venerdì, novembre 02, 2012

Fugazi



Torna AndBot (in arte Andrea Fornasari) con una bio discografica dei FUGAZI, tra le bands più innovative e sottovalutate del rock "recente".

Scrivere di una band come i Fugazi, per me, grande sostenitore dell' indie-rock 90's, può essere pericoloso: c' è il rischio concreto di perdere la bussola, di tirare in ballo faccende extra-musicali come nostalgia, devozione e rispetto.
E' anche vero che risulta difficile parlare della corazzata di Washington D.C. senza soffermarsi su questioni riguardanti vero e indomito spirito "do it yourself" e coerenza assoluta, senza restare stupefatti dinanzi alla forza di volontà di Ian MacKaye e soci.
C' è questo: in un periodo come quello degli anni novanta, in cui le major rischiavano di fagocitare l' uderground (l' effetto Nirvana) con tutte le conseguenze, buone e cattive, i Fugazi e la Dischord (la label creata da MacKaye ai tempi dei Minor Threat) sono stati un "faro" che ha illuminato il non facile percorso dell' onestà indie, mantenendo al tempo stesso una qualità musicale che ha dell' incredibile.
E allora, come dicevo, atteniamoci ai fatti e diamo per scontate (come sempre) un po' di cose: se non conoscete una band seminale come i Minor Threat forse è il caso di tornare a studiare. Io posso chiudere, a fatica, un occhio per quanto riguarda i Rites Of Spring, la band con la quale Guy Picciotto (la seconda chitarra e l' "altra" voce dei Fugazi) inventa a metà anni ottanta l' emo-core e magari lo chiudo anche per gli Embrace, la formazione pre-Fugazi di Ian.

Scherzi a parte: in sostanza l' hardcore-punk che i Minor Threat avevano contribuito a creare, era ormai arrivato a un punto morto. In più si stava pericolosamente imparentando con il metal e i suoi aspetti macho, le chitarre pesanti, le "pose" e manifestazioni gratuite di violenza. Quello che volevano fare MacKaye e Picciotto è esattamente l' opposto, ovvero estirpare dalla musica tutte le forme machiste, pur mantenendo un approccio sostanzialmente punk: "le botte sull' ego e non sul corpo!" diventa il motto da seguire.
Questo si traduce in testi sempre più introspettivi e maturi (che però non perdono mai di vista il contenuto sociale ma che anzi viene affrontato partendo dall' auto-indagine), in un punk-rock evoluto e contaminato, nella grande intensità emotiva (in questo la voce di Picciotto che si alterna a quella più stradaiola di MacKaye sarà fondamentale) riversata in ogni brano che non è più "canzone" ma "espressione", mentre la forma è "altro", è post-hardcore, sono mini-spartiti noise-rock che si rincorrono, sono lampi jazz e prog, riff hard-rock annichiliti da dissonanze chitarristiche non lontane da quelle dei Sonic Youth e vecchi ruggiti hardcore, direzioni impreviste, stop and go e post-punk cerebrale.
La melodia in sè non esiste, la sezione ritmica non solo detta i tempi ma è anche il navigatore, ciò che sostiene e spinge ogni pezzo: Brendan Canty è batterista che ama il jazz, Joe Lally un bassista che inizia con l' hard-rock e poi si innamora delle linee di basso di Joy Division e P.I.L., del dub, del ritmo in primo piano.
Nasce una nuova visione del rock che non rinnega il passato ma che guarda sempre avanti: i Fugazi (insieme ai Morphine) sono la band dei novanta che più rinnova il rock dal suo interno, la più influente negli anni a venire, la più grande.
Gli Slint, i Codeine, sono formazioni estemporanee che, forse casualmente, inventano nuovi generi (post-rock e slo-core) ma poi si incartano e si sciolgono: la loro "carriera" dura lo spazio di due album a testa, ed è cosa ben diversa da quella dei Fugazi che percorrono tutto il decennio, traghettano l' hardcore verso il suo post e poi ancora più avanti, sempre cambiando e sperimentando con gli strumenti del rock.
Si, sono davvero ALTRO.

"13 Songs", Dischord, 1990 Voto: 9
L' album contiene i primi due EP, "Fugazi" (1988) e "Margin Walker" (1989): due lavori sostanzialmente hardcore, ma decisamente più evoluti rispetto allo standard dei Minor Threat, come dimostrano brani come "Waiting Room" con l' ormai classico call and response fra la voce ironica di MacKaye e il coro, nonchè quello che sarà un marchio di fabbrica Fugaziano: lo staccato di basso fra i colpi singhiozzanti della batteria, oppure l' emo-core di "Bulldog Front" che cita il muro di chitarre degli MC5. Le influenze spaziano dai Sonic Youth (le dissonanze) ai Led Zeppelin (i lamenti blues), passando per il reggae e il power-pop ("Bad Mouth").
Ma si tratta sempre di suggestioni, di momenti che subito cambiano direzione: un sound difficile da definire, troppo evoluto per l' hardcore, poco decifrabile da chiunque.
Su "Margin Walker" si può intravedere il fantasma dei Gang Of Four (una delle influenze più dirette): il chitarrismo è nevrotico e dissonante, ma l' apice di intensità drammatica lo si tocca con "Promises", quasi un gospel urbano e apocalittico.

"Repeater", Dischord, 1990 Voto: 9,5
La versione in cd contiene anche il precedente EP, "Three Songs", nel quale è evidente il miglioramento a livello tecnico di tutta la band, in grado ormai di eseguire strumentali dal fortissimo impatto emotivo ("Break-In").
Questo lavoro preparatorio porta al concepimento di "Repeater", ovvero quello che si può definire come il capolavoro assoluto dei Fugazi, ma anche uno dei migliori dischi rock di sempre.
Qui trova piena maturazione il post-hardcore, la massima espressività dei loro psico-drammi, un concentrato del meglio del rock passato, dagli Stooges a Hendrix, dai Velvet Underground ai Pere Ubu.
Ogni brano è un cambio di scena, drammatico e apocalittico, si va oltre il dramma esistenziale personale, è rock metafisico, energico e atmosferico al tempo stesso. I capolavori non si contano, da "Merchandise" a "Turnover" a "Blueprint" con il suo commuovente arpeggio iniziale. L' istinto del punk, l' urlo primordiale del rock' n' roll e la lucida intelligenza di MacKaye, irrazionalità e senso quasi matematico, tutto convive in una musica che rimane sempre "fisica" ma che è riuscita a interiorizzare trent' anni di rock e crea una nuova grammatica, un nuovo linguaggio espressivo: qui nasce il vero e unico "alternative-rock" e immediatamente muore, perchè non si può più andare oltre, una chitarra, un basso, una batteria, e una voce umana, non possono oggettivamente fare di più: è l' apice del pathos e il suo zenit.

"Steady Diet Of Nothing", Dischord, 1991 Voto: 8
L' album successivo a "Repeater" prosegue su quella direzione di ricostruzione del rock, partendo dai suoi aspetti psicologici di interiorizzazione: le distorsioni chitarristiche, i ritmi tribali, la ricerca costante di espedienti per esasperare il clima di tensione anche nei (rari) momenti più rock' n' roll e "melodici" rimangono il leitmotiv principale.
Le "fratture" , le pause, i cambi repentini, fanno ormai parte dell' arsenale di "trucchi" utilizzati per alzare il livello di paranoia e isterismo in una sorta di teatro punk.

"In On The Kill Taker", Dischord, 1993 Voto: 7,5
I Fugazi capiscono che è il momento di cambiare rotta, che lo stile precedente ha toccato l' apice, così si "concedono" un album più rilassato, farcito di frasi jazz, ma che non manca di episodi assolutamente vigorosi. Il sound oscilla fra momenti punk-rock e sonorità più dimesse: forse il disco più accessibile della band, quello che con una adeguata distribuzione avrebbe forse potuto conquistare un pubblico più ampio.

"Red Medicine", Dischord, 1995 Voto: 8,5
Probabilmente il loro apice compositivo: i Fugazi qui suonano come un (improbabile) quartetto di hardcore cameristico, per un album raffinatissimo che contiene tanto il jazz-core di Zorn quanto l' hardcore intellettuale dei Black Flag, le geometrie spastiche dei Minutemen e la psichedelia ossessiva dei Can, ma è facile ritrovare anche i Rolling Stones, Lou Reed e naturalmente i sonic Youth: la band trova un nuovo modello espressivo che attinge dal rock, dal pop, dal prog/jazz e lo trasfigura.
E' il nuovo corso dei Fugazi.

"End Hits", Dischord, 1998 Voto: 6 (scarso)
Sorprendentemente sotto-tono, sembra un tentativo (non riuscito) di conciliare i "vecchi" Fugazi con il rock moderno e totale di "Red Medicine".
In realtà sono presenti brani di gran classe che nel repertorio di una qualunque band sarebbero classificati come capolavori, ma da MacKaye e soci si pretende di più: sono loro ad averci abituati al meglio.

"Instrument", Dischord, 1999 Voto: 6
In sostanza è la colonna sonora di un documentario sulla band, che però lascia intravedere segnali di rilassatezza, ma è difficile giudicare.

"The Argument", Dischord, 2001 Voto: 7
Per molti un album "minore" della band, a mio avviso un ottimo disco che si concentra più sulla forma-canzone, quasi psichedelico e "controllato".
Poteva essere il punto di partenza per un nuovo corso ma, a oggi, resta l' ultimo disco della band. Band che ufficialmente non si è mai sciolta ma che non si è mai più proposta nemmeno in versione live.

Recentemente sono disponibili su Internet praticamenti tutti i concerti tenuti dai Fugazi, in versione digitalizzata, anche se dubito che sia possibile rendere in questo modo la pazzesca carica di un loro live.
MacKaye ha realizzato un paio di album, il primo niente male, il secondo così-così con i The Evens.
Joe Lally prosegue la sua carriera fra progetti vari.
Picciotto produce dischi (Blonde Redhead, per dire).
Brendan Canty suona un po' qua e un po' là e sembra il più attivo su Facebook.

11 commenti:

  1. Io ho alcune cose "sparse".
    Sempre molto interessanti anche se, riascoltati da poco, mi suonano un po' "datati", molto circoscritti al periodo di uscita.

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  2. Suonano molto anni novanta perchè praticamente tutte le band 90's cercavano di imitarli o comunque ne sono state influenzate.

    Ma capisco cosa vuoi dire e, in parte, lo condivido.
    Probabilmente "The Argument" suona diversamente dal resto, ma "Repeater" e "Red Medicine", pur contenendo elementi "tipici" di quel periodo, per me sono anche dischi rock senza tempo.

    AndBot

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  3. Sai, è difficile risultare freschi dopo vent' anni soprattutto se non suoni musica pop, se non hai riferimenti 60's e in particolare no "fai canzoni"...infatti "The Argument" che si concentra più sulla forma-canzone è anche il loro album più immediato e, in genere, apprezzato da tutti.

    Ma restano la band assoluta dei novanta, questo si. Probabilmente anche loro si accorsero che era impossibile continuare senza ripetersi, era necessario cambiare ancora. Ma come? Più pop? Dopo che hai sperimentato di tutto? Non saprei dirlo...

    AndBot

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  4. Ian McKay un maestro, che di tanto in tanto dava "lezioni di noise" a Lee Ranaldo nientemeno...

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  5. Pesantini ma eccellenti !

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  6. Grande Andrea,bellissima retrospettiva su una delle 'mie' band,
    Respect.
    Aldo

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  7. Strepitosi!
    E sono praticamente d'accordo su tutti i voti che hai dato, anche se avrei messo almeno 7 anche a End Hits.
    Vabbè, sono di parte, una delle mie bands preferite di sempre.
    Sono anche riuscito a vederli live 3 volte!

    Henry Trave

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  8. ottimo, anche se In On The Killtaker per me è il loro disco più bello e The Argument meritava qualcosa in più, sempre sul mio personalissimo cartellino
    Ferruccio/CUT

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  9. Bella retrospettiva e acuta osservazione sull'ego. Ricordo quando li vidi al Leonka, grandiosi, nella sede storica poco dopo l'intervento delle ruspe di Formentini (sembra che lo vogliano rispolverare ...) con 2 centimetri di acqua in tutto il locale. Tempi eroici.
    Flavio

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  10. Il cuore mi spingerebbe a valutazioni esagerate di tutti i loro dischi, ma se provi a fare un' analisi critica sei costretto a valutare un certo album ricordandoti dei precedenti, di tutta la discografia, eccetera.

    "End Hits" non è un brutto disco, anzi, ma dal confronto con tutto il resto ne esce un po' maluccio (secondo me).

    "The Argument" invece lo trovo molto interessante: non inventa e non rinnova più nulla ma è rilassato e maturo, sembra voglia andare verso una direzione più "pop", più morbida.

    Tutti gli altri sono capolavori, con "Repeater" che spicca in modo particolare.

    Ad ogni modo si tratta sempre di valutazioni personali, ovvio. Poi qui siamo comunque nell' ordine dell' eccellenza...

    AndBot

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