Non avevo mai intervistato i NOT MOVING prima d'ora.
Il recente album "That's All Folks!" (La Pop / La Tempesta) sta avendo un buon riscontro di critica e perfino di vendite, il tour è pronto e ulteriori date si aggiungeranno a quelle già previste, Marco Murtas è subentrato a Iride Volpi nella line up.
Visto che è imminente la conclusione della loro carriera credo fosse necessario sentire cosa hanno da dire.
Video "But It's Not": https://www.youtube.com/watch?v=Foxxqa8ouR0
Se quel giorno del 1983 Dome non avesse detto si alla proposta di Rita e Mariella di unirsi ai Not Moving, da poco lasciati dal primo chitarrista, Paolo Molinari, le nostre vite sarebbero state radicalmente e completamente diverse. Da un punto di vista artistico/musicale come pensate sarebbe andata invece?
DOME: Eravamo tutti molto giovani, ribelli e romantici .
E se quel fuoco che ci bruciava dentro, brucia ancora, dopo tutti questi anni, sono sicuro che se non aveste incontrato me, sareste andati avanti comunque.
O avreste trovato qualcunaltro, o forse avreste deciso di suonare senza chitarra, e magari sarebbe stato ancora più originale, e comunque, anche se avreste deciso di sciogliervi, avreste continuato, anche singolarmente, a calcare palchi e far parte in prima persona della scena alternativa di quegli anni.
La dimostrazione è che, quando per molto tempo, i Not Moving non sono più esistiti, noi siamo andati avanti coi nostri progetti solisti.
RITA: Noi non volevamo un rimpiazzo, volevamo un Not Moving.
Parlo per me, sicuramente sarei inciampata in un’altra “religione”, fosse teatro, musica, Fluxus, colore, ombre.
Il bisogno di lucidare il mio specchio era troppo aggressivo, vitale, prioritario.
ANTONIO: Avrei continuato a vagare da un gruppo all'altro. Forse con i Chelsea Hotel, che si stavano spostando verso una forma di hardcore con influenze metal, si poteva aprire qualche porta nell'ambito perché suonavamo benissimo e stavamo “inventando” un genere.
Che sostanzialmente odiavo, per cui sarei probabilmente uscito dal gruppo.
Credo che senza i Not Moving la batteria sarebbe diventata un passatempo occasionale e non sarebbe successo nulla di quello che è accaduto dopo (Lilith, Link Quartet, Lilith and the Sinnersaints etc).
Quando tra meno di un anno ci sarà l’ultimo concerto dei Not Moving, cosa farete (artisticamente e non) dal giorno dopo?
DOME: Per ora non ci voglio pensare, so già che mi mancherà molto.
Per questo cercherò di dare tutto quello che posso sul palco e godermi questa nuova avventura fino in fondo.
Per il resto, continuerò a suonare con gli E.X.P. e sentirò sicuramente il bisogno di ritirare su una R'n'R band.
E poi mi dedicherò al collage!
RITA: Non ci voglio pensare nemmeno io.
Alcuni giorni già mi manca.
Inciamperò in qualcosa anche stavolta.
Non posso avere una voce così e non fare un cazzo.
ANTONIO: Smetterò di suonare. Sono 50 anni che lo faccio, in tutti i modi, in mezzo mondo.
Per i prossimi 50 anni farò altre cose.
Credo che progressivamente lascerò anche l'ambito musicale.
Credo che questo “That’s All Folks” sia uno degli album in cui tu, Rita, abbia espresso il meglio di te, in maniera matura e con una voce sempre più inimitabile. Concordi? Quali altri album o brani annovereresti nel tuo meglio vocale di sempre?
RITA: grazie Antonio. Mi sembra corretto. C’è una versione di “La notte“ di Adamo di Lilith and the Sinnersaints che ancora oggi se la sento mi sembra una buona esecuzione.
Anche “La vostra misera cambiale” con Cesare Basile mi sembra un’interpretazione niente male.
Con i Not Moving ho sempre dato il massimo delle mie possibilità.
Nei primi tempi le mie performance vocali erano davvero scarse.
Mi sono sempre salvata con i concerti.
Tu Dome, come giudichi il tuo modo di suonare in questo ultimo album? Che approccio hai avuto?
DOME : Pensando che sarebbe stato l' ultimo album dei Not Moving, quando ho cominciato a scrivere la musica dei brani, ho cercato di immedesimarmi il più possibile nel tipo di energia e creatività, che avevamo agli inizi e sapendo che questo disco avrebbe chiuso un lungo cerchio, ho pensato che avrebbe dovuto essere più semplice e diretto di Love Beat, cercando comunque di mantenere quel suono un po' sperimentale e cupo delle origini.
Allo stesso tempo, lo ritengo un album maturo, perché quando abbiamo cominciato non sapevamo quasi suonare e nel tempo, almeno un po' siamo cresciuti.
E tu, caro Antonio, come hai affrontato i nuovi brani e le nuove registrazioni?
ANTONIO: Quando abbiamo ripreso con i Not Moving LTD ho cambiato completamente il mio modo di suonare.
Ho eliminato la modalità di accompagnamento ritmico, che avevo sempre basato sul basso, che la band non ha, supplendo la sua assenza con l'uso costante dei timpani per ricreare le tonalità basse.
E ho adottato un approccio il più possibile minimale, pochissime rullate, ritmi continui, ipnotici, semplici.
L'ispirazione va da Nick Knox dei Cramps a Budgie di Siouxsie and the Banshees a Scott Asheton degli Stooges a Charlie Watts.
Dopo 40 anni di rock ‘n’ roll come vedete la situazione italiana? C’è stata una semina che sta fruttando oppure rimane un orticello insignificante messo in un angolo?
DOME: Che il R'n'R è morto lo sentiamo dire dagli anni '70.
In realtà ho visto un sacco di periodi in cui c'è stato un ricambio generazionale.
Ricordo quando nel 2006, ho fondato i Diggers, c'erano in giro band di R'n'R di provincia di diciassettenni. Cosa che ho rivisto negli ultimi tre anni in Romagna o anche nelle Marche, band di adolescenti che suonano psichedelia californiana, hard rock, punk o glam 70.
RITA: Non sono particolarmente interessata alla “situazione italiana”.
La musica va a onde (“love comes in spurts”). Queste onde trascendono il luogo, l’origine e il tempo. Ci sono momenti in cui il blues si mischia all’urlo, altre volte al tamburo.
ANTONIO: ci sono tantissimi gruppi che suonano ma credo che proporzionalmente ci sia meno pubblico amante del rock 'n' roll, soprattutto giovane.
Credo sia finita un'epoca, irripetibile, totalmente diversa dalla realtà attuale.
Sono contento di averla vissuta.
Quando siamo partiti avreste/avremmo mai immaginato questo percorso? Oppure si pensava a tutt’altra cosa? Cosa ci ricordiamo di quello che pensavamo 40 o anche 30 anni fa?
DOME: Al di là degli anni che passano e delle esperienze fatte nella vita, i miei ideali e i miei sogni rimangono gli stessi.
RITA: sono un po’ meno incosciente tenendo conto che sono stata il massimo dell’incoscienza, della ribellione (con o senza una causa), del coraggio.
Questo per quanto riguarda la mia vita.
ANTONIO: escludevo di ritrovarmi a 65 anni su un palco a suonare rock 'n' roll e punk.
L'idea era di morire giovane e bruciare alla svelta oppure dopo un po' gettare tutto alle ortiche e prendere altre strade.
Sono stupito e mi stupisco ogni giorno di più, di essere invecchiato così tanto continuando a suonare questa musica, che si sia attaccata a me in maniera così indelebile.
Ormai è andata così.
Volenti o nolenti i Not Moving sono stati il momento più importante della nostra vita artistica. Va bene così oppure no? C’era tanto altro da potere fare? Cosa?
DOME: Per quanto riguarda i Not Moving penso che abbiamo fatto la strada che ci siamo scelti, si poteva andare in tante altre direzioni, ma non avremmo mai sopportato le regole del mainstream.
Le due volte che ci hanno chiamato alla Rai, ci sentivamo fuori posto e insofferenti. Essendo una band di provincia, eravamo dentro fino al collo alla filosofia del Do it yourself. Venivamo dal punk, che aveva spazzato via le ricche e inavvicinabili rock star degli anni 70, nelle quali non ci riconoscevamo più, cercavamo idoli che fossero uguali a noi.
RITA: Tutto quello che potevo e volevo fare, l’ho fatto. Qualcosa ha funzionato, qualcosa no.
ANTONIO: potevamo fare mille cose diverse ma solo con il senno di poi.
In ogni periodo della nostra vita artistica abbiamo fatto le scelte che ci piacevano, impulsivamente, urgentemente, gettandoci ogni volta nel fuoco, nelle spine, nel dirupo.
E' andata sempre così.
Ne siamo usciti vivi, alla fine.
Non fatelo a casa! E' pericoloso.
A metà anni 80 ci fu proposto un servizio fotografico per un’importante rivista di moda. Rifiutammo mentre tanti altri gruppi underground italiani accettarono di buon grado. Poi ci proposero un contratto per la CGD a patto che cantassimo in italiano. Rifiutammo. Ora accetteremmo? Perché?
DOME: Si ricordo quel periodo in cui molte band della nostra scena, fecero servizi fotografici per riviste musicali e di moda, e anche la proposta della CGD.
Per noi voleva dire vendere la propria musica e la propria estetica al mainstream .
Il circuito indipendente era diventato competitivo e le Major cercavano di mettere sotto contratto band alternative, che avevano già un nutrito pubblico e una loro identità, molti firmarono. Noi credevamo fermamente nella scena indipendente ed eravamo orgogliosi di farne parte.
Facevamo di tutto per renderla più forte, a differenza di altre band , che l' hanno usata solo come trampolino di lancio. Certe scelte le sto ancora pagando, ma non cambierei una virgola.
RITA: Quello che ho fatto, ho fatto.
In questo momento accetterei un bel servizio fotografico su “Vogue”.
Siamo abbastanza radicali e radicati nelle nostre convinzioni che non corriamo nessun rischio.
Da ragazzi è diverso perché la corruzione data dal denaro e visibilità può essere molto pericolosa. Ci sono tanti esempi di gruppi di ragazzini abbagliati da un effimero successo che passeranno tutta la vita a leccarsi le ferite.
ANTONIO: la rivoluzione e la guerra sono finite.
Abbiamo perso, in casa, 7 a 1, dopo essere passati in vantaggio.
Il capitalismo ha stravinto, disumanizzato la società, raso al suolo l'umanità.
Sono contento di aver fatto parte di un gruppo, di una generazione, di una situazione che ha cercato di dare l'esempio e di sovvertire le cose.
Siamo sempre stati puri, di una purezza che alla fine ci ha fatto molto male.
“Abbiamo sognato talmente forte che ci è uscito il sangue dal naso (e non solo)” per citare De Andrè, siamo pieni di cicatrici interiori ma va bene così.
Probabilmente accetteremmo certe offerte adesso ma sempre con la purezza che ci ha sempre contraddistinto.
Entrare in un gruppo già avviato è sempre un problema. Farlo con chi è insieme (più o meno) da oltre 40 anni lo è di più?
MARCO: In teoria dovrebbe essere difficile entrare in una band che suona insieme da quarant’anni.
In pratica, con loro, no: sono diretti e ti mettono subito sul pezzo. E poi ne sto approfittando per imparare da ognuno di loro qualcosa: trucchetti, attitudine, dettagli di stile rock’n’roll. Abbiamo la stessa visione della musica, ma loro ci aggiungono quarant’anni di esperienza.
L’unica cosa che senti davvero è il peso della storia.
Ma appena attacchi l’ampli… passa tutto.
lunedì, novembre 24, 2025
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