lunedì, aprile 17, 2023
Paul Marko - The Roxy London WC2
Monumentale racconto, attraverso le dichiarazioni di decine di protagoisti diretti della vicenda, sulla nascita del punk a Londra, alla fine del 1976, tra le umide e scure pareti del "Roxy", sul palco del quale fecero i primi passi alcuni dei grandi protagonisti della scena.
Ai tempi ancora spontanea, confusa, molto artistica e pochissimo politica.
Durò poco, come il primo punk e in breve tempo le grandi case discografiche e il sistema mediatico fagocitarono tutto.
Il punk cambiò pelle, il "Roxy" passò in brutte mani e la storia prese un'altra strada. Per i cultori di questo ambito un libro essenziale.
Paul Marko
The Roxy London WC2
Hellnation Libri
512 pagine
34 euro
Riprendo l'articolo scritto ieri per "Libertà" su libro e periodo.
In ogni vicenda lontana spesso la narrazione finisce per prendere il posto della storia per come è effettivamente stata e si è sviluppata.
Si incrociano inesattezze, sovrapposizioni, esagerazioni, personalismi e i contorni si sfumano e ridefiniscono in maniera poco fedele a quanto è veramente avvenuto.
Fortunatamente ci vengono spesso in aiuto documentazioni, attraverso accurate ricerche, che, riportate in libri, scritti con passione da testimoni e amanti di musica e sotto/contro culture, ci aiutano a capire meglio.
Noi, che fummo rivoltosi, antagonisti, progressisti, futuristi, modernisti, ci ritroviamo, in età avanzata, a svolgere il ruolo di “nuovi conservatori” (virtuosi ed encomiabili) che lavorano a mantenere tracce e memoria di un passato che altrimenti si perderebbe nell’oblìo.
Lo ha fatto anche Paul Marko in “The Roxy London WC2”, pubblicato finalmente nella nostra lingua da Hellnation Libri con la traduzione di Glezos, personaggio molto ben informato sui fatti raccontati nel libro.
Un lavoro ponderoso di oltre cinquecento pagine, ricchissimo di foto e documenti, che racconta la storia di quello che fu il primo locale (e sostanzialmente culla), tra la fine del 1976 e il 1977, del punk londinese, il “Roxy Club”.
Decine di protagonisti ricordano eventi, atmosfera, situazioni estreme, spesso divertenti, altre volte paradossali e non di rado drammatiche. George Webley, membro di una delle prime punk band londinesi, i Blitz, poi diventato apprezzato conduttore radiofonico alla BBC e compositore, è molto netto nel tratteggiare i contorni del punk inglese:
“Il punk non è una trovata di Vivienne Westwood e Malcolm Mclaren, due negozianti che hanno trovato il modo di fare soldi vendendo vestiti costosissimi a ragazzini di buona famiglia. Il punk non è un paio di bondage trousers o una t-shirt con due cowboys con il membro fuori (non ho mai visto qualcuno con quella maglietta al “Roxy”), era una polveriera che stava scoppiando in tutto il paese. Come nell’invenzione della ruota, non era il frutto del lavoro di una singola persona in una dato luogo e momento, ma era stata una moltitudine di bohemien a mettere tutto in moto. Malcolm McLaren può rivendicare quello che vuole ma lui vendeva solo vestiti. Va bene, ha aiutato i Sex Pistols, niente da dire, ma era un uomo d’affari aggrappato al treno. Nel corso degli anni quattro o cinque personaggi che rileggono la storia a loro uso e consumo si sono appropriate del punk”.
Il locale sorgeva a Covent Garden, ai tempi una zona non particolarmente gradevole come appare oggi, in una città ormai ampiamente ripulita e gentrificata.
Il “Roxy”, gestito da Andrew Czezowski, Susan Carrington e Barry Jones, prende il posto di un precedente night club e incomincia a dare spazio ai primissimi gruppi punk che, dopo l’apparizione dei Sex Pistols in Tv e la contemporanea esplosione mediatica, nascono come funghi. Chi per emulazione, chi per riciclarsi da precedenti esperienze artistiche poco fortunate ma alla fine molti dei principali protagonisti finiscono per calcare quel palco, dai Clash ai Generation X di Billy Idol, Buzzcocks, i Jam di Paul Weller, Siouxsie and the Banshees, Adverts e decine di altri. Il luogo è scuro, umido, decisamente poco propenso alla pulizia.
Molti gruppi improvvisano o quasi il loro primo concerto al “Roxy”.
Ricorda Chrissie Hynde, futura cantante dei Pretenders, cogliendo in pieno lo spirito del primo punk:
“Salire su un palco senza avere una cazzo di idea di come si fa e farlo lo stesso: questa era la cosa che rendeva tutto entusiasmante. Ero giù al Roxy tutte le sere per i primi mesi. Non era questione di essere una buona o cattiva band ma di essere lì a farlo. La gente andava a vedere una band, usciva carica, formava una band a sua volta e tornava al “Roxy” a suonare.”
Ancora più incisiva la dichiarazione di Armand Thompson che lavorava all’interno del locale e che lo ricorda così:
“Un casino totale: disorganizzato, caotico e la musica era piuttosto schifosa. Ma non importava, era una rivoluzione. C’era gente che disegnava vestiti, faceva fanzine e formava la sua band, facevi quello che volevi. Non dovevi essere bravo per forza, che poi è sempre stato un fattore molto relativo, il punto è che moda, musica e arte erano cambiate praticamente dall’oggi al domani e che ci stavamo divertendo tutti come pazzi a vedere i media bolsi e rincoglioniti cercare di capirci qualcosa. Nessuno capiva che il senso era: “fottetevi voi e le vostre regole, adesso facciamo da soli”.
Il Roxy era l’incubatrice di questa energia/anarchia e senza il Roxy tutto questo non sarebbe successo”.
Come è pressoché sempre accaduto, ciò che nasce “dal basso” e spontaneamente è un perfetto laboratorio gratuito per l’industria (discografica, estetica, moda, vestiario, oggettistica) e ben presto il punk diventa merce preziosa da ingoiare, digerire e restituire al pubblico come prodotto da consumare.
I principali gruppi firmano contratti vantaggiosi per grandi case discografiche, in tanti saltano sul carrozzone, si tagliano i capelli, un giubbotto di pelle, qualche chitarra distorta ed ecco confezionato il perfetto gruppo punk ad uso e consumo di un pubblico sempre più numeroso. Alla distanza i veri talenti si impongono, fanno carriera, diventando in alcuni casi nomi storici della musica pop rock (dai Clash ai Sex Pistols, per citarne solo due), il resto scompare o si ricicla nuovamente in nuove incarnazioni estetiche e artistiche.
I punk della prima ora mal sopportano i “poseurs” e i “turisti”, quelli che arrivano al “Roxy”, vestendosi da punk per l’occasione, per una serata un po’ folle e fuori dagli schemi o solamente per dare un’occhiata alla nuova moda e tendenza ma soprattutto al locale punk per eccellenza (diventato ancora più famoso dopo aver pubblicato un album dal vivo registrato nel club con alcune delle band protagoniste delle serate).
Il Roxy diventa il posto dove i punk preferiscono non andare più:
“Era diventato una seconda scelta, quasi un circolo per ragazzi, con tutti questi bambocci travestiti da punk che vagavano avanti e indietro” dice Mark Perry, autore della prima fanzine punk, “Sniffin Glue” e leader degli Alternative TV che insiste:
“La cosa triste è che la gente è andata avanti a giocare con il punk anche dopo che era morto e sepolto.
La primissima scena punk era originale, elettrizzante, fragorosa e pittoresca. Quello che è successo dopo non ha più avuto importanza.”
Il locale cambia proprietario, arriva un personaggio piuttosto ambiguo (per usare un eufemismo) e pericoloso, vicino alla delinquenza e alla malavita, Kevin St. John, che gestisce il luogo con altri interessi, decisamente lontani dall’aspetto artistico, fino alla chiusura nell’aprile del 1978, quando ormai a suonare sono gruppi sempre meno conosciuti e il punk è arrivato in vari altri locali.
Al posto del Roxy si installerà un grande marchio specializzato in costumi da bagno, le tracce di quanto è successo cancellate, ricordate con una targa apposta in loco solo nel 2017. Non è una novità. La tutela di un certo tipo di patrimonio artistico/culturale riferito ad ambiti non istituzionalizzati non è contemplata.
E di conseguenza il Roxy finisce con una targa, come il mitico Wigan Casino, patria del Northern Soul, abbattuto per fare posto a un supermercato o lo storico CBGB’s di New York, acquistato dalla catena di vestiti di Varvatos che ne ha conservato un muro con volantini e graffiti ad uso e consumo di turisti e nostalgici.
Al punk musealizzato avrebbero creduto in pochi, ai tempi, tanto meno i frequentatori del “Roxy”.
La chiusura la lasciamo proprio a uno di loro, Arcane Vendetta (quanto erano belli i soprannomi in quegli anni):
“Mi ero buttato nel punk con mia sorella a capofitto, nell’ottobre 1976 ma per me l’unico vero periodo punk è stato dal 1° gennaio a fine aprile 1977. In seguito il “Roxy” non è più stato casa nostra e tutto quello che è venuto dopo è stato andare a casaccio. Ero contento di avere sedici anni ma a volte avrei voluto averne di più, come Johnny Rotten e i suoi simili: quelli più su con gli anni sapevano quello che facevano, io no. Io conoscevo solo il “Roxy” e tutto quello che sapevo era che dovevi crederci con tutta l’anima e il cuore”.
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