mercoledì, settembre 24, 2014
Il tempo, la musica e la storia
Uno dei consueti illumina(n)ti scritti di ANDREA FORNASARI, nome d'arte di AndBot.
I quattro tempi della musica.
Al giorno d'oggi, quando si parla di musica contemporanea, il termine non possiede più il suo significato letterale: ci si rifiuta di attribuire tale definizione a opere in apparenza ferme a linguaggi che risalgono a un'epoca anteriore.
Questa distinzione è tuttavia recente: fino al XVIII secolo ogni musica era contemporanea per definizione, poichè si ascoltavano e si eseguivano solo musiche concepite per la propria epoca.
La musica era dunque, secondo l'espressione di Roland-Manuel, un prodotto stagionale, un oggetto effimero e subito fuori moda; non ci si preoccupava di conservare la musica del passato più di quanto oggi non si pensi a rileggere i quotidiani dei giorni precedenti.
La musica è arte del tempo perchè non esiste che nell'irreversibilità del suo fluire; ma essa è tale anche in un secondo senso, giacchè, come ogni espressione simbolica, è un'arte sottomessa al tempo: muta senza posa, non cessa mai di trasformarsi.
La musica ha dunque una storia, ed è a questo punto che s'introduce una terza forma di temporalità, quella creata dallo storico dedito a raccogliere e organizzare ciò che sappiamo sia del passato sia del presente della musica.
Non possiamo tuttavia fermarci qui, poichè anche il discorso degli storici dipende dal momento storico in cui è stato scritto.
Nella musica vi sono dunque di fatto quattro tempi: il tempo musicale propriamente detto, il tempo dei cambiamenti che essa subisce in ogni momento, e infine il tempo delle nostre storie della musica - che si sdoppia in temporalità ricostruita e storicità delle nostre ricostruzioni.
Questa molteplice iscrizione nel tempo è senza dubbio più profonda per la musica che non per le altre arti; a differenza delle arti plastiche, essa non lasciava alcuna traccia prima che il sogno di Rabelais non donasse alle "parole gelate" del Quarto Libro la realtà del fonografo e del magnetofono.
D'altro canto, i sistemi di trascrizione sono comparsi più tardi della scrittura e hanno sempre avuto minor diffusione. La musica sembrava pertanto più fragile rispetto agli altri prodotti dell'attività umana, forse perchè, come sottolineava Valéry: "Essa è, tra tutte le arti, la più richiesta, la più vicina alla vita, di cui si anima, accompagna o imita il funzionamento organico".
La musica cambia, perchè il cambiamento è presente ovunque, in ogni società, comprese le più antiche di cui si possa avere conoscenza, quelle cioè che sono state definite a lungo come "primitive".
In un'epoca non troppo lontana si era soliti contrapporre società immobili e società in movimento, società fredde e società calde, società senza storia e società storiche. Il fatto è che non si distinguevano i diversi ritmi, quelli che potremmo definire i diversi regimi di cambiamento, e si confondevano indebitamente la storia delle società e la storia che veniva costruita e scritta per rendere conto di quella precedente, ovvero la storia-avvenimento e la storia-conoscenza.
Le società senza Stato, orde di cacciatori-raccoglitori e tribù di orticoltori e pastori, non sono società immobili; esse cambiano, e a volte in modo brutale, come avviene quando certi gruppi umani emigrano, il che non ha mai smesso di verificarsi fin dalla comparsa dell'Homo sapiens. Queste società mutano anche in circostanze meno drammatiche, ma a un ritmo molto più lento di quello a cui siamo abituati. D'altra parte, nessuna società umana resta completamente isolata, e fra società vicine avvengono necessariamente scambi.
Tali società hanno dunque una storia, ma non lo stesso sentimento e la stessa coscienza storica. Le differenze rispetto alla storia quale noi la conosciamo sono di due generi. Da un lato, se la società accoglie il nuovo - e come potrebbe fare diversamente? - essa non ne fa un valore; al contrario, s'ingegna a integrarlo e rispettarlo come una componente della tradizione del mos majorum.
Non si deve tuttavia sopravvalutare il livello d'integrazione del nuovo: non è raro che un gruppo ricordi come un determinato strumento musicale, una scala o uno stile siano stati mutuati da un'etnia vicina, o conservi nei suoi racconti la memoria di un'antica migrazione.
D'altro canto, questi gruppi non conoscono la scrittura e non hanno il nostro stesso sistema di rappresentazione e di scansione temporale; i sistemi di riferimento sono di ordine locale e si basano sulle ricorrenze del mondo fisico e umano ( giorno e notte, cicli lunari, eccetera), generando un tempo ciclico in base al quale si organizzano le diverse attività e si classificano in particolare le produzioni musicali.
La musica cambia, ma nel "ciclo breve" che unisce il musicista poco specializzato al suo pubblico tutto e tutti cambiano allo stesso ritmo: la continuità prevale sulla rottura.
Con la comparsa dello Stato e della scrittura, il regime del cambiamento si trasforma; anzitutto perchè appaiono gli strumenti (scrittura, calendari e cronologie) che permettono la registrazione e la classificazione dei dati, ora divenuti storici nel senso moderno del termine: l'avvenimento lascia ormai una traccia.
In secondo luogo, perchè i padroni dello Stato intendono dare un fondamento al proprio potere: essi immortalano nella pietra le proprie gesta e quelle dei loro avi.
Nello stesso tempo si forma una classe di scribi, che è all'origine delle teorie sulla musica.
Anche i musicisti si professionalizzano e tale autonomia permette loro di costruire tradizioni proprie.
In queste società statuali e stratificate il cambiamento è vissuto coscientemente e in tutti i campi della cultura si succedono repentine rotture: le prime forme di rivoluzione.
Quando i Greci tentarono di scrivere la storia della propria musica, la presentarono secondo il modello utilizzato per rendere conto della nascita e dello sviluppo della loro civiltà, il modello della fondazione.
Così come vi sono fondatori d'imperi e di città e legislatori, vi sono fondatori in campo musicale: la storia della musica in Grecia è scandita dalle due katastaseis, vale a dire dalle due "istituzioni" successive che posero le basi del sistema musicale.
Si tratta di un modo di scrivere la storia che è ancora in uso: anche noi abbiamo la tendenza a vedere lo sviluppo della musica come organizzato dalle innovazioni di alcuni geni che imprimono di colpo una nuova direzione all'arte.
Tuttavia, le rotture non vengono considerate tali soltanto in funzione retrospettiva: sono i contemporanei stessi ad avere coscienza dei cambiamenti brutali avvenuti sia in campo musicale sia nell'insieme della società e della cultura.
Nel corso del V secolo a. C., avvenne in Grecia una vera e propria rivoluzione musicale che, con la nascita della composizione anabolica, rese la melodia indipendente dall'organizzazione strofica e offrì al linguaggio musicale una nuova libertà.
Si produsse allora una situazione che non cesserà mai di ripresentarsi: da una parte gli innovatori, i rivoluzionari, che volevano cambiare e far "progredire" la musica, e dall'altra i loro avversari - bisogna già chiamarli reazionari? che, con Platone e Aristofane, condannavano quei pervertitori della gioventù.
Non avevano forse intenzione di snaturare la "vera" musica mescolando tutti i generi, come Aristofane rimprovera a Euripide?
"Lui invece porta via da dovunque: dalle puttanelle, dalle canzoni a vino di Meleto, dalle melodie carie per flauti, dai pianti funebri, dalle aria di danza"
(Aristofane)
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The Music Must Change
RispondiEliminaazzo devo rileggerlo una quarta volta
RispondiEliminaazzo
azzo