venerdì, settembre 25, 2020

Carlo Babando - Blackness



Mi piacerebbe scrivere come Carlo Babando.
La mia è sincera ammirazione per chi è stato in grado, con questo testo, di approfondire, come è raro trovare, in modo così lucido e innovativo, il difficile rapporto tra BLACKNESS (in particolare il mondo che gravita, artisticamente e culturalmente, intorno al mondo afroamericano) così come la intendiamo noi "bianchi europei" e come invece è in realtà. Ovvero di una complessità che talvolta sfugge a chi si limita alla classica iconografia "Black Panther/pugno nero chiuso/black is the colour" etc.

"Bisogna stare attenti che il binomio musica nera/lotta per l'uguaglianza non inizi ad apparire prevedibile o troppo ben confezionato per fare riflettere come dovrebbe.
Il rischio è di scorgere qualcuno che alza il pugno semplicemente per essere preso sul serio, per dimostrare che la propria voce merita più attenzione perché affronta certi temi."


La prima parte del libro ci insegna a cosa era l'Africa Subsahariana prima delle deportazioni.
Luogo di imperi, ben governati e amministrati, pieni di cultura e radici.
Non sempre rispondenti al nostro immaginario (spesso gli schiavi venduti per essere portati nelle Americhe erano prede e conquiste di guerra di altri neri, appartenenti ad altre etnìe. Guerre progressivamente istigate dai mercanti bisognosi di mano d'opera fresca).
E' un saggio di GRANDE IMPORTANZA, un approfondimento chiaro e spietato che toglie di mezzo tante inesattezze, "ribalta" coraggiosamente una visione della storia eurocentrica e "romanzata".

Uno dei testi più lucidi mai letti sul contesto in oggetto.

Anche perchè:
"L'espressione di un musicista afroamericano deve essere ricondotta necessariamente alla propria identità culturale?"

In mezzo tanta MUSICA, tanti dischi, una guida competentissima alla Black Music, ragionata, mai banale, precisa, piena di piccole sorprese.

Comprate queso libro senza alcuna esitazione.
Un piccolo, anzi no, un vero e proprio CAPOLAVORO per chi vuole capire meglio la BLACK MUSIC.


"Quanto l'esaltazione della coscienza sociale nera abbia realmente a che fare con la comunità afroamericana e quanto, al contrario, venga utilizzata per VENDERLE QUALCOSA (e contemporaneamente attirare una parte della comunità bianca) è quasi sempre difficile capirlo".

"Coniugare identità etnica e marketing discografico non è un male a ogni costo, può anzi servire a veicolare meglio alcuni messaggi, tuttavia non si deve pretendere che le cose possano cambiare semplicemente mettendosi in cuffia un disco senza comprenderlo davvero."

CARLO BABANDO risponde ad alcune domande.

1) La prima parte del libro è un'analisi molto complessa e approfondita sulle origini “secolari” della “blackness”, pre deportazione schiavi. Che permette di comprendere tante cose. E' stato difficile lavorarci e trovare tutte le fonti?
Tutta la parte iniziale del libro è una rielaborazione di alcuni capitoli della mia tesi di laurea in storia medievale, a tratti inevitabilmente semplificata e adattata al contesto socio-musicale all’interno di cui si muove “Blackness”.
Per quanto riguarda le fonti, ho fatto riferimento a studi accademici pubblicati principalmente oltreoceano, provando a mettere insieme storiografia, antropologia, etnologia e storia della musica.
Non sempre è stato facile scovarli e accostarli l’uno all’altro, ma il bello della ricerca in ambito universitario è proprio questo.

2) Molto interessante la sottolineatura di come tutta la vicenda dello schiavismo sia passata sotto una lettura prevalentemente “bianca”. In cui il popolo nero era una sorta di “schiavo per natura”, sottomesso e strappato da un mondo idilliaco dove viveva da “buon selvaggio”.
La lettura bianca – e nella maggior parte dei casi eurocentrica – che si fa comunemente della storia atlantica è finita per influenzare, spesso inconsapevolmente, persino l’universo afroamericano.
È per questo motivo che nel libro ho dedicato molto spazio al rapporto tra i figli della diaspora africana (non solo statunitensi quindi) e il rapporto controverso che hanno con le proprie origini. È quasi come se l’Africa subsahariana, dalle cui coste salparono le maggior parte delle navi cariche di schiavi, non possa vantare un passato complesso e grandioso come quello dell’Egitto, al cui immaginario si sono invece riferiti tantissimi artisti e musicisti neri.
E invece no, le cose non stanno affatto così.

3) Un passaggio che può essere definito “controverso” è quando dici “Quanto l'esaltazione della coscienza sociale nera abbia realmente a che fare con la comunità afroamericana e quanto, al contrario, venga utilizzata per venderle qualcosa (e contemporaneamente attirare una parte della comunità bianca) è quasi sempre difficile capirlo. Tu cosa ne pensi e cosa ne hai capito?
Personalmente credo che il capitalismo giochi per forza di cose un ruolo fondamentale nell’industria della cultura e dell’intrattenimento mainstream, e questo si riflette anche nella musica e nel cinema che si rivolgono alla comunità afroamericana, o che nascono al suo interno.
Il punto, semmai, è non pensare che tutto ciò banalizzi irrimediabilmente la portata del “messaggio”.
Ci troviamo a vivere in un momento storico in cui mettere in luce certe storture sociali appare ancora una volta importantissimo, ma è fondamentale approcciarsi a questi temi con la giusta dose di onestà da parte degli artisti coinvolti e con l’imprescindibile voglia di comprendere – e approfondire – da parte di chi ne ascolta le espressioni su disco, attraverso le playlist a tema di Spotify, scorrendo i contenuti di Netflix e via dicendo.
Altrimenti rischia di apparire solo una questione di acconciature afro, coreografie ipnotiche e bicipiti di ebano.

4) Passando alla musica, la lista di dischi e canzoni che tratti mostra un incredibile quantità di capolavori riferibili al periodo d'oro della black music (e non solo), 70 e 80.
Secondo te, se è possibile fare un raffronto, successivamente c'è stata altrettanta musica importante e decisiva, a livello artistico?

La musica nera è in grado di rinnovarsi e autocitarsi in modo meraviglioso e inarrestabile, mescolando generi e inventandone di nuovi.
Basta pensare al rap. Ragionando in questi termini non esiste un decennio in cui manchino artisti a loro modo decisivi, persino ai tempi dei lustrini e dell’edonismo reaganiano. Mi sarebbe piaciuto trattare in maniera approfondita anche il trentennio che si spinge oltre il 1971 di “What’s Going On” e arriva all’avvento del neo soul, magari allargandomi sia in direzione del funk che dei suoni giamaicani, ma mi sono presto reso conto che sarebbe servito troppo spazio.
Ecco allora che ho preferito costruire un ponte che dal doo wop giungesse, dopo un lungo volo sui capolavori (a volte dimenticati) degli anni Cinquanta e Sessanta, direttamente alla scena contemporanea e al retro soul di Sharon Jones, Lee Fields e colleghi. Sì, di musica nera fondamentale ce ne sarà sempre: ma oggi più che mai si tratta di una galassia molto liquida, in cui Kendrick Lamar e Kamasi Washington nuotano nello stesso acquario di Beyoncé, Durand Jones e Anderson Paak.
Non a caso ho compilato anche una lunga playlist dedicata a “Blackness” ascoltabile su Spotify, pensandola proprio come una guida all’ascolto.

5) Credi che il BlackLivesMatter sia la scintilla per produrre una nuova scena di black music “impegnata” (vedi l'esperienza dei Sault).
Black Lives Matter e i movimenti attivisti offrono spunti e sinergie che possono fungere da base per la crescita di progetti musicali socialmente impegnati e senza dubbio molto interessanti. La speranza, tuttavia, è che a questo si affianchi sempre una coscienza sociale – sia bianca che nera – alimentata dalla voglia di conoscere il passato per comprendere il presente e offrire delle risposte concrete nel futuro. Risposte, per intenderci, che non siano abbattere le statue di Cristoforo Colombo.
E non è finita qui, perché Black Lives Matter ha influenzato positivamente anche il mondo dello sport e quello dell’industria cinematografica, come spiegano bene Giuseppe “u.net” Pipitone e Marco Manetti (Manetti Bros) nelle due conversazioni che chiudono il libro. Insomma: resto convinto che alla rabbia e al talento, in qualsiasi caso, non può mai mancare anche la conoscenza se si vuole sperare di cambiare davvero le cose.

6) Dimmi cinque nuovi artisti e/o dischi che ritieni importante seguire.
Più che dei nomi in particolare, potrebbe essere nuovamente l’ora di provare a seguire una “scena”.
Che, paradossalmente, non è più contraddistinta da un genere musicale ben preciso: in mezzo ci sono rapper, jazzisti, popstar, compositori elettronici e chi più ne ha più ne metta.
Ovviamente non tutto ciò che fuoriesce da queste traiettorie all’incrocio di indie e mainstream è degno di recupero, ma ognuno dei nomi coinvolti sta provando a dire qualcosa all’interno di un grande discorso comune. Quello che volevo fare con le pagine di “Blackness”, in fin dei conti, era soprattutto provare a decifrare alcune geometrie di questo discorso. Forse proprio le più ingarbugliate.

Carlo Babando
Blackness
Odoya
20 euro

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