al suono di The Changingman per finire a saltare come ossessi sulle note di Town Called Malice come fossimo tanti Billy Elliott fuori forma.
Memorabile duetto finale tra Weller e Burgess, il “ciarlatano” mal pettinato che ha cantato Town Called Malice con tanto di bignamino in mano, e dire che la platea sottostante le parole della canzone le conosceva a memoria!
Chiusura finale la domenica che comincia (almeno per me che ho bucato gli scozzesi Elara Caluna) con il rock tirato dei Cribs di cui va ricordata la notevole Be Safe e prosegue con una istituzione inglese poco conosciuta oversea come i JAMES.
Mancuniani, e veri ispiratori di tante più celebrate band che da Manchester partiranno alla conquista del mondo, i James hanno proposto un set colorato da un violino e da un tromba che ha spaziato da un flower-pop di stampo british fino ad arrivare a proporre in un gran finale due cavalli di battaglia molto apprezzati come Hymn of a Village e Come Home in una versione estesa e super-tirata.
Stranamente i James non hanno proposto il loro pezzo forte Sit Down atteso da molti, incluso il sottoscritto; in definitiva un bel set pur senza la ciliegina sulla torta che alla fine somiglia un po’ ad una vittoria della tua squadra del cuore ottenuta senza che abbia giocato il tuo calciatore preferito (tipo un Aston Villa – Stoke City 1-0 ma senza Benteke in campo…….d’altronde sognare non costa nulla).
Cambio di palco e alla rosa rossa dei Lancaster, degnamente rappresentata dai mancuniani James, fa subito seguito la rosa bianca dei York incarnata dai KAISER CHIEFS di Leeds.
Ad essere onesto non mi aspettavo molto dalla loro esibizione, diciamo che fino al terzo album mi piacevano molto poi decisamente meno, ed invece questa banda di uligani, che sembravano appena usciti da una terrace di Elland Road, ha dato vita ad una esibizione pirotecnica.
Tante le hit proposte dai Chiefs con un Ricky Wilson iperattivo che ha regalato ai fans uno show acrobatico fatto di gag, capriole, tuffi in mezzo al pubblico e arrampicate libere sulla torre delle luci.
Poi ovviamente c’era pure la musica e i Kaiser Chiefs al loro arco hanno frecce interessanti che hanno scagliato in serie a partire da Every day I Love You Less and Less, passando per Ruby, Never miss a Beat, Oh My God e per finire con I Predict a Riot.
E mentre Wilson predicava la rivolta ciondolando dalla torre delle luci un pubblico entusiasta salutava questa prima edizione dell’Umbria Rock Festival, un festival che è partito piano ma che con il tempo non farà fatica ad imporsi come appuntamento fondamentale dell’estate musicale italiana.
D’altronde chi va piano va sano e va lontano.
Saggezza popolare.
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Ma c'era gente ? Sembra di si
RispondiEliminaLa risposta del pubblico è stata un pò tiepida specie tra gli italiani mentre era folta la presenza di stranieri. Ciò dipende, secondo me, dal fatto che il cast era ottimo ma di nicchia (relativamente al pubblico tricolore ovviamente) e dal fatto che la macchina organizzativa si è messa in moto un pò tardi senza aver tempo di programmare una strategia più entrante. Detto ciò chi è stato a Massa Martana si è goduto un grande festival in un posto incantevole e suggestivo (il parco nord bolognese e gli ippodromi di San Siro e Capannelle non reggono il paragone) con un'organizzazione davvero di livello europeo. L'augurio che faccio a Yash è quello di trovare il prossimo anno il riscontro di pubblico che una iniziativa del genere merita; tra gli organizzatori circolava la voce che il prossimo anno il festival pescherà anche tra le band a stelle e strisce, insomma pare che Yash voglia rilanciare, d'altronde come già spiegato pure Umbria Jazz 40 anni fa faticò ad imporsi.
EliminaCharlie
coraggio! ogni macchina ha bisogno di rodare un minimo..
Eliminaprox anno se il programma e' ricco vi sara la prima grande calata dei nord casula
C
speriamo che sia un giusto presagio quello di un' Umbria Rock che si ripeterà in futuro, è stata una piccola Glastonbury in mezzo all'appennino, con folta partecipazione inglese, che mi ha fatto passare una serata splendida con Charlatans e Weller. Non è una rassegna da grandi numeri, e apprezzo che l'organizzazione non abbia ceduto a sputtanamenti per aumentare gli incassi, vedi Negramaro a Pistoia, perciò lunga vita a Umbria Rock!
RispondiEliminacome cazzo si è conciato tim burgess?!?! i charlatans li ho visti due volte, al canguro a san colombano nel 94 e ai magazzini a milano nel 2008 (o 2009), mi sono sempre piaciuti. primi 5 album spettacolari, poi a fasi alterne
RispondiEliminaalberto
Sir Indigo Moog05 agosto 2014 16:02
EliminaMa non dire cazzate
EliminaTu non hai voce in capitolo coglione!
@Alberto, li ho visti anche io i Charlatans al Canguro nel 94 e ai Magazzini Generali (nel 2010 mi pare), concordo primi 5 lp stratosferici, poi chi se ne frega di Burgess, biondo fa cagare ma anche prima non era il massimmo, per quanto mi riguarda l'ho sempre ascoltato e mai notato veramente , sempre stato più interessato nell' Hammond, a proposito li avevo visti anche al Rolling Stone nel 91
Grande Charlie
RispondiEliminacasula tanx!!!
C
Mi dicono che la prima eseguita non è Moonshine ma Sunflower. Correggo o confermi ?
RispondiEliminafa una certa differenza..diciamo che Sunflower in apertura e' abbastanza un classico di Paolino
EliminaC
manca la domanda classica di Sir Gallo:
Eliminae Party Chambers???? noooooo.......
C
Può essere, come ti avevo detto nella mail io appena ho visto il maestro sul palco ho sbroccato ed ho perso tutti i (pochi) freni inibitori che posseggo. Potere della musica.
RispondiEliminaCharlie
Correggi Tony: I was there, e non poteva non aprire con Sunflower in una terra meravigliosa così piena di campi di girasole...
RispondiEliminaCorreggi ha ragione Andrea, a proposito tu Andrea eri a a Massa Martana pure domenica?
RispondiEliminaCharlie