lunedì, giugno 03, 2019
Biopic, ologrammi e la morte del rock
Riporto l'articolo pubblicato ieri sul quotidiano "Libertà".
Fioccano ormai a ritmi forsennati le biografie cinematografiche sulle rockstar più o meno celebri.
E' noto il successo straordinario di “Bohemian Rhapsody” dedicata ai Queen (che hanno addirittura minacciato un sequel!) mentre sta raccogliendo consensi di ogni tipo quella dedicata a Elton John, “Rocketman”.
Recentemente molto spazio riservato anche ai Motley Crue, metal band, conosciuta più per gli eccessi fuori dal palco che per la qualità della loro musica. In arrivo film su Sex Pistols, Beatles (a cui sono stati dedicate pellicole di ogni tipo), Keith Moon, batterista degli Who, sulla cui biografia pare stia lavorando da anni il cantante Roger Daltrey.
In passato abbiamo apprezzato “Control” di Anton Corbijn su Ian Curtis dei Joy Division, il curioso ma riuscito “Io non sono qui” su Bob Dylan (splendidamente e paradossalmente interpretato da un'attrice, Cate Blanchett), “Nico” di Susanna Nicchiarelli, “Ray” deicato a Ray Charles con uno spaziale Jamie Foxx mentre ha lasciato l'amaro in bocca il “Doors” di Oliver Stone, davvero mediocre.
Parallelamente si sta sviluppando l'inquietante e mortifero filone degli ologrammi in concerto!
Ovvero l'immagine di artisti sfortunatamente passati a miglior vita, viene riproposta sul palco, accompagnata da un gruppo in carne e ossa. Era successo con il cantante hard rock Ronnie James Dio, ci sono “esibizioni” della famosa cantante blues Billie Holiday, di Michael Jackson, del rapper Tupac Shakur, erano stati annunciati concerti di Whitney Houston e Amy Winehouse ma pare che al momento siano stati bloccati (purtroppo non dal buon gusto ma da beghe legali).
Per fortuna non sembra che questa modalità abbia particolare successo e riscontro.
In precedenza la voce di artisti deceduti aveva duettato con chi ancora calca la nostra Terra, da John Lennon nei brani “Free as a bird” e “Real love”, accompagnato dai Beatles sopravvissuti, a Natalie Cole che cantava con il padre Nat King Cole e Elvis Presley.
Gli esempi potrebbero continuare ma quelli sopra elencati sono sufficienti a testimoniare quanto il “rock” (termine più che generico) sia, in un momento (sempre più lungo e cronico) di costante declino creativo, alla ricerca di qualsiasi appiglio per sfruttare il più possibile quanto lasciato in questo mezzo secolo.
Con il plauso delle case discografiche che possono così rimettere in circolazione raccolte di successi o vecchi album, risalire le classifiche, vendere diritti d'autore e di riproduzione, oltre a gadget di ogni tipo.
Un artificioso accanimento che abbindola e seduce noi inguaribili appassionati che alla fine non rinunciano a dare un'occhiata o un ascolto a un surrogato, magari anche solo per criticarlo aspramente.
Una drammatica testimonianza di senilità di un genere e di un ambito che non ha più saputo rinnovarsi ma solo riproporsi e che è ormai a quasi esclusivo appannaggio di persone di “una certa età”.
Una modalità di proposta artefatta dove si privilegia l'inquadratura professionale, una storia il più delle volte accomodante, ovviamente il più possibile spettacolarizzata, comodamente visibile e fruibile da una poltrona o divano, con poca spesa.
L'esatto opposto di ciò che invece propone un concerto, dove cogli l'eventuale imperfezione, dove vivi in diretta un evento irripetibile, non replicabile, spesso dovendo faticare parecchio per poterlo apprezzare al meglio.
Il documentario con immagini reali non basta più, le figure magari sgranate o un po' mosse, la qualità del suono non impeccabile, sono disprezzate.
La “storia rock”, ripulita, romanzata, sintetizzata, liofilizzata, finta e spesso poco credibile, è ben più appetibile, masticabile e digeribile.
Una fine poco gloriosa per un mondo dai mille significati, foriero, un tempo, di speranze, energia, vitalità, fonte inesauribile di creatività, novità, stupore.
Un'epoca conclusa ma che anche nei suoi ultimi refoli di esistenza non viene lasciata in pace da quegli avvoltoi che da sempre ne hanno spolpato costantemente le carni.
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