martedì, giugno 28, 2022

Peppino di Capri


Riprendo l'articolo per "Libertà" che ho scritto domenica e dedicato alla carriera di PEPPINO DI CAPRI.

Si fa presto a dire Peppino di Capri, il perfetto rappresentante della canzone melodica, del perbenismo artistico, dell'omologazione sonora.
Ma, come sempre, scavando per bene nella storia, le sorprese non mancano mai.
E il signor Giuseppe Faiella, suo vero nome, nato nel 1939, risulta essere anche un geniale e sorprendente innovatore.

Anche perché buon sangue non mente: il nonno fu musicista nella banda di Capri, il padre Bernardo aveva un negozio di dischi e di strumenti musicali e suonava il sax, il clarinetto, il violoncello e il contrabbasso in un'orchestra.
E' però ugualmente sorprendente sapere che l'esordio di Peppino fu a quattro anni, nel 1943, suonando il pianoforte per i soldati americani da poco arrivati anche nella sua natìa Capri.
“Io già a 4 anni suonavo per gli americani. In famiglia eravamo tutti musicisti e durante la guerra mio padre mi presentò al generale di stanza a Capri. Mi esibivo una volta a settimana. Poi rimasi sempre in contatto con la musica americana, un po’ perché sono un curioso, e un po’ perché lo zio Peter, che era emigrato in America, mi aveva spedito una radio con cui di notte ascoltavo il rock”.

Peppino studia pianoforte, suona nei night club del posto e ad Ischia con il Duo Caprese e nel 1956 sbarca in televisione nella trasmissione di Enzo Tortora “Tu vuò fa l'americano”, una gara tra esordienti, che vincono a mani basse, portandosi a casa un preziosissimo televisore.
Nel 1958 forma i Capri Boys con cui, tra i primissimi nella penisola, incomincia a suonare quella nuova musica che sta imperversando negli Stati uniti, il rock 'n' roll.

Ed è proprio quello l'anno della svolta.

Un potente dirigente dell'altrettanto fortissima casa discografica Carisch lo vede esibirsi a Ischia e lo scrittura subito per un provino a Milano. La band sale al nord con un Fiat 1100 e incide un dozzina di brani.”Ci avevano chiamato a Milano per registrare dei “provini”. Tornato a Capri, mi telefonano: “Guarda che uscirà il disco”. “Allora torno su per inciderli”. “No, no, vanno benissimo i provini! Li stiamo già stampando...”.
Non solo, la casa discografica gli cambia anche il nome: “Ti chiami Peppino e vieni da Capri, da oggi sei Peppino di Capri”.
A cui, in omaggio alla nuova moda americana, viene aggiunto “e i suoi Rockers”.
Il sound del gruppo è particolare perché attinge da una parte dal rock 'n' roll meno ruvido (dalle parti di Buddy Holly), dall'altra inserisce elementi latini come mambo e rumba (non lontano dai primi esperimenti in tal senso di Ray Charles) vedi “Pummarola Boat”. Ma non abbandona il classico stile della canzone napoletana che gli frutta i primi successi come “Malatia” e “Nun è peccato”.

“A Napoli gli ascoltatori più anziani dicevano: “Ma come si permette questo?”. Io però cantavo anche i classici della tradizione napoletana e li facevo conoscere ai giovani. Capitava che mi chiedessero: “Che bella “Voce ’e notte”! Quando l’hai scritta?”. E io: “Guardate che è del 1904”.
La carriera si arricchisce di nuovi successi, di concerti sempre più frequenti che lo portano perfino alla Carnegie Hall di New York e in America Latina. Nel 1961, con grande intuizione, porta in Italia il twist con una versione di “Let's twist again” di Chubby Checker, appena uscita in America.
Arriverà al primo posto delle classifiche nostrane, vendendo un milione di copie. Appare anche in numerosi musicarelli, film incentrati su vicende da commedia con protagonisti comici e cantanti di successo.
L'aspetto interessante della sua produzione musicale è la costante ricerca di nuovi suoni, ritmi, generi, che anticipano di anni le tendenze.
Ad esempio incide “Be my babe” brano soul delle Ronettes e “Girl” dei Beatles, scritto da Lennon che era appena uscito, nel 1965, nel loro “Rubber soul” (la cui pubblicazione venne volutamente ritardata in Italia per spingere di più la versione di Peppino). Inoltre lo troviamo alle prese con il travolgente rhythm and blues “Shout” degli Isley Brothers, l'oscura “Anna Lee” di Al Kooper, tastierista di Bob Dylan, “Reach out I'll be there” dei Four Tops, con il titolo di “Gira gira”, “It's no usual” di Tom Jones (“Un giorno cambierai”).

Nel 1965 aprì il tour italiano dei Beatles, all'apice della Beatlemania ma che in Italia ebbe un'eco più sfumata.
“Avevamo la stessa casa di distribuzione discografica in Italia io e Beatles. E mi ricordo che nei loro uffici circolavano i provini dei Beatles e io gli diedi la spinta a pubblicarli. Erano primi in classifica in tutto il mondo tranne che in Italia e la Carisch chiese a me, che ero il loro artista di punta, di chiudere il primo tempo dello show.
Cantai cover in inglese con grande sfacciataggine.
Il pubblico però era in generale molto educato e non come si vede nei classici filmati dei Beatles con le ragazzine isteriche.
Fu una cosa più pacata, le adolescenti urlanti erano solo qua e là. Feci tutto il tour con loro. Viaggiammo sullo stesso aereo, pernottammo nello stesso albergo a Roma: io ero in una suite,
loro occupavano un intero piano. Avevano dei bodyguard che ti tenevano lontani. Mai una pacca sulla spalla. Solo l’ultimo giorno il loro impresario ci fece avvicinare per una foto”.

Sarà anche il primo a suonare un pezzo ska, “Operazione sole” nel 1966, su ritmi giamaicani davvero inconsueti per il nostro panorama musicale.
“A metà anni Sessanta non tiravo più come prima e avevo sperperato i tanti soldi che avevo guadagnato. Provai a importare lo ska, a rinnovare ancora il repertorio dei miei Rockers, ad approfittare della moda dei musicarelli, ma… Mi ritirai a Capri, non uscivo di casa se non per fare un tuffo a mare”.
La fine degli anni Sessanta con la valanga di cambiamenti sociali, culturali e artistici lo relega sempre più in secondo piano, troppo tradizionalista e legato a un repertorio non più al passo con i tempi.
Conserva successo negli Stati Uniti dove va spesso in tour. Si segnala per un esperimento bizzarro ma che rimane piuttosto interessante con due volumi dell'album “Napoli ieri – Napoli oggi” in cui rivisita classici napoletani in chiave quasi rock, con un gusto progressive. Anche successivamente, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, non disdegna sguardi all'attualità. Basti ascoltare alcuni brani di “Bona Furtuna”, album del 1981 (a cui collaborano anche Enzo Avitabile e il Maestro Peppe Vessicchio), in cui sfodera una serie di episodi funk soul, venati di blues e pennellate jazz fusion.
Dalla sperimentazione passa al successo definitivo con la vittoria al festival di Napoli, nel 1970 e al Festival di Sanremo nel 1973 con “Un grande amore e niente di più” con il testo scritto da Franco Califano.
Ma è soprattutto “Champagne”, uscito sempre nel 1973 a consegnarlo definitivamente alla storia della musica italiana.
Scritta da Mimmo Di Francia, Depsa e Sergio Iodice, ottiene un successo strepitoso, entra nelle classifiche di mezzo mondo, diventa un classico inevitabile in ogni serata di piano bar o musica leggera.
Peppino Di Capri si lega indissolubilmente al brano e da allora ad ogni apparizione pubblica non manca mai la canzone (peraltro poi ripresa più volte in nuove forme, tra cui una addirittura rap con Guè Pequeno, intitolata “Fiumi di champagne”).
Se in concerto non la eseguo c’è la rivolta. La suonano ai matrimoni. Io vorrei dire: “Ma l’avete ascoltato bene il testo? Parla di una donna che era di un altro, non mi sembra tanto adatta”. Però sono contenti, e allora...La lanciai a Canzonissima del 1973, dissanguandomi per investire nelle cartoline-voto, come si faceva allora. Ma non bastò, non andai oltre il quinto posto, vinse la Cinquetti con “Alle porte del sole”, cinque o sei mesi dopo, però quel pezzo, scritto pensando ad Aznavour e Modugno, iniziò il suo giro del mondo, che continua ancora”.

Rivince il Festival di Sanremo (in cui detiene il record di partecipazioni, ben quindici, al pari di Milva, Toto Cotugno e Albano) nel 1976 con “Non lo faccio più” e nonostante continui successivamente ad incidere e a suonare, si adagia, giustamente e giustificatamente, nel successo nostalgico dei tempi passati.

La chiusura alle sue parole: “Ho amato e sono stato amato, ho una famiglia magnifica, ho avuto amici splendidi. E sono nato sull’isola più bella del mondo. Ora guardo solo al presente, alla possibilità di afferrare ogni cosa che viene ancora. Lo dico subito: io so cantare e suonare, non so fare altro, e vorrei farlo fino alla fine, in qualsiasi modo essa si debba presentare”.

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