giovedì, gennaio 13, 2022

Giovanna Marini
Giovanna, storie di una voce di Chiara Ronchini


Riprendo l'articolo che ho pubblicato per LIBERTA' domenica scorsa, redatto dopo la visione del docu film di Chiara Ronchini, dedicato a Giovanna marini, "Giovanna storie di una voce".

Una delle figure più importanti e seminali della musica popolare italiana, Giovanna Marini, è, immancabilmente, nelle nostre culturalmente desolate lande, un personaggio poco conosciuto e considerato, se non dalla consueta nicchia di cultori e curiosi.

E' uscito da poco, a cura della regista Chiara Ronchini, uno splendido ritratto cinematografico a lei dedicato, che la vede protagonista, intitolato “Giovanna, storie di una voce”, presentato al Torino Film Festival.

Figlia di musicisti, nata nel 1937, ma tuttora in attività, si diplomò in chitarra (prima in assoluto in Italia) nel 1959, incominciando nei primi anni Sessanta a frequentare una serie di intellettuali, musicisti, agitatori culturali che ne formarono l'ideologia e la carriera: Pier Paolo Pasolini, Gianni Bosio, il Nuovo Canzoniere Italiano.
Alla fine degli anni Cinquanta era iniziato un periodo in cui si incominciava a sondare e a scoprire il terreno della musica popolare, folk e tradizionale italiana, precedentemente sempre trascurata.
Ci aveva già, invano, provato il ricercatore americano Alan Lomax (che ha preservato il patrimonio del blues, andando per le carceri statunitensi negli anni Quaranta a registrare i canti dei prigionieri neri).
Tra il 1954 e il 1955 girò l'Italia scoprendo ballate, filastrocche, canzoni popolari ma non trovò nessuno da noi che fosse interessato, pur potendo contare sull'appoggio di intellettuali come Moravia e Pasolini (che utilizzò alcuni di questi nastri nel suo “Decameron” ma senza accreditarlo).

Era la musica dei contadini, degli operai, del popolo, poco aggrazziata e dall'incedere e dai contenuti primitivi, non di rado abrasivi.
Spiega Giovanna nel film:
“Nella voce ci sono secoli di storia di una musica che non ha mai avuto rispetto a confronto della musica classica. E' una musica che ha una storia lunghissima e per questo l'ho voluta suonare.
Anche se all'inizio la gente non la voleva sentire.
Mi diceva: “non ho pagato 1000 lire per sentire quello che canta la mia donna di servizio o la pescivendola”
.
Viene attratta dalla spontaneità di quelle composizioni antiche, lei cresciuta nell'ambiente di una musica classica rigida e accademica. “Mi affascinava il canto delle mondine, così diverso e particolare.
E' perché cantavano da chinate, piegate in due e il suono della voce usciva differente da quando sei in piedi”.

E' proprio il nuovo amico Pasolini che la introduce alla tradizione orale, in contrasto con la sua abitudine all'ascolto di dischi o alla lettura di partiture. Ne trae spunti e ispirazione, conosce a Milano il Nuovo Canzoniere Italiano, figli dell'esperienza pionieristica dei torinesi Cantacronache e grazie alla loro collana dei Dischi del Sole incomincia ad approfondire sempre di più la sua ricerca.
Ricorda divertita come il collettivo di musicisti fosse animato da uno spirito puro e semplice, indifferente al successo commerciale e quando vendevano qualche decina di copie veniva comunque ritenuto un piccolo successo.
“Mi commuove la voce di chi canta certe cose perché porta con sé secoli di storia. A volte sono poche note, ripetitive, ma mi colpiscono ugualmente.
E' stata spesso volutamente dimenticata e trascurata perché era la musica dei poveri, dei contadini, degli esclusi, che nascondeva nei testi parole di rivolta. Ma la musica popolare è fatta per suscitare emozioni”.


Vive un'interessante e illuminante esperienza in America dove ascolta e vede in concerto Bob Dylan, Joan Baez, Pete Seeger e dove soprattutto scopre il “talking blues”, sorta di proto rap ovvero brani in cui la voce racconta su una base blues.

Un'influenza determinante che la porterà a mischiare questa tecnica e modalità espressiva con la tradizione folk italiana da cui attingerà idee e spunti che, per sua stessa ammissione e volontà, non vorrà mai riprodurre (“impossibile farlo, certe cose funzionano solo se contestualizzate al luogo in cui sono state create”) ma adattare al suo modo e ai suoi gusti compositivi. Prosegue la sua carriera solista, iniziata a metà degli anni Sessanta, in modo spartano e militante.
“Andavo in giro per l'Italia con la mia auto e un pacco di dischi che mi ero autoprodotta e li vendevo ai concerti.
Suonavo ovunque.
Scaricavo il mio amplificatore, la mia chitarra, il mio microfono e cantavo.
Nei piccoli paesini, nei circoli, soprattutto nei dopolavoro. Conobbi così un'Italia diversa, quella della provincia profonda, poco conosciuta, delle casalinghe, dei contadini, dei lavoratori”
.

E' in queste occasioni che raccoglie nuovi stimoli, ascolta nuove canzoni, nuove parole, nuovi dialetti, nuovi modi di cantare e modulare la voce.
Nel 1975 un gruppo di jazzisti e musicisti d'avanguardia occupa e risistema una scuola nel quartiere del Testaccio a Roma e fonda la Scuola Popolare del Testaccio a cui Giovanna aderisce e con cui collabora attivamente e di cui diventerà presidente prima e presidente onorario a vita poi.
“Quella è stata una svolta, un polo diverso, altrettanto degno di un Conservatorio ma in cui si insegnava jazz e musica popolare. Il riconoscimento migliore fu l'accettazione che esiste una musica diversa da quella classica”.
E' sempre in tour, a lungo anche con il cantautore Paolo Pietrangeli, con cui condivide la stagione della canzone politica e di protesta, aderisce al Partito Comunista Italiano, gira le fabbriche occupate e i teatri autogestiti, i festival, le situazioni militanti.
“Tutti volevano solo le canzoni politiche anche se avrei voluto fare cose più mie.
La musica popolare è sempre interessante ma quella politica spesso no. Vive di slogan, non ha poesia. Certi canti, direttamente politici, sono antipatici, non veicolano empatia.
Ho raccontato le lotte operaie degli anni Settanta. Poi ho smesso di raccontare, semmai ho rimpianto.”


La sua carriera approda a riconoscimenti sempre più prestigiosi, dalla cattedra di etnomusicologia all'università di Parigi, a un elenco sterminato di premi e targhe. Fino a quando, nel 2002, trova anche il successo discografico e di classifica in coppia con Francesco De Gregori che condivide con lei l'album “Il fischio del vapore”, in cui riprendono brani della tradizione popolare italiana e i suoi classici “I treni per Reggio Calabria” e “Lamento per la morte di Pasolini”. Al grande regista e intellettuale dedica frequenti canzoni e spettacoli.
“Ho fatto tanti viaggi in Friuli per riuscire a raccontare un Pasolini diverso, quello appassionato di calcio o che vinceva gare nel ballo della samba”.

Con il suo Quartetto Vocale esplora polifonie e sperimenta con la voce, insegna, scrive per il cinema e il teatro, cerca di preservare lo spirito antico e verace della musica.
“Noi non cantiamo più, al giorno d'oggi le cose le troviamo tutte e quando vogliamo ma certe particolarità non fanno più parte della nostra quotidianità. Torniamo a raccontarci le cose, quello che ci capita, invece di parlarci in modo mono tonale. La musica popolare è partecipazione. A me interessa l'essere umano, mi appassiona il contatto tra musica e uomo, credo sia uno dei contatti più alti dell'esistenza”.

Il suo curriculum è infinito, la discografia immensa (almeno una sessantina di album), la verve immutata, il piglio sempre autorevole e severo ma sotteso da un'ironia a volte pungente, altre dolce. Il suo spirito di ricerca è sempre stato molto personale, mai accademico e sterile, sempre creativo e fonte di sviluppi artistici e volontà di guardare avanti.
“Mi hanno definita ricercatrice o musicologa. Io penso di essere solamente una musicista”.

Il 5 settembre del 2003, con i soci di allora, portai Giovanna Marini in concerto a Piacenza, in Piazza Cavalli, all'interno della manifestazione Pulcheria, nata per celebrare i talenti e le capacità delle donne, ideata dall'allora assessora alle pari opportunità del Comune di Piacenza, Rosarita Mannina. Fu un concerto intenso e applaudito, in cui Marini giganteggiò, tenendo il palco come una consumata rockstar, con la sua chitarra, la sua voce, i suoi racconti.
Diede l'impressione di potenza e di essere effettivamente il megafono di una storia lunga, piena di significati e racconti.
Un perfetto ritratto di una donna, un'artista, una musicista di assoluta eccellenza, una vera intellettuale, nel senso “antico” del termine, indispensabile in questi grami tempi in cui tutti hanno un microfono e lo usano male, a sproposito, in maniera deleteria, velenosa e perniciosa.

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