Riprendo l'articolo che ho scritto sabato scorso per "Il manifesto" nella sezione "Alias".
Nel 1977 la giornalista inglese Vivien Goldman, al lavoro per un articolo per "Sounds" sulle connessioni tra punk e reggae che stavano emergendo nella nuova scena inglese, intervistò Bob Marley e Lee Scratch Perry, di stanza a Londra per registrare "Exodus".
Bob cercava un ambiente più tranquillo dopo essere scampato ad un attentato a Kingston, in Giamaica.
Non che da quelle parti fosse tutto tranquillo (vedi gli scontri al carnevale di Notting Hill) ma sicuramente la vita era un po' più al sicuro.
Vivien portò con sè l'acetato del primo album dei Clash (che uscirà l'8 aprile) e fece ascoltare ai due la versione di "Police and thieves", brano di Junior Murvin che era stato prodotto proprio da Lee Scratch Perry.
All'inizio i due apparvero "spaventati" dalla voce roca di Joe, così in contrasto con il dolce falsetto che caratterizza l'originale.
Bob disse: "E' diverso ma mi piace. I punk sono i reietti della società. Così come i rasta. Anche loro difendono ciò che noi difendiamo".
Poco tempo dopo registrò il brano “Punky Reggae Party” che uscì nel 1977 su 12 pollici, solo in Giamaica.
Divenne poi la B side di "Jamming" e successivamente venne ripresa in versione live in "Babylon by bus" e comparve in numerose compilation.
Il testo fa chiaro riferimento alla scena punk, citando una serie di band dell'epoca, Jam, Damned, Clash, Dr.Feelgood e ripetendo “New wave, sei coraggiosa”.
Lo stupore di Bob Marley era immotivato, in quanto da parecchio tempo la musica caraibica (dal calypso allo ska fino al reggae) era entrata stabilmente nelle orecchie e nella cultura inglese.
Come sostiene Don Letts, DJ e tra i principali responsabili dell'arrivo del reggae nel punk:
"Tra il 1969 e il 1974 i dischi della Trojan Records erano nelle classifiche quasi ogni mese. Una serie senza precedenti di dischi che le persone hanno finito per cantare nei campi di calcio fino ad oggi. Fanno parte del patrimonio culturale dell’Inghilterra. È diventato parte della coscienza del popolo britannico. Forse non per tutti, ma abbastanza da rendere questo posto vivibile."
Don Letts, chiamato, come Dj, a riempire gli spazi vuoti durante i cambi di palco tra i vari gruppi punk che si succedevano sul palco del Roxy Club a Londra, in mancanza di materiale da suonare (il punk era agli albori e dischi ne erano usciti ancora pochi) iniziò a utilizzare brani reggae.
In buona parte sconosciuti ai giovani punk anche se personaggi come Joe Strummer e Paul Simonon (quest'ultimo cresciuto a Brixton) avevano già buona dimestichezza con il genere.
Già alla fine degli anni Cinquanta le decine di migliaia di giamaicani e altri caraibici arrivati in Gran Bretagna (che ben presto scopriranno non essere “madre” ma perfida matrigna) portarono con sé tradizioni culturali e dischi dal ritmo in levare.
Non a caso Georgie Fame and the Blue Flames nei primi anni Sessanta avevano in repertorio alcuni brani ska per allietare le serate dei primi mod londinesi e non esitò ad arruolare Rico Rodriguez, trombonista appena arrivato dalla Giamaica.
“Come musicista era difficile essere riconosciuto se non eri europeo o caucasico.
Quindi quello che facevo era quello che fanno tanti immigrati cioé stare con la mia gente, ma non portava soldi. Ho avuto la mia prima occasione quando ho iniziato a suonare con Georgie Fame. Suonava in un posto chiamato The Roaring Twenties a Carnaby Street. Dopo di che ho iniziato a registrare regolarmente con Laurel Aitken e ho suonato anche con Dandy Livingston. Quei primi anni in Inghilterra li ricordo per lo più come molto duri."
Nel 1964 “My boy lollipop” di Millie Small, dal ritmo classicamente ska, sbanca le classifiche britanniche e americane e istituzionalizza la musica giamaicana.
Nel 1968 nasce la Trojan Records, decisiva nel produrre e importare musica caraibica in Inghilterra, addirittura i Beatles ne prendono spunto per “Obladì Obladà”, la neonata scena skinhead la rende colonna sonora delle sue serate.
L'arrivo del punk fu un catalizzatore per le istanze socio politiche di bianchi e neri che, come dice Marley, si ritrovarono uniti dagli stessi problemi e i medesimi propositi.
Ancora Don Letts: “La cosa interessante era che i giovani bianchi della working class apprezzavano davvero il sound e l'atmosfera anti-establishment dell'intera cosa, amavano le linee di basso e il fatto che i testi parlassero di qualcosa; era come un reportage musicale. L'altra cosa bella è che c'è stato questo interessante scambio culturale. La loro musica incominciò ad essere influenzata da ciò che suonavo al “Roxy”.
Vedi i Clash o quando i Pistols si sciolsero e i Public Image iniziarono, tutto ruotava attorno alla linea di basso.
Le Slits sono un altro grande esempio di crossover reggae punk.
Ciò che il reggae ne ha ricavato è stata l’esposizione, che non è qualcosa da sottovalutare.
All'epoca non era un suono così popolare, ma tre cose lo hanno portato alla ribalta: il film “The Harder They Come”, la scena punk e Bob Marley. Quindi è stata una cosa bellissima vedere queste persone andare avanti comprendendo le nostre differenze, piuttosto che cercare di essere uguali. Sono davvero un prodotto di quello che ora chiamano il “Puny Reggae Party”, una testimonianza della forza della cultura nell’avvicinare le persone. Alla fine degli anni '70 esplode il punk rock, tutta l'etica del Do It Yourself, questa energia così contagiosa dalla quale vuoi essere coinvolto. Non era uno sport per spettatori. Tutti i miei fratelli bianchi presero in mano le chitarre. Anch'io volevo raccogliere qualcosa. Presi una videocamera Super-8, ispirata all'etica punk DIY e iniziai a filmare le band. Poi ho letto sulla stampa musicale: “Don Letts sta girando un film punk rock”.
Ho pensato:
"È una buona idea, lo chiamerò un film".
Quello è stato effettivamente il mio primo film, tutto con la potenza e l'ispirazione del punk rock.”
Il reggae si diffonde presto nella scena punk.
I Clash ne fanno ampio uso, i Police ci costruiscono letteralmente un nuovo sound, in cui all'energia mutuata dal punk uniscono la capacità di renderlo irresistibilmente pop e fruibile, le Slits sperimentano inserendo trame new wave e punk a linee di basso dub, i Members arrivano dal pub rock, inaspriscono il sound verso il punk ma, fedeli al verbo Clash, utilizzano volentieri ritmi in levare.
Nel luglio del 1977, Johnny Rotten, ancora leader dei Sex Pistols chiamato in un'intervista radiofonica a scegliere una serie di brani da trasmettere monopolizza la trasmissione con canzoni reggae.
Quei suoni e ritmi che ritroveremo in abbondanza, scarnificati e scartavetrati nei Public Image LTD, sua successiva incarnazione artistica.
I nord irlandesi Stiff Little Fingers nel furibondo esordio “Inflammable material” del 1979 coverizzano “Johnny Was” di Bob Marley, i Ruts di Malcolm Owen nel primo album “The crack” mischiano irruenza, grande tecnica e tanto dub e reggae (soprattutto nella stupenda “Jah war”).
Non dimenticando il singolo reggae del 1977 di Elvis Costello “Watching the dectives”, l'incedere, dello stesso anno, minaccioso di “Peaches” degli Stranglers, il Joe Jackson di “Sunday papers” e “Beat crazy”.
E la fine dei Settanta ci porta la “rivolta” TwoTone records con Specials, Madness, Selecter, The Beat a riprendere lo ska originale , accelerarlo e fonderlo con l'urgenza punk e riportare quei ritmi, atmosfere in classifica, unendoli spesso a testi militanti.
Uniti alla nascita di una scena reggae autoctona con nomi come Steel Pulse, Aswad, UB40 e alla “dub poetry” di Linton Kwesi Johnson, rendono la musica caraibica parte integrante di quella Britannica.
Per sempre.
giovedì, marzo 14, 2024
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Bel articolo. ho scoperto alcuni aspetti legati a Bob Marley inaspettati.
RispondiElimina