mercoledì, novembre 18, 2020

Il liscio



Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà".

Se la discomusic (ora il rap e la trap) è sempre stata il nemico numero uno degli appassionati di rock, il liscio non è nemmeno mai entrato in discussione.

Un mondo a parte, sbertucciato e dileggiato, deriso e mai considerato.
“Vai a suonare il liscio” a un musicista rock è un affronto degno di essere lavato con il sangue.
Ricordo che quando nei primi anni 80, giovanissimo, aprii uno studio di registrazione a Piacenza, all'annuncio entusiasta dei miei soci che aveva prenotato l'incisione un'orchestra di liscio, mi inalberai scandalizzato e risoluto: “Nel mio studio di registrazione il liscio mai!”.
Cambiai subito opinione. Innanzitutto il liscio porta con sé un mercato florido, costante, dinamico. Ma, registrando progressivamente decine di orchestre, ho imparato a conoscerlo e, pur diametralmente opposto ai miei gusti musicali, ad apprezzarne l'essenza. Il lavoro dell’orchestrale di liscio è durissimo.

Gente che fa dalle 200, anche 300 e oltre serate all’anno, una vita on the road che molti aspiranti rocker neanche si sognano, da una balera all’altra, da un paesino ad un matrimonio, da una festa di piazza ad una sperduta balera per un servizio la domenica pomeriggio.
Senza dimenticare che un'orchestra non suona la canonica ora e mezza di concerto ma fa “una serata”, incominciando talvolta alle 20 e finendo a notte inoltrata, sciorinando un centinaio di brani a volta, cerando di interpretare il clima del momento e cosa è più opportuno proporre in quella circostanza.

Il pubblico del liscio è selettivo, esigente, spietato.

L'orchestrale si alza per pranzare e poi riparte per la data successiva, scarica e monta gli strumenti, suona per ore (non sempre in condizioni ottimali per un musicista), smonta, ricarica il furgone, torna a tarda notte.
E il giorno dopo si riparte.
Nei momenti di pausa si entra in studio di registrazione a incidere il nuovo album.
Ho lavorato per anni con le orchestre, registrando per loro decine di album (in genere su cassetta) e ho scoperto un mondo fatto, il più delle volte, di passione e amore per la propria musica, con musicisti eccelsi e cantanti pazzeschi/e.
Ambito che, tra l’altro, continua a produrre un numero esagerato di cd e a venderne (soprattutto o quasi esclusivamente nelle serate) migliaia e migliaia di copie.
E che vive e prospera nella propria ampia nicchia, incurante del mondo circostante, rinnovandosi e facendo sempre nuovi proseliti, senza curarsi di classifiche o riconoscimenti ufficiali.

Lo ascolti nei mercati, nei negozi, in trattoria, in tutte le feste paesane e se abiti in campagna, non è difficile, nelle notti estive, andare a dormire con le note di un’orchestra che arriva da qualche paese limitrofo.
E' cultura popolare che per chi è nato in Emilia e dintorni è imprescindibile, è sangue nelle vene, piaccia o meno, si sia scelta una strada artistica o l'altra.
E per chi si esalta per country e musica folk balcanica, se ben ci pensa non è che stia scoprendo chissà quali cose nuove rispetto a ciò di cui si sta parlando.
Il liscio nasce a cavallo tra l'800 e il 900, in Romagna, come musica da ballo popolare, totalmente strumentale.
Il capostipite delle orchestre, Secondo Casadei, introdusse per primo la figura del cantante, nel 1928 e della voce femminile (solo nel 1952). Le prime musiche proposte erano il valzer, di origine austro/tedesca e mazurca e polca, nate in Polonia.

Le prime orchestre, che si esibivano in caffé, feste paesane, sedi di partito e associazioni, portarono una musica che prevedeva, suscitando scandalo, la vicinanza tra uomo e donna, che potevano cambiare partner senza essere necessariamente sposati o ufficialmente fidanzati.
Inoltre, nella gioia della festa, lontana da una forma istituzionale, come poteva essere un teatro, le orchestre incominciarono a suonare i brani sempre più velocemente, cambiando la natura originale delle composizioni.

L'Orchestra di Carlo Brighi (detto Zaclèn), attiva nei primi anni del 900 è considerata di fatto la prima orchestra di liscio, composta da tre violini, contrabbasso e clarinetto, che era solita accelerare i pezzi, introducendo una nuova modalità. Bisognerà attendere ancora qualche anno per trovare l'orchestra di Aldo Rocchi, il primo a comporre brani propri e a uscire dalla ristretta cerchia romagnola.
Ma soprattutto, alla fine degli anni 20, la nascita di quella di Secondo Casadei che presentò per la prima volta la formazione base di un'orchestra di liscio: chitarra, basso, batteria, clarinetto, violino, saxofono, a cui aggiunse anche una voce.

Una rivoluzione!

Secondo Casadei compose più di mille brani, tra cui, nel 1954, “Romagna mia”, uno dei brani più noti della canzone italiana.
Inizialmente intitolato “Casetta mia” ebbe particolare successo (al momento la versione originale ha venduto più di quattro milioni di copie, è stata reinterpretata da migliaia di artisti e orchestre e tradotta in decine di lingue), anche grazie ai turisti che affollavano la riviera romganola e acquistavano il disco come ricordo della vacanza.
Nel 1960 entra nell'orchestra di Secondo il nipote Raoul, che, dal 1971, alla scomparsa del nonno, ne prende la guida, introducendo la sezione fiati a sostituire i violini.
Con l'espansione del liscio a tutta l'Emilia e zone limitrofe, iniziano a nascere nuove correnti, come quella bolognese, dove prevale l'uso della fisarmonica, peculiarità anche del liscio piacentino, ulteriore variabile, introdotta dalla nostra Orchestra Bagutti.
Anche l'Orchestra Castellina-Pasi diventa tra le più conosciute e rinomate in Italia.
Ricordo il mio stupore nel seguire accesi dibattiti tra i musicisti, durante le registrazioni di varie orchestre, sulla velocità di un brano o sulla modalità con cui suonare uno strumento, per non risultare “troppo romagnoli” o evitare di essere “palesemente bolognesi”.

Nel corso degli anni il liscio ha saputo intelligentemente adeguarsi al gusto del pubblico inserendo elementi estranei alla tradizione ma altrettanto graditi in una serata dedicata al ballo.
Da canzoni e suoni latino americani (dalla salsa al classico tango), a brani pop di successo (non è difficile ascoltare classici del rock più orientati alla danza, da “Another brick in the wall” dei Pink Floyd a “Do you think I'm sexy” di Rod Stewart), fino allo swing e al boogie. vNegli ultimi anni molte orchestre e solisti hanno sfruttato l'arrivo della tecnologia per ottimizzare costi e investimenti, suonando con le basi musicali già preparate, suscitando non poche polemiche (per lungo tempo su un muro di una fabbrica di La Verza, alle porte di Piacenza, campeggiava la scritta vernice bianca “No al liscio con le basi”).

La pandemia è stata letale anche per la scena di liscio. La stagione estiva (periodo in cui in molti riuscivano a suonare anche tutte le sere per due o tre mesi) che per buona parte delle orchestre costituiva la spina dorsale economica per il resto dell'anno, è stata pressochè cancellata.
Per non parlare dell'imminente totale assenza di prospettive. Un mondo che si basa sulle serate dal vivo, sulla vendita diretta dei supporti sonori, sugli introiti derivanti dai diritti d'autore (più serate fai, più brani esegui, maggiori sono le entrate semestrali dalla Siae), è completamente fermo.
Non solo i “capi orchestra” ma soprattutto quella miriade di musicisti che vivevano esclusivamente di quello e con quello.

Una tragedia, un disastro totale, da cui è difficile immaginare come si possa ripartire.

Da parte del sottoscritto, frequentatore di ben altri lidi musicali, un affettuoso e sentito abbraccio a tutti i musicisti di liscio che per anni hanno allieato le mie cene estive in qualche sperduto paesino montano a suon di paso doble, mazurka, polka, tango, valzer, terzinati.

Io e il liscio.
Con Lilith nei 90 suonavamo una versione semi punk de “L’uva fogarina” per concludere i nostri concerti e nel 1999 partecipammo alla compilation “Trans Romagna” in cui vari gruppi “indipendenti” riproponevano brani di liscio con il brano “Polvere” di Castellina Pasi.
Con i Chelsea Hotel, nel 1980, aprimmo un concerto a Gragnano con una mazurka. Molti si misero a ballare per poi cercare di linciarci quando partimmo con “Blitzkrieg Bop” dei Ramones.
PS: Franco Bagutti è nato nel cortile di fronte a casa mia.
Ci sarà un perchè!

1 commento:

  1. Complimenti Tony, bellissimo pezzo!! Anch'io, ammetto, fui vittima della nemesi del liscio: lo odiai, oddio, non è vero, non lo considerai nemmeno esiatente, per una vita, fino a quando una sera, a cena in una festa di paese nei dintorni di casa mia (basso pavese) non mi resi conto che conoscevo alcuni ritornernelli e praticamwnte tutti i ritmi...senza averli mai ascoltati!! Era la mia, la nostra storia "estiva", imparata quasi per osmosi sin da quando eravamo bambini, senza nemmeno accorgercene! Per curiosità mi iscrissi ad un corso di ballo, con un'amica, e mi piacque molto, soprattutto l'idea di potermi alzare sal tavolo e partecipare attivente a quel rito antichissimo, come per i miei nonni e bisnonni, come anche giocare a carte o parlare il dialetto: senza retorica, ma solo per il piacere di saperlo fare e sentirsi agganciati al proprio passato! Bellissima lettura, complimenti!

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