lunedì, novembre 17, 2025

Kevin Rowland

Riprendo l'articolo che ho scritto sabato per "Alias" de "Il Manifesto", dedicato a KEVIN ROWLAND dei Dexy's Midnight Runners.

Personaggio molto particolare, indecifrabile, autodistruttivo, in costante bilico tra genialità e occasioni gettate al vento, indescrivibile superficialità, mancanza di concretezza, incapacità congenita di gestire realtà e logistica, che con un minimo di lucidità avrebbe impedito disastri spesso indecorosi.
E’ il ritratto, impietoso, che lo stesso Kevin Rowland ci regala nella sua recente autobiografia “Bless Me Father” da poco pubblicata in Inghilterra.
Il cantante dei mitici Dexy’s Midnight Runners, tra le band più rappresentative della scena inglese degli anni Ottanta, si mette a nudo, anche troppo, dedicando buona parte del libro al difficile rapporto con il padre, la sua sessualità, l’adolescenza trascorsa divertendosi a rubare ovunque potesse, la conflittualità con le sue radici irlandesi e relative tradizioni, le disastrose esperienze economiche che lo portarono in bancarotta, nonostante il successo dei suoi dischi, un lungo periodo di tossicodipendenza, con annessi e connessi.
Il testo è talvolta eccessivamente concentrato su aspetti personali, trascurando quello che il lettore avrebbe maggiormente gradito ovvero un approfondimento delle tematiche artistiche, molto più stimolanti e interessanti delle vicende famigliari.

Come detto, il giovane Rowland, oppresso da un padre autoritario, pervasivo, ingombrante, trova il modo per placare la sua frustrazione con una forma di ribellione che sfoga nel furto, non per necessità ma per semplice “passione”. Finisce spesso nei guai, alimentando l’anaffettività e il distacco dall’esigente padre, fardello che si porterà appresso per tutta la vita, fino a una tardiva riconciliazione alla morte del genitore.
La vita a Birmingham sarà costantemente segnata da una lunga serie di problemi, tra appartenenza a varie gang giovanili, con risse e vandalismi di prammatica, il suo aspetto fisico (pelle olivastra e capelli ricci) che non sempre aiutavano l’integrazione in una società, anni Settanta, in cui spostarsi da un quartiere all’altro poteva causare problemi.
Ero stato programmato a credere che la gente di colore e gli irlandesi avessero un valore inferiore a quello degli inglesi. Era impossibile crescere a quei tempi senza essere razzista.

Come spesso accade la musica diventa l’appoggio salvifico, anche se nel frattempo non disdegna alcol, droghe e una figlia indesiderata che ritroverà solo decine di anni dopo.

Con i Lucy and the Lovers cerca di creare un sound e un’estetica originali e unici e in qualche modo ci riesce, precorrendo quello che diventerà di lì a poco il giro New Romantic. Ma è troppo presto, esplode il punk e diventa indispensabile tuffarvisi. La band cambia nome nel più aggressivo e consono The Killjoys, trovando una nuova estetica e circuito concertistico.
Lasciano un 45 giri di scarso spessore e successo e poche tracce. Kevin, trovati nuovi compagni d’avventura, decisi e motivati, dedica anima e corpo a un nuovo progetto dal suggestivo e originale nome di Dexy’s Midnight Runners (riferimento esplicito alle pillole stimolanti care ai Mod, la Dexedrina).

I riferimenti principali guardano al soul ma non in modo accademico.
La band cerca l’originalità, un suono personale, ben preciso, in cui può confluire di tutto.
Esteticamente son uno strambo mix di stili, in ottemperanza alla visione di Rowland, da sempre amante di moda ed abbigliamento. Ma ancora una volta saranno necessari dolorosi compromessi.
A livello sonoro la EMI, che li mette sotto contratto, li indirizza verso il soul più classico, soprattutto dopo il successo del singolo Geno (del marzo 1980).
L’invito, irrinunciabile, nonostante molte perplessità, a partecipare a un tour con gli Specials (Rowland non vuole essere incasellato in nessun ambito, soprattutto in quello così identificabile come quello ska), li induce a trovare un look meno sgargiante ed estroso.
Non mi sono mai perdonato il cambiamento di look, mi sono torturato per anni per quella decisione. Abbiamo perso l’opportunità di diventare il gruppo più culturalmente significativo e cool degli anni Ottanta.

Optano per un’immagine rude, da portuali americani, cuffie di lana, giacconi di pelle, scarponi. Abbinato al brillante album d’esordio Searching For The Young Soul Rebels a base di un soul beat dall’attitudine punk, con la voce singhiozzante di Rowland che si ispira esplicitamente al soul man Jackie Wilson, proietta la band in classifica e riempie i club del loro tour.
Non basta a placare l’inquietudine del leader che in breve tempo litiga con la band, licenzia questo e quello (alla fine nella carriera nel gruppo si contano più di cinquanta musicisti che si sono alternati) e, invece di approfittare del felice momento artistico, decide di cambiare completamente rotta.

Si ricorda delle canzoni celtiche che si cantavano in casa, scopre l’opera di Van Morrison, inserisce un violino, cambia completamente look alla band, optando per un’estetica “gipsy”.
Nel 1982 Too-Rye-Ay, spinto dall’immortale singolo Come On Eileen, conquista le classifiche di mezzo mondo e porta la band alla massima notorietà.
Rowland di nuovo si perde nell’innata autodistruzione, la band va a pezzi, accumula debiti, firma contratti capestro, incomincia a flirtare con cocaina e affini, disperde un invidiabile patrimonio artistico e di notorietà.
Soprattutto nel volere cambiare ancora drasticamente direzione musicale.
Per il successivo Don’t Stand Me Down ci vorranno tre anni di duro e contrastato lavoro.
Il risultato è un buon album ma che si distanzia ancora una volta dal precedente in modo netto, con lunghi brani, caratterizzati dall’introduzione di dialoghi, riferimenti soul pop ma dal profilo indefinito.
Sarà un clamoroso flop.

La band si scioglie, Rowland entra in un lungo tunnel di abusi, crolli finanziari, tentativi di resurrezione con alcuni scarsi album solisti, malamente promossi e scomparsi in breve dalla circolazione.
Solo dopo un infinito calvario Rowland ritrova equilibrio e rimette in piedi l’ennesima incarnazione dei Dexy’s (ora con il nome abbreviato) che riprendono vita con il buon One Day I’m Goin’ To Soar del 2012, l’affascinante Let the Record Show: Dexys Do Irish and Country Soul, omaggio alla tradizione irlandese, che li riporta nelle classifiche e il più che ottimo Feminine Divine del 2023.
Le esibizioni dal vivo sono sempre più convincenti, il repertorio è vasto e ricco di brani entrati ormai nella storia del pop inglese.

Rowland è sfuggito ai suoi demoni, è riuscito a ristabilirsi economicamente, recuperando i diritti delle sue canzoni, a lungo pignorate per pagare montagne di debiti (come candidamente confessa: la cocaina costa) e nonostante una salute non più perfetta è riuscito a ritrovare lo status che gli spetta nel panorama musicale.

Quello di un visionario, dotato di un’immensa creatività, al limite della genialità, che ha intuito e aperto numerose strade, senza mai riuscire a trarne, per ingenuità, incapacità imprenditoriale, eccessiva arroganza caratteriale, propensione all’autodistruzione, il giusto guadagno.

Le note finali del suo libro sono esaustive in tal senso:
In precedenza non ho mai saputo cosa fosse la pace, non l’avevo mai sperimentata, forse solo brevemente con le droghe.
Ora l’ho trovata e non sono mai stato così felice.
La mia vita è stata un viaggio nell’inferno e non vorrei mai poterla ripetere.
Ma credo di aver fatto ciò che Elvis Presley suggerì: “Ho seguito quel sogno ovunque ci possa portare”
(da Follow That Dream del 1962). E sono felice di averlo fatto.

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