venerdì, ottobre 19, 2018

La scena jazz inglese negli anni 40



Attraverso alcuni cenni storici andremo alla ricerca dei semi e delle radici del MODernismo, dal dopo guerra alla metà degli anni 50.
Le precedenti puntate qui:
http://tonyface.blogspot.com/search/label/Le%20radici%20del%20Modernismo

Nel 1948, insieme ad un'altra decina di appassionati di modern jazz, Ronnie Scott e John Dankworth, pionieri della scena jazz inglese, aprono in Great Windmill Street il primo club di Be Bop londinese, il “Club Eleven” dove ogni sera i musicisti locali suonavano e improvvisavano rincorrendo il nuovo stile.

IL trombonista Eddie Harvey dichiara che
“il Club Eleven fu la mia università, fui uno dei primi musicisti a lasciare una band di jazz tradizionale e ad abbracciare il Be Bop”
.
Entra in quella che si può considerare la prima Be Bop band inglese, la John Dankworth Seven.
Nel 1950 il Club Eleven si sposta a Carnaby Street, puntualmente seguito dai suoi lealissimi fan.
Ronnie Scott ricorda nella sua autobiografia quanto la scena locale avesse forti connessioni con il mondo della droga, parte essenziale delle serate (da quelle più leggere alle pesanti).

Nel 1952 apre il “Flamingo” a Wardour Street, successivamente (nel 1958) arriveranno il “Marquee” in Oxford Street nel 1958 e il “Ronnie's Scott” a Gerrard Street nel 1959.
Sia i locali inglesi che quelli americani avevano una struttura piuttosto simile con un bar, tavoli e sedie (dove spesso si poteva anche mangiare) e il palco su cui gli artisti si esibivano ascoltati in religioso silenzio.

Il jazzista George Melly (nella foto) ricordava come da un punto di vista sociale il pubblico e i musicisti avevano pochi rappresentanti della working class anche se in molti venivano dalle periferie, c'era una piccola parte di ricchi e aristocratici e non mancava una forte rappresentanza omosessuale (in epoca in cui in Inghilterra era ancora reato).
Lo scrittore, poeta, musicista (e tanto altro) Jeff Nuttall ricorda:
“Eravamo contro la repressione sessuale sia nel movimento pacifista sia nella scena jazz, alla fine degli anni 50.
Le connessioni tra jazz e il sesso, le parole a sfondo sessuale delle canzoni, i riferimenti ai bordelli. Un contrasto fortissimo con l'Inghilterra dei tempi, assolutamente repressa e repressiva.
Mi sono accorto solo dopo che buona parte dei miei amici erano omosessuali. C'era un sacco di attività sessuale, in ogni caso di forte desiderio sessuale nella scena jazz. Mi ricordo certe serate nei jazz club, ballando scalzi, pensando a noi stessi come a beatniks, con i jeans neri, con giacche di pelle e a coste , capelli lisci.
Non c'era la birra nei jazz club così andavamo a fare rifornimento nei pub vicini tra un set e l'altro dei concerti.”


Brian Harvey:
Eravamo anti establishment e contro le convenzioni anche se, a conti fatti, la scena jazz degli anni 20 era ben più promiscua della nostra”.

John Minnion:
Il jazz aveva una credibilità di strada. Era sovversivo per la musica tradizionale, era anti commerciale, soprattutto quando arrivò lo skiffle e si impose come una musica che nasceva dal basso e che era lontana dall'industria discografica.”

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