lunedì, ottobre 11, 2021
Il ruolo della donna nella musica italiana - Parte 2
Riprendo la prima parte di un articolo che ho pubblicato ieri sul quotidiano di Piacenza "Libertà".
La prima puntata la trovate qui:
https://tonyface.blogspot.com/2021/10/il-ruolo-della-donna-nella-musica.html
La seconda parte dell'articolo pubblicato la scorsa settimana in Portfolio prosegue l'analisi, personale e ovviamente limitata ma significativa, che cerca di capire, attraverso voci differenti e disparate, se il ruolo della donna, all'interno del vasto universo musicale nostrano ha un peso, se subisce o ha subito freni, ostracismo, discriminazioni, boicottaggi.
Se le cose sono cambiate, se il cammino é più agevole o gli ostacoli sono rimasti gli stessi di sempre.
Chiara Carrera é organizzatrice e componente del Collettivo del Teatro Coppola di Catania.
”Il collettivo, che combatte qualunque forma di discriminazione, non ha ovviamente al suo interno nessuna dinamica di potere tra i sessi.
La premessa fondamentale è che “la musica fatta dalle donne” non è un genere musicale.
Trovo che il modo più efficace per ostacolare il processo di invisibilizzazione sia partire dalla formazione: per esempio, una ragazza in età di liceo, è messa nelle condizioni - storiche, culturali, economiche - di sognare di diventare ingegnera del suono? Forse in una società come la nostra, in cui l’Italia è una provincia del Vaticano, il paradigma donna-angelo del focolare che al massimo ambisce a ruoli, assolutamente dignitosi e legittimi, come la maestra, la segretaria, la cassiera, è molto radicato.
Ci sono mestieri più indicati per gli uomini e mestieri più indicati per le donne? Un uomo può stare dietro a un mixer, una donna invece meglio che sorrida al banchetto dei dischi? Sarà che forse c’è una ragione che è la stessa per cui i ruoli apicali di qualunque azienda sono quasi sempre assunti da maschi?
Davvero non ci sono donne competenti a sufficienza?
Il mondo della musica, e il mondo dello spettacolo in generale, non è esente da queste dinamiche, purtroppo.
Un altro fenomeno diffuso e francamente intollerabile, è quando dal pubblico, dopo il concerto di una musicista con esperienza ventennale di palchi, festival internazionali, arrivano i famosi feedback non richiesti: uomini che tentano di “dare consigli” o “spiegare” alle musiciste come arrangiare meglio i brani, come stare sul palco, come sorridere, come non sorridere.
Voglio ribadire con forza che ci sono anche moltissimi contesti virtuosi, promoter inclusivi, direttrici e direttori artistici attente/i al merito, alla qualità artistica e anche all’equità.
Sarebbe bello un mondo in cui lentamente spariscono dai negozi di giocattoli gli scaffali blu pieni di giochi scientifici, meccanici e sportivi e gli scaffali rosa traboccanti di bamboline, trucchi, giochi di ruolo tipo “dolce casalinga” e “barbie segretaria sexy”.
Forse sarebbe un buon punto di partenza per poter dare alle ragazzacce di ogni età la possibilità di sognare di fare la fonica o la direttrice artistica di un festival di musica trap. Per fortuna siamo già tantissime e diventeremo sempre di più.”
Nur Al Habash é responsabile di Italia Music Export e professionista parte del network internazionale SheSaid.so:
“La nostra cultura è impostata secondo un sistema che di norma favorisce gli uomini: hanno sulle spalle il peso di meno stereotipi, sono liberi di fare quel che vogliono del proprio corpo, della propria vita lavorativa e sociale senza subire particolari giudizi, pressioni e ostacoli, sia fisici che psicologici, sia dal cerchio di amici e familiari che dagli sconosciuti. Hanno meno lavoro e sono pagati di più.
Non sono bersaglio di molestie e violenze in quanto uomini. Soprattutto la nostra società misura il successo e la meritocrazia su parametri prettamente maschili. In ambito lavorativo, tutti questi fattori fanno sì che al nastro di partenza, metà della popolazione parta 50 metri indietro.
Quella che normalmente si chiama meritocrazia è un'illusione, è in realtà la competizione tra chi parte già allineato al nastro. Ma se una persona arriva ad una posizione di prestigio penso che sia perché se lo sia meritato ed abbia delle capacità.
Chi invece istintivamente non riesce a pensarla così se la persona in questione è una donna, è influenzato dalla cultura tossica di cui parlavo sopra, che generalmente fa fatica ad accettare l'esistenza di una donna competente e che si merita di occupare una posizione di prestigio.
Secondo la nostra cultura, quando una donna raggiunge una posizione lavorativa apicale è perché ha concesso favori sessuali o perché è di bella presenza o perché un uomo ha concesso alla poverina di fare carriera in quanto donna; al contrario, se la donna è indiscutibilmente brava e competente e non ci sono sospetti di scorciatoie allora è un po' antipatica, un po' maestrina, poco femminile e rassicurante, non sorride abbastanza. Non ci è concesso essere brave e basta, e meritare una carriera di successo ed essere professionalmente stimate come avviene per un uomo.
Il femminismo consiste in questo esercizio quotidiano, nel ricordarsi costantemente la concezione rivoluzionaria secondo la quale le donne sono persone.
Culturalmente siamo poco inclini a immaginare delle donne che scrivono canzoni, che producono un disco, che siano tecniche del suono, che aprano il loro live club o la loro agenzia di management.
Questo perché di base permane nel nostro inconscio collettivo l'idea che le donne siano meno capaci degli uomini. Se la cultura intorno a te non fa altro che ripeterti che sei scarsa e non sei all'altezza dei posti di comando, finirai per crederci tu stessa, preferendo sempre ruoli defilati ed evitando quanto più possibile di esporti.
Lucia Marchiò é giornalista per “Repubblica” e ha un lungo passato in ‘prima linea’ nella musica in ogni ambito, dall'underground a Sanremo.
“Che esista discriminazione e/o forme di sessismo, velate o meno, ne sono convinta. Lo dico da giornalista e critico musicale con un vissuto da speaker radiofonica, dj, ufficio stampa, tour manager e in vari mensili rock, avendo iniziato a occuparmi di musica – specialmente indie italiana e straniera – da giovanissima, evento di per sé non usuale per una ragazza.
Dopo i vent’anni ho iniziato a notare forme di disparità e sessismo, velate o meno.
Se ti trovavi nel backstage di una band dovevi per forza essere una groupie, a maggior ragione se eri carina e spigliata.
Che tu fossi lì per intervistarli era visto viepiù come una scusa: impensabile dai, che ne sai di loro, eppoi sei così giovane.
In alcuni casi, mi sono persino sentita dire “Bella intervista, davvero, per essere una donna”.
Il problema è, forse, che se tu sei brava, preparata e competente quanto e anche più di un uomo, capo o no che sia, dai fastidio. Fortunatamente non tutti erano così.
E guai a essere simpatica e cameratesca, tantopiù se avevi carattere: c’era sempre qualcuno che ci provava e se non ci stavi o declinavi l’offerta, poi diceva che te la tiravi (nella migliore delle ipotesi) o che c’eri stata (nella peggiore, per vendicarsi)”.
Rimarca la stessa questione Rita Lilith Oberti, cantante, con la quale ho condiviso decenni sul palco con Not Moving e Lilith and the Sinnersaints:
“Da sempre é prassi che molti operatori del settore privilegino rivolgersi agli uomini del gruppo, trascurando quasi la mia presenza, quando si parla di affari o di cose “serie”. Personalmente non ho mai subito tentativi di sopraffazione ma sono circolate voci infamanti sul mio conto da parte di uomini del “Bar Sport” musicale italiano, solo perché sul palco ho sempre avuto un atteggiamento disinibito e forte.
Cose che non succedono agli uomini e quando capita diventa quasi un vanto.
E che non di rado tendono ad appoggiare queste voci, a fare “branco”, a non prendere in considerazione l'ipotesi che possano essere bufale sessiste. Anche con qualcuno che ha suonato con me é emersa una conflittualità solo perché veniva sofferto il mio ruolo di front woman.
Particolarità che ho sempre notato ma che mi sembravano normali perché era la quotidianità ovunque.
E ho sempre alzato la voce e lottato contro questi atteggiamenti, fin da ragazzina.”
Essendo da una quarantina di anni attivo all'interno della scena “underground” italiana le disarmanti affermazioni contenute nell'articolo sono amaramente confermate da quello che, mio malgrado, ho costantemente appurato (e combattutto) di persona.
Il cammino é ancora lungo, difficile, aspro ma le lunghe marce non le temiamo.
Le donne tanto meno.
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