venerdì, ottobre 23, 2015

La parola indivisa



Gli interventi di ANDREA FORNASARI sono complessi ma sempre interessantissimi.

Da quando Socrate ha inventato il concetto e la sua equivalenza con sé stesso, l'uomo occidentale ha perso l'ambivalenza del linguaggio, per votarsi a quella logica bivalente che, fondandosi sulla negazione interna al giudizio, articola quella separazione tra vero/falso, buono/cattivo, giusto/ingiusto, sano/malato su cui si costruiscono tutti quei modelli di simulazione meglio conosciuti sotto il nome di "scienze esatte".

Il loro elemento costitutivo è la barra, il taglio con cui ogni scienza delimita il proprio oggetto, la sua equivalenza con sé stesso, la sua articolazione in base al principio di non contraddizione, per cui qualcosa è questo e non quest'altro.
Se la "ragione" non può fare altrimenti che dis-giungere per poter comprendere, dato che in caso contrario si dissolverebbe nel mare dell'indistinto, è anche vero che questa ragione fa violenza quando dice che "un cavallo è un cavallo e nient'altro che un cavallo", là dove il primitivo, in un'epoca pre-logica, non vedeva solo un cavallo, ma anche "la forza", "il vento", "il coraggio" e tutti quei significati simbolici ambivalenti che la nascita del "valore" scientifico dissolve.

Dissoluzione del simbolo, fine dell'ambi-valenza.
E così sulla barra mente/corpo, dove per corpo si pensa solo all'organismo (una somma di parti distinte), la psichiatria classica, per esempio, ha costruito sé stessa: non appare più l'uomo e il suo modo di essere-nel-mondo, ma appaiono le compromissioni o i danni del suo organismo, i disturbi delle sue prestazioni e delle sue funzioni.
Oggettivata per esigenze scientifiche, la psiche diventa il doppio dell'organismo: l'apparato organico e l'apparato psichico che la scienza, per le sue esigenze metodologiche, è costretta a pensare come due oggetti di natura che agiscono l'uno sull'altro, scordando che quegli stessi apparati, come tutte le cose, sono nel mondo, e non hanno un mondo.v La teoria analitica non analizza mai questo mondo, ma solo l'oggetto che si è data dissociando la coscienza dall'inconscio, così come la teoria marxista non analizza la realtà sociale, ma la dissociazione tra teoria e prassi, tra struttura e sovrastruttura che esistono solo nei modelli di simulazione che il materialismo s'è dato quando ha voluto offrirsi nelle vesti della razionalità scientifica.
Così, né il marxismo né la psicoanalisi sono mai riuscite a raggiungere l'alienazione, perché l'unica che conoscono è il prodotto dei loro modelli di riferimento.
L'ambivalenza del linguaggio simbolico, questa parola indivisa dal corpo, sfugge infatti a tutte le distinzioni del discorso scientifico: non è moltiplicando le incognite che si recupera l'ambivalenza del linguaggio.

L'operazione simbolica ignora qualsiasi referente, perché tutto si dissolve nello scambio reciproco senza lasciare resti che, non scambiati, aprono la via a quell'accumulo che è la forma di ogni "economia".
Si tratti dell'economia politica dove ciò che non si consuma rientra nel circuito del valore delle merci, o dell'economia libidica dove ciò che non si esprime rientra nel valore dell'inconscio, in ogni caso si tratta sempre di qualcosa che, non scambiato, si accumula sotto forma di "valore" - mercantile da un lato, pulsionale dall'altro, c'è sempre qualcosa che resta trattenuto in quanto non scambiato.
Per questo i primitivi, così attenti alla libera circolazione simbolica, consideravano "parte maledetta" tutto ciò che, non scambiato, si accumulava.
E sempre per questo esisteva quella forma di distruzione dell'eccedenza, il potlàc, che serviva a ristabilire l'equilibrio del gruppo.

Il mondo-della-vita non conosce mai il taglio della scienza, la cui forma è già da sempre infranta dalla parola indivisa del corpo che quel mondo abita.
Del resto, l'alienazione in Occidente non è iniziata dal giorno che su questo mondo si sono incominciate a riflettere le luci sospette di un altro mondo?
Dall'iperuranio di Platone, lungo un tragitto che ha fatto sua questa logica disgiuntiva, si è arrivati all'inconscio di Freud.
L'Occidente ha sempre conosciuto delle istanze che, venute da un "retromondo", come direbbe Nietzsche, non hanno consentito al corpo di abitare il suo mondo.
Dall'idea di Dio all'idea dell'anima, dall'anima alla coscienza, dalla coscienza all'ideale dell'Io, sempre siamo cresciuti sotto il riflesso delle idee, perdendo la nostra ombra reale, quella che ci fa il sole, senza neppure accorgerci che con essa è il nostro corpo che ci ha lasciato.

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