sabato, novembre 15, 2014

The Art of McCartney



In una povertà creativa sempre più accentuata un album tributo è sempre qualcosa che funziona ed incuriosisce. Se poi si parla di un personaggio come Paul McCartney possiamo pure aggiungere che vende.
Soprattutto se nella lista dei 34 brani sfilano nomi eccellenti come Bob Dylan, Roger Daltrey, Billy Joel, Chrissie Hynde, Brain Wilson, BB King etc. Anche questo lavoro non sfugge alla ovvia consuetudine di una serie di brani riusciti a fianco di cadute di tono e soprattutto ad una lunga (troppo in questo caso) serie di riletture assolutamente (inutilmente) fedeli alle versioni originali.
L’album è comunque abbastanza interessante con qualche momento di assoluto godimento nonostante le due ore di durata siano davvero prolisse e che si noti la mancanza di nuovi nomi della scena musicale a favore di una serie di personaggi che definire bolliti è un eufemismo.

Billy Joel strapazza una delle migliori canzoni in assoluto di Paul, “Maybe I’m amazed” dal suo primo solista, con piglio rock pesante e obsoleto. Dylan fa invece brillare la sbarazzina “Thing we said today” di lampi country blues con voce roca e pigli fiero. Trascurabile, anzi irritante, la banalizzazione che viene fatta dalle Heart a quel gioiello compositivo che è “Band on the run”. Trascurabili le versioni di “Junior’s farm” di Steve Miller e di “The long and winding road” di Cat Stevens, ancora più zuccherosa dell’originale la “My love” di Harry Connick Jr.
Il livello si alza in maniera incommensurabile con l’orchestrazione di prevedibile enorme classe di Brian Wilson in “Wanderlust” e nella versione soft soul di “Bluebird” di Corinne Bailey Rae, uno dei momenti migliori dell’album.
Impresa ardua azzardare una versione di “Yesterday” senza cadere nel risaputo.
E invece Willie Nelson riesce a darne una versione cruda e convincente.
Ottima la scelta e riuscita la versione di “Junk” di Jeff Lynne mentre Barry Gibb invece rifà uguale all’originale “When I’m 64” ma corredata dalla sua insopportabile voce.... Innocua la “Every night” di Jamie Cullum, prevedibilmente pacchiane la versioni di “Venus and mars/Rock show” dei Kiss e di “Let me roll it” di Paul Rodgers.
Didascalico Roger Daltrey su “Helter skelter” anche se la sua voce ruggisce ancora alla grande e l’arrangiamento assume connotati quasi soul pur conservando il tiro hard dell’originale. Hard boogie per i Def Leppard su “Helen wheels”. Calligrafico anche Robert Smith dei Cure (con James Mc Cartney, il figlio di Paul) ma versione divertente e divertita di “Hello goodbye”, molto godibile.

Torna Billy Joel con una brutta “Live and let die”, se la cava invece bene Chrissye Hinde con una dignitosa quanto impegnativa “Let it be”. Robin Zander e Rick Nielsen sono voce e chitarra dei Cheap Trick e insieme presentano una discreta “Jet”. Al contrario il chitarrista dei Def Leppard (ancora!) rende inutile l’ascolto di “Hi hi hi”.
Gran bel pezzo “Letting go” ma terribilmente banalizzato dalle ancora presenti Heart mentre invece Steve Miller riesce a valorizzare “Hey Jude”. Si può saltare a piè pari “Listen to what the man said” degli Owl City e ascoltare la gradevole ma accademica “Got to get you into my life” di Perry Farrell, identica all’originale.
Si entra poi in atmosfere black con la souleggiante “Drive my car” di Dion, il rhythm and blues jazzato del grande Allen Toussaint alla prese con “Lady Madonna” e un altro grande maestro come Dr.John che porta “Let me in” nei vicoli di New Orleans con un riuscitissimo arrangiamento con cui si appropria della canzone al 100%.
Incolori invece “So bad” di Smokey Robinson e “No more lonely nights” di tali Airborne Toxic Event. Evitabile la “Eleanor Rigby” di Alice Cooper (uguale all’originale..mah), divertentissimi Toots Hibbert con Sly & Robbie alle prese con una versione rockseady ska di “Come and get it”, buono BB King con “On the way” ed è un vero peccato chiudere con Sammy Hagar che maltratta “Birthday”.

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