giovedì, gennaio 27, 2022

Giornata della memoria: Oscar Klein


Come ogni anno in questo blog si celebra LA GIORNATA DELLA MEMORIA.
Riprendo un articolo che ho scritto domenica scorsa per "Libertà"


Ogni anno questa rubrica rende un dolente omaggio ai milioni di ebrei (ma non solo) scomparsi nei campi di concentramento a causa della furia nazista e fascista. Credo sia importante ed essenziale ricordare e sottolineare quanto i fascisti, ancora ai giorni nostri vivi e vegeti nella società italiana, siano stati diretti responsabili della tragedia dell'Olocausto. E come non di rado non ci sia alcun tipo di “pentimento”, di assunzione di responsabilità, ma, addirittura, una sorta di arrampicata sugli specchi per distogliere l'attenzione, attenuare, contestualizzare, sviare, il crimine perpetrato in quei anni lontani ma sempre così vicini.

Questa rubrica, fino al giorno in cui esisterà, continuerà a ricordare indefessamente episodi legati a quella tragedia, a sottolinearne le responsabilità, a scrivere chiaramente chi era dalla parte del giusto e chi del torto, chi erano i carnefici e gli aguzzini, ricordando il Giorno della Memoria, come ogni anno celebrato il 27 gennaio.

Lo fa e lo farà a suon di musica.
Perchè i milioni di morti erano, prima di tutto, bambine, bambini, donne, uomini, persone, che nutrivano sentimenti, speranze, vite comuni e vite “speciali” e tante passioni.
La musica è una di quelle.
Che ti “cancella i tuoi problemi” quando ascolti la tua canzone preferita, ti concede un attimo di respiro e sollievo in situazioni difficili, ti concede una speranza fino a quando sarà il momento per l'ultimo respiro. Le storie legate alla Shoah che hanno visto protagonisti musicisti sono numerosissime e ogni anno “Musica Ribelle” ne propone una, per farci capire il privilegio che abbiamo noi musicisti e/o appassionati di musica a poterne usufruire e parlare in una situazione, per quanto estremamente complessa, in cui ci possiamo sempre concedere una pausa con la nostra canzone preferita.

Oscar Klein era un bambino che viveva in totale tranquillità in Austria, fino al 1938, quando la Germania decise di annettersi la nazione. Di origine ebraica, la sua famiglia fu subito al centro dell'attenzione del regime nazista. I nonni materni vengono uccisi, quelli paterni, intuita la tragedia in arrivo, decidono di suicidarsi davanti a casa.
La famiglia di Oscar fugge in Italia, prima a Trieste, poi deportata a Ferramonti, in Calabria, in provincia di Cosenza.
"Erano pur sempre campi di concentramento, c’erano le malattie, ma non uccidevano come in Germania. Una volta al mese a noi bambini ci portavano persino a mangiare il gelato”.

Vengono poi trasferiti in un paese dell'Alto Vicentino, Arsiero, tra Asiago e Bassano del Grappa, dove trovano una vita quasi normale.” Grazie alla gente del posto ho comunque passato un’infanzia felice.
Tutti dividevano con noi qualcosa: la famiglia che mi ha accolto mi ha insegnato perfino a pregare. Ora conosco meglio le vostre preghiere delle mie e so perfino un po’ di dialetto.
E dire che gli abitanti all’inizio erano convinti che gli ebrei avessero tre occhi!”. Gli ebrei non potevano lavorare, non avevano diritti sociali ma trovano un aiuto insperato nel podestà locale che permette al padre di Oscar, sarto, di svolgere alcuni lavori per la popolazione locale, consentendo alla famiglia di sopravvivere dignitosamente, seppure in estrema povertà.
La storia è ricca di episodi in cui aderenti al fascismo non si riconoscevano nelle aberrazioni razziste e nelle ingiustizie palesi che si inasprivano ogni giorno e, a modo loro, portavano avanti una sorta di “resistenza” civile e civica, nei confronti di atti iniqui che piovevano dall'alto.

E' lo stesso podestà che, dopo l'otto settembre 1943, quando tutto precipita e l'Italia finisce nel caos, li mette in contatto con delle formazioni partigiane. Nella Colonia Alpina di Tonezzo del Cimone viene aperto un campo di concentramento in cui sono raccolti gli ebrei del vicentino. Ne vengono rastrellati quarantacinque, quasi tutti vecchi e bambini.

Saranno deportati ad Auschwitz, dal famigerato binario 21 della stazione di Milano e nessuno farà mai ritorno.
Il numero (realtivamente, per quanto tragicamente) esiguo, susciterà le furiose rimostranze da parte del ministero della Repubblica Sociale Italiana e comporterà la chiusura del centro ma, è doveroso sottolinearlo, è grazie alla solidarietà della popolazione locale che farà di tutto per sottrarre alla deportazione gli ebrei, nascondendoli, proteggendoli, facendoli fuggire.
Anche Oscar Klein e la sua famiglia riescono a scappare, in Svizzera, grazie alla Brigata partigiana Mazzini a Don Frigo e a Rinaldo Arnaldi, partigiano, nominato postumo Giusto tra le Nazioni, caduto in uno scontro a fuoco con i nazi fascisti nel 1944.
“Siamo riusciti a non essere portati subito a Tonezza.
Col treno e poi a piedi per tredici ore camminando attraverso le gelide montagne siamo riusciti ad arrivare in Svizzera. Siamo stati tenuti in una fabbrica dismessa, al gelo.
In tanti sono morti di polmonite e di stenti: e per restare lì dovevamo lasciare tutto quello che avevamo”
. Alla fine si salvano, riescono a ricostruirsi una vita. Oscar Klein inizia un'attività di musicista, soprattutto jazzista, come trombettista, clarinettista e suonatore di armonica.
Si unisce alla Dutch Swing College Band, suonando dixieland e swing e stringe una forte amicizia con il nostro Lino Patruno, ex membro dei Gufi.
Che lo ricorda così:
“Vidi per la prima volta Oscar Klein sul palcoscenico del teatro Nuovo di Milano nei primi anni Sessanta. Oscar suonava allora con la Dutch Swing College e il concerto mi piacque moltissimo sia per l’alta professionalità, sia per il grande senso dello spettacolo”.
Klein condivide il palco e lo studio di registrazione anche con grandi nomi come il membro dei Weather Report, Joe Zawinul e il vibrafonista Lionel Hampton.
Ma una delle collaborazioni più significative, relativamente a una sorta di trapasso storico, è quella con il pianista Romano Mussolini, figlio di quel Benito che fu primo responsabile dell'emanazione delle leggi razziali che portarono tante persone al forno crematorio.

Non ebbe invece altrettanta fortuna Mordechai Gebirtig, ebreo polacco, socialista, schierato in prima fila contro ingiustizie sociali e repressioni razziste. Le sue canzoni divennero negli anni Venti e Trenta molto popolari nel circuito folk della Mittel Europa, in particolare “S'brent”, inno contro l'oppressione, diretto e senza metafore che fu spesso cantato nei campi di concentramento e successivamente nelle commemorazioni dell'Olocausto.
Uno dei rari brani che invitava esplicitamente alla resistenza e alla rivolta contro le ingiustizie subite dal popolo ebreo.
Scrisse anche “Arbetsloze March”, inno per i lavoratori e i disoccupati. Mordechai muore ucciso dai nazisti nel 1942 nel ghetto di Cracovia, durante una rivolta degli ebrei.

Progressivamente, anche a distanza di ormai quasi un secolo, continuano a emergere storie, sempre drammatiche e terribilmente tristi, di quanti morti e massacri sia disseminato il secolo scorso.
Non sembra che alla fine si sia imparato qualcosa. Il mondo rimane un coacervo di discriminazioni, violenza, campi di concentramento, stragi, oppressioni, sangue, genocidi.
Ovviamente, non riguardandoci direttamente ma essendo pertinenza di mondi lontani, di cui possiamo sbirciare le vicende su internet, comodamente seduti da dietro un computer, i nuovi olocausti sono vicende secondarie immediatamente dimenticabili.
Rimaniamo vigili, ricordiamo, spendiamo anche un solo secondo di raccoglimento per capire quanta ingiustizia stia ancora permeando il nostro mondo.
E nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, proviamo a fare qualcosa.
Può sempre servire.

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