martedì, ottobre 14, 2025

Kneecap: breve cronaca una risata

Continua la saga dei KNEECAPP, una della relatà più interesaanti, attive(iste), sia musicalmente che a livello sociale e culturale in circolazione.
Quando la musica torna a contare non solo sulle piattaforme o nelle recensioni.
Ce ne rendiconta, come sempre, l'amico MICHELE SAVINI.


Le precedenti puntate di "The Auld Triangle: narrazioni dalla repubblica d'Irlanda" qui: https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

Oggi torniamo a parlare dei Kneecap, con l’auspicio di mettere finalmente la parola fine ad un capitolo giudiziario che ha poco a che fare con la musica. Una band che ha fatto parlare così tanto di sé negli ultimi mesi, che ormai perfino il silenzio su di loro suona come una dichiarazione, perché fingere di ignorarli è praticamente impossibile.
Stavolta sarò celere, tutti i dettagli dell’intera vicenda li trovate qui nelle precedenti puntate:
Kneecap: il peso delle parole: https://tonyface.blogspot.com/2025/05/kneecapp-il-peso-delle-parole.html

Kneecap : More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara: https://tonyface.blogspot.com/2025/07/kneecapp-more-blacks-more-dogs-more.html

Qualche settimana fa si è tenuto l’atto conclusivo del processo a Liam Óg Ó Annaidh, in arte Mo Chara, membro del trio nordirlandese dei Kneecap, accusato di terrorismo per aver esposto, durante un concerto londinese nel novembre 2024, una bandiera di Hezbollah, organizzazione considerata illegale nel Regno Unito.
Da parte sua, la band sostiene che le accuse siano motivate politicamente e non giuridicamente, mirate a silenziare chi, come loro, denuncia le ingiustizie, in particolare la situazione che da mesi colpisce Gaza.

Già nella precedente udienza la difesa aveva contestato la legittimità dell’accusa, rilevando che il procedimento non era stato avviato entro i sei mesi stabiliti dalla legge. La controversia legale su cui verteva il processo riguardava soprattutto interpretazioni giuridiche e questioni procedurali, piuttosto che sulla natura politica dell’accusa.

L’appuntamento perciò era per venerdì 26 settembre alla Woolwich Crown Court di Londra, per l’ultimo round di una partita a scacchi tra il governo britannico e il controverso trio hip hop di Belfast. Già il giorno precedente all’udienza, la Metropolitan Police di Londra, aveva invocato la sezione 14 della legge sull’ordine pubblico, che vietava l’assembramento fuori dalla Woolwich Crown Court per ragioni di sicurezza. I fan dei Kneecap, accompagnati da moltissimi attivisti pro Palestina, avevano infatti organizzato un vero e proprio show di solidarietà nei confronti della band nella precedente udienza, giocando un ruolo importante nel mostrare da che parte stava l’opinione pubblica.
Perciò la mossa di vietare i sostenitori pacifici della band rappresentava l’ennesimo tentativo da parte dell’establishment di ridurre al minimo il clamore e di far apparire come “problematici” i sostenitori del trio di Belfast.

Ma più di ogni altra cosa, nascondeva una verità innegabile: tra le file dell’accusa serpeggiava paura.
Paura di non essere in grado di vincere la partita né sui punti né sul piano morale, mentre i Kneecap, come un branco di squali che percepisce il sangue della preda, avanzavano decisi, mostrando tutta la loro forza e determinazione.

Arrivo davanti alla Woolwich Crown Court con il solito inconfondibile stile, quello che, se accompagnato dal groove implacabile di “Little Green Bag” dei George Baker Selection, trasformerebbe il piazzale in un set tarantiniano.
Tutta la crew dei Kneecap si presenta infatti incappucciata, con l’ormai iconico passamontagna tricolore, come a dire: “Ecco che arrivano i terroristi…” e sfoggiando un silenzioso ma palpabile ottimismo.

All’interno del tribunale, mentre il magistrato Paul Goldspring si prepara a leggere la sentenza, l’aria è densa di tensione. Il giudice conferma quanto già sostenuto dalla difesa: l’accusa è proceduralmente errata, poiché i permessi necessari non sono stati ottenuti entro il termine legale previsto dalla legge sul terrorismo del Regno Unito.
Secondo il Terrorism Act 2000 infatti, il Crown Prosecution Service (CPS) aveva sei mesi di tempo per ottenere i consensi necessari dal Procuratore Generale, con scadenza fissata per il 21 maggio 2025. Peccato che i consensi siano arrivati solamente il giorno dopo, il 22 maggio.
Traduzione: per sole 24 ore di ritardo, l’intero procedimento è crollato come un castello di carte e l’accusa completamente archiviata. Decisione accolta dagli applausi dell’aula e uscita trionfale dalla porta principale, dove qualche sostenitore e numerosi giornalisti attendevano le prime parole di Mo Chara, che arrivano intrise della solita sobrietà che contraddistingue il clan Kneecap.

«Un enorme grazie al mio team legale.
Darragh, Jude, Blinne, Brenda, Gareth e a tutto lo staff della Phoenix Law.
Un ringraziamento speciale anche alla mia interprete Susan.
Tutto questo procedimento non ha mai riguardato me, né la minaccia alla sicurezza pubblica, né il “terrorismo”, una parola usata dal vostro governo per screditare le persone che opprimete. Ha sempre riguardato Gaza.
Su cosa succede se osi parlare.
Noi, essendo irlandesi, conosciamo l’oppressione, il colonialismo, la carestia e il genocidio.
L’abbiamo sofferto e ancora lo soffriamo sotto “il vostro impero”.
I vostri tentativi di metterci a tacere sono falliti, perché noi abbiamo ragione e voi avete torto.
Non staremo zitti.
Abbiamo detto che vi avremmo combattuti nei vostri tribunali e che avremmo vinto.
E così è stato.
Se qualcuno su questo pianeta è colpevole di terrorismo, è lo Stato britannico.
Free Palestine!
Tiocfaidh ár lá»


Il capitolo conclusivo di questa vicenda lascia dietro di sé pesanti strascichi da entrambe le parti della barricata.
La parziale “vittoria” per la band di Belfast non cancella il peso del circo mediatico orchestrato dal governo inglese che ha inciso pesantemente sulle attività del gruppo, tra spese giudiziarie e ingenti perdite economiche derivanti dalla cancellazione di molte date del tour, con il Canada ultimo dei paesi a rendere noto che là non sono i benvenuti. Ma, a conti fatti, è pur sempre preferibile a una condanna per terrorismo firmata Londra …

Per il governo britannico, l’ennesima figuraccia istituzionale, aggravata dall’imbarazzo di aver invocato l’arsenale antiterrorismo per poi inciampare su sé stesso, cadendo rovinosamente sul dettaglio più banale: un termine scaduto e autorizzazioni mancanti.
Un passo falso che non solo evidenzia la goffaggine burocratica del Regno Unito, ma finisce per alimentare la narrativa voluta dai Kneecap: quella di artisti perseguitati per le loro posizioni politiche.

“Non ci prenderete mai …” sembrano gridare.

Nell’aula ormai vuota della Woolwich Crown Court resta solo l’eco delle loro risate.
«La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli», diceva Bobby Sands, il militante repubblicano nordirlandese morto durante lo sciopero della fame del 1981.
Oggi il suono di quelle risate rimbalza tagliente, beffardo e liberatorio.
Proprio come Bobby e i suoi compagni sognavano 40 anni fa.


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