giovedì, luglio 17, 2025

La lunga estate degli anni Sessanta


Da un vecchio numero della rivista "Musica 80" (primissimi anni Ottanta) un interessante scritto di EDOARDO VIANELLO (si ! Quello de "I Watussi" e "Abbronzatissima"...) con una visione del periodo da chi operava in un contesto commerciale, leggero e lontano, almeno artisticamente, dalle "rivoluzioni" in atto.

La lunga estate degli anni 60.
Con questo slogan una nota casa discografica italiana ha riproposto recentemente i vecchi successi italiani degli anni 60 che costituiscono ancora oggi il momento più magico e più prolifico della canzone italiana moderna.
Gli anni 60 sono stati gli anni dei cantautori italiani che dopo la dittatura dei regimi "monarchici” dei Claudio Villa e delle Nilla Pizzi, comunque mai andati in esilio o sommariamente giustiziati come si addice ai veri monarchi dopo una rivoluzione, hanno preso il potere, amministrandolo saggiamente, nonostante le mode, le evoluzioni, la disco-music e il rock, al punto che oggi potrebbero indire libere elezioni e contare ancora in una schiacciante vittoria.

Analizziamo il motivo per cui la canzone italiana, marcata anni 60, oggi sta interessando anche le nuove generazioni.
In ogni forma d’arte (perdonatemi se intendo accostare la canzone alle espressioni artistiche ma considero arte tutto ciò che arriva ad una grande massa) ci sono dei caposcuola ai quali si rifanno dei gruppi, nei quali, a loro volta, ognuno trova poi una propria strada ed una propria personalità.

Il nostro caposcuola è stato Domenico Modugno che, alla fine degli anni 50, presentandosi sul palco di SanRemo con una canzone così straordinariamente diversa dagli schemi stantii del bel canto italico, riusciva in soli tre minuti, con quella sua grinta, con quel suo entusiasmo, con quella sua “zazzera” che, all’epoca, fece accapponare la pelle ai nostri genitori, a dare l’avvio alla grande rivoluzione della canzone italiana.
Senza dubbio a Modugno dobbiamo il fatto che possano essere nati i cantautori, autori di canzoni che non si sarebbero mai azzardati a cantarsele da soli se non fosse avventura questa rottura: il così detto bel canto lasciava il posto all’interpretazione.
Infatti il cantautore è soprattutto un interprete che riesce a coinvolgersi senza preoccuparsi se l’intonazione, la limpidezza della voce, la modulazione delle note siano perfette.
E allora hanno potuto cantare tutti, tutti coloro i quali avevamo la necessità di dire delle cose.
E sono arrivati Umberto Bindi, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Bruno Lauzi che con poca voce, ma con tanta personalità, sono riusciti ad imporre il loro stile e i loro brani.

Il movimento si è poi arricchito di interpreti straordinari che hanno incominciato ad apprezzare la canzone d’autore come Mina, Ornella Vanoni e di altri interpreti anch’essi a volte autori che in epoche precedenti non avrebbero certamente fatto centro.
Anch’io nasco nello stesso periodo benchè il mio repertorio si discosti nettamente dalle canzoni un po’ impegnate dei primi cantautori.

Ma il mio inserimento avviene a colpi di successi discografici. Divento il cantante dell’estate per antonomasia, proprio perché d’estate riesco a piazzare uno o più successi: “Il capello” nel 61, “I Watussi” e “Abbronzantissima” nel 63, “Guarda come dondolo” e “Pinna fucile ed occhiali” nel 62, “O mio signore” e “Tremarella” nel 64, “Da molto lontano” e “Il peperone” nel 65, scrivendo anche per la Pavone “La partita di pallone” che la porterà al successo nel 63.

Ma ricordo che a quei tempi ero guardato un po’ male dai colleghi che mi consideravano la pecora nera di questo “rinascimento “ per il contenuto spensierato delle mie canzoni.
Infatti solo col passare degli anni il mio repertorio ha preso consistenza, rimanendo il simbolo delle estati degli anni 60.
Poi la musica è cambiata.
I Beatles sono saliti in cattedra e ci hanno insegnato a scrivere, suonare e a cantare in un altro modo.
In Italia sono spuntati i complessi.
Il gusto del pubblico ha cominciato gradualmente a cambiare: si è evoluto, come ci hanno spiegato i giornali specializzati.
E i cantautori si sono messi da parte, trovando altre strade: nei night Paoli, il teatro Gaber, i Vianella il sottoscritto, il cabaret Lauzi.

L’oblìo gli altri, ma seguendo con attenzione questa evoluzione, che alla fine è diventata talmente esasperata , ai nostri giorni, da risultare incomprensibile ai molti e riservata a quella piccola elite che , per apprezzarla in pieno, deve ricorrere spesso a “stimoli” più o meno pesanti…
Finchè il pubblico, improvvisamente, ha sentito la necessità di riscoprire, per i giovani di conoscere, i testi di Paoli, Tenco, Lauzi, le melodie di Endrigo, di Bindi, la matematica ingenuità delle mie canzoni, la linearità, la semplicità e la poesia della lunga estate degli anni 60.

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