lunedì, giugno 27, 2022

Badges /Spillette


Riprendo l'articolo che ho pubblicato per "Il Manifesto" sabato scorso.

La storia delle spillette o badges è lunga e articolata e festeggia il secolo e mezzo di vita.
Simbolo identitario, che può essere sinonimo di appartenenza, ideologica o semplicemente estetica a un movimento oppure di preferenza per un gruppo musicale o un genere o anche latore di un messaggio, talvolta politico, altre volte semplicemente ludico e scherzoso.

Alla fine degli anni Settanta, tra noi giovani mod e punk, ci si riconosceva soprattutto grazie alle spille che ostentavamo su giacche e giubbotti.
Il gruppo o la frase erano il codice idetntificativo di appartenenza filosofico/ideologica a una comunità esclusiva che nessuno, al di fuori di noi, poteva riconoscere.
Essendo difficile reperire gli originali, spesso ce li costruivamo, acquistandone di generici e sostituendo l'immagine con fotocopie (ricolorate con matite o pennarelli) del logo o della foto della band preferita.
La semplice spilla poteva essere di per sé un segno identificativo anche per le parti avverse che ci osteggiavano (fascisti, discotecari, gruppi di vario tipo) e portarle, soprattutto in certi quartieri o luoghi, era talvolta pericoloso.

Un esempio, per certi versi paradossale, dell'importanza “etica” della spilla risale a metà degli anni Settanta, quando in Inghilterra la scena del Northern Soul assurse a popolarità mediatica, portando nelle mitiche nottate a suon di ballo, al Wigan Casino o al Blackpool Mecca, una vasta platea di nuovi adepti che poco avevano a che fare con lo spirito puro originale degli appassionati di soul.
Per farsi accettare nella “scena” indossarono immediatamente, oltre all'estetica che utilizzavano gli abituali e veterani frequentatori delle serate, le spille provenienti dai locali e dai gruppi di appassionati.
Spille che però identificavano la cronologia delle apparizioni alle varie serate.
Nelle quali venivano vendute con tanto di data come ricordo e “timbro” di partecipazione.
I nuovi, giovanissimi, svilirono il significato dell'oggetto, indossandolo per motivazioni solo superficialmente estetiche.
I veterani smisero immediatamente di portarli, depotenziandone totalmente il concetto e trasformando chi li ostentava, in novellini senza radici.

La storia delle spille nasce già alla fine del 1.800, negli Stati Uniti, principalmente come mezzo di supporto politico o per aderire a campagne di beneficienza. Una delle prime testimonianze risale al 1.860 per la campagna elettorale di Abramo Lincoln, in cui vennero utilizzate spille in ferro per invitare a votare il candidato.
Negli anni Quaranta diventa famosa quella con la scritta “Halt Hitler”, nel momento in cui l'America entra in guerra.
Difficile da credere ma già negli anni Ciqnuanta il problema climatico era ben presente nei movimenti antagonisti oltre oceano e spuntano spille in cui si invitano governo e responsabili istituzionali a prendere in considerazione il problema dell'inquinamento e delle conseguenze sullo stato di salute della terra. Ma è negli anni Sessanta che l'oggetto diventa diffuso e funzionale alla lotta politica, alle istanze pacifiste (soprattutto contro la guerra in Vietnam) e a quelle per i diritti civili, al supporto ai gruppi musicali, fino a souvenir di avvenimenti culturali.
Si diffondono soprattutto nei campus universitari (anche come simbolo di appartenza alle scuole o a gruppi all'interno delle stesse), in concomitanza con l'ascesa delle proteste studentesche contro la disuguaglianza sia razziale che sociale, nelle lotte femministe e anti capitaliste.

Un aspetto spesso rimarcato è quanto ai tempi fossero oggetti effimeri e di scarsa considerazione, quanto ora siano invece diventati testimonianze di spessore socio politico e storico, tanto da essere oggetti da museo.

L'Università del Connecticut ha da poco inaugurato un centro di raccolta in cui vengono conservate più di 1000 spille, spesso di contenuto politico, sociale e di protesta (di cui la metà digitalizzate e reperibili sul loro sito) dal 1910 in poi, testimonianza preziosa delle modalità espressive di questo mezzo attraverso gli anni e gli avvenimenti storici contemporanei alla loro stampa.

Lo stesso ha fatto il Busy Beaver Button Museum di Chicago, ospitando però anche spille di vario genere. Ad esempio quella dei Chicago's Roney's Boys gruppo musicale del 1901, probabilmente la primissima band a promuoversi attraverso questo mezzo.
A Chicago ne sono disponibili in mostra circa 5.000 ma ce ne sono almeno 25.000 ancora da catalogare.
Una delle responsabili del museo, Christen Carter, riassume bene l'importanza e la diffusione delle spille:
“Ci sono pochissime cose importanti che accadono senza che vengano accompagnate da una spilla e molte cose minori che invece vengono immortalate con le spille.
E' un vero universo.
È anche un tipo interessante di storia a livello personale. Non è necessariamente solo un grande libro di storia”.


I badges ebbero un'importanza rilevante all'interno della scena punk nata nella seconda metà degli anni 70 tra Usa e Inghilterra, simbolo estetico essenziale nel look di gruppi e fan.

La prima risale al luglio del 1976 e raffigura il chitarrista dei Ramones, sovrastato dal nome della band.
L'autore era però inglese, Joly McFie che fondò la Better Badges che produceva spille punk dedicate a tutti i gruppi della scena.
Giunse a venderne ed esportarne milioni in tutto il mondo.
Andò al concerto di Patti Smith a Londra il 17 maggio 1976 a venderne una serie che aveva fatto appositamente per l'occasione e fu subito un successo.
Ne stampò successivamente anche di Debbie Harry e quando i Blondie arrivarono in tour in Inghilterra si stupirono nel vedere tanta gente nel pubblico indossare le spille con la faccia di Debbie.

Nel 1976 i Motorhead erano ancora praticamente sconosciuti ma avevano la sala prove nella cantina sottostante il luogo in cui Joly lavorava alle sue spille. Così decise di farne anche una dedicata a loro con la scritta “Lemmy the Lurch”, diventata poco dopo un ricercatissimo pezzo da collezione.
Il badge che fece decollare l'attività fu invece quello di Iggy and the Stooges, prodotto alla fine del 1976, quando il punk era ancora in fase embrionale e Iggy un padre putativo riconosciuto e adorato.

Più problematico logisticamente fu il badge dei Sex Pistols con la faccia della regina trattata dal grafico della band, Jamie Reid, con una spilla da balia nelle labbra e la scritta “God Save the Queen”.
Joly McFie ne produsse alcune copie promo che entusiasmarono la Virgin Records che gliene ordinò “una tonnellata”.
Ma le lavoratrici della Universal Buttons a cui venne delegata la produzione si rifiutarono di toccarle e di realizzarle.
Così inizialmente si dovettero arrangiare da soli, lavorando giorno e notte per supplire agli ordini, fino a quando non trovarono una fabbrica con meno scrupoli.

Progressivamente sempre meno utilizzate, le spille (anche se molto presenti durante le campagne elettorali americane, dove rimangono un mezzo di comunicazione ritenuto ancora particolarmente valido) hanno ritrovato vita grazie a un crollo dei costi di produzione grazie alle nuove tecnologie e anche all'utilizzo su internet dei cosiddeti “web buttons”, ovvero dei pulsanti che si possono inserire nelle pagine, digitando i quali si viene rimandati all'oggetto della promozione. Difficile immaginarle indossate dalle giovani generazioni, più abitualmente utilizzate dai veterani delle varie scene tra gli anni Settanta e Novanta, conservano comunque il fascino “antico” di una modalità espressiva tanto diretta quanto naif ma di immediata presa e lontano, candido (un po' nostalgico), sapore adolescenziale.

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