venerdì, dicembre 13, 2019

Luca D'Ambrosio - Musica migrante



C'è una bellissima idea dietro a questo libro.
Luca D'Ambrosio è andato di persona a raccogliere le le testimonianze di alcuni migranti africani arrivati in Italia, cercando di approfondire i loro gusti musicali, alla scoperta di nuovi nomi, dischi, suoni.

E' stato un percorso doloroso e drammatico, tra storie di cui ben conosciamo (di riflesso) la tragicità ma che ha ridato, per qualche minuto, una "normalità" alla vita di chi ha sofferto così tanto, restituendo loro la quotidianità, per noi quasi insignificante, di un normale ascolto della musica preferita.

Segue poi un approfondimento sui principali strumenti, generi e artisti africani (anche italiani di seconda generazione) che permette di avere un primo quadro della musica che sta arrivando, accompagnata dagli sfortunati fruitori.

Come scrive Valerio Corzani nella prefazione (un'altra è scritta niente meno che da Angelique Kidjo):
"Non esiste la musica africana, esistono le musiche dell'Africa."

Più preciso Ryszard Kapuscinsky :
L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere.
È un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo.
È solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa.
A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste”.


A seguire una breve intervista all'autore.

Credo che la tua idea di dare voce ai gusti musicali dei migranti sia coraggiosa e in qualche modo ridia dignità e normalità alle persone dopo tutto quello che hanno patito. È stato difficile avere la loro fiducia e confidenza?

Dopo quello che hanno passato per arrivare in Italia, non è sempre stato facile guadagnarsi la fiducia dei ragazzi che ho incontrato.
Il mio coraggio è sicuramente niente se confrontato alle loro vicende.
Diciamo che l’idea del libro è quella di voler raccontare non solo il dramma dell’esodo delle nuove generazioni africane (le storie), ma anche il loro desiderio impellente di normalità e riscatto sociale e culturale (la musica).
Da un lato quindi ho cercato di mettere in risalto l’aspetto umano, dall’altro invece quello musicale, partendo dalle origini fino ai nostri giorni. Ovviamente spero di esserci riuscito.

Credi che la musica possa essere un buon tramite per una migliore integrazione e scambio culturale?
Oppure, come si potrebbe evincere da queste tue interviste, si tende ad ascoltare la propria musica (anche come ovvio legame alla terra di origine) senza aprirsi ad altro?


Sì, sono fermamente convinto che la musica, e quindi l’arte in generale, sia il miglior strumento di integrazione sociale e culturale.
Credo, poi, che sia altrettanto normale essere legati alla musica e ai ricordi della propria giovinezza e della propria terra. Ma ciò non vuol dire non aprirsi alle contaminazioni, perché la musica è contaminazione, soprattutto nell’epoca che stiamo vivendo.
Oggigiorno ci sono tanti nuovi artisti africani che uniscono tradizione e sonorità pop internazionali.

Dicci qualche nuovo nome che arriva dall'Africa che vale la pena scoprire?

Per quanto mi riguarda non vado pazzo per le nuove leve della scena cosiddetta “afrobeats” (da non confondere con “afrobeat”), tipo i nigeriani Davido e Tiwa Savage, mentre preferisco certe cose di personaggi come il sudafricano Nakhane, i congolesi Kokoko!, la dj ugandese Kampire, la sierraleonese Mariama e le nigerine Les Filles de Illighadad.
Ora mi vengono in mente soltanto questi nomi.

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