lunedì, aprile 26, 2021

La storia di "Bella Ciao"



Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà" in occasione del 25 aprile.

Se riflettiamo bene, il mondo é stato cambiato (il più delle volte in meglio, talvolta decisamente in peggio) dalla filosofia, dalle idee, dagli ideali.
Da cui sono nate le rivoluzioni, gli atti pratici che hanno eliminato le dittature, la schiavitù, hanno cercato di parificare i diritti di tutti e tutte e rendere le società più eque.
C'é stato un momento in cui un uomo o una donna hanno pensato che ciò che stava loro intorno non era giusto, non andava bene, andava cambiato.
E alle loro idee si sono progressivamente uniti altre uomini, altre donne, e insieme hanno lottato per raggiungere un obiettivo.
La nostra festa più bella, la Resistenza, é nata proprio così.

Quando un gruppo di persone ne ha avuto definitivamente abbastanza della vergogna fascista, dei soprusi, del ladrocinio costante a spese degli italiani, degli omicidi, arresti, torture e persecuzioni e ha lottato, “con ogni mezzo necessario”, per riportare la nostra terra in un alveo di giustizia.
Anni di lotta dura, spietata, sofferenze, pericolo, orrore ma, alla fine, arrivo la Libertà, l'autodeterminazione, la democrazia.
Imperfetta, fragile, spesso maledettamente corrotta, ma migliorabile, con idee, voto libero, opinioni.
I nostri partigiani sono da quel 15 aprile 1945 ricordati con affetto e orgoglio da chi ha a cuore il concetto di giustizia e riconoscenza.
Bistrattati da chi ha la memoria corta (oppure molto lunga e ancora gli brucia).
Libri, film, documentari, hanno messo in luce molte storie, altre sono rimaste nascoste e dimenticate.

Non era un'epoca come la nostra, caratterizzata dal “culto del'Io”, dalla necessità di fare sapere ogni minuto cosa facciamo o cosa pensiamo di ogni banalità, di esporci in tutti i modi.
Era invece l'”epica del Noi”.
Insieme facciamo, cambiamo, svolgiamo il lavoro necessario e una volta (egregiamente) concluso, andiamo oltre, guardiamo avanti, senza tanti ricordi o (auto) esaltazioni.
Ai tempi non c'erano i social su cui postare le foto o i video.

Mai come adesso é però necessario ricordare, studiare, educare, portare avanti la memoria di quel sacrificio che i nostri padri e nonni fecero per noi.
I fascisti e i fascismi (che non se ne erano mai andati, purtroppo) sono tornati a rialzare la testa (talvolta ben camuffati sotto sigle di partiti governativi) e una nuova Resistenza, una nuova costante viglianza sono, purtroppo, ancora necessarie.
In questa sede ci occupiamo di musica.
E i Partigiani cantavano, suonavano, componevano e sono giunte parecchie canzoni a noi, altre sono andate perse. Per raccoglierle tutte analizziamo la storia della più celebre, “Bella ciao”.

In realtà si é più volte detto che non venne mai cantata durante la Resistenza dai Partigiani ma che sia diventata affine a quei tempi solo anni dopo.
Nonostante sia stata attribuita a varie brigate combattenti, in realtà non c'è nessun documento che ne provi l'esistenza in quegli anni.
Pur se altre ricerche ne segnalino la presenza, in particolare tra Emilia e Toscana, durante la Repubblica di Montefiorino, tra le formazioni anarchiche sui monti Apuani, in Abruzzo, nella Brigata Maiella.

Anche la paternità della melodia é controversa, attribuita di volta in volta alle più svariate origini (da un canto delle mondine a, addirittura, una canzone popolare del '500).
La prima incisione risale al 1919, in un 78 giri del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff, intitolato “Klezmer-Yiddish swing music”, musica di origine ebraica.
La prima versione di “Bella Ciao”, invece, viene registrata solo nel 1955, nella raccolta “Canzoni partigiane e democratiche”, curata dal Partito Socialista Italiano e poi inserita in un disco a cura del quotidiano del Partito Comunista, “L'Unità” il 25 aprile 1957.
Durante il Festival di Spoleto del 1964, il Nuovo Canzoniere Italiano la presenta al Festival dei Due Mondi come canto partigiano interpretato da Giovanna Daffini, musicista ex mondina, che ne interpreta una versione, che descrive una giornata di lavoro delle mondine, introducendola come la versione originale, a cui durante la Resistenza sarebbero state cambiate le parole adattandole alla lotta partigiana.

Il successo crescente di “Bella ciao” porta (come é spesso consuetudine in ambito musicale) al palesarsi di presunti autori e compositori del testo, senza mai però poterearrivare a effettive prove della paternità, lasciando il tutto sempre nel vago e senza possibilità di conferme.
Fatto sta che nonostante le diatribe elencate diventa progressivamente il canto partigiano per eccellenza, anche e soprattutto per una certa neutralità del testo che non fa riferimento a particolari connotazioni politiche e ideologiche (vedi l'altrettanto celebre “Fischia il vento” che auspica l'arrivo del “Sol dell'avvenir” e della “rossa primavera”).

E' recente la pubblicazione di un libro che chiarirebbe definitivamente la questione.
Le ricerche dello storico della Resistenza marchigiana Ruggero Giacomini, sono confluite nel libro “Bella Ciao.
La storia definitiva della canzone partigiana che ha cinquistato il mondo”.
Dove si rileva, da una lettera di una partigiana russa, fuggita da un campo di internamento di Macerata, che i suoi compagni e compagne “andavano a morire con il canto di “Bella Ciao”.
Circostanza confermata da un parroco del luogo che nel 1944 sottolineava come spesso i bambini affiancassero le brigate partigiane che transitavano nei paesi accompagnandoli nel canto di una canzone così facile da memorizzare.
Successivamente le brigate della Maiella che salivano verso nord, verso la metà del 1944, adottarono il canto, portandolo negli Appennini tosco emiliani.
Una prima forma di quasi inedita contaminazione tra nuclei di persone provenienti da regioni, culture e linguaggi differenti e spesso lontani, in epoche in cui l'emigrazione era ancora lontana.

“Bella Ciao”, fruibile, armonicamente semplice e facile da ricordare e cantare, oltre che simbolo di libertà e ormai unanimemente attribuito a inno della Resistenza, ebbe enorme successo a partire dagli anni Sessanta, entrando frequentemente nelle manifestazioni operaie e studentesche ma soprattutto incominciando a caratterizzare il repertorio di cantanti più o meno famosi.

Incominciarono il cantautore Fausto Amodei (conosciuto per la dolente “Per i morti di Reggio Emilia” e per canzoni incise da Ornella Vanoni e Enzo Jannacci e spesso citato da Francesco Guccini tra i suoi principali ispiratori) e la cantante Sandra Mantovani. Ma anche Yves Montand ne fece una sua versione.
Fu presentata per la prima volta in televisione nel 1963, nella trasmissione “Canzoniere minimo” da Giorgio Gaber, Maria Monti e Margot, omettendo però l'ultima strofa, forse già considerata troppo politica e “divisiva”: "questo è il fiore di un partigiano, morto per la libertà”.

Ne troviamo versioni anche in album dei Gufi, di Milva, Claudio Villa, Anna Identici, Banda Bassotti, Gang, Modena City Ramblers, Ska P, Goran Bregovic. Yo Yo Mundi, Radici nel cemento, Marlene Kuntz con Skin. Nel 2018 il chitarrista Marc Ribot (che applaudimmo anche a Piacenza nei primi anni del 2000) realizzò un album, “Songs of Resistance 1942-2018”, in cui raccoglieva canzoni di protesta in arrivo da varie parti del mondo. “Bella ciao” comparve cantata niente meno che da Tom Waits, in una delle sue ormai rarissime apparizioni discografiche.

Diventato ormai patrimonio culturale mondiale ne troviamo anche versioni spontanee durante numerose manifestazioni sparse in tutto il globo.
I ribelli zapatisti del Chiapas, in Messico, lo hanno adottato come canto popolare, ma é intonato anche tra i combattenti curdi contro l'Isis e per la loro indipendenza in Siria, nelle proteste di piazza in Sudan e in Turchia con la dittatura di Erdogan. Anche in America nelle manifestazioni Occupy Wall Street, in Cile e nelle piazze inneggianti all'indipendenza della Catalogna.
Uno dei momenti più emozionanti e mediatici é stata l'apparizione all'interno della fortunata serie televisiva “La casa di carta”.
Da qualunque luogo o autore provenga, in qualsiasi modo sia andata la sua storia, teniamoci stretti questo scampolo di spontaneità, questo canto libero e civile che rimane “nostro” e nessuno ci potrà mai portare via.
Allo stesso modo del nostro “fiore del partigiano, morto per la libertà”.

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