Siamo alla fine di un anno pieno di buone cose (pur senza indimenticabili capolavori...).
Un elenco in ordine sparso:
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, Primal Scream, the X, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Jack White, The Heavy Heavy, Les Amazones d'Afrique, Sahra Halgan, Boulevards, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Sharp Class, Mourning (A)Blkstar, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Clairo, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, Krypton Bulb, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7, Fontaines DC e Popincourt, The Tambles, Grace Browers & the Hodege Plodge, Lady Blackbird, Peter Perrett.
Tra gli italiani Ossa di Cane, Peawees, The Mads, Statuto, The Winstons, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Klasse Kriminale, Cesare Basile, Organ Squad, Maverick Persona, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce, Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick, Newglads.
PRIMAL SCREAM - Come ahead
La band di Bobby Gillespie torna con il botto.
"Come ahead" è pieno di groove funk, soul, disco da dancefloor.
Ma anche blues, gospel, malinconia, technopunk (formidabile "Love ain't enough" e ...Stone Roses meet Bobby Gillespie ("Circus of life").
Disco riuscito, immediatamente riconoscibile, modernissimo ma con l'anima nel (recente) passato.
Per me fighissimo.
KELLY FINNIGAN - A lover was born
Per chi ama il sound Stax (da Otis a Sam&Dave a Wilson Pickett) un album perfetto.
Vintage soul, rhythm and blues, una dose di funky e canzoni deliziose piene di groove.
Niente altro.
Abbastanza!
THE SMOKE ORCHESTRA - Celestial bodies
Un album che spacca! Super gruppo che spara a tutto volume un funk "nerissimo", suonato e prodotto in maniera sublime. "Celestial Bodies" è un concept incentrato sullo Spazio, Galassie, Pianeti. Funkadelic, George Clinton, Sly Stone e James Brown dei 70 approvano.
MICHAEL KIWANUKA - Small changes
Il Bill Withers dei 2000 ci regala un altro (quarto) album di estrema raffinatezza, eleganza, ricercatezza, colmo di gusto e stile.
Soft folk soul di pregio eccelso, arrangiamenti di grande maestria, con la brillante produzione di Danger Mouse e Inflo.
Il suo sound va avanti a suon di "small changes" ma a livelli qualitativi di primissimo livello.
CHESTERFIELD KINGS - We're still all the same
Dopo 15 anni di silenzio viene rispolverato il glorioso nome della band americana, orfana del membro fondatore, Greg Prevost. Rimane Andy Babiuk a portare avanti il loro classico sound garage beat.
Al di là della "legittimità" di portare avanti il progetto, il nuovo disco è energico, classico, divertente, fatto con tutti i crismi del caso, belle canzoni, suono forse un po' troppo "pulito" ma l'ascolto è gradevolissimo. Avercene...
GREG 'Stackhouse' PREVOST - After the wars
Quarto album solista per l'ex Chesterfield Kings.
Ancora una volta si destreggia con estrema abilità in chiave prevalentemente acustica tra folk, blues, venature county e un approccio vicino alle ballate in stile Stones mid 60's ma che guarda anche a Johnny Thunders e Nikki Sudden e graffia con il poderoso rhythm and blues di "Roadkill Rag".
Ottimo!
PETER PERRETT - The cleansing
L'artista inglese ha vissuto una vita ai limiti e sempre "un passo indietro", nonostante talento e classe a profusione.
Prima con gli Only Ones e poi, a macchia di leopardo e lunghe pause, in chiave solista.
Il suo terzo album in questa veste si chiama "The cleansing", è doppio e ha venti brani dolenti, cupi, crudi, rauchi, trasfigurazione di un malefico mix di Modern Lovers, Johnny Thunders e Lou Reed.
"The cleansing" è la rappresentazione più opaca, inquieta e minacciosa della decadenza sonora.
Affascinante e conturbante.
JULIAN COPE - Friar tuck
L'artista inglese da tantissimo tempo si autoproduce con la sua Head Heritage, pubblicando con una certa frequenza più o meno quello che gli salta in testa al momento, da album filo Stooges a sperimentazioni di 70 minuti con il Mellotron, evitando accuratamente di piegarsi alla diffusione digitale nelle abituali piattaforme.
Il nuovo "Friar Tuck" è un ottimo album in cui si avvicina spesso a uno dei suo mentori psichedelici, Syd Barrett, ma che ama spaziare anche in altri campi (da Nick Cave al punk rock). Il tutto in un mood lo-fi, urgente e "ruspante".
Il Druido psichedelico non delude e prosegue la sua lotta antagonista contro modernità e discografia ufficiale.
THE CURE - Songs of a lost world
Non sono mai stato un grande fan dei Cure (anche a causa di certa loro isterica fanbase).
Rimasi prima deluso, poi stupito, infine affascinato, da "Three imaginary boys", preso in tempo quasi reale, immaginando fosse una punk band.
Era altro.
In breve tempo mi conquistò e rimane, nei miei gusti, il loro migliore album e tra i più rappresentativi dell'epoca.
Li ho seguiti per un po', fino a "Disintegration" e poi persi di vista.
"Songs of a lost world", a cui mi sono accostato con sufficienza e distacco, mi ha affascinato, nella sua decadente e lucida solennità, talvolta molto abrasiva e minacciosa ("Drone: No drone").
Il lirismo di "Alone" e "Endsong" è materia di altri tempi, fuori tempo e fuori moda, a cui solo Robert Smith può dare credibilità e autorevolezza.
Non è il mio "lost world" ma apprezzo e ascolto con molto piacere.
MONKEY CAT - Psychotic Wonderland
Dall'Arizona l'arrembante garage punk rock (con synth disturbante a dare un tocco di grande originalità) in cui la band sprizza energia, freschezza, brani pulsanti di immediata presa e un tiro comune a pochi.
DEEP SIX - Looking For Tuesday Jones
Chi ha avuto a cuore la scena MOD ricorderà con molto affetto la breve parabola dei Makin' Time a metà degli anni Ottanta con il loro stupendo Rhythm and Soul.
Sciolta la band i membri si sparsero tra Charlatans (il bassista Martin Blunt), Prime Movers, Phaze, Senato e carriera solista (la tastierista e cantante Fay Hallam) e Upper Fifth.
Il chitarrista e cantante Mark McGounden e il batterista Neil Clitheroe tornano con i DEEP SIX (talvolta dal vivo anche con Simon Stebbing dei Purple Hearts, altra mod band di culto).
Il nuovo album (con copertina di Paul Bevoir dei grandi amanti di sound ed estetica Beatles/Monkees, The Jetset) è un buon lavoro a base di jingle jangle sound, Sixties mood, beat, mod sound.
Produzione minimale e urgente ma ottime canzoni e il giusto feeling.
GIULIO CAMPAGNOLO & the JAZZ FUNKERS - C'mon
Splendido album di modern jazz, puro Hammond sound con otto brani autografi, tra Jimmy Smith, il Ramsey Lewis dei Sessanta, Horace Silver.
Campagnolo fiammeggia all'Hammond, accompagnato dalla pulsante e metronomica batteria di Adam Pache e da una sezione fiati particolare, con i sax di Michele Polga (autore anche di due pezzi) e Piero Bittolo Bon (anche al flauto) e il trombone di Federico Pierantoni.
Un gioiello di classe ed eleganza per original modernists, registrato in full analogic, live in studio.
JTQ - Hung up on you
In pochi riconoscerebbero il JAMES TAYLOR QUARTET ("The coolest sounds in funky acid jazz") in questo album (che forse, non a caso, è attribuito ai JTQ).
Un incrocio tra garage beat alla Prisoners (di cui vengono ripresi due brani dal recente "Morning star": una versione ancora più bella di "My wife" e una, in italiano! di "Go to him", intitolata "Perché non vai da lui"), e il primo punk beat tra Undertones e Buzzcocks.
Qualche pausa funk jazz ma il tratto prevalente è quello power pop punk beat.
Al di là della sorpresa, un album davvero bello.
JUKEBOX 74 - She's got the power
Lu Silver ha un curriculum di grande rispetto, dagli Small Jackets alla Lu Silver String Band, a base di puro rock 'n' roll stradaiolo di sapore 70's che lo ha sempre visto protagonista a voce e chitarra. Ha deciso in questa nuova veste di tornare al primo amore, la batteria, confezionando un singolo di rara energia e grande bellezza. E' sempre rock 'n' roll, venato di soul e di un'anima pub rock (non a caso ai due eccellenti inediti si aggiunge una bellissima cover di un maestro dell'ambito Nick Lowe, omaggiato con una riuscita versione del suo classico "Heart of the city"). Grandissimo singolo!
MAVERICK PERSONA – In the name of
Il duo brindisino composto da Amerigo Verardi, figura di spicco della musica underground italiana, da sempre pilastro dell’originalità, e Matteo D’Astore (Deje) regala il secondo album del loro particolarissimo progetto. Un crogiuolo raffinato e colto di influenze, riferimenti sonori e artistici che rendono il lavoro pregevolissimo. Psichedelia moderna che abbraccia suoni elettronici e dub e con un’anima cara a due delle menti più innovative della musica pop del Novecento, Lou Reed e John Cale. Ma ci sono addirittura rimandi a insospettabili radici come David Sylvian (“Bite for freedom” ad esempio) mentre non manca mai nella poetica di Verardi l’ombra di Syd Barrett. Un album complesso, ricco, colmo di grande musica. Un garanzia di qualità.
BRAVO GESÚ ROGER - Burro Es Gergo Va
E' corroborante per lo spirito e le orecchie quando un album risulta indefinibile, tanti sono i "generi" che vi confluiscono, si mischiano, emergono all'improvviso per poi scomparire. Soprattutto quando il melting pot sonoro è espresso con così tanta competenza e capacità. Un vago riferimento potrebbe portare ai Primus di Les Claypool, per l'approccio aperto e senza limite alcuno (oltre alle tematiche visionarie dei testi) e a Frank Zappa per l'abilità (peraltro altissima da un punto di vista tecnico strumentale) di spaziare ovunque nello scibile musicale, tra pop, funk, jazz, metal, rock. Album interessantissimo.
VINICIO CAPOSSELA – Sciusten feste n. 1965
Il tredicesimo album di uno degli artisti più personali e distintivi della musica italiana è un omaggio a un’idea che Capossela coltiva da anni, ovvero allo spirito natalizio e alle sue musiche. A cui unisce tre ottimi inediti (Voodoo Mambo, Sciusten feste n.1965 e Il guastafeste nel suo classico stile Tom Waits/blues/folk/patchanka. Al cantautore americano paga tributo con una bella versione di Christmas card from a hooker in Minneapolis).
I classici natalizi sono, come prevedibile, rivoltati e trasformati nel più classico Capossela style con tanto di divertentissima rivisitazione di “I wanna be like you” da “Il libro della giungla”. Un ottimo lavoro, pur se non finirà annoverato tra le migliori prove di Vinicio. La versione di “Abide with me” “/ “Sopporta con me” vale da sola tutto l’album.
GEORGE HARRISON - Living In The Material World 50Th Anniversary
E' cosa nota che la discografia si aggrappa sempre di più al passato, con ristampe di ogni tipo, arricchite da improbabili inediti, outtakes, foto, booklet etc, per rivendere il vecchio catalogo. E che il trascorrere del tempo rende, nostalgicamente, tutto bello ciò che ha accumulato parecchi anni di vita e viene cronologicamente decontestualizzato. Appartiene a questa categoria il quarto album (inclusi la colonna sonora di "Wonderwall", lo sperimentale "Electronic sounds" e il gioiello "All thing must pass") di GEORGE HARRISON.
Sinceramente George, a parte l'esordio/capolavoro "All things must pass" del 1970, ha avuto una carriera solista di qualità artisticamente abbastanza trascurabile, che ne ha confermato il ruolo di comprimario nei Beatles. Ogni suo album è stato caratterizzato da un paio di ottimi brani, circondati da una serie di episodi non particolarmente esaltanti. Non ha fatto eccezione "Living In The Material World", che a parte la splendida "Give me love", non riesce ad annoverare particolari vette compositive.
Tanto meno interessanti sono le solite outtakes inserite nella ristampa. Se non fosse stato il Beatle George la sua sarebbe stata una carriera di un Al Stewart qualsiasi: dignitosa, sufficiente ma in fondo piuttosto anonima. Le recensioni abbondano di plausi e giudizi esaltanti ma che purtroppo non coincidono né con la qualità dell'album nè con il confronto con quanto uscì in quell'anno ("Dark side of the moon", "Quadrophenia", "Band on the run", "Aladdin Sane", "Innervision", "New York Dolls", "Raw Power", "Berlin" per citarne alcuni).
ASCOLTATO ANCHE:
VISIONEERS (buon deep funk strumentale, pur se abbastanza anonimo), BAKER BROTHERS (disco funk di primissima qualità), KIM DEAL (l'ex Breeders scrive un discreto album ma senza lode né infamia)
LETTO
AA.VV. - Musica concreta. A cura di Stefano Ghittoni
Stefano Ghittoni si è premurato di raccogliere le testimonianze di una quarantina di musicisti, artisti e "affini" in relazione al concetto di musica ("concreta"), sia in veste prettamente artistico che filosofico, concettuale, personale.
Un racconto collettivo, di saggi o più semplicemente di pensieri, in libertà e non, su cosa possa essere e significare la musica, su cosa sia e cosa significhi...
Svilupperemo queste narrazioni in modo libero e liberato, come già successo con Milano OFF che diventa un po’ il padre illegittimo di questa raccolta.
Ma le sviluppiamo anche in modo pragmatico, perché siamo stati marxisti (almeno io, poeticamente se non altro) e facendo l’ennesimo salto verso l’alto uniamo, parlando di musica, l’anima e il corpo, l’impegno e il divertimento, l’azione e l’inerzia, l’efficacia e la riflessione.
E giochiamo sul doppio significato di musica “concreta” come genere e “concreta” nel senso di musica utile a vivere meglio.
(Stefano Ghittoni)
Il parterre dei contributi è quanto di più vario, antitetico o, al contrario, conforme si possa immaginare.
Ci sono ricordi, citazioni, esperienze personali, soprattutto un approccio filosofico comune che testimonia come "la musica ci abbia salvato (o dannato) la vita".
Con i racconti di
Antonio Bacciocchi / Paolo L. Bandera / Luca Barcellona / Elena Bellantoni / Andrea Benedetti / Patrick Benifei / Francesca Bono / David Love Calò / Chiara Castello / Jonathan Clancy / Marica Clemente / Francesco Clerici / Alex Cremonesi / Luca Collepiccolo / Fabio De Luca / Bruno Dorella / Pablito El Drito / Mauro Fenoglio / Marco Foresta / Andrea Frateff Gianni / Luca Frazzi / Stefano Ghittoni / Paquita Gordon / Igort / Andrea Lai / Maurizio Marsico / Ferdinando Masi / Sergio Messina / Alessandra Novaga / Rita Lilith Oberti / Monica Paes / Francesca Pongiluppi / Paolo Rumi / Hugo Sanchez / Gaetano Scippa / Francesco Spampinato / Alessandra Zerbinati
Alessio Cacciatore / Giorgio Di Berardino - Oasis. La rivoluzione inglese del rock
Presumo che qualcuno si sia accorto che gli OASIS si riuniranno il prossimo anno.
Giunge all'uopo una biografia dettagliatissima da parte di due autorevoli super esperti, che scandaglia in ogni dettaglio la storia dei Gallagher e soci.
Nulla viene tralasciato, dalla nascita allo scioglimento, le carriere soliste e l'imminente ritorno sui palchi (pare anche in studio di registrazione).
Una delle storie più appassionanti, divertenti e significative del rock inglese di sempre.v
Il corposo volume è la biografia definitiva.
Vediamo se e quanto ci sarà da aggiungere.
"Le loro canzoni erano per quelli ai quali niente andava bene e che non avevano un becco di un quattrino. Se qualcuno non avesse potuto permettersi di comprare il disco ma, ascoltando una loro canzone alla radio, si fosse messo a fischiettarla pensando "cazzo che forte!", bé per lui sarebbe stato sufficiente."
Marta Cagnola / Simone Fattori - Musicarelli. L'Italia degli anni '60 nei film musicali
Molti della mia generazione (1961) sono cresciuti con i Musicarelli.
Prima da molto piccoli, poi da più grandicelli e infine, negli anni Ottanta, cercando di cogliere in quel marasma, scampoli dei tanto amati dell'epica/epoca Sixties (vedere in azione Motowns, Rcoky Roberts, Lola Falana, i primitives, i Rokes, tra i tanti, era particolarmente interessante e istruttivo, in epoca pre You Tube). All'inizio nei cinema parrocchiali e poi nelle tv private.
"Se nella sale di prima visione, quelle delle grandi città, il musicarello non fa registrare numeri elevatissimi, nei successivi passaggi alle seconde e terze visioni, nei capoluoghi di provincia e nei piccoli centri. compresi i passaggi successivi nelle sale parrocchiali, si registrano sempre incassi notevoli.
Un centinaio di titoli usciti tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Settanta, dalla trama esile, inframezzata da siparietti comici ma soprattutto dalle canzoni dei/delle protagonisti/e (che spesso davano il titolo al film).
"Il film musicale è un film che non sfrutta soltanto le canzoni, che sono fini a se stesse ma è un film completo in tutti i suoi punti. Nei punti comici, patetici, drammatici e umoristici, naturalmente". (Aldo Grimaldi)
Il libro analizza il fenomeno, elenca e commenta (con tanto di locandina) tutti i film, raccoglie varie testimonianze inedite in relative interviste (Rita Pavone, Al Bano, Shel Shapiro, Mal, tra i vari protagonisti), conferma come l'ambito ebbe enorme successo, soprattutto economico (a fronte di investimenti modesti e produzioni minimali).
Parteciperanno attori famosi e future star (da Totò a Terence Hill, Nino Taranto, Paolo Villaggio etc).
"Il musicarello ha rappresentato negli anni Sessanta anche una palestra nella quale si sono fornati molti attori destinati successivaemte al grande successo di pubblico."
C'è tutto l'immaginario del fenomeno e l'approfondimento necessario a comprenderlo, senza esaltazioni inopportune o revivalismi improbabili.
"Un unico grande film, pieno di musica popolare, di facce entrate nell'iconografia italiana, di comicità semplice, di storie romantiche e travagliate, ma che con candida ingenuità ci raccontano come è cambiata la società italiana tra il 1960 e 1970".
"Il linguaggio ideale per raggiungere il pubblico dei giovani è veloce, leggero, energico ma anche romantico e sognatore.
Il tono deve essere divertente anche comico ma deve contenere un messaggio ecumenico che non disturbi troppo la borghesia cattolica impegnata a produrre e guadagnare.
Un linguaggio innocuo insomma, che contenga talmente tanti messaggi da non contenerne alcuno e con un solo obiettivo: vendere.
Biglietti del cinema, 45 giri delle canzoni, serate degli artisti, la loro faccia e le loro vite sulle riviste."
Ferdinando Molteni - L’anello di Bindi – Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 ad oggi
Sul terreno "scivoloso" del contesto, l'autore, giornalista e scrittore, riesce a districarsi con estrema capacità di sintesi e autorevolezza, elencando una serie di canzoni italiane che trattano chi in maniera esplicita, chi in modo più sfumato, il "tema" dell'omosessualità.
Dalla triste e drammatica storia di Umberto Bindi, ostracizzato ed escluso dal "grande giro", fino ai prodromi di "Coccinella" di Ghigo Agosti, ancora in quelli (anni Sessanta) chiamati in maniera azzeccata "gli anni del sottointeso".
Arriveranno poi i testi espliciti di Ivan Cattaneo o Andrea Tich nei Settanta e Ottanta a parlare più chiaro.
In mezzo le figure controverse di Renato Zero e Lucio Dalla che non ammetteranno mai l'appartenenza al mondo gay, pur non facendo mancare i numerosi riferimenti.
Gianna Nannini e Giuni Russo saranno le paladine dell'omosessualità femminile (pur sempre in "chiaroscuro"), Raffaella Carrà diventerà, inconsapevolmente, un'icona gay, Tiziano Ferro l'epitome dell'outing (dopo anni di indecisione).
Un libro piuttosto esaustivo su dinamiche comunicative che si sono progressivamente evolute ma che costituiscono, incredibilmente, ancora una barriera nella società odierna.
Al Pacino - Sonny Boy. Un'autobiografia
Uno dei migliori attori ancora in circolazione (un Oscar e nove candidature, premi a profusione).
"Il padrino", "Scarface", "Carlito's Way", "Donnie Brasco", "The Irishman", "Serpico", "Quel pomeriggio di un giorno da cani", "L'avvocato del diavolo", "Ogni maledetta domenica" bastano a comprenderne la grandezza.
Ma ci sono decine di altre interpretazioni, tanto teatro, regia, televisione.
Ovvero, milioni di cose da dire e ricordare.
Purtroppo l'autobiografia definitiva di AL PACINO è piuttosto carente in tal senso.
Gli aneddoti sono ovviamente tantissimi ma spesso un po' banali e scontati, le battute ironiche non fanno granché ridere, talvolta si passa di palo in frasca senza capire bene il senso di certe scelte.
La trama è "semplice" e tipicamente americana:
gli inizi difficili nel South Bronx, la caparbietà e un po' di colpi di fortuna, portano, attraverso un cammino difficoltoso, al successo.
In cui si perde spesso, tra abusi, errori, mancanze.
"Ho preso atto della mia anarchia di fondo. Un conformista selvaggio."
Finisce maluccio, tra alcol e droghe, sperpera qualcosa come 50 milioni di dollari in poco tempo, si trova più o meno in bolletta e ciò spiega il perché di molti film decisamente imbarazzanti in cui lo abbiamo trovato negli ultimi anni.
Le aspettative erano forse un po' alte ma un po' di amaro in bocca rimane per un'occasione perduta.
"La mia vita è sempre stata il mio lavoro: una cosa che spalanca le porte e lascia libero lo spirito. Libero di andare in un mondo dove regna l'immaginazione e dove tutto è scoperta, piacere, estasi".
AA.VV. - Alice Castello. Psychedelic Village
Alice Castello, paese di 2.500 abitanti nel vercellese, ha dato vita a una delle saghe psichedeliche più note in Italia, quella degli Effervescent Elephants, gruppo attivo soprattutto negli anni Ottanta ma con diversi album pubblicati nel corso del tempo, in cui hanno vagato tra psichedelia, new wave, rock, blues e tanto altro.
Da questa esperienza (preceduta da gruppi già attivi nei primi Settanta come Morpho Menelaus, Alter Ego e After Trips) è poi scaturita una nuova scena in cui si sono riversati gli ex membri e nuovi componenti, dai Mirrors a Folli di Dio, The Arcanes, Lodovico Ellena e gli Assurdi, gli Astral Weeks, Looking Glass Alice, Sangue di Giuda, Ganesh Blues Band e tanti altri.
In molte di queste incarnazioni è presente il deus ex machina di tutta la scena, Ludovico Ellena (autore anche di numerosi libri sulla psichedelia), lo stesso che ha imbastito questo veloce e breve libretto che ne narra in dettaglio tutta la storia.
Anna Foa - Il suicidio di Israele
La storica Anna Foa in questo breve saggio riesce a condensare alla perfezione le radici della questione arabo-israeliana, prefigurando, come da titolo, il progressivo "suicidio di Israele".
La descrizione è lucida, equilibrata, lontana da sciocche e inutili partigianerie.
A partire dalla "diffusa confusione linguistica tra israeliti e israeliani. Ebrei e israeliani cominciarono ad essere assimilati e perfin oconfusi nella percezione del mondo non eebraico... ci sono varie ondate migratorie, ebrei yemeneti, nordafricani, iracheni, siriani, libanesi, egiziani. Dopo secoli di convivenza tra arabi ed ebrei, i paesi arabi si svuotano quasi completamente di ebrei".
La società israeliana è cosmopolita e moderna quanto paradossalemte antitetica:
"Israele è una strana mescolanza di laicismo e religione...la spaccatura tra religiosi e laici è antropologica e influenza fortemente la politica, non solo la credenza e le pratiche religiose.
Sono due mondi separati in cui ai boccoli degli ortodossi o al copricapo a uncinetto (kippa) dei sionisti religiosi si contrappongono il mondo dei gay e la libertà di vita sessuale dei laici...
Gli ebrei israeliani (statistica del 2022) che si definiscono laici sono il 43%, il 14% tradizionale/religioso, il 10% religioso, un altro 10% ultraortodosso."
La conclusione è molto pragmatica e ampiamente consivisibile partendo da un presupposto abbastanza palese:
"Hamas non può essere distrutta politicamente senza un diversa politica di Israele nei confronti dei palestinesi, senza l'avvio di una fondazione di uno stato Palestinese, senza un accordo politico con una parte dei paesi arabi. Ma questo non potrà mai essere fatto dal governo di Netanyahu."
Le ultime righe riassumono, amaramente, l'unica via di uscita (per quanto possa sembrare improbabile e lontana).
"Netanyahu e il suo governo devono pagare non solo per quello che hanno fatto ai Palestinesi di Gaza ma anche per quello che la loro politica ha comportato per lo stesso Israele.
Gli israeliani devono trattare con Hamas, colpevole della terribile strage del 7 ottobre, ma i palestinesi dovranno trattare con chi è colpevole di avere distrutto le loro case e ucciso le loro famiglie.
Non possiamo dare per scontato che l'odio lasciato da tutti questi traumi cesserà un giorno. Ma non ci sono altre strade che questa."
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
venerdì, novembre 29, 2024
Novembre 2024. Il meglio
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Il meglio del mese
giovedì, novembre 28, 2024
Ringo Starr
Speciale RINGO STARR
Il batterista dei Fab Four non ha avuto una carriera solista particolarmente felice da un punto di vista qualitativo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di album mediocri che solo occasionalmente arrivano alla sufficienza.
Ma almeno quattro episodi emergono in maniera dignitosa (per i più appassionati e curiosi anche "Rotogravure", "Vertical man" e "Ringo Rama" meritano un ascolto).
RINGO (1973)
Primo vero album solista, dopo i due antipasti ad uso quasi personale. Vero e unico orfano dei Beatles, prova a rimetterli insieme, seppure virtualmente e quasi ci riesce.
Paul, John e George, seppur separatamente, collaborano con voci, strumenti e brani per l'amico.
A dare una mano anche Marc Bolan a Nicky Hopkins, Billy Preston, membri della Band, Jim Keltner, Klaus Voorman, Steve Cropper.
L'album resterà la sua vetta artistica. Occorre sottolineare che gli ex Beatles non si sono sforzati troppo a livello compositivo.
John si cimenta con la scanzonata e ironica “I’m The Greatest,” in cui c'è anche George, oltre a Billy Preston e Klaus Voorman, ovvero la formazione ipotizzata per il proseguimento dei Beatles all’indomani dell’abbandono di Paul (che avrebbe dovuto chiamarsi The Ladders ma non prese mai vita).
Il duo Harrison/Starkey rende meglio con “Photograph”, destinato a diventare un classico di Ringo, ballata mid tempo melodica ed easy con lo stesso George alla chitarra, il piano di Nicky Hopkins e il sax del “Rolling Stone” Bobby Keys.
George regala anche un buon country rock, “Sunshine Life For Me” con The Band ad accompagnare.
Paul McCartney compone, arrangia, canta e suona buona parte degli strumenti in “Six O Clock”, ballata senza lode né infamia, con Linda ai cori e, scelta singolare e ironica, Klaus Voorman al basso.
La conclusiva, incolore, ballata “You And Me (Babe)” vede la curiosa firma congiunta di George Harrison e Mal Evans, stretto collaboratore dei Beatles.
L’album si comporterà più che bene nelle classifiche inglesi e americane e arriverà a oltre due milioni di copie in tutto il mondo (in Italia è il quindicesimo album più venduto del 1974).
Non sarà così benevola la critica.
TIME TAKES TIME (1992)
Sono passati nove lunghi anni dall'ultima deludente prova discografica.
Ringo si è ripreso la scena con una serie di tour di successo e il nuovo tentativo in studio è un piccolo gioiello che contende a “Ringo” la palma di suo miglior album solista.
Belle canzoni, prodotte nel migliore dei modi, che non guardano al passato con nostalgia ma tengono invece il passo con i tempi, sono fresche, pop, non inseguono mode o tendenze.
Ci sono anche brani di band minori come Posies e Jellyfish e Ringo torna finalmente a occuparsi della batteria (abbandonata per lungo tempo), canta bene, voce chiara e pulita.
Ottimi rock n roll e brani mid tempo con Jeff Lynne dell’Electric Light Orchestra che suona un po’ di tutto, i chitarristi dei Knack, Doug Fieger e Berton Averre, Jeff Baxter (ex Steely Dan e Doobie Brothers), Harry Nilsonn, Mark Landau, tra i tanti, gli danno un prezioso aiuto.
Troviamo anche Brian Wilson dei Beach Boys ai cori di “In a heartbeat”. Vende 200.000 copie in tutto il mondo e torna a guardare con ottimismo alla carriera discografica.
Anche la critica è (giustamente) benevola.
KING BISCUIT FLOWER HOUR PRESENTS RINGO AND HIS NEW ALL-STARR BAND (2002)
Registrato a Chicago il 22 agosto 2001 insieme a Greg Lake, Ian Hunter dei Moot the Hopple, Roger Hodgson dei Supertramp, Mark Rivera, Howard Jones e Sheila E. è uno dei tanti live pubblicati in carriera.
Band in grande forma, arrangiamenti raffinati, molta cura per i cori, clima festoso e Ringo con un'ottima voce e tanta verve.
Ottime la “Lucky man” di Greg Lake e “All the young dudes” dei Moot The Hoople ma buona parte del repertorio è ad appannaggio di Ringo che arrangia molti brani in chiave country e rhythm and blues di sapore New Orleans, a partire dalle introduttive “Photograph” e “Act naturally” e da un'eccellente versione di “No No Song” da “Goodnight Vienna”.
Molto riuscita “Yellow submarine”, corale e con gli effetti sonori originali. Il miglior live della lunga serie.
PHOTOGRAPH: THE VERY BEST OF RINGO STARR (2007)
Senza alcun dubbio l'album perfetto per chi vuole il “meglio” di Ringo Starr.
I venti brani coprono tutta la carriera scegliendo con cura tra gli episodi di maggior successo e quelli artisticamente più significativi.
Il batterista dei Fab Four non ha avuto una carriera solista particolarmente felice da un punto di vista qualitativo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di album mediocri che solo occasionalmente arrivano alla sufficienza.
Ma almeno quattro episodi emergono in maniera dignitosa (per i più appassionati e curiosi anche "Rotogravure", "Vertical man" e "Ringo Rama" meritano un ascolto).
RINGO (1973)
Primo vero album solista, dopo i due antipasti ad uso quasi personale. Vero e unico orfano dei Beatles, prova a rimetterli insieme, seppure virtualmente e quasi ci riesce.
Paul, John e George, seppur separatamente, collaborano con voci, strumenti e brani per l'amico.
A dare una mano anche Marc Bolan a Nicky Hopkins, Billy Preston, membri della Band, Jim Keltner, Klaus Voorman, Steve Cropper.
L'album resterà la sua vetta artistica. Occorre sottolineare che gli ex Beatles non si sono sforzati troppo a livello compositivo.
John si cimenta con la scanzonata e ironica “I’m The Greatest,” in cui c'è anche George, oltre a Billy Preston e Klaus Voorman, ovvero la formazione ipotizzata per il proseguimento dei Beatles all’indomani dell’abbandono di Paul (che avrebbe dovuto chiamarsi The Ladders ma non prese mai vita).
Il duo Harrison/Starkey rende meglio con “Photograph”, destinato a diventare un classico di Ringo, ballata mid tempo melodica ed easy con lo stesso George alla chitarra, il piano di Nicky Hopkins e il sax del “Rolling Stone” Bobby Keys.
George regala anche un buon country rock, “Sunshine Life For Me” con The Band ad accompagnare.
Paul McCartney compone, arrangia, canta e suona buona parte degli strumenti in “Six O Clock”, ballata senza lode né infamia, con Linda ai cori e, scelta singolare e ironica, Klaus Voorman al basso.
La conclusiva, incolore, ballata “You And Me (Babe)” vede la curiosa firma congiunta di George Harrison e Mal Evans, stretto collaboratore dei Beatles.
L’album si comporterà più che bene nelle classifiche inglesi e americane e arriverà a oltre due milioni di copie in tutto il mondo (in Italia è il quindicesimo album più venduto del 1974).
Non sarà così benevola la critica.
TIME TAKES TIME (1992)
Sono passati nove lunghi anni dall'ultima deludente prova discografica.
Ringo si è ripreso la scena con una serie di tour di successo e il nuovo tentativo in studio è un piccolo gioiello che contende a “Ringo” la palma di suo miglior album solista.
Belle canzoni, prodotte nel migliore dei modi, che non guardano al passato con nostalgia ma tengono invece il passo con i tempi, sono fresche, pop, non inseguono mode o tendenze.
Ci sono anche brani di band minori come Posies e Jellyfish e Ringo torna finalmente a occuparsi della batteria (abbandonata per lungo tempo), canta bene, voce chiara e pulita.
Ottimi rock n roll e brani mid tempo con Jeff Lynne dell’Electric Light Orchestra che suona un po’ di tutto, i chitarristi dei Knack, Doug Fieger e Berton Averre, Jeff Baxter (ex Steely Dan e Doobie Brothers), Harry Nilsonn, Mark Landau, tra i tanti, gli danno un prezioso aiuto.
Troviamo anche Brian Wilson dei Beach Boys ai cori di “In a heartbeat”. Vende 200.000 copie in tutto il mondo e torna a guardare con ottimismo alla carriera discografica.
Anche la critica è (giustamente) benevola.
KING BISCUIT FLOWER HOUR PRESENTS RINGO AND HIS NEW ALL-STARR BAND (2002)
Registrato a Chicago il 22 agosto 2001 insieme a Greg Lake, Ian Hunter dei Moot the Hopple, Roger Hodgson dei Supertramp, Mark Rivera, Howard Jones e Sheila E. è uno dei tanti live pubblicati in carriera.
Band in grande forma, arrangiamenti raffinati, molta cura per i cori, clima festoso e Ringo con un'ottima voce e tanta verve.
Ottime la “Lucky man” di Greg Lake e “All the young dudes” dei Moot The Hoople ma buona parte del repertorio è ad appannaggio di Ringo che arrangia molti brani in chiave country e rhythm and blues di sapore New Orleans, a partire dalle introduttive “Photograph” e “Act naturally” e da un'eccellente versione di “No No Song” da “Goodnight Vienna”.
Molto riuscita “Yellow submarine”, corale e con gli effetti sonori originali. Il miglior live della lunga serie.
PHOTOGRAPH: THE VERY BEST OF RINGO STARR (2007)
Senza alcun dubbio l'album perfetto per chi vuole il “meglio” di Ringo Starr.
I venti brani coprono tutta la carriera scegliendo con cura tra gli episodi di maggior successo e quelli artisticamente più significativi.
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mercoledì, novembre 27, 2024
Yacht. Il resto del mondo
L'amico LEANDRO GIOVANNINI chiude oggi la rubrica dedicata allo YACHT ROCK, ambito musicale spesso vituperato ma che nasconde piccole gemme degne di essere scoperte.
Le puntate precedenti qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
Resto del Mondo
Il genere west coast, e di riflesso lo yacht rock, non è stato un’esclusiva del mondo anglosassone: le sue atmosfere si sono diffuse in tutto il mondo, a dimostrazione della forza del suo linguaggio universale.
Molti degli artisti coinvolti hanno scelto di cantare in inglese, ma tra quelli che citiamo qui, in molti hanno mantenuto la propria lingua madre.
In questa selezione prediligiamo gli artisti italiani e giapponesi, ma scopriremo come lo yacht rock e le sonorità west coast abbiano trovato casa in ogni angolo del globo, influenzando musicisti da diverse culture, ciascuno dei quali ha aggiunto un tocco unico a questo stile inconfondibile.
ISLANDA
Jacob Magnusson
Islandese di origini danesi, Magnusson è noto nell’ambiente musicale come un talentuoso musicista di jazz fusion. La sua incursione nello Yacht Rock avvenne durante un soggiorno in California tra il 1979 e il 1981, dove si trasferì per studiare musica.
In questo periodo ebbe l’opportunità di collaborare con alcuni dei migliori musicisti californiani, tra cui Jeff Porcaro, Stanley Clarke, Vinnie Colaiuta, Victor Feldman e Tom Scott. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti incise due album. Il primo, pubblicato nel 1979, è interamente strumentale, mentre il secondo, uscito nel 1981, (riconoscibile anche per una copertina quantomeno discutibile) include alcuni brani cantati ed è decisamente superiore. Magnusson seppe mettere a frutto i suoi studi, creando un eccellente album di urban groove, soprattutto nella prima parte, che spicca per qualità e stile. Con maestri di tale calibro al suo fianco, non poteva essere altrimenti.
Il risultato è un lavoro che richiama lo Yacht Rock delle migliori produzioni di David Foster.
Disco consigliato:
“Jack Magnet” - (1981, Steiner)
BRASILE
Marcos Valle
Marcos Valle è uno dei più grandi musicisti brasiliani di tutti i tempi, noto per il suo contributo alla samba e alla bossa nova. Tuttavia, il suo album del 1981, “Vontade de Rever Você”, lo porta in un territorio completamente diverso, quello del funky soul, ma sempre con la sua inconfondibile sensibilità carioca.
Questo disco segna una svolta nella sua carriera, con sonorità vicine al groove californiano, influenzato dal suo soggiorno negli Stati Uniti e dalla sua collaborazione con artisti come Leon Ware e Peter Cetera. “Vontade de Rever Você” non è propriamente un album yacht rock, ma si avvicina molto a quel sound, con le sue sonorità morbide e sofisticate, influenzate dal groove californiano.
La sua fusione di funky soul e l’eleganza brasiliana lo rendono affine a molte delle caratteristiche tipiche dello yacht rock, pur mantenendo una personalità unica.
Un disco che, pur non appartenendo al genere in senso stretto, ne cattura molte delle atmosfere rilassate e raffinate.
Disco consigliato:
“Vontade De Rever Você” - (1980, Som Livre)
Junior Mendes
Da non confondere con il più celebre Sergio Mendes, Junior Mendes è noto soprattutto per le sue collaborazioni con Tim Maia e la Banda Black Rio.
Figura di rilievo nel movimento soul e funk nato in Brasile negli anni ‘70, Junior Mendes unisce le influenze di grandi artisti brasiliani come Gilberto Gil e Jorge Ben con forti elementi soul. Il risultato di queste contaminazioni è l’album “Copacabana Sadia”, pubblicato nel 1982, in cui Mendes crea una visione unica del funk, arricchendolo con elementi della musica brasiliana ma senza appoggiarsi alle sonorità più tradizionali.
Questo album, dal respiro internazionale, cattura il mood dello yacht rock senza necessariamente aderirne agli schemi musicali, mantenendo una sensibilità profondamente brasiliana.
Copacabana Sadia resterà l’unico album di Mendes, divenuto introvabile negli anni, fino al suo ritorno sulle scene con un nuovo lavoro discografico nel 2013.
Disco consigliato:
“Copacabana Sadia” - (1982, Sony Brasil) Ristampato nel 2017 da Athens Of The North
Ed Motta
Ed Motta è un musicista estremamente versatile, conosciuto per la sua abilità nel suonare jazz, soul, funk, rock e pop-westcoast. Nato a Rio de Janeiro nel 1971 e nipote del leggendario Tim Maia, Ed possiede una collezione di oltre 30.000 dischi, in gran parte vinili, che testimonia la sua profonda passione per la musica di tutto il mondo.
Ha esordito con il gruppo Conexão Japeri, per poi intraprendere la carriera solista, distinguendosi per arrangiamenti complessi e una cura minuziosa dei dettagli.
Il suo album “AOR”, pubblicato nel 2013 è una dichiarazione d’amore alla musica californiana degli anni ’70 e ‘80, un omaggio alle sonorità degli Steely Dan e a quelle più tipicamente pop. Ed Motta non si limita a un esercizio di stile: le sue canzoni riflettono un legame autentico e appassionato con questa musica, che trasmette al pubblico con naturalezza. Ne nascono suoni senza tempo, un’estetica raffinata e una pulizia sonora impeccabile.
Canzoni nuove che suonano come classici, dimostrando che è possibile percorrere strade originali anche nel pop.
Disco consigliato:
“AOR” (Brazilian Portuguese Version) - (2013, LAB 344)
CANADA
Airborne
Gli Airborne, band di Vancouver nata nel 1974, realizzarono un solo album per una piccola etichetta, stampato in appena duemila copie per il circuito locale. Nonostante la distribuzione limitata, il disco ha guadagnato visibilità nel tempo, ottenendo anche una ristampa. Pur non essendo un album di puro yacht rock, se non per il brano “Someone Like You”, il resto dei pezzi evoca atmosfere west coast alla CS&N, con un sound rilassato e una preferenza per strumenti acustici.
Nell’album spicca anche una cover di “Old Man” di Neil Young, arricchita da eccellenti armonizzazioni vocali.
Disco consigliato:
“Songs For A City” - (1977, Ocean)
Greg Adams Cantautore omonimo del trombettista dei Tower of Power, Adams debutta nel 1977 con un album country, ma è con il lavoro successivo, pubblicato due anni dopo, che si avvicina alle sonorità del pop west coast.
Purtroppo, i brani memorabili non sono molti, ad eccezione della traccia di apertura, mentre l’album risente di un’eccessiva presenza di canzoni melense. Nonostante questi limiti, preferisco ascoltare un disco così rispetto a molto del pop mainstream italiano degli ultimi decenni.
Disco consigliato
“Runaway Dreams” - (1979, Attic)
Ian Thomas Band
Ian Thomas ha iniziato la sua carriera nella band folk Tranquility Base (1969-1971).
Nel 1973 ha pubblicato il suo primo album da solista, Ian Thomas, caratterizzato da sonorità folk-rock e contenente il brano di successo “Painted Ladies”.
Con Glider, pubblicato nel 1979, Thomas si avvicina a sonorità più orientate verso lo Yacht Rock, in un album che, pur senza pretese straordinarie, risulta ben riuscito e in alcuni tratti ricorda lo stile degli Steely Dan. Fa eccezione il brano finale, un pezzo di AOR dal tono un po’ sopra le righe.
Disco consigliato:
“Glider” - (1979, GRT)
Diane Tell
Nata in Quebec, Diane Tell ha sviluppato fin da giovane una passione per la chitarra, trasferendosi poi a Montreal dove ha iniziato a esibirsi nei bar locali, guadagnando gradualmente popolarità. Il successo è arrivato con l’album “En Flèche” (1980), che ha venduto oltre 150.000 copie grazie al singolo “Si j’étais un homme”.
Anche Diane si è lasciata ispirare dal sound west coast pop dei primi anni ’80, pubblicando nel 1982 “Chimères”, un album cantato in francese e influenzato dai suoni raffinati di artisti come Foster e Graydon. È un peccato che “Chimères” sia rimasto un episodio unico nella discografia della Tell, perché non ha nulla da invidiare a dischi più celebrati del genere. Disco consigliato:
“Chimeres” - (1982, RCA)
Monkey House
La band, progetto del musicista Don Breithaupt, ha pubblicato otto album tra il 1992 e il 2022, conquistando l’apprezzamento dei grandi maestri dello Yacht Rock.
Il loro stile musicale si ispira fortemente alle sonorità degli Steely Dan, ma riescono a distinguersi grazie a una spiccata personalità che li salva dal rischio di apparire come una semplice imitazione. Melodie raffinate, una fusione di pop e jazz, e una tecnica sopraffina rappresentano i tratti distintivi della loro proposta artistica.
Dischi consigliati:
“Left” - (2016, Alma Records)
“Friday” - (Alma Records)
DANIMARCA
Anne Linnet
Sono due gli album solisti di Anne Linnet che qui ci interessano, gli unici della sua carriera cinquantennale cantati in inglese, pubblicati nel 1973 e nel 1975, con una preferenza per il secondo. Non si tratta propriamente di YR, ma piuttosto di un contesto pop con influenze jazz e folk, dove l’ispirazione da Joni Mitchell è particolarmente forte. Mentre “Sweet Thing” offre già spunti interessanti, è con “Anne Linnet” che l’artista mostra una maturità più pronunciata, riuscendo a fondere melodie pop morbide con una sensibilità folk e jazz.
I testi, intimi e personali, esplorano temi di amore e vulnerabilità, accompagnati da arrangiamenti raffinati che mettono in risalto la sua capacità di creare atmosfere delicate e avvolgenti.
Disco consigliato:
“Anne Linnet” - (1975, Abra Cadabra)
FRANCIA
Guy Maxwell
Originario di Bordeaux e trasferitosi in Svizzera negli anni ‘80, Guy Maxwell ha inciso un unico album per la piccola etichetta indipendente Bubble, che scomparve poco dopo, portando con sé nell’ombra anche il disco di Maxwell.
Oggi quell’album, uscito inizialmente senza alcun supporto promozionale, è stato ristampato con una tracklist ridotta a sei brani, dai nove originali, selezionati per la loro bellezza e profondità. Le tracce spaziano tra AOR, jazz fusion, yacht rock e folk cosmico, che ricordano molto lo stile di Marc Jordan, creando un’esperienza di ascolto coinvolgente.
Disco consigliato:
“Outside My Window” - (1980, Bubble) Ristampatp nel 2021 da Growing Bin Records
Geyster
Gael Benyamin, conosciuto come Geyster, nativo di Parigi, è un artista eclettico e appassionato delle sonorità degli anni ’70 e ’80. Polistrumentista, produttore e songwriter, ha una produzione prolifica e rende spesso omaggio allo Yacht Rock, come nell’album “Radio Geyster 1977” e, più recentemente, in “The Flybuster”, pubblicato con lo pseudonimo di Nightshift.
Geyster non si limita a comporre e produrre la sua musica, ma cura anche l’aspetto visivo delle copertine, dei video e degli spettacoli dal vivo. La sua musica unisce elementi pop, jazz e rock, ispirandosi al sound anni ’70 e alla scena westcoast, che porta in scena insieme ai suoi musicisti.
Disco consigliato:
“Radio Geyster” - (2011, Somekind Records)
Mandoo
Duo di musicisti francesi, composto da Esther Ben Daoud e Pierre Vanier de Saint Aunay, marito e moglie nella vita, hanno pubblicato un EP e due LP, tutti caratterizzati da un mix di pop, jazz e soul, con evidenti influenze delle sonorità californiane di fine anni ’70 e inizio ’80.
I loro lavori sono piacevoli, con un particolare rilievo per il secondo album, “Pacific Addiction”, che include cinque brani, sugli otto presenti, scritti da Eric Tagg, figura di spicco della golden age del westcoast pop.
Le linee melodiche e gli arrangiamenti sono particolarmente curati, conferendo ai dischi un’eleganza distintiva.
Dischi consigliati:
“Sweet Bitter Love” - (2012, Mandoo Music)
“Pacific Addiction” - (2015, Mandoo Music)
FINLANDIA
Tomi Malm
Come già avviene per i musicisti svedesi e norvegesi citati successivamente, anche la Finlandia si distingue per artisti che hanno il westcoast come punto di riferimento. Tomi Malm, pianista, produttore, arrangiatore e compositore finlandese, ha iniziato a studiare pianoforte a soli quattro anni, avviandosi inizialmente verso una carriera classica. Dopo aver frequentato tre conservatori, si è dedicato alla composizione, alla direzione d’orchestra e al lavoro in studio.
Nel 2009 ha prodotto Fly Away: The Songs of David Foster, un album tributo a uno dei più grandi musicisti e produttori del westcoast pop. Nel 2017 ha debuttato come solista con Walkin’ On Air, seguito nel 2020 da Coming Home e da un album live nel 2023.
La passione di Malm per il sound californiano è autentica: il suo stile si distingue per un pop sofisticato, influenzato dal blues, sempre rilassato e arricchito da melodie raffinate.
Disco consigliato:
“Walkin’ On Air” - (2017, Contante & Sonante)
GERMANIA
Upstairs
Originari di Francoforte, gli Upstairs pubblicarono nel 1980 un unico album in edizione privata, che fondeva elementi di funk, rock e jazz, in uno stile tipicamente di fine anni 70, e che in alcuni brani richiamava vagamente quello degli Steely Dan. La band si esibiva principalmente a livello locale, senza ambizioni commerciali, il che ha reso l’album, nella sua versione originale, estremamente raro e ricercato dai collezionisti.
Un piccolo tesoro musicale che, nonostante la sua limitata diffusione, continua a suscitare interesse ancora oggi.
Disco consigliato:
“It's Hard To Get In The Showbiz...” (1980, Tonstudio) Ristampato nel 2020 da The Outer Edge
People
È improprio parlare di yacht rock con i People, il loro sound è piuttosto influenzato dalle sonorità westcoast degli anni ‘70, simili agli CS&N e al Neil Young più folk. Fondati nel 1967, il gruppo tedesco si evolse nel tempo, passando dal folk al rock con testi in inglese. Nel 1981 pubblicarono “Misty Mood” e nel 1982 “Easy Going”.
Il loro terzo album, cantato in tedesco, uscì nel 1983, ma non riuscirono a ottenere il successo sperato e furono così abbandonati dalla CBS.
Dopo lo scioglimento nel 1984, Tramp Records ha reso omaggio alla band con l’LP “Natures Melody”, che raccoglie i migliori brani dai loro album in inglese.
Disco consigliato:
“Natures Melody” - (2024. Tramp Records)
GIAPPONE
Un breve preambolo prima di iniziare a parlare degli artisti che in Giappone si sono cimentati con lo YR.
I giapponesi sono conosciuti come tra i più appassionati ascoltatori di Yacht Rock, e grazie alle loro ristampe degli album finiti fuori catalogo, questo genere è rimasto vivo e vegeto nel corso degli anni.
La scena pop giapponese ha radici nel secondo dopoguerra, quando il genere “Kayo Kyouku”, ovvero la musica che assorbiva influenze dal blues, dal jazz e dal r’n’r, così come dal pop occidentale degli anni 60 e 70, ha dominato la scena fino a fine anni 70, quando è stato soppiantato dal “City Pop”, genere che condivide molti punti in comune con lo Yacht Rock dal punto di vista musicale.
Negli anni Ottanta, durante il boom economico giapponese, il “City Pop” divenne la colonna sonora del momento, riflettendo un pop occidentale influenzato dalla Westcoast californiana, ma rielaborata in chiave giapponese.
Pur avendo radici simili, il “City Pop” si distingue per sonorità più ritmate e una forte componente disco.
I suoi testi esplorano la vita urbana, l’isolamento, le relazioni, il desiderio, ma anche l’euforia e la spensieratezza della metropoli, catturando l’essenza di quell’epoca e di una società in rapida evoluzione.
Makoto Matsushita
Autore di soli quattro album dal 1981 al 2021, Matsushita con First Light ha creato uno dei migliori album giapponesi di yacht rock, sicuramente quello meno compromesso con il City Pop. “First Light” non ha nulla da invidiare ai dischi dei suoi contemporanei occidentali: la musica richiama in più di una canzone sia gli Steely Dan che Marc Jordan, sia le produzioni Graydon/Foster.
L’unica difficoltà per l’ascoltatore potrebbe essere il cantato in giapponese, tranne in un brano, ma superato questo ostacolo, il disco si rivela una vera gemma del genere.
Disco consigliato:
“First Light” - (1981, Air Records) Ristampato dal 1991 al 2023 da Warner Music Japan
Kingo Hamada
Hamada inizia a suonare musica fin dalle scuole elementari, dedicandosi inizialmente al violino, per poi abbandonarlo improvvisamente e passare alla chitarra. Il suo debutto da professionista avviene nel 1974 con la band folk-rock dei Craft.
Dopo aver lasciato il gruppo, si concentra sulla composizione e sulla realizzazione di album da solista. Spesso erroneamente associato al filone del City-Pop, Hamada è in realtà uno degli esponenti più puri dello yacht-rock giapponese. Con i suoi album ‘Mugshot’ e ‘Midnight Cruiser’, unisce il pop al soft-rock e al soul/funk, creando sonorità che ancora oggi suonano fresche. È senza dubbio uno degli artisti più sottovalutati e meno conosciuti dello yacht-rock.
Dischi consigliati:
“Midnight Cruisin” - (1982, Warner Music Japan)
“Mugshot” - (1983, Warner Music Japan)
Fujimaro Yoshino
Conosciuto anche come Fujimal Yoshino, Fujimaru Yoshino ha iniziato la sua carriera nel 1972 con la Flying Space Band, per poi formare la Fujimaru Band, che divenne la band ufficiale di Hideki Saijo.
Dopo lo scioglimento del gruppo, nel 1978 ha fondato gli SHOGUN, con cui ha raggiunto il successo grazie al singolo “Male Melody” scritto per una serie televisiva.
In seguito, Yoshino ha intrapreso la carriera solista e, nel 1982, ha pubblicato un raffinato album di Yacht Rock, “Romantic Guys”. Questo disco spazia abilmente tra ritmi funk e brani pop di medio tempo e vede la partecipazione di noti musicisti internazionali come Robben Ford, Abraham Laboriel, Don Grusin, Russell Ferrante e Joel Peskin. Le sonorità richiamano le produzioni eleganti di David Foster, dando vita a un Yacht Rock sofisticato e piacevolissimo.
Disco consigliato:
“Romantic Guys” - (1982, Moon Records) Ristampato nel 2022 da Moon Records
Kyosuke Kusonoki
Conosco davvero poco di Kusonoki, se non che prima della sua carriera da solista ha fatto parte delle band Camel Land e The Wood. “Just Tonight” è il suo unico album da solista, quasi interamente cantato in inglese e dal respiro internazionale. Il suo stile richiama quello di Bobby Caldwell e George Benson, con brani di pop sofisticato che si mescolano a sfumature di soul dolce e raffinato.
Merita una menzione speciale anche il gruppo di sessionman giapponesi coinvolti nel progetto, che non fanno rimpiangere i loro omologhi californiani: l’atmosfera che si respira nel disco è californiana come poche altre.
Disco consigliato:
“Just Tonight” - (1985, King Records)
Narumin & Etsu
L’album Thru Traffic è considerato uno dei migliori esempi del genere City-Pop.
L’ho inserito qui per evidenziare quanto profonde siano le connessioni con lo Yacht Rock, al punto che, più che al City-Pop, sarebbe quasi da ascrivere a quest’ultimo genere. Ma facciamo un passo indietro.
Hiroshi Narumi ed Etsuko Yamakawa provengono entrambi dal mondo della musica classica, ma sviluppano interessi per generi occidentali diversi: Yamakawa è affascinata dal pop degli anni ‘60, mentre Narumi esplora il soft rock, l’R&B e la bossa nova.
Si incontrano alla Yamaha Music Foundation, dove Yamakawa lavora come assistente e ha l’opportunità di apprendere tecniche dai compositori affermati con cui collabora. Dopo diverse collaborazioni con vari artisti, decidono di creare un progetto proprio e pubblicano “Thru Traffic” nel 1982.
Sebbene l’album abbia risentito di problemi contrattuali e di scarsa promozione, si rivela comunque un trampolino di lancio per entrambi: Narumi diventa un apprezzato produttore e musicista, mentre Yamakawa si afferma come arrangiatrice di successo.
Thru Traffic esplora diversi stili, spaziando dallo sweet soul alla Bobby Caldwell, alle ballate nello stile di Gino Vannelli, fino a toccare il pop jazzato e la bossa nova nello stile di Sergio Mendes (davvero notevole in tal senso i i brani “September Valentine” e “Spell”).
È un album eclettico, con un mood estivo pazzesco, e davvero molto bello, ideale per chi voglia avvicinarsi al City-Pop. In occasione del quarantennale dell’album, Hiroshi Narumi lo ha celebrato pubblicando un nuovo disco intitolato “Around Thru Traffic.”
Disco consigliato:
“Thru Traffic” - (1982, Philips) Ristampato nel 2022 da USM Japan
NORVEGIA
Ole Børud
Avevamo ormai perso la speranza di ascoltare nuovi artisti cimentarsi con lo Yacht Rock, un genere che sembrava destinato a rimanere un ricordo nostalgico. Fortunatamente, ad inizio anni 2000, il norvegese Ole Børud (insieme ad altri artisti come Lou Pardini e Bill Cantos) ha messo a tacere chi sperava di non sentire mai più parlare di Yacht Rock.
E, ironia della sorte, Børud proviene da un contesto musicale che storicamente avversa questo genere, essendo un musicista con radici nell’hardcore punk e nel doom metal.
Dopo un primo album in cui la direzione artistica non era ancora ben definita (al punto che Børud lo disconoscerà in seguito), è con “Shakin’ The Ground” del 2008 che inizia la sua avventura nel mondo dello Yacht Rock, muovendosi abilmente tra influenze soul, suggestioni alla Steely Dan e brani mid-ballad che richiamano la stagione dorata del westcoast pop.
Dischi consigliati:
“Shackin The Ground” - (2008, Connection)
“Outside The Limit” - (2019, Connection)
The Norwegian Fords
Erik Enzo e Paul Call formano i Norwegian Fords, un duo di musicisti profondamente ispirati dalle sonorità degli Steely Dan, a cui si rifà esplicitamente la loro musica.
I testi, arguti e intelligenti, sono intrecciati con trame sonore pop arricchite da improvvisi cambi armonici, in perfetto stile Fagen/Becker.
Hanno pubblicato due album, di cui il primo è un vero gioiellino, caldamente raccomandato a chi considera gli Steely Dan il proprio punto di riferimento musicale. Dotati di grande personalità, è un vero peccato che non abbiano più inciso niente. D’altronde, cimentarsi in questo genere era già una sfida negli anni d’oro, figuriamoci oggi.
Disco consigliato.
“Somewhere Down The Road You'll Listen” - (2011, Call Enzo Music)
SVEZIA
William Sikstrøm
Per trovare novità interessanti nel mondo dello Yacht Rock, dobbiamo volgere lo sguardo alla Scandinavia, da cui provengono alcuni dei migliori album del genere degli ultimi anni. William Sikstrøm ha esordito nel 2015, a soli 21 anni, con un album in cui esprimeva tutto il suo amore per band come Airplay, Pages e Steely Dan, rielaborandone l’influenza con uno stile personale. Il disco è stato registrato in casa, con Sikstrøm che ha suonato tutti gli strumenti. Il suo secondo album, pubblicato nel 2017, riprende le atmosfere del primo, migliorandole e mostrando una maturità sorprendente.
Dischi consigliati:
“I Will Be Waiting” - (2015. Private Press)
“Running Out Of Time” - (2017, Private Press)
State Cows
Gli State Cows, ovvero Daniel Andersson alla voce e alle chitarre e Stefan Olofsson alle tastiere e al basso, sono tra gli artisti che hanno riacceso la fiammella dello Yacht-Rock che sembrava essersi spenta per sempre.
Fu un vero raggio di sole per gli appassionati di Yacht Rock, che finalmente ritrovarono in loro l’energia, la qualità e il gusto che caratterizzavano i grandi classici del genere. Gli State Cows hanno preso gli Steely Dan come punto di riferimento centrale, ma non si sono fermati lì: nel corso degli anni hanno saputo attingere al meglio del westcoast pop, collaborando con alcuni dei più grandi interpreti di quell’epoca, tra cui Jay Graydon, Michael Landau, Bill Champlin, Jason Scheff e Ian Bairnson.
I loro album sono tra i migliori del genere, degni eredi della golden age dello Yacht-Rock.
Dischi consigliati:
“State Cows” - (2010, Avenue of Allies Music)
“The Second One” - (2013, Avenue of Allies Music)
Le puntate precedenti qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
Resto del Mondo
Il genere west coast, e di riflesso lo yacht rock, non è stato un’esclusiva del mondo anglosassone: le sue atmosfere si sono diffuse in tutto il mondo, a dimostrazione della forza del suo linguaggio universale.
Molti degli artisti coinvolti hanno scelto di cantare in inglese, ma tra quelli che citiamo qui, in molti hanno mantenuto la propria lingua madre.
In questa selezione prediligiamo gli artisti italiani e giapponesi, ma scopriremo come lo yacht rock e le sonorità west coast abbiano trovato casa in ogni angolo del globo, influenzando musicisti da diverse culture, ciascuno dei quali ha aggiunto un tocco unico a questo stile inconfondibile.
ISLANDA
Jacob Magnusson
Islandese di origini danesi, Magnusson è noto nell’ambiente musicale come un talentuoso musicista di jazz fusion. La sua incursione nello Yacht Rock avvenne durante un soggiorno in California tra il 1979 e il 1981, dove si trasferì per studiare musica.
In questo periodo ebbe l’opportunità di collaborare con alcuni dei migliori musicisti californiani, tra cui Jeff Porcaro, Stanley Clarke, Vinnie Colaiuta, Victor Feldman e Tom Scott. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti incise due album. Il primo, pubblicato nel 1979, è interamente strumentale, mentre il secondo, uscito nel 1981, (riconoscibile anche per una copertina quantomeno discutibile) include alcuni brani cantati ed è decisamente superiore. Magnusson seppe mettere a frutto i suoi studi, creando un eccellente album di urban groove, soprattutto nella prima parte, che spicca per qualità e stile. Con maestri di tale calibro al suo fianco, non poteva essere altrimenti.
Il risultato è un lavoro che richiama lo Yacht Rock delle migliori produzioni di David Foster.
Disco consigliato:
“Jack Magnet” - (1981, Steiner)
BRASILE
Marcos Valle
Marcos Valle è uno dei più grandi musicisti brasiliani di tutti i tempi, noto per il suo contributo alla samba e alla bossa nova. Tuttavia, il suo album del 1981, “Vontade de Rever Você”, lo porta in un territorio completamente diverso, quello del funky soul, ma sempre con la sua inconfondibile sensibilità carioca.
Questo disco segna una svolta nella sua carriera, con sonorità vicine al groove californiano, influenzato dal suo soggiorno negli Stati Uniti e dalla sua collaborazione con artisti come Leon Ware e Peter Cetera. “Vontade de Rever Você” non è propriamente un album yacht rock, ma si avvicina molto a quel sound, con le sue sonorità morbide e sofisticate, influenzate dal groove californiano.
La sua fusione di funky soul e l’eleganza brasiliana lo rendono affine a molte delle caratteristiche tipiche dello yacht rock, pur mantenendo una personalità unica.
Un disco che, pur non appartenendo al genere in senso stretto, ne cattura molte delle atmosfere rilassate e raffinate.
Disco consigliato:
“Vontade De Rever Você” - (1980, Som Livre)
Junior Mendes
Da non confondere con il più celebre Sergio Mendes, Junior Mendes è noto soprattutto per le sue collaborazioni con Tim Maia e la Banda Black Rio.
Figura di rilievo nel movimento soul e funk nato in Brasile negli anni ‘70, Junior Mendes unisce le influenze di grandi artisti brasiliani come Gilberto Gil e Jorge Ben con forti elementi soul. Il risultato di queste contaminazioni è l’album “Copacabana Sadia”, pubblicato nel 1982, in cui Mendes crea una visione unica del funk, arricchendolo con elementi della musica brasiliana ma senza appoggiarsi alle sonorità più tradizionali.
Questo album, dal respiro internazionale, cattura il mood dello yacht rock senza necessariamente aderirne agli schemi musicali, mantenendo una sensibilità profondamente brasiliana.
Copacabana Sadia resterà l’unico album di Mendes, divenuto introvabile negli anni, fino al suo ritorno sulle scene con un nuovo lavoro discografico nel 2013.
Disco consigliato:
“Copacabana Sadia” - (1982, Sony Brasil) Ristampato nel 2017 da Athens Of The North
Ed Motta
Ed Motta è un musicista estremamente versatile, conosciuto per la sua abilità nel suonare jazz, soul, funk, rock e pop-westcoast. Nato a Rio de Janeiro nel 1971 e nipote del leggendario Tim Maia, Ed possiede una collezione di oltre 30.000 dischi, in gran parte vinili, che testimonia la sua profonda passione per la musica di tutto il mondo.
Ha esordito con il gruppo Conexão Japeri, per poi intraprendere la carriera solista, distinguendosi per arrangiamenti complessi e una cura minuziosa dei dettagli.
Il suo album “AOR”, pubblicato nel 2013 è una dichiarazione d’amore alla musica californiana degli anni ’70 e ‘80, un omaggio alle sonorità degli Steely Dan e a quelle più tipicamente pop. Ed Motta non si limita a un esercizio di stile: le sue canzoni riflettono un legame autentico e appassionato con questa musica, che trasmette al pubblico con naturalezza. Ne nascono suoni senza tempo, un’estetica raffinata e una pulizia sonora impeccabile.
Canzoni nuove che suonano come classici, dimostrando che è possibile percorrere strade originali anche nel pop.
Disco consigliato:
“AOR” (Brazilian Portuguese Version) - (2013, LAB 344)
CANADA
Airborne
Gli Airborne, band di Vancouver nata nel 1974, realizzarono un solo album per una piccola etichetta, stampato in appena duemila copie per il circuito locale. Nonostante la distribuzione limitata, il disco ha guadagnato visibilità nel tempo, ottenendo anche una ristampa. Pur non essendo un album di puro yacht rock, se non per il brano “Someone Like You”, il resto dei pezzi evoca atmosfere west coast alla CS&N, con un sound rilassato e una preferenza per strumenti acustici.
Nell’album spicca anche una cover di “Old Man” di Neil Young, arricchita da eccellenti armonizzazioni vocali.
Disco consigliato:
“Songs For A City” - (1977, Ocean)
Greg Adams Cantautore omonimo del trombettista dei Tower of Power, Adams debutta nel 1977 con un album country, ma è con il lavoro successivo, pubblicato due anni dopo, che si avvicina alle sonorità del pop west coast.
Purtroppo, i brani memorabili non sono molti, ad eccezione della traccia di apertura, mentre l’album risente di un’eccessiva presenza di canzoni melense. Nonostante questi limiti, preferisco ascoltare un disco così rispetto a molto del pop mainstream italiano degli ultimi decenni.
Disco consigliato
“Runaway Dreams” - (1979, Attic)
Ian Thomas Band
Ian Thomas ha iniziato la sua carriera nella band folk Tranquility Base (1969-1971).
Nel 1973 ha pubblicato il suo primo album da solista, Ian Thomas, caratterizzato da sonorità folk-rock e contenente il brano di successo “Painted Ladies”.
Con Glider, pubblicato nel 1979, Thomas si avvicina a sonorità più orientate verso lo Yacht Rock, in un album che, pur senza pretese straordinarie, risulta ben riuscito e in alcuni tratti ricorda lo stile degli Steely Dan. Fa eccezione il brano finale, un pezzo di AOR dal tono un po’ sopra le righe.
Disco consigliato:
“Glider” - (1979, GRT)
Diane Tell
Nata in Quebec, Diane Tell ha sviluppato fin da giovane una passione per la chitarra, trasferendosi poi a Montreal dove ha iniziato a esibirsi nei bar locali, guadagnando gradualmente popolarità. Il successo è arrivato con l’album “En Flèche” (1980), che ha venduto oltre 150.000 copie grazie al singolo “Si j’étais un homme”.
Anche Diane si è lasciata ispirare dal sound west coast pop dei primi anni ’80, pubblicando nel 1982 “Chimères”, un album cantato in francese e influenzato dai suoni raffinati di artisti come Foster e Graydon. È un peccato che “Chimères” sia rimasto un episodio unico nella discografia della Tell, perché non ha nulla da invidiare a dischi più celebrati del genere. Disco consigliato:
“Chimeres” - (1982, RCA)
Monkey House
La band, progetto del musicista Don Breithaupt, ha pubblicato otto album tra il 1992 e il 2022, conquistando l’apprezzamento dei grandi maestri dello Yacht Rock.
Il loro stile musicale si ispira fortemente alle sonorità degli Steely Dan, ma riescono a distinguersi grazie a una spiccata personalità che li salva dal rischio di apparire come una semplice imitazione. Melodie raffinate, una fusione di pop e jazz, e una tecnica sopraffina rappresentano i tratti distintivi della loro proposta artistica.
Dischi consigliati:
“Left” - (2016, Alma Records)
“Friday” - (Alma Records)
DANIMARCA
Anne Linnet
Sono due gli album solisti di Anne Linnet che qui ci interessano, gli unici della sua carriera cinquantennale cantati in inglese, pubblicati nel 1973 e nel 1975, con una preferenza per il secondo. Non si tratta propriamente di YR, ma piuttosto di un contesto pop con influenze jazz e folk, dove l’ispirazione da Joni Mitchell è particolarmente forte. Mentre “Sweet Thing” offre già spunti interessanti, è con “Anne Linnet” che l’artista mostra una maturità più pronunciata, riuscendo a fondere melodie pop morbide con una sensibilità folk e jazz.
I testi, intimi e personali, esplorano temi di amore e vulnerabilità, accompagnati da arrangiamenti raffinati che mettono in risalto la sua capacità di creare atmosfere delicate e avvolgenti.
Disco consigliato:
“Anne Linnet” - (1975, Abra Cadabra)
FRANCIA
Guy Maxwell
Originario di Bordeaux e trasferitosi in Svizzera negli anni ‘80, Guy Maxwell ha inciso un unico album per la piccola etichetta indipendente Bubble, che scomparve poco dopo, portando con sé nell’ombra anche il disco di Maxwell.
Oggi quell’album, uscito inizialmente senza alcun supporto promozionale, è stato ristampato con una tracklist ridotta a sei brani, dai nove originali, selezionati per la loro bellezza e profondità. Le tracce spaziano tra AOR, jazz fusion, yacht rock e folk cosmico, che ricordano molto lo stile di Marc Jordan, creando un’esperienza di ascolto coinvolgente.
Disco consigliato:
“Outside My Window” - (1980, Bubble) Ristampatp nel 2021 da Growing Bin Records
Geyster
Gael Benyamin, conosciuto come Geyster, nativo di Parigi, è un artista eclettico e appassionato delle sonorità degli anni ’70 e ’80. Polistrumentista, produttore e songwriter, ha una produzione prolifica e rende spesso omaggio allo Yacht Rock, come nell’album “Radio Geyster 1977” e, più recentemente, in “The Flybuster”, pubblicato con lo pseudonimo di Nightshift.
Geyster non si limita a comporre e produrre la sua musica, ma cura anche l’aspetto visivo delle copertine, dei video e degli spettacoli dal vivo. La sua musica unisce elementi pop, jazz e rock, ispirandosi al sound anni ’70 e alla scena westcoast, che porta in scena insieme ai suoi musicisti.
Disco consigliato:
“Radio Geyster” - (2011, Somekind Records)
Mandoo
Duo di musicisti francesi, composto da Esther Ben Daoud e Pierre Vanier de Saint Aunay, marito e moglie nella vita, hanno pubblicato un EP e due LP, tutti caratterizzati da un mix di pop, jazz e soul, con evidenti influenze delle sonorità californiane di fine anni ’70 e inizio ’80.
I loro lavori sono piacevoli, con un particolare rilievo per il secondo album, “Pacific Addiction”, che include cinque brani, sugli otto presenti, scritti da Eric Tagg, figura di spicco della golden age del westcoast pop.
Le linee melodiche e gli arrangiamenti sono particolarmente curati, conferendo ai dischi un’eleganza distintiva.
Dischi consigliati:
“Sweet Bitter Love” - (2012, Mandoo Music)
“Pacific Addiction” - (2015, Mandoo Music)
FINLANDIA
Tomi Malm
Come già avviene per i musicisti svedesi e norvegesi citati successivamente, anche la Finlandia si distingue per artisti che hanno il westcoast come punto di riferimento. Tomi Malm, pianista, produttore, arrangiatore e compositore finlandese, ha iniziato a studiare pianoforte a soli quattro anni, avviandosi inizialmente verso una carriera classica. Dopo aver frequentato tre conservatori, si è dedicato alla composizione, alla direzione d’orchestra e al lavoro in studio.
Nel 2009 ha prodotto Fly Away: The Songs of David Foster, un album tributo a uno dei più grandi musicisti e produttori del westcoast pop. Nel 2017 ha debuttato come solista con Walkin’ On Air, seguito nel 2020 da Coming Home e da un album live nel 2023.
La passione di Malm per il sound californiano è autentica: il suo stile si distingue per un pop sofisticato, influenzato dal blues, sempre rilassato e arricchito da melodie raffinate.
Disco consigliato:
“Walkin’ On Air” - (2017, Contante & Sonante)
GERMANIA
Upstairs
Originari di Francoforte, gli Upstairs pubblicarono nel 1980 un unico album in edizione privata, che fondeva elementi di funk, rock e jazz, in uno stile tipicamente di fine anni 70, e che in alcuni brani richiamava vagamente quello degli Steely Dan. La band si esibiva principalmente a livello locale, senza ambizioni commerciali, il che ha reso l’album, nella sua versione originale, estremamente raro e ricercato dai collezionisti.
Un piccolo tesoro musicale che, nonostante la sua limitata diffusione, continua a suscitare interesse ancora oggi.
Disco consigliato:
“It's Hard To Get In The Showbiz...” (1980, Tonstudio) Ristampato nel 2020 da The Outer Edge
People
È improprio parlare di yacht rock con i People, il loro sound è piuttosto influenzato dalle sonorità westcoast degli anni ‘70, simili agli CS&N e al Neil Young più folk. Fondati nel 1967, il gruppo tedesco si evolse nel tempo, passando dal folk al rock con testi in inglese. Nel 1981 pubblicarono “Misty Mood” e nel 1982 “Easy Going”.
Il loro terzo album, cantato in tedesco, uscì nel 1983, ma non riuscirono a ottenere il successo sperato e furono così abbandonati dalla CBS.
Dopo lo scioglimento nel 1984, Tramp Records ha reso omaggio alla band con l’LP “Natures Melody”, che raccoglie i migliori brani dai loro album in inglese.
Disco consigliato:
“Natures Melody” - (2024. Tramp Records)
GIAPPONE
Un breve preambolo prima di iniziare a parlare degli artisti che in Giappone si sono cimentati con lo YR.
I giapponesi sono conosciuti come tra i più appassionati ascoltatori di Yacht Rock, e grazie alle loro ristampe degli album finiti fuori catalogo, questo genere è rimasto vivo e vegeto nel corso degli anni.
La scena pop giapponese ha radici nel secondo dopoguerra, quando il genere “Kayo Kyouku”, ovvero la musica che assorbiva influenze dal blues, dal jazz e dal r’n’r, così come dal pop occidentale degli anni 60 e 70, ha dominato la scena fino a fine anni 70, quando è stato soppiantato dal “City Pop”, genere che condivide molti punti in comune con lo Yacht Rock dal punto di vista musicale.
Negli anni Ottanta, durante il boom economico giapponese, il “City Pop” divenne la colonna sonora del momento, riflettendo un pop occidentale influenzato dalla Westcoast californiana, ma rielaborata in chiave giapponese.
Pur avendo radici simili, il “City Pop” si distingue per sonorità più ritmate e una forte componente disco.
I suoi testi esplorano la vita urbana, l’isolamento, le relazioni, il desiderio, ma anche l’euforia e la spensieratezza della metropoli, catturando l’essenza di quell’epoca e di una società in rapida evoluzione.
Makoto Matsushita
Autore di soli quattro album dal 1981 al 2021, Matsushita con First Light ha creato uno dei migliori album giapponesi di yacht rock, sicuramente quello meno compromesso con il City Pop. “First Light” non ha nulla da invidiare ai dischi dei suoi contemporanei occidentali: la musica richiama in più di una canzone sia gli Steely Dan che Marc Jordan, sia le produzioni Graydon/Foster.
L’unica difficoltà per l’ascoltatore potrebbe essere il cantato in giapponese, tranne in un brano, ma superato questo ostacolo, il disco si rivela una vera gemma del genere.
Disco consigliato:
“First Light” - (1981, Air Records) Ristampato dal 1991 al 2023 da Warner Music Japan
Kingo Hamada
Hamada inizia a suonare musica fin dalle scuole elementari, dedicandosi inizialmente al violino, per poi abbandonarlo improvvisamente e passare alla chitarra. Il suo debutto da professionista avviene nel 1974 con la band folk-rock dei Craft.
Dopo aver lasciato il gruppo, si concentra sulla composizione e sulla realizzazione di album da solista. Spesso erroneamente associato al filone del City-Pop, Hamada è in realtà uno degli esponenti più puri dello yacht-rock giapponese. Con i suoi album ‘Mugshot’ e ‘Midnight Cruiser’, unisce il pop al soft-rock e al soul/funk, creando sonorità che ancora oggi suonano fresche. È senza dubbio uno degli artisti più sottovalutati e meno conosciuti dello yacht-rock.
Dischi consigliati:
“Midnight Cruisin” - (1982, Warner Music Japan)
“Mugshot” - (1983, Warner Music Japan)
Fujimaro Yoshino
Conosciuto anche come Fujimal Yoshino, Fujimaru Yoshino ha iniziato la sua carriera nel 1972 con la Flying Space Band, per poi formare la Fujimaru Band, che divenne la band ufficiale di Hideki Saijo.
Dopo lo scioglimento del gruppo, nel 1978 ha fondato gli SHOGUN, con cui ha raggiunto il successo grazie al singolo “Male Melody” scritto per una serie televisiva.
In seguito, Yoshino ha intrapreso la carriera solista e, nel 1982, ha pubblicato un raffinato album di Yacht Rock, “Romantic Guys”. Questo disco spazia abilmente tra ritmi funk e brani pop di medio tempo e vede la partecipazione di noti musicisti internazionali come Robben Ford, Abraham Laboriel, Don Grusin, Russell Ferrante e Joel Peskin. Le sonorità richiamano le produzioni eleganti di David Foster, dando vita a un Yacht Rock sofisticato e piacevolissimo.
Disco consigliato:
“Romantic Guys” - (1982, Moon Records) Ristampato nel 2022 da Moon Records
Kyosuke Kusonoki
Conosco davvero poco di Kusonoki, se non che prima della sua carriera da solista ha fatto parte delle band Camel Land e The Wood. “Just Tonight” è il suo unico album da solista, quasi interamente cantato in inglese e dal respiro internazionale. Il suo stile richiama quello di Bobby Caldwell e George Benson, con brani di pop sofisticato che si mescolano a sfumature di soul dolce e raffinato.
Merita una menzione speciale anche il gruppo di sessionman giapponesi coinvolti nel progetto, che non fanno rimpiangere i loro omologhi californiani: l’atmosfera che si respira nel disco è californiana come poche altre.
Disco consigliato:
“Just Tonight” - (1985, King Records)
Narumin & Etsu
L’album Thru Traffic è considerato uno dei migliori esempi del genere City-Pop.
L’ho inserito qui per evidenziare quanto profonde siano le connessioni con lo Yacht Rock, al punto che, più che al City-Pop, sarebbe quasi da ascrivere a quest’ultimo genere. Ma facciamo un passo indietro.
Hiroshi Narumi ed Etsuko Yamakawa provengono entrambi dal mondo della musica classica, ma sviluppano interessi per generi occidentali diversi: Yamakawa è affascinata dal pop degli anni ‘60, mentre Narumi esplora il soft rock, l’R&B e la bossa nova.
Si incontrano alla Yamaha Music Foundation, dove Yamakawa lavora come assistente e ha l’opportunità di apprendere tecniche dai compositori affermati con cui collabora. Dopo diverse collaborazioni con vari artisti, decidono di creare un progetto proprio e pubblicano “Thru Traffic” nel 1982.
Sebbene l’album abbia risentito di problemi contrattuali e di scarsa promozione, si rivela comunque un trampolino di lancio per entrambi: Narumi diventa un apprezzato produttore e musicista, mentre Yamakawa si afferma come arrangiatrice di successo.
Thru Traffic esplora diversi stili, spaziando dallo sweet soul alla Bobby Caldwell, alle ballate nello stile di Gino Vannelli, fino a toccare il pop jazzato e la bossa nova nello stile di Sergio Mendes (davvero notevole in tal senso i i brani “September Valentine” e “Spell”).
È un album eclettico, con un mood estivo pazzesco, e davvero molto bello, ideale per chi voglia avvicinarsi al City-Pop. In occasione del quarantennale dell’album, Hiroshi Narumi lo ha celebrato pubblicando un nuovo disco intitolato “Around Thru Traffic.”
Disco consigliato:
“Thru Traffic” - (1982, Philips) Ristampato nel 2022 da USM Japan
NORVEGIA
Ole Børud
Avevamo ormai perso la speranza di ascoltare nuovi artisti cimentarsi con lo Yacht Rock, un genere che sembrava destinato a rimanere un ricordo nostalgico. Fortunatamente, ad inizio anni 2000, il norvegese Ole Børud (insieme ad altri artisti come Lou Pardini e Bill Cantos) ha messo a tacere chi sperava di non sentire mai più parlare di Yacht Rock.
E, ironia della sorte, Børud proviene da un contesto musicale che storicamente avversa questo genere, essendo un musicista con radici nell’hardcore punk e nel doom metal.
Dopo un primo album in cui la direzione artistica non era ancora ben definita (al punto che Børud lo disconoscerà in seguito), è con “Shakin’ The Ground” del 2008 che inizia la sua avventura nel mondo dello Yacht Rock, muovendosi abilmente tra influenze soul, suggestioni alla Steely Dan e brani mid-ballad che richiamano la stagione dorata del westcoast pop.
Dischi consigliati:
“Shackin The Ground” - (2008, Connection)
“Outside The Limit” - (2019, Connection)
The Norwegian Fords
Erik Enzo e Paul Call formano i Norwegian Fords, un duo di musicisti profondamente ispirati dalle sonorità degli Steely Dan, a cui si rifà esplicitamente la loro musica.
I testi, arguti e intelligenti, sono intrecciati con trame sonore pop arricchite da improvvisi cambi armonici, in perfetto stile Fagen/Becker.
Hanno pubblicato due album, di cui il primo è un vero gioiellino, caldamente raccomandato a chi considera gli Steely Dan il proprio punto di riferimento musicale. Dotati di grande personalità, è un vero peccato che non abbiano più inciso niente. D’altronde, cimentarsi in questo genere era già una sfida negli anni d’oro, figuriamoci oggi.
Disco consigliato.
“Somewhere Down The Road You'll Listen” - (2011, Call Enzo Music)
SVEZIA
William Sikstrøm
Per trovare novità interessanti nel mondo dello Yacht Rock, dobbiamo volgere lo sguardo alla Scandinavia, da cui provengono alcuni dei migliori album del genere degli ultimi anni. William Sikstrøm ha esordito nel 2015, a soli 21 anni, con un album in cui esprimeva tutto il suo amore per band come Airplay, Pages e Steely Dan, rielaborandone l’influenza con uno stile personale. Il disco è stato registrato in casa, con Sikstrøm che ha suonato tutti gli strumenti. Il suo secondo album, pubblicato nel 2017, riprende le atmosfere del primo, migliorandole e mostrando una maturità sorprendente.
Dischi consigliati:
“I Will Be Waiting” - (2015. Private Press)
“Running Out Of Time” - (2017, Private Press)
State Cows
Gli State Cows, ovvero Daniel Andersson alla voce e alle chitarre e Stefan Olofsson alle tastiere e al basso, sono tra gli artisti che hanno riacceso la fiammella dello Yacht-Rock che sembrava essersi spenta per sempre.
Fu un vero raggio di sole per gli appassionati di Yacht Rock, che finalmente ritrovarono in loro l’energia, la qualità e il gusto che caratterizzavano i grandi classici del genere. Gli State Cows hanno preso gli Steely Dan come punto di riferimento centrale, ma non si sono fermati lì: nel corso degli anni hanno saputo attingere al meglio del westcoast pop, collaborando con alcuni dei più grandi interpreti di quell’epoca, tra cui Jay Graydon, Michael Landau, Bill Champlin, Jason Scheff e Ian Bairnson.
I loro album sono tra i migliori del genere, degni eredi della golden age dello Yacht-Rock.
Dischi consigliati:
“State Cows” - (2010, Avenue of Allies Music)
“The Second One” - (2013, Avenue of Allies Music)
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Yacht Rock
martedì, novembre 26, 2024
Yacht Rock. Italia
L'amico LEANDRO GIOVANNINI prosegue la rubrica dedicata allo YACHT ROCK, ambito musicale spesso vituperato ma che nasconde piccole gemme degne di essere scoperte.
Le puntate precedenti qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
Italia vs Resto del Mondo #1
Il genere west coast, e di riflesso lo yacht rock, non è stato un’esclusiva del mondo anglosassone: le sue atmosfere si sono diffuse in tutto il mondo, a dimostrazione della forza del suo linguaggio universale.
Molti degli artisti coinvolti hanno scelto di cantare in inglese, ma tra quelli che citiamo qui, in molti hanno mantenuto la propria lingua madre.
In questa selezione prediligiamo gli artisti italiani e giapponesi, ma scopriremo come lo yacht rock e le sonorità west coast abbiano trovato casa in ogni angolo del globo, influenzando musicisti da diverse culture, ciascuno dei quali ha aggiunto un tocco unico a questo stile inconfondibile.
ITALIA
Alan Sorrenti
I primi a non sorprendersi per la svolta pop di Sorrenti furono coloro che avevano apprezzato il disco “Sienteme, It’s Time To Land”, già caratterizzato da un’atmosfera californiana in stile folk-funk.
Non a caso, il disco fu registrato a San Francisco, tranne che per un brano, e vede la partecipazione di Roger Vouduris alla chitarra acustica, un nome già citato nelle precedenti puntate.
Questa atmosfera californiana troverà piena espressione nei lavori successivi, in cui le produzioni realizzate a Los Angeles con i migliori session man – tra cui David Foster, David Hungate, Jay Graydon, Mike Porcaro, Victor Feldman, Bill Champlin, Steve Kipner e Steve Lukather – si affiancano a canzoni che non sfigurano accanto alle migliori dello YR. Brani come “Donna Luna”, “Per Sempre Tu” (“Beside Me” nella versione inglese) e “Un Incontro in Ascensore”, al di là dei testi, rappresentano quanto di più yacht rock abbiamo ascoltato in Italia, ottenendo anche un notevole successo.
Dischi consigliati:
“Sienteme, It’s Time To Land” - (1976, Harvest Records)
“Figli Delle Stelle” - (1977, EMI Italiana)
“LA and NY” - (1979, EMI Italiana)
Marco Taggiasco
Marco Taggiasco è un artista di grande talento, riconosciuto per la sua abilità nel mescolare sonorità sofisticate e melodiche, tipiche del Westcoast Pop e dello Yacht Rock. La sua musica è un omaggio a queste correnti, pur mantenendo una forte impronta personale che lo distingue nel panorama musicale contemporaneo.
È un musicista, produttore e arrangiatore meticoloso, capace di infondere ai suoi progetti un’eccellenza costante.
Collaborando con artisti di rilievo come Eric Tagg, Bill Champlin e David Pack, Taggiasco ha costruito una carriera dedicata a un pop di alto calibro, che spesso non ha ricevuto la giusta valorizzazione nel panorama mediatico italiano. Nonostante l’elevato pregio musicale e la cura dei dettagli, i suoi album sono rimasti poco conosciuti, penalizzati da una promozione insufficiente e dalla preferenza dei media per mode musicali di scarsa qualità artistica.
Dischi consigliati:
“Thousand Things” (2004, CD Baby)
“This Moment” - (2008, CD Baby)
“Togetherness” - (2020, Mr. T Records/P Vine Records)
Mario Acquaviva
Mario Acquaviva è un artista unico, che negli anni Ottanta è riuscito a creare un EP ed un album (quest’ultimo mai più ristampato) di raro spessore musicale: Mario Acquaviva (1983) EP che contiene quel capolavoro di Notturno Italiano e Sogni e Ridi (1987). La sua musica, ispirata al pop sofisticato di gruppi come gli Steely Dan, si distingue per arrangiamenti complessi, armonie jazz/funk, e una produzione che sfidava gli standard italiani del tempo.
Con il supporto di musicisti di talento come Faso e Feiez, Acquaviva ha dato vita a un pop d’autore ricercato, lontano dalle sonorità più semplici e commerciali del periodo.
Nonostante la qualità, Acquaviva non ha mai avuto un ampio successo commerciale, poiché il suo stile raffinato e la sua musica arricchita da cambi di ritmo, armonie imprevedibili e assenza di ritornelli orecchiabili, erano destinati a un pubblico più ricettivo di quello italiano dell’epoca. In un paese spesso impreparato a simili innovazioni, Acquaviva è passato inosservato, anche durante la sua partecipazione al Festivalbar del 1983. Oggi, però, i suoi lavori sono riconosciuti come vere perle della musica italiana, testimonianze di un talento ingiustamente dimenticato.
Mario Acquaviva è finalmente tornato ad incidere un EP nel 2023 dal titolo “Attention Please”, da cui segnalo la bellissima “Quando Saremo Ricchi.”
Dischi consigliati:
“Mario Acquaviva” - (1983, Ariston) Ristampato nel 2019 da Archeo Recordings
“Sogni e Ridi” - (1987, Fonit-Cetra)
“Attention Please” - (2023, Talento)
Max Meazza
Max Meazza nasce come bluesman ed è uno dei pochi tra i musicisti italiani che ha saputo reinterpretare lo spirito della westcoast originale americana con uno stile personale, diventando uno dei pochi in Italia a rappresentare questa corrente musicale.
La sua carriera inizia con la band Pueblo negli anni Settanta, dove ottiene un buon successo sia radiofonico che di vendite, ma è nei lavori da solista che esprime appieno il suo talento e le sue influenze.
Con album come “Shaving The Car”, “Personal Exile”, “West Coast Hotel”, “Charlie Parker Loves Me”, esplora sonorità che si rifanno a grandi nomi della scena americana, come Marc Jordan, con cui condivide un’affinità artistica più profonda rispetto a paragoni spesso fatti con Michael Franks. Meazza è un bluesman autentico, con uno stile che unisce atmosfere sofisticate a una forte vena poetica. I suoi album vantano collaborazioni, tra gli altri, con Marc Jordan, Paolo Fresu e Skip Battin dei Byrds.
Dischi consigliati:
“Shaving The Car” - (1981, Appaloosa)
“Personal Exile” - (1982, Appallosa)
“West Coast Hotel” - (2006, Desolation Angels)
“Charlie Parker Loves Me - (2015, Desolation Angels)
Enzo Cervo
Negli anni ‘70, la scena musicale italiana era come divisa in due: al centro-nord si affermavano artisti post-punk, mentre a sud, in particolare a Napoli, la musica black guadagnava terreno.
L’influenza della musica soul in Campania risale a Enzo Musella e ai suoi Showmen, seguiti dai Napoli Centrale di James Senese, che hanno ampliato il genere con elementi jazz-rock. Con l’emergere del Neapolitan Power all’inizio degli anni ‘80, si è sviluppata una fusione tra soul, funk e pop raffinato, dando vita a nomi noti come Pino Daniele e Tony Esposito.
Tuttavia, esisteva anche un sottobosco di artisti meno conosciuti che realizzarono opere di grande qualità, tra cui Enzo Cervo (storico proprietario della Grotta delle Fontanelle a Napoli, luogo in cui nel 1980 nacque il gruppo Bratacomiomachia, che includeva tra gli altri Daniele, Esposito, Avitabile e Renzo Zurzolo) con l’album “Musica È”, pubblicato nel 1981. Prodotto da Elio D’Anna e Alcapone, l’album presenta brani scritti in parte da Pasquale Panella e spazia da melodie pop sofisticate a tracce funk e soul. Nonostante le sue eccellenti sonorità, “Musica È” non ha ricevuto il riconoscimento che meritava, ma il suo valore è stato riscoperto negli ultimi anni grazie al rinnovato interesse per il genere yacht rock. Si auspica una ristampa di quest’opera, affinché possa ottenere la visibilità che merita.
Disco consigliato:
“Musica È” - (1981, GDM)
David Nerattini
Come già visto per il DJ Paul Hillery, anche David Nerattini non è un musicista in senso stretto, ma un crate-digger, produttore e giornalista. È stato il primo in Italia a raccogliere su una compilation fisica alcune delle testimonianze di artisti italiani che si sono avventurati nel cosiddetto yacht rock — o in territori musicali affini.
La sua compilation “Paisà Got Soul” ci permette di riscoprire nomi insospettabili, come Peppino Di Capri, Edoardo De Crescenzo, Stefano Pulga, Alberto Radius, Mario Lavezzi, ed altri, tutti intenti a sperimentare con sonorità pop-soul-funk che, per freschezza e qualità, stupiscono ancora oggi. Grazie a questa raccolta, emerge un lato sorprendente del panorama musicale italiano, dove artisti noti per altri generi si rivelano in chiave sofisticata e innovativa, dimostrando una versatilità raramente valorizzata.
Esiste anche un volume 2 di “Paisà Got Soul”, disponibile all’ascolto su Mixcloud, con la speranza che venga presto pubblicato anche in formato fisico.
Disco consigliato:
“Paisà Got Soul” - (2022, Four Flies Records)
Le puntate precedenti qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
Italia vs Resto del Mondo #1
Il genere west coast, e di riflesso lo yacht rock, non è stato un’esclusiva del mondo anglosassone: le sue atmosfere si sono diffuse in tutto il mondo, a dimostrazione della forza del suo linguaggio universale.
Molti degli artisti coinvolti hanno scelto di cantare in inglese, ma tra quelli che citiamo qui, in molti hanno mantenuto la propria lingua madre.
In questa selezione prediligiamo gli artisti italiani e giapponesi, ma scopriremo come lo yacht rock e le sonorità west coast abbiano trovato casa in ogni angolo del globo, influenzando musicisti da diverse culture, ciascuno dei quali ha aggiunto un tocco unico a questo stile inconfondibile.
ITALIA
Alan Sorrenti
I primi a non sorprendersi per la svolta pop di Sorrenti furono coloro che avevano apprezzato il disco “Sienteme, It’s Time To Land”, già caratterizzato da un’atmosfera californiana in stile folk-funk.
Non a caso, il disco fu registrato a San Francisco, tranne che per un brano, e vede la partecipazione di Roger Vouduris alla chitarra acustica, un nome già citato nelle precedenti puntate.
Questa atmosfera californiana troverà piena espressione nei lavori successivi, in cui le produzioni realizzate a Los Angeles con i migliori session man – tra cui David Foster, David Hungate, Jay Graydon, Mike Porcaro, Victor Feldman, Bill Champlin, Steve Kipner e Steve Lukather – si affiancano a canzoni che non sfigurano accanto alle migliori dello YR. Brani come “Donna Luna”, “Per Sempre Tu” (“Beside Me” nella versione inglese) e “Un Incontro in Ascensore”, al di là dei testi, rappresentano quanto di più yacht rock abbiamo ascoltato in Italia, ottenendo anche un notevole successo.
Dischi consigliati:
“Sienteme, It’s Time To Land” - (1976, Harvest Records)
“Figli Delle Stelle” - (1977, EMI Italiana)
“LA and NY” - (1979, EMI Italiana)
Marco Taggiasco
Marco Taggiasco è un artista di grande talento, riconosciuto per la sua abilità nel mescolare sonorità sofisticate e melodiche, tipiche del Westcoast Pop e dello Yacht Rock. La sua musica è un omaggio a queste correnti, pur mantenendo una forte impronta personale che lo distingue nel panorama musicale contemporaneo.
È un musicista, produttore e arrangiatore meticoloso, capace di infondere ai suoi progetti un’eccellenza costante.
Collaborando con artisti di rilievo come Eric Tagg, Bill Champlin e David Pack, Taggiasco ha costruito una carriera dedicata a un pop di alto calibro, che spesso non ha ricevuto la giusta valorizzazione nel panorama mediatico italiano. Nonostante l’elevato pregio musicale e la cura dei dettagli, i suoi album sono rimasti poco conosciuti, penalizzati da una promozione insufficiente e dalla preferenza dei media per mode musicali di scarsa qualità artistica.
Dischi consigliati:
“Thousand Things” (2004, CD Baby)
“This Moment” - (2008, CD Baby)
“Togetherness” - (2020, Mr. T Records/P Vine Records)
Mario Acquaviva
Mario Acquaviva è un artista unico, che negli anni Ottanta è riuscito a creare un EP ed un album (quest’ultimo mai più ristampato) di raro spessore musicale: Mario Acquaviva (1983) EP che contiene quel capolavoro di Notturno Italiano e Sogni e Ridi (1987). La sua musica, ispirata al pop sofisticato di gruppi come gli Steely Dan, si distingue per arrangiamenti complessi, armonie jazz/funk, e una produzione che sfidava gli standard italiani del tempo.
Con il supporto di musicisti di talento come Faso e Feiez, Acquaviva ha dato vita a un pop d’autore ricercato, lontano dalle sonorità più semplici e commerciali del periodo.
Nonostante la qualità, Acquaviva non ha mai avuto un ampio successo commerciale, poiché il suo stile raffinato e la sua musica arricchita da cambi di ritmo, armonie imprevedibili e assenza di ritornelli orecchiabili, erano destinati a un pubblico più ricettivo di quello italiano dell’epoca. In un paese spesso impreparato a simili innovazioni, Acquaviva è passato inosservato, anche durante la sua partecipazione al Festivalbar del 1983. Oggi, però, i suoi lavori sono riconosciuti come vere perle della musica italiana, testimonianze di un talento ingiustamente dimenticato.
Mario Acquaviva è finalmente tornato ad incidere un EP nel 2023 dal titolo “Attention Please”, da cui segnalo la bellissima “Quando Saremo Ricchi.”
Dischi consigliati:
“Mario Acquaviva” - (1983, Ariston) Ristampato nel 2019 da Archeo Recordings
“Sogni e Ridi” - (1987, Fonit-Cetra)
“Attention Please” - (2023, Talento)
Max Meazza
Max Meazza nasce come bluesman ed è uno dei pochi tra i musicisti italiani che ha saputo reinterpretare lo spirito della westcoast originale americana con uno stile personale, diventando uno dei pochi in Italia a rappresentare questa corrente musicale.
La sua carriera inizia con la band Pueblo negli anni Settanta, dove ottiene un buon successo sia radiofonico che di vendite, ma è nei lavori da solista che esprime appieno il suo talento e le sue influenze.
Con album come “Shaving The Car”, “Personal Exile”, “West Coast Hotel”, “Charlie Parker Loves Me”, esplora sonorità che si rifanno a grandi nomi della scena americana, come Marc Jordan, con cui condivide un’affinità artistica più profonda rispetto a paragoni spesso fatti con Michael Franks. Meazza è un bluesman autentico, con uno stile che unisce atmosfere sofisticate a una forte vena poetica. I suoi album vantano collaborazioni, tra gli altri, con Marc Jordan, Paolo Fresu e Skip Battin dei Byrds.
Dischi consigliati:
“Shaving The Car” - (1981, Appaloosa)
“Personal Exile” - (1982, Appallosa)
“West Coast Hotel” - (2006, Desolation Angels)
“Charlie Parker Loves Me - (2015, Desolation Angels)
Enzo Cervo
Negli anni ‘70, la scena musicale italiana era come divisa in due: al centro-nord si affermavano artisti post-punk, mentre a sud, in particolare a Napoli, la musica black guadagnava terreno.
L’influenza della musica soul in Campania risale a Enzo Musella e ai suoi Showmen, seguiti dai Napoli Centrale di James Senese, che hanno ampliato il genere con elementi jazz-rock. Con l’emergere del Neapolitan Power all’inizio degli anni ‘80, si è sviluppata una fusione tra soul, funk e pop raffinato, dando vita a nomi noti come Pino Daniele e Tony Esposito.
Tuttavia, esisteva anche un sottobosco di artisti meno conosciuti che realizzarono opere di grande qualità, tra cui Enzo Cervo (storico proprietario della Grotta delle Fontanelle a Napoli, luogo in cui nel 1980 nacque il gruppo Bratacomiomachia, che includeva tra gli altri Daniele, Esposito, Avitabile e Renzo Zurzolo) con l’album “Musica È”, pubblicato nel 1981. Prodotto da Elio D’Anna e Alcapone, l’album presenta brani scritti in parte da Pasquale Panella e spazia da melodie pop sofisticate a tracce funk e soul. Nonostante le sue eccellenti sonorità, “Musica È” non ha ricevuto il riconoscimento che meritava, ma il suo valore è stato riscoperto negli ultimi anni grazie al rinnovato interesse per il genere yacht rock. Si auspica una ristampa di quest’opera, affinché possa ottenere la visibilità che merita.
Disco consigliato:
“Musica È” - (1981, GDM)
David Nerattini
Come già visto per il DJ Paul Hillery, anche David Nerattini non è un musicista in senso stretto, ma un crate-digger, produttore e giornalista. È stato il primo in Italia a raccogliere su una compilation fisica alcune delle testimonianze di artisti italiani che si sono avventurati nel cosiddetto yacht rock — o in territori musicali affini.
La sua compilation “Paisà Got Soul” ci permette di riscoprire nomi insospettabili, come Peppino Di Capri, Edoardo De Crescenzo, Stefano Pulga, Alberto Radius, Mario Lavezzi, ed altri, tutti intenti a sperimentare con sonorità pop-soul-funk che, per freschezza e qualità, stupiscono ancora oggi. Grazie a questa raccolta, emerge un lato sorprendente del panorama musicale italiano, dove artisti noti per altri generi si rivelano in chiave sofisticata e innovativa, dimostrando una versatilità raramente valorizzata.
Esiste anche un volume 2 di “Paisà Got Soul”, disponibile all’ascolto su Mixcloud, con la speranza che venga presto pubblicato anche in formato fisico.
Disco consigliato:
“Paisà Got Soul” - (2022, Four Flies Records)
Etichette:
Yacht Rock
lunedì, novembre 25, 2024
AA.VV. - Musica concreta. A cura di Stefano Ghittoni
Stefano Ghittoni si è premurato di raccogliere le testimonianze di una quarantina di musicisti, artisti e "affini" in relazione al concetto di musica ("concreta"), sia in veste prettamente artistico che filosofico, concettuale, personale.
Un racconto collettivo, di saggi o più semplicemente di pensieri, in libertà e non, su cosa possa essere e significare la musica, su cosa sia e cosa significhi...
Svilupperemo queste narrazioni in modo libero e liberato, come già successo con Milano OFF che diventa un po’ il padre illegittimo di questa raccolta.
Ma le sviluppiamo anche in modo pragmatico, perché siamo stati marxisti (almeno io, poeticamente se non altro) e facendo l’ennesimo salto verso l’alto uniamo, parlando di musica, l’anima e il corpo, l’impegno e il divertimento, l’azione e l’inerzia, l’efficacia e la riflessione.
E giochiamo sul doppio significato di musica “concreta” come genere e “concreta” nel senso di musica utile a vivere meglio.
(Stefano Ghittoni)
Il parterre dei contributi è quanto di più vario, antitetico o, al contrario, conforme si possa immaginare.
Ci sono ricordi, citazioni, esperienze personali, soprattutto un approccio filosofico comune che testimonia come "la musica ci abbia salvato (o dannato) la vita".
Con i racconti di
Antonio Bacciocchi / Paolo L. Bandera / Luca Barcellona / Elena Bellantoni / Andrea Benedetti / Patrick Benifei / Francesca Bono / David Love Calò / Chiara Castello / Jonathan Clancy / Marica Clemente / Francesco Clerici / Alex Cremonesi / Luca Collepiccolo / Fabio De Luca / Bruno Dorella / Pablito El Drito / Mauro Fenoglio / Marco Foresta / Andrea Frateff Gianni / Luca Frazzi / Stefano Ghittoni / Paquita Gordon / Igort / Andrea Lai / Maurizio Marsico / Ferdinando Masi / Sergio Messina / Alessandra Novaga / Rita Lilith Oberti / Monica Paes / Francesca Pongiluppi / Paolo Rumi / Hugo Sanchez / Gaetano Scippa / Francesco Spampinato / Alessandra Zerbinati
AA.VV. - Musica concreta.
A cura di Stefano Ghittoni
Milieu Edizioni
254 pagine
22 euro
Un racconto collettivo, di saggi o più semplicemente di pensieri, in libertà e non, su cosa possa essere e significare la musica, su cosa sia e cosa significhi...
Svilupperemo queste narrazioni in modo libero e liberato, come già successo con Milano OFF che diventa un po’ il padre illegittimo di questa raccolta.
Ma le sviluppiamo anche in modo pragmatico, perché siamo stati marxisti (almeno io, poeticamente se non altro) e facendo l’ennesimo salto verso l’alto uniamo, parlando di musica, l’anima e il corpo, l’impegno e il divertimento, l’azione e l’inerzia, l’efficacia e la riflessione.
E giochiamo sul doppio significato di musica “concreta” come genere e “concreta” nel senso di musica utile a vivere meglio.
(Stefano Ghittoni)
Il parterre dei contributi è quanto di più vario, antitetico o, al contrario, conforme si possa immaginare.
Ci sono ricordi, citazioni, esperienze personali, soprattutto un approccio filosofico comune che testimonia come "la musica ci abbia salvato (o dannato) la vita".
Con i racconti di
Antonio Bacciocchi / Paolo L. Bandera / Luca Barcellona / Elena Bellantoni / Andrea Benedetti / Patrick Benifei / Francesca Bono / David Love Calò / Chiara Castello / Jonathan Clancy / Marica Clemente / Francesco Clerici / Alex Cremonesi / Luca Collepiccolo / Fabio De Luca / Bruno Dorella / Pablito El Drito / Mauro Fenoglio / Marco Foresta / Andrea Frateff Gianni / Luca Frazzi / Stefano Ghittoni / Paquita Gordon / Igort / Andrea Lai / Maurizio Marsico / Ferdinando Masi / Sergio Messina / Alessandra Novaga / Rita Lilith Oberti / Monica Paes / Francesca Pongiluppi / Paolo Rumi / Hugo Sanchez / Gaetano Scippa / Francesco Spampinato / Alessandra Zerbinati
AA.VV. - Musica concreta.
A cura di Stefano Ghittoni
Milieu Edizioni
254 pagine
22 euro
Etichette:
Libri
sabato, novembre 23, 2024
Too Much Too Young. Ska, antirazzismo e ribellione
Kanalino, Modena
Sabato 23 novembre
Kanalino, via Canalino 78, Modena
Ore 16.
Si parla di ska e 2Tone con Pier Tosi e Robertò Gagliardi di Hellnation, partendo dal libro di Daniel Rachel "Too much too young".
(recensione qui: https://tonyface.blogspot.com/2024/09/daniel-rachel-too-much-too-young.html
Kanalino, via Canalino 78, Modena
Ore 16.
Si parla di ska e 2Tone con Pier Tosi e Robertò Gagliardi di Hellnation, partendo dal libro di Daniel Rachel "Too much too young".
(recensione qui: https://tonyface.blogspot.com/2024/09/daniel-rachel-too-much-too-young.html
venerdì, novembre 22, 2024
Ferdinando Molteni - L’anello di Bindi – Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 ad oggi
Sul terreno "scivoloso" del contesto, l'autore, giornalista e scrittore, riesce a districarsi con estrema capacità di sintesi e autorevolezza, elencando una serie di canzoni italiane che trattano chi in maniera esplicita, chi in modo più sfumato, il "tema" dell'omosessualità.
Dalla triste e drammatica storia di Umberto Bindi, ostracizzato ed escluso dal "grande giro", fino ai prodromi di "Coccinella" di Ghigo Agosti, ancora in quelli (anni Sessanta) chiamati in maniera azzeccata "gli anni del sottointeso".
Arriveranno poi i testi espliciti di Ivan Cattaneo o Andrea Tich nei Settanta e Ottanta a parlare più chiaro.
In mezzo le figure controverse di Renato Zero e Lucio Dalla che non ammetteranno mai l'appartenenza al mondo gay, pur non facendo mancare i numerosi riferimenti.
Gianna Nannini e Giuni Russo saranno le paladine dell'omosessualità femminile (pur sempre in "chiaroscuro"), Raffaella Carrà diventerà, inconsapevolmente, un'icona gay, Tiziano Ferro l'epitome dell'outing (dopo anni di indecisione).
Un libro piuttosto esaustivo su dinamiche comunicative che si sono progressivamente evolute ma che costituiscono, incredibilmente, ancora una barriera nella società odierna.
Ferdinando Molteni
L’anello di Bindi – Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 ad oggi
Vololibero Edizioni
216 pagine
23 euro
Dalla triste e drammatica storia di Umberto Bindi, ostracizzato ed escluso dal "grande giro", fino ai prodromi di "Coccinella" di Ghigo Agosti, ancora in quelli (anni Sessanta) chiamati in maniera azzeccata "gli anni del sottointeso".
Arriveranno poi i testi espliciti di Ivan Cattaneo o Andrea Tich nei Settanta e Ottanta a parlare più chiaro.
In mezzo le figure controverse di Renato Zero e Lucio Dalla che non ammetteranno mai l'appartenenza al mondo gay, pur non facendo mancare i numerosi riferimenti.
Gianna Nannini e Giuni Russo saranno le paladine dell'omosessualità femminile (pur sempre in "chiaroscuro"), Raffaella Carrà diventerà, inconsapevolmente, un'icona gay, Tiziano Ferro l'epitome dell'outing (dopo anni di indecisione).
Un libro piuttosto esaustivo su dinamiche comunicative che si sono progressivamente evolute ma che costituiscono, incredibilmente, ancora una barriera nella società odierna.
Ferdinando Molteni
L’anello di Bindi – Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 ad oggi
Vololibero Edizioni
216 pagine
23 euro
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Libri
giovedì, novembre 21, 2024
Al Pacino - Sonny Boy. Un'autobiografia
Uno dei migliori attori ancora in circolazione (un Oscar e nove candidature, premi a profusione).
"Il padrino", "Scarface", "Carlito's Way", "Donnie Brasco", "The Irishman", "Serpico", "Quel pomeriggio di un giorno da cani", "L'avvocato del diavolo", "Ogni maledetta domenica" bastano a comprenderne la grandezza.
Ma ci sono decine di altre interpretazioni, tanto teatro, regia, televisione.
Ovvero, milioni di cose da dire e ricordare.
Purtroppo l'autobiografia definitiva di AL PACINO è piuttosto carente in tal senso.
Gli aneddoti sono ovviamente tantissimi ma spesso un po' banali e scontati, le battute ironiche non fanno granché ridere, talvolta si passa di palo in frasca senza capire bene il senso di certe scelte.
La trama è "semplice" e tipicamente americana:
gli inizi difficili nel South Bronx, la caparbietà e un po' di colpi di fortuna, portano, attraverso un cammino difficoltoso, al successo.
In cui si perde spesso, tra abusi, errori, mancanze.
"Ho preso atto della mia anarchia di fondo. Un conformista selvaggio."
Finisce maluccio, tra alcol e droghe, sperpera qualcosa come 50 milioni di dollari in poco tempo, si trova più o meno in bolletta e ciò spiega il perché di molti film decisamente imbarazzanti in cui lo abbiamo trovato negli ultimi anni.
Le aspettative erano forse un po' alte ma un po' di amaro in bocca rimane per un'occasione perduta.
"La mia vita è sempre stata il mio lavoro: una cosa che spalanca le porte e lascia libero lo spirito. Libero di andare in un mondo dove regna l'immaginazione e dove tutto è scoperta, piacere, estasi".
Al Pacino
Sonny Boy. Un'autobiografia
La nave di Teseo
322 pagine
22 euro
Traduzione di Alberto Pezzotta
"Il padrino", "Scarface", "Carlito's Way", "Donnie Brasco", "The Irishman", "Serpico", "Quel pomeriggio di un giorno da cani", "L'avvocato del diavolo", "Ogni maledetta domenica" bastano a comprenderne la grandezza.
Ma ci sono decine di altre interpretazioni, tanto teatro, regia, televisione.
Ovvero, milioni di cose da dire e ricordare.
Purtroppo l'autobiografia definitiva di AL PACINO è piuttosto carente in tal senso.
Gli aneddoti sono ovviamente tantissimi ma spesso un po' banali e scontati, le battute ironiche non fanno granché ridere, talvolta si passa di palo in frasca senza capire bene il senso di certe scelte.
La trama è "semplice" e tipicamente americana:
gli inizi difficili nel South Bronx, la caparbietà e un po' di colpi di fortuna, portano, attraverso un cammino difficoltoso, al successo.
In cui si perde spesso, tra abusi, errori, mancanze.
"Ho preso atto della mia anarchia di fondo. Un conformista selvaggio."
Finisce maluccio, tra alcol e droghe, sperpera qualcosa come 50 milioni di dollari in poco tempo, si trova più o meno in bolletta e ciò spiega il perché di molti film decisamente imbarazzanti in cui lo abbiamo trovato negli ultimi anni.
Le aspettative erano forse un po' alte ma un po' di amaro in bocca rimane per un'occasione perduta.
"La mia vita è sempre stata il mio lavoro: una cosa che spalanca le porte e lascia libero lo spirito. Libero di andare in un mondo dove regna l'immaginazione e dove tutto è scoperta, piacere, estasi".
Al Pacino
Sonny Boy. Un'autobiografia
La nave di Teseo
322 pagine
22 euro
Traduzione di Alberto Pezzotta
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Libri
mercoledì, novembre 20, 2024
The X
Nell'ultima foto una delle cartoline che mi mandava la band negli anni 80.
Lo scorso sabato ho reso omaggio all'avventura degli X, ormai alla conclusione (sicuramente discografica, non è ancora chiaro se anche concertistica), nelle pagine de "Il Manifesto".
Riprendo qui l'articolo.
E' giunta al commiato la splendida avventura degli X, una delle band più personali della scena punk di Los Angeles degli anni Ottanta.
Il recente “Smoke & Fiction” è l'ultimo album, probabile preludio anche all'addio alle scene.
La salute del chitarrista Billy Zoom è da tempo precaria e anche la cantante Exene Chervenka ha superato dure prove fisiche.
Una band meravigliosa, sorta nella metropoli californiana in un'epoca molto travagliata a livello sociale e in cui la musica underground era in bilico tra pop commerciale da una parte e la violentissima e intransigente nascente scena hardcore locale (dai Black Flag ai Germs ai Circle Jerks). Exene, il bassista John Doe, Billy Zoom e il batterista DJ Bonebrake crearono invece una formula sonora in cui, a fianco dell'energia, urgenza, cattiveria punk, inserirono country, rockabilly, blues e stupende melodie in cui le voci si fondevano e armonizzavano alla perfezione portando alla mente la coralità dei Jefferson Airplane.
E in tempi in cui il passato era considerato il male assoluto chiamarono alla produzione niente meno che Ray Manzarek, tastierista di una delle band più classiche del rock tradizionale, i Doors.
Ne uscì una miscela inimitabile, esplosiva ma allo stesso introspettiva, con testi che non erano solo invettive ma andavano a scavare nelle problematiche sociali, nella disperazione degli emarginati (“Ogni due settimane ho bisogno di un nuovo indirizzo, padrone di casa, tutta la nostra fottuta vita è un disastro, siamo disperati, abituatevi” in “We're desperate”), nella quotidianità (“L'alba arriva presto per la classe operaia e continua ad arrivare, presto o tardi”), vita di strada, romanticismo, mettendo il tutto in poesia urbana.
"All'inizio eravamo piuttosto autodistruttivi, ma lo facevamo per vedere l'altro lato. Era solo per cercare di vedere cosa c'è là fuori" ha dichiarato John Doe che descrive al meglio il segreto della band:
"DJ e io siamo più adattabili, essendo bassista e batterista. E io, essendo un cantautore, posso scrivere in stili diversi. Ma penso che Billy abbia portato la chitarra rockabilly nel punk rock, perché nessun altro lo faceva. Nessuno aveva le capacità o l'esperienza per farlo. Ed Exene era una cosa unica perché non era cresciuta in una band e non aveva mai cantato con armonie tradizionali. Ma alla fine ha creato un suo stile".
E poi quel nome, diretto, semplice, minimale, iconico, che campeggerà sulla copertina del primo album “Los Angeles” dell'aprile del 1980.
Una X incendiata, lugubre rimando alle croci infuocate del Ku Klux Klan.
Un disco favoloso, tra i migliori in assoluti usciti dalla scena punk/new wave americana, con una versione esplosiva di “Soul kitchen” dei Doors del loro produttore Ray Manzarek (che suona l'organo in alcuni brani del disco).
Ci sarà ancora lui al lavoro dietro il mixer per “Wild Gift” dell'anno successivo, meno riuscito ma sempre ad alti livelli, che stabilizza la popolarità e il profilo della band ed è preludio al loro capolavoro, “Under the Big Black Sun”.
Undici brani che ne attestano la raggiunta maturità compositiva e stilistica.
Come specifica John Doe. “Il punk rock lo avevamo già suonato. Era arrivato il momento di allargare le dimensioni della nostra musica”.
Suoni potenti, ancora tanto punk, ma anche lo struggente blues “Come Back To Me” dedicato alla sorella da poco scomparsa di Exene, la sorprendente versione di un brano anni Trenta in chiave Tex Mex, “Dancing With Tears In My Eyes”, e il commovente omaggio alla parte oscura della loro Los Angeles in “The Have Nots”, ai locali in cui si rifugiano gli sconfitti, la classe operaia distrutta da una giornata in fabbrica. Il mondo della band è perfettamente definito.
Anche il taglio compositivo ed esecutivo.
Exene e John Doe hanno voci riconoscibili e immediatamente distinguibili, marchio di fabbrica indiscutibile, Billy Zoom tesse trame rockabilly, accarezza la chitarra con il piglio e il gusto di un elegante membro di una band anni Cinquanta, DJ Bonebrake è un batterista precisissimo e completo, mai banale, sempre abilissimo a creare parti ritmiche complesse.
Nel 1984 approdarono anche in Italia, dimostrando dal vivo una capacità tecnica rara in ambito genericamente punk (e anche una grandissima empatia, simpatia e disponibilità nei camerini).
Rimane gustosissimo l'aneddoto che li vede fermarsi attoniti davanti a una sede del P.C.I., con falce e martello esibita su targa e bandiera e uscirsene con un “ma da voi è legale il Partito Comunista?”.
Peraltro il chitarrista Billy Zoom è sempre stato un fervente Conservatore e cattolico praticante.
Negli ultimi anni anche Exene si è inspiegabilmente spostata verso posizioni destroidi e complottiste.
Nel successivo “More Fun In The New World” tentano una strada più commerciale con il singolo “True Love Part 2”, brano sfacciatamente funky dance e una cover di “Breathless” di Jerry Lee Lewis.
L'album è di buona qualità ma non darà le soddisfazioni sperate.
Nemmeno il successivo “Ain't Love Grand” per il quale abbandonano Ray Manzarek per affidarsi a un nuovo produttore che imprime al sound una sterzata verso l'hard rock, spersonalizzando l'anima del gruppo. Billy Zoom lascia la band e anche il successivo “See How We Are” mostra una band persa alla ricerca disperata di una nuova dimensione ma senza trovarla. Le canzoni sono spesso buone ma è evidente che si è persa la fiamma iniziale, soprattutto la strada per l'agognato successo.
“Live at Whiskey At Go Go” segna la fine di un'epoca, mostrando quanto fossero ancora efficaci dal vivo, fedeli alle origini punk rock.
Il ritorno del 1993 con “Hey Zeus!” sarà un nuovo fallimento, rimanendo nella mediocrità di un suono che non gli appartiene.
Fanno in tempo a pubblicare il delizioso live in acustico “Unclogged” con molte delle loro hit completamente rivisitate che dimostra ancora una volta quanto qualitativamente fossero ottime le loro composizioni.
I componenti del gruppo si dedicheranno alle rispettive carriere soliste e ad altri progetti, per tornare insieme nel 2004 solo per l'attività concertistica, riservata quasi esclusivamente ai loro Stats, con qualche puntata in Centro e Sud America.
Gli anni 2000 riserveranno loro parecchi problemi di salute, con la sclerosi multipla per Exene e un cancro da combattere per Billy Zoom.
E infine l'ormai inaspettato ritorno discografico nel 2020 con l'energico e freschissimo “Alphabetland” (che include anche una collaborazione di Robby Krieger dei Doors alla chitarra, giusto per chiudere il cerchio) e il commiato con “Smoke & Fiction” pubblicato in agosto, altro album di pregevole fattura, immediato, meno di mezzora di musica, senza fronzoli, punk rock “come una volta”, artigianale e “operaio” come si conviene. Ora che la loro bellissima e stimolante storia è finita, resta un senso di tristezza nel perdere una realtà così affascinante, pura e originale come raramente abbiamo conosciuto.
Ma è lo stesso John Doe a mettere in chiaro le cose e a suggellare alla perfezione la loro vita artistica: “L'ultima cosa che desidererei è avere trentacinque o venticinque anni adesso. Non posso parlare per tutti nella band, ma mi sento davvero fortunato, incredibilmente fortunato, ad aver vissuto e visto tutte le cose che abbiamo fatto.
E vogliamo dare l'esempio di essere ancora creativi a questa età, e avere ancora fuoco, ancora passione e desiderio di creare e di essere una band".
Intervista a Exene (2019)
https://tonyface.blogspot.com/2019/02/intervista-exene-cervenka-x.html
Intervista a John Doe (2020)
https://tonyface.blogspot.com/2020/02/intervista-john-doe-x.html
Lo scorso sabato ho reso omaggio all'avventura degli X, ormai alla conclusione (sicuramente discografica, non è ancora chiaro se anche concertistica), nelle pagine de "Il Manifesto".
Riprendo qui l'articolo.
E' giunta al commiato la splendida avventura degli X, una delle band più personali della scena punk di Los Angeles degli anni Ottanta.
Il recente “Smoke & Fiction” è l'ultimo album, probabile preludio anche all'addio alle scene.
La salute del chitarrista Billy Zoom è da tempo precaria e anche la cantante Exene Chervenka ha superato dure prove fisiche.
Una band meravigliosa, sorta nella metropoli californiana in un'epoca molto travagliata a livello sociale e in cui la musica underground era in bilico tra pop commerciale da una parte e la violentissima e intransigente nascente scena hardcore locale (dai Black Flag ai Germs ai Circle Jerks). Exene, il bassista John Doe, Billy Zoom e il batterista DJ Bonebrake crearono invece una formula sonora in cui, a fianco dell'energia, urgenza, cattiveria punk, inserirono country, rockabilly, blues e stupende melodie in cui le voci si fondevano e armonizzavano alla perfezione portando alla mente la coralità dei Jefferson Airplane.
E in tempi in cui il passato era considerato il male assoluto chiamarono alla produzione niente meno che Ray Manzarek, tastierista di una delle band più classiche del rock tradizionale, i Doors.
Ne uscì una miscela inimitabile, esplosiva ma allo stesso introspettiva, con testi che non erano solo invettive ma andavano a scavare nelle problematiche sociali, nella disperazione degli emarginati (“Ogni due settimane ho bisogno di un nuovo indirizzo, padrone di casa, tutta la nostra fottuta vita è un disastro, siamo disperati, abituatevi” in “We're desperate”), nella quotidianità (“L'alba arriva presto per la classe operaia e continua ad arrivare, presto o tardi”), vita di strada, romanticismo, mettendo il tutto in poesia urbana.
"All'inizio eravamo piuttosto autodistruttivi, ma lo facevamo per vedere l'altro lato. Era solo per cercare di vedere cosa c'è là fuori" ha dichiarato John Doe che descrive al meglio il segreto della band:
"DJ e io siamo più adattabili, essendo bassista e batterista. E io, essendo un cantautore, posso scrivere in stili diversi. Ma penso che Billy abbia portato la chitarra rockabilly nel punk rock, perché nessun altro lo faceva. Nessuno aveva le capacità o l'esperienza per farlo. Ed Exene era una cosa unica perché non era cresciuta in una band e non aveva mai cantato con armonie tradizionali. Ma alla fine ha creato un suo stile".
E poi quel nome, diretto, semplice, minimale, iconico, che campeggerà sulla copertina del primo album “Los Angeles” dell'aprile del 1980.
Una X incendiata, lugubre rimando alle croci infuocate del Ku Klux Klan.
Un disco favoloso, tra i migliori in assoluti usciti dalla scena punk/new wave americana, con una versione esplosiva di “Soul kitchen” dei Doors del loro produttore Ray Manzarek (che suona l'organo in alcuni brani del disco).
Ci sarà ancora lui al lavoro dietro il mixer per “Wild Gift” dell'anno successivo, meno riuscito ma sempre ad alti livelli, che stabilizza la popolarità e il profilo della band ed è preludio al loro capolavoro, “Under the Big Black Sun”.
Undici brani che ne attestano la raggiunta maturità compositiva e stilistica.
Come specifica John Doe. “Il punk rock lo avevamo già suonato. Era arrivato il momento di allargare le dimensioni della nostra musica”.
Suoni potenti, ancora tanto punk, ma anche lo struggente blues “Come Back To Me” dedicato alla sorella da poco scomparsa di Exene, la sorprendente versione di un brano anni Trenta in chiave Tex Mex, “Dancing With Tears In My Eyes”, e il commovente omaggio alla parte oscura della loro Los Angeles in “The Have Nots”, ai locali in cui si rifugiano gli sconfitti, la classe operaia distrutta da una giornata in fabbrica. Il mondo della band è perfettamente definito.
Anche il taglio compositivo ed esecutivo.
Exene e John Doe hanno voci riconoscibili e immediatamente distinguibili, marchio di fabbrica indiscutibile, Billy Zoom tesse trame rockabilly, accarezza la chitarra con il piglio e il gusto di un elegante membro di una band anni Cinquanta, DJ Bonebrake è un batterista precisissimo e completo, mai banale, sempre abilissimo a creare parti ritmiche complesse.
Nel 1984 approdarono anche in Italia, dimostrando dal vivo una capacità tecnica rara in ambito genericamente punk (e anche una grandissima empatia, simpatia e disponibilità nei camerini).
Rimane gustosissimo l'aneddoto che li vede fermarsi attoniti davanti a una sede del P.C.I., con falce e martello esibita su targa e bandiera e uscirsene con un “ma da voi è legale il Partito Comunista?”.
Peraltro il chitarrista Billy Zoom è sempre stato un fervente Conservatore e cattolico praticante.
Negli ultimi anni anche Exene si è inspiegabilmente spostata verso posizioni destroidi e complottiste.
Nel successivo “More Fun In The New World” tentano una strada più commerciale con il singolo “True Love Part 2”, brano sfacciatamente funky dance e una cover di “Breathless” di Jerry Lee Lewis.
L'album è di buona qualità ma non darà le soddisfazioni sperate.
Nemmeno il successivo “Ain't Love Grand” per il quale abbandonano Ray Manzarek per affidarsi a un nuovo produttore che imprime al sound una sterzata verso l'hard rock, spersonalizzando l'anima del gruppo. Billy Zoom lascia la band e anche il successivo “See How We Are” mostra una band persa alla ricerca disperata di una nuova dimensione ma senza trovarla. Le canzoni sono spesso buone ma è evidente che si è persa la fiamma iniziale, soprattutto la strada per l'agognato successo.
“Live at Whiskey At Go Go” segna la fine di un'epoca, mostrando quanto fossero ancora efficaci dal vivo, fedeli alle origini punk rock.
Il ritorno del 1993 con “Hey Zeus!” sarà un nuovo fallimento, rimanendo nella mediocrità di un suono che non gli appartiene.
Fanno in tempo a pubblicare il delizioso live in acustico “Unclogged” con molte delle loro hit completamente rivisitate che dimostra ancora una volta quanto qualitativamente fossero ottime le loro composizioni.
I componenti del gruppo si dedicheranno alle rispettive carriere soliste e ad altri progetti, per tornare insieme nel 2004 solo per l'attività concertistica, riservata quasi esclusivamente ai loro Stats, con qualche puntata in Centro e Sud America.
Gli anni 2000 riserveranno loro parecchi problemi di salute, con la sclerosi multipla per Exene e un cancro da combattere per Billy Zoom.
E infine l'ormai inaspettato ritorno discografico nel 2020 con l'energico e freschissimo “Alphabetland” (che include anche una collaborazione di Robby Krieger dei Doors alla chitarra, giusto per chiudere il cerchio) e il commiato con “Smoke & Fiction” pubblicato in agosto, altro album di pregevole fattura, immediato, meno di mezzora di musica, senza fronzoli, punk rock “come una volta”, artigianale e “operaio” come si conviene. Ora che la loro bellissima e stimolante storia è finita, resta un senso di tristezza nel perdere una realtà così affascinante, pura e originale come raramente abbiamo conosciuto.
Ma è lo stesso John Doe a mettere in chiaro le cose e a suggellare alla perfezione la loro vita artistica: “L'ultima cosa che desidererei è avere trentacinque o venticinque anni adesso. Non posso parlare per tutti nella band, ma mi sento davvero fortunato, incredibilmente fortunato, ad aver vissuto e visto tutte le cose che abbiamo fatto.
E vogliamo dare l'esempio di essere ancora creativi a questa età, e avere ancora fuoco, ancora passione e desiderio di creare e di essere una band".
Intervista a Exene (2019)
https://tonyface.blogspot.com/2019/02/intervista-exene-cervenka-x.html
Intervista a John Doe (2020)
https://tonyface.blogspot.com/2020/02/intervista-john-doe-x.html
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martedì, novembre 19, 2024
I losers dello Yacht Rock
L'amico LEANDRO GIOVANNINI prosegue la rubrica dedicata allo YACHT ROCK, ambito musicale spesso vituperato ma che nasconde piccole gemme degne di essere scoperte.
Le puntate precedenti qua: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
La categoria dei “losers” dello yacht rock è forse la più intrigante.
Questo genere-non genere, capace di inglobare vari stili, attirò l’attenzione di molti musicisti che vi si cimentarono, anche senza poter contare sui migliori sessionmen messi a disposizione dalle major.
Molti di loro riuscirono a creare opere interessanti pur con pochi mezzi.
Alcuni pubblicarono un solo disco per piccole etichette indipendenti, altri riuscirono a distribuire i propri lavori solo in Giappone, in pochi ebbero dietro una major ma furono ben presto dimenticati, mentre i più “sfortunati” dovettero affidarsi alla stampa in proprio, le cosiddette “private press,” spesso con tirature di poche centinaia di copie.
Questi dischi, dati per persi nel tempo, sono stati riportati alla luce grazie ai crate-diggers, spesso in collaborazione con etichette giapponesi, sudcoreane e statunitensi, offrendoci così l’opportunità di riscoprirli — e in alcuni casi di scoprire autentiche gemme.
La totale libertà creativa di questi artisti ha dato vita a lavori talvolta sorprendenti, non strettamente legati ai canoni dello yacht rock, ma con le sonorità westcoast come punto di partenza o come atmosfera di fondo. Non tutti gli album consigliati qui sono disponibili su servizi di streaming come Spotify; per ascoltarli, vi consiglio di cercarli su YouTube.
Archie James Cavanaugh
Originario dell’Alaska meridionale, l’unico album pubblicato da Cavanaugh uscì solo a livello locale nel 1980, rimanendo per anni un oggetto misterioso. Il sound di Cavanaugh si ispira soprattutto al soul, mescolato abilmente con il sophisti-pop losangelino. Un disco piacevole, ben cantato e ben suonato, che riesce a tenere alta l’attenzione dall’inizio alla fine.
Disco consigliato:
“Black and White Raven” - (1980, A&M) Ristampato dalla Numero Group
Batteaux
I fratelli Robin e David Batteaux, musicisti di formazione folk, diedero vita al duo Batteaux, creando con un solo album un universo sonoro etereo e sognante, frutto di una raffinata fusione di folk, latin, pop e jazz. Queste sonorità, oggi riscoperte grazie a compilation di rarità, hanno contribuito a definire un sottogenere noto come Folk-Funk.
Un lavoro unico, di grande fascino e atmosfera, in cui la Westcoast si intreccia con suggestioni astrali. Un disco da 25esima ora. Disco consigliato:
“Batteaux” - (1974, Columbia)
Bobby Martin
Come altri artisti citati qui, Bobby Martin non è certo un “loser” in termini di carriera. Chi conosce Frank Zappa saprà infatti della sua collaborazione con l’artista italo-americano, iniziata nel 1982 e proseguita fino alla morte di Zappa.
Tuttavia, sotto il profilo commerciale, il suo unico album solista, pubblicato nel 1983, non ha ottenuto il successo sperato. Si tratta di un lavoro impeccabile di pop californiano, puro yacht rock, che può essere paragonato ad alcuni progetti di Michael McDonald e alle produzioni di David Foster.
Pop, un tocco di soul e soft rock: una formula che rende quest’album ancora oggi un’esperienza d’ascolto piacevole.
Disco consigliato:
“Bobby Martin” - (1983, MCA)
Byrne And Barnes
Abbiamo incontrato Robert Byrne nella puntata dedicata ai Beautiful Losers, ma come mai lo ritroviamo anche qui?
Dopo l’uscita del suo album solista, Byrne forma un duo con il polistrumentista Brandon Barnes per registrare un nuovo album, che però verrà pubblicato solo in Giappone. La formula è simile a quella del lavoro precedente: un sophisti-pop dal forte tocco jazz, portato al massimo livello.
Qui, però, si spinge ancora più in alto, con straordinari brani mid-tempo e ballad avvolgenti.
Disco consigliato:
“An Eye For An Eye” - (1981, Climax)
Cado Belle
Contrariamente a quanto scritto su Wikipedia i Cado Belle non erano un gruppo rock scozzese, e neppure un gruppo disco come segnalato su All Music, scozzesi lo erano ma suonavano soul-pop che ricorda le produzioni YR, con un tocco funk e la loro attività si svolgeva principalmente nei pub.
Incisero un solo album nel 1976, ristampato da una label giapponese nel 2004. I Cado Belle sono stati il gruppo dove Maggie Reilly si è fatta le ossa.
Disco consigliato:
“Cado Belle” - (1976, Anchor)
Caroline Peyton
Caroline Peyton è stata una cantante e cantautrice americana, nota per la sua abilità nel fondere folk, jazz e pop in uno stile assolutamente unico.
Emersa negli anni ‘70, periodo d’oro del folk-rock, ha inciso due album: Mock Up nel 1972 e Intuition nel 1977, entrambi diventati oggetti di culto tra gli appassionati del genere. In particolare, Intuition spicca per i suoi arrangiamenti melodici e le armonie morbide che evocano il Westcoast sound, pur mantenendo una vena sperimentale e profondamente personale.
Disco consigliato:
“Intuition” - (1977, Bar-B-Q) Ristampato dalla Numero Group
Chuck Senrick
Chuck Senrick è un cantautore americano poco conosciuto che ha conquistato l’attenzione degli appassionati di musica “bizzarra” con il suo raro album Dreamin’, pubblicato nel 1976.
Registrato in un contesto molto casalingo, con il solo uso di un Fender Rhodes e una drum machine Donca Matic Mini Pops, Dreamin’ deve proprio a questa semplicità il suo fascino particolare e autentico.
L’album, autoprodotto in sole 200 copie e con una copertina disegnata dalla prima moglie di Senrick, è stato riscoperto per caso da un membro dei Jazzanova durante una sessione di crate digging. Lo stile richiama una sorta di yacht rock lo-fi casalingo, e tra i brani spicca Don’t Be So Nice, una canzone che sfiora la perfezione.
Album bellissimo.
Disco consigliato:
“Dreamin” - (1976, Private Press) Ristampato dalla Numero Group
Dave Plaehn
Nato in Iowa e cresciuto in una famiglia di appassionati di musica, ha iniziato a esibirsi già al liceo, interpretando brani di Bob Dylan e dei Rolling Stones. Il suo debutto come solista risale al 1980 con l’album Smokin’, un lavoro ben riuscito che propone una miscela fluida di pop, funk e soft rock, eseguita con il supporto di musicisti di grande livello, a loro agio con ogni traccia.
Gli arrangiamenti sono di qualità, e il disco sorprende per il suo ritmo groovy, nonostante le aspettative iniziali modeste. Successivamente, Plaehn si orienterà verso il blues, abbandonando queste sonorità in cui aveva dato davvero il meglio.
Disco consigliato
“Smokin’” - (1980, Pilot)
Dennis Lambert
Dennis Lambert è un cantautore, produttore discografico e musicista americano, noto per il suo contributo al pop, soul e soft rock dagli anni ’60 in poi.
Insieme al suo storico partner Brian Potter, Lambert ha scritto e prodotto brani per artisti come The Four Tops, Glen Campbell, The Righteous Brothers, Dusty Springfield e Commodores. Nel 1972 ha pubblicato il suo unico album solista, Bags and Things, un lavoro di pop-soul di rara qualità, con influenze bacharachiane, che si è rivelato sorprendentemente innovativo per l’epoca. Nonostante la bellezza dell’album, è passato inosservato e non ha avuto un seguito, ed è per questo motivo che è finito nella categoria dei “losers”. Vale la pena ascoltarlo: non è certo inferiore ai migliori album pop del periodo.
Disco consigliato:
“Bags and Things” - (1972, Dunhill)
Forest
Band proveniente dal Massachusetts, i Forest hanno inciso un solo album, pubblicato privatamente e diventato un oggetto di culto tra i collezionisti, ma ormai introvabile.
L’etichetta BBE lo ha riscoperto e ristampato, aggiungendo sei tracce inedite. I Forest erano noti per il loro sound unico che mescolava acid-jazz, soul e YR.
La band, caratterizzata dalla presenza di due batteristi, Gary Stevens e Bob “Rox” Girouard, ha calcato numerosi palchi condivisi con gruppi come The Fabulous Rhinestones e The James Montgomery Band. L’album era nato con l’obiettivo di ottenere un contratto discografico.
Molti membri della band hanno poi intrapreso carriere di successo nella musica, collaborando con artisti come Faith Hill, Bruce Springsteen e Nile Rodgers.
Disco consigliato:
“Forest” - (1978, Private Press) Ristampato nel 2023 dalla BBE
Franklin Micare
Franklin Micare è un cantante, cantautore e musicista originario di Albany, New York, noto per la sua lunga carriera nella scena musicale locale e per il suo stile che spazia tra pop, rock e soul. Attivo soprattutto negli anni ’70 e ’80, Micare è apprezzato per la voce calda e l’abilità come tastierista, qualità che lo hanno avvicinato agli artisti del soft rock e soul melodico dell’epoca.
Nel 1978 ha pubblicato un unico album da solista con una piccola etichetta, accompagnato da alcuni dei migliori sessionmen di New York. Sebbene non abbia ottenuto grande visibilità, l’album è un buon esempio di pop-soul con sfumature jazz e latin.
Disco consigliato:
“Franklin Micare” - (1978, Private Stock)
Fred Knoblock
James Fred Knoblock, originario di Jackson, Mississippi, ha inciso un solo album per una piccola etichetta nel 1980.
Le poche informazioni disponibili lo descrivono come un musicista country, ma ascoltando il disco questa etichetta appare tutt’altro che azzeccata. Il singolo “Why Not Me”, infatti, ha raggiunto la vetta della classifica Adult Contemporary per due settimane e il 18° posto nella Billboard Hot 100, collocandosi chiaramente in un contesto pop.
Si tratta di un ottimo esempio di pop californiano, con brani energici che evitano qualsiasi tamarraggine, e ballate e mid-tempo realizzati con grande cura. Un lavoro di cantautorato di alto livello, che richiama il primo Bill LaBounty.
Disco consigliato:
“Why Not Me” - (1980, Scotti Brothers)
James McKenzie e The McKenzie Brothers
Grazie alla lungimiranza di etichette come Athens of The North, alcuni gioielli musicali sono stati riportati alla luce, tra cui i due album di James McKenzie del 1977.
Il primo, I’ve Got To Go, pubblicato da solista, e il secondo, New Trick, realizzato in coppia con il fratello, comprendono undici brani selezionati dai diciotto originali. Si tratta di due dischi private press, la cui esistenza era nota a pochi e che raramente si erano potuti ascoltare. Le atmosfere richiamano a tratti il “folk funk”, ma in una versione più ritmata e marcatamente funk, con uno stile che ricorda la tradizione YR, seppur declinato in chiave cantautorale e non pensato per le radio. Davvero notevole.
“James McKenzie & The McKenzie Brothers” - (2019, Athens of The North)
Jay Days
Ecco un altro artista sconosciuto, emerso dal nulla, di cui si trovano pochissime informazioni online. L’unica sua immagine è quella sul retro della copertina del suo unico disco, pubblicato in private press nel 1978. Un album di cui pochi conoscevano l’esistenza, registrato presso i Blue Light Recording Studios di Del Mar, California, e riscoperto nel 2014 dall’etichetta Big Pink, poi riproposto nel 2020 da Mad About Records.
L’album presenta otto brani in cui l’artista si muove con disinvoltura tra blue-eyed soul, YR funk e jazz rock, creando un suono ricco e variegato.
Le tracce sono un perfetto esempio di contaminazione stilistica, caratterizzate da groove avvolgenti. Questo disco è una gemma nascosta che merita attenzione per l’originalità e la qualità delle composizioni.
Disco consigliato:
“Between The Swells” - (1978, Private Press)
Johnny Gamboa
Nativo di Los Angeles, Johnny Gamboa è un artista di cui si conoscono poche informazioni, ma la sua carriera musicale è comunque interessante. Ha iniziato a suonare all’età di quattro anni, dimostrando fin da piccolo una straordinaria predisposizione per la musica.
La sua versatilità è impressionante, poiché è in grado di suonare ben 26 strumenti diversi. Nel corso della sua carriera, ha pubblicato solo due album, a distanza di diciannove anni l’uno dall’altro; Il primo, uscito nel 1980, è particolarmente significativo, poiché offre una miscela di buone vibrazioni soulful e groove YR. Questo album è stato ristampato nel 2005 da Nitebird Entertainment
Disco consigliato:
“Man of Wisdom” - (1980, Blue Dove Records)
Jimmy Spheeris
Fratello della regista Penelope, famosa per il film “Fusi di Testa”, Spheeris è un nome che non dirà molto, nemmeno per i più incalliti appassionati di YR. Ed è un peccato perché ci troviamo davanti ad una delle massime espressioni della westcoast più onirica.
Cresciuto a Los Angeles, ha iniziato a scrivere canzoni in giovane età, ispirato dalla vivace scena musicale californiana degli anni ‘60 e ‘70.
Amico di Laura Nyro, con cui condivideva lo stesso appartamento quando si trasferì a New York, e di Jackson Browne, fu presentato a Clive Davis, allora dirigente della Columbia, per la quale inciderà quattro album, da Richie Havens.
Spheeris si distingue per la sua voce vellutata e il suo approccio lirico, capace di trascinarti via su un’onda lunga e lenta, lontano dalla banalità della vita quotidiana.
Precursore del westcoast pop (il suo primo album è del 1971), Spheeris è il cantautore che guarda all’oceano, ma ha lo sguardo rivolto al cielo. Purtroppo, Spheeris è morto in un incidente stradale nel 1984, a soli 34 anni, quando con la sua moto si schiantò contro un furgone guidato da un ubriaco.
Dischi consigliati:
“Isle of View” - (1971, Columbia)
“The Dragon is Dancing” - (1975, Columbia)
“Ports of The Heart” - (1976, Columbia)
Jeff Harrington
Si hanno poche informazioni su Harrington, se non che fosse un cantante e cantautore attivo nella Minneapolis degli anni ‘70. Come Spheeris, è considerato un precursore del west coast pop e può essere inserito nel genere Folk-Funk.
Ha inciso due album, il primo dei quali, Quiet Corner, pubblicato nel 1975, è un piccolo gioiello di cantautorato intimista che mescola folk e psichedelia leggera. Nei brani “Baby Mine” e “Too Much Feeling” si avverte l’influenza del pop californiano in procinto di emergere. Disco consigliato
“Quiet Corner” - (1975, Programme Records)
John Konteau
Pensate che sfortuna: riesci a incidere il tuo primo album solista, ma la casa discografica cambia il tuo cognome, Kontel, in Konteau, senza il tuo consenso. A parte questo, l’album è un ottimo esempio di sound sophisti-pop, soul e jazz, con un brano, “The Heckler”, che sembra un outtake degli Steely Dan.
La canzone che apre l’album, con il suo ritmo terzinato, non lascia presagire quello che ascolteremo in seguito; infatti, il resto del disco si orienta verso un sound più affine a Fagen e Becker (in un brano pure a Gino Vannelli) pur senza risultare un copia-incolla. Davvero niente male.
Disco consigliato:
“I’m With You” - (1981, Erect)
Jolis & Simone
Chi sono James Jolis e Kevin Simone? Di loro si trovano poche informazioni in rete, ma si sa che nel 1979 riuscirono a firmare un contratto con la Columbia, che produsse l’unico disco della loro carriera. Un traguardo non da poco, considerando che erano praticamente sconosciuti.
E il disco? Davvero notevole. Si distingue non solo per l’abilità dei musicisti coinvolti, ma anche per la qualità delle canzoni, alcune delle quali eccellenti. Emergono qui il buon affiatamento tra i due, armonizzazioni raffinate e brani di sophisti-pop e soul di grande fascino. È un peccato che non abbiano inciso altro.
Disco consigliato:
“Jolis & Simone” - (1979, Columbia)
Greg Yoder
Come già accennato per i Batteaux, anche Yoder può essere annoverato a pieno titolo nel genere Folk-Funk, genere fatto di mix di chitarre acustiche, ritmi ripetitivi e ripetuti, tocchi jazz e potenti stacchi di batteria, il tutto suonato in un’atmosfera ovattata.
Musicista californiano trasferitosi alle Hawaii, Yoder è diventato popolare soprattutto grazie al suo album Dreamer of Life, pubblicato nel 1976. Questo album è oggi considerato un classico tra gli appassionati del westcoast sound, con influenze che spaziano tra il jazz, il folk ed il soul.
Il timbro vocale di Yoder e il suo stile chitarristico hanno creato un suono morbido e sofisticato, diventando un cult.
Disco Consigliato:
“Dreamer of Life” - (1976, Private Press) Ristampato dalla Favorite Records
Greenflow
Le sonorità dei Greenflow non rientrano propriamente nello stile Yacht Rock, anche se i leader della band, Art Green e sua sorella Eleanora, sono originari della California. I Greenflow incisero un solo album, pubblicato nel 1977 come disco autoprodotto, che si distingue come un ottimo esempio di soul-funk-R&B.
Tra i brani spiccano I Got’Cha, un pezzo soul-lounge dall’atmosfera molto suggestiva, e il mid-tempo No Other Life Without You. Non sappiamo molto altro sul gruppo, se non che si esibiva nei club con pezzi R&B originali e partecipava ai tour della USO per intrattenere le truppe americane all’estero, inclusa una tournée in Giappone nel 1976.
Disco consigliato:
“Solutions” - (1977, Private Press) Ristampato nel 2024 dalla Numero Group
Kevin Moore
Chi segue il blues probabilmente conosce Keb’ Mo’, pseudonimo di Kevin Moore.
Prima di adottare questo nome d’arte, nel 1980 incise un album intitolato Rainmaker, prodotto dalla Casablanca Records e legato al genere YR o giù di lì.
Compositore e chitarrista originario di Los Angeles, Moore si fece conoscere alla fine degli anni Settanta accompagnando in concerto band come i Jefferson Starship. Rainmaker è un ottimo disco in cui si cimenta con brani di sua composizione, muovendosi tra soul e pop, con una particolare predilezione per le ballad.
Disco consigliato:
“Rainmaker” - (1980, Casablanca)
Leder Brothers
Dietro questo disco c’è una storia davvero curiosa: i fratelli Leder, originari di Wilson, North Carolina, sono figli di un imprenditore proprietario di grandi magazzini e altre proprietà.
Hanno inciso il loro unico album usando lo stesso nome dell’azienda di famiglia e lo hanno prodotto autonomamente, con una copertina piuttosto mediocre, ma con contenuti musicali di grande qualità. Le canzoni, a metà tra pop e soul, richiamano in alcuni momenti le sonorità degli Steely Dan (il brano Bottom Line sembra un outtake tratto da Pretzel Logic, ascoltare per credere). Riscoperti dalla Numero Group, i Leder sono stati inclusi con un loro brano in una delle compilation dedicate allo YR. Sorprendente.
Disco consigliato:
“Leder Brothers” - (1978, Leder) Ristampato dalla Numero Group
Lyons & Clark
È un disco YR? Sì e no. Di sicuro i musicisti coinvolti sono tra i migliori del genere: David Hungate, Jeff Porcaro, Jerry Scheff, Joe Sample, Larry Carlton, Michael Omartian, Steve Gadd, Tom Scott, Wilton Felder… non certo nomi da poco. Prisms, l’unico album di Debbie Lyons e Pam Clark, è davvero una piccola gemma, ed è un peccato che non abbiano proseguito la loro carriera. Le canzoni richiamano lo stile di Carole King, con voci delicate e ben armonizzate e una freschezza che sorprende ancora oggi. Consigliatissimo.
Disco consigliato:
“Prisms” -(1976, Shelter)
Matthew Larkin Cassell
Cantautore e polistrumentista della Bay Area di San Francisco, Matthew Larkin Cassell ha prodotto uno dei capolavori del westcoast pop, nonostante le sue opere—un album, un EP e un singolo senza titolo—siano stati pubblicati come private press.
Il suo stile fonde funk, pop, R&B, soul e jazz, creando un mix che ricorda a tratti gli Steely Dan. Negli ultimi anni, grazie al web e ai collezionisti di vinili, è rinato l’interesse per la sua musica. La sua riscoperta è stata raccontata su testate come The Huffington Post e il San Francisco Chronicle.
Cassell è stato campionato da artisti come Madlib e MF Doom, e il suo catalogo è stato ristampato da varie etichette internazionali, con una raccolta completa pubblicata da Stones Throw nel 2010.
Disco consigliato:
“Pieces” - (1977, Private Press)
Michael Stosic
Chi segue il panorama della Christian Contemporary Music (CCM) conoscerà sicuramente Michael Stosic, uno dei più apprezzati autori del genere attivo dal 1986 fino ad oggi. Pochi però sanno che nel 1982 Stosic incise un album private press che non presenta testi di musica cristiana e che risulta essere un ottimo disco di Yacht Rock, con forti assonanze con la musica dei Doobie Brothers nella versione di Michael McDonald. Quattro canzoni dell’album sono scritte da David Batteaux.
Disco consigliato:
“Michael Stosic” - (1982, Kristofer) Ristampato nel 2020 dalla P-Vine Records
Nimbus
Children Of The Earth è l’unico album dei Nimbus, pubblicato in modo indipendente nel 1980. Composta da quattro amici che suonavano jazz e soul a Detroit, la band decise nel 1979 di registrare un album raccogliendo le composizioni di alcuni membri. Il risultato è un’opera sofisticata e melodiosa che fonde Yacht Rock, soul, jazz e folk. È un bel disco.
Disco consigliato:
“Children Of The Earth” - (1980, Private Press) Ristampato nel 2009 dalla P-Vine e nel 2019 dalla Providenciales Records
Paul Hillery
Non un cantante, ma un DJ: può sembrare strano vederlo citato qui, ma la storia di Paul Hillery merita di essere raccontata.
Hillery era un DJ molto apprezzato nei club di musica house, fino a quando un grave esaurimento nervoso non lo portò a cambiare radicalmente percorso. Fu proprio a causa di questa esperienza che abbandonò la house per dedicarsi a generi con ritmi più lenti, diventando presto uno dei più noti cacciatori di rarità in vinile, specializzato nel folk-funk e nelle sonorità della west coast.
A lui dobbiamo la riscoperta di molti degli artisti menzionati qui.
Hillery ha iniziato a pubblicare compilation su Mixcloud, per poi collaborare con BBE e la RE:WARM Records e realizzarle anche in formato fisico. E sono davvero notevoli. Vi consiglio di visitare il suo sito, https://paulhillery.co.uk, per ascoltare le sue splendide playlist.
Dischi consigliati:
“We Are The Children Of The Sun” (BBE)
“Once Again We Are The Children Of The Sun” (BBE)
“Folk Funk & Trippy Troubadours Vol. 1-2” (RE:WARM)
The Parker Brothers
Un’altra band cresciuta con l’influenza di Michael McDonald e degli Average White Band, i Parker Brothers incisero nel 1981 il loro unico album per una piccola etichetta, prodotto da George P. Grexa.
La band mescola elementi di modern soul, boogie, jazz crossover e rock, creando un risultato che ricorda i gloriosi anni della musica West Coast, sebbene sia stato registrato a Pittsburgh. Questo disco rappresenta senza dubbio la parte più “piaciona” dello Yacht Rock, risultando molto gradevole all’ascolto.
Disco consigliato:
“The Parker Brothers” (1981, Crown Vetch Enterprises) Ristampato nel 2016 dalla Favorite Records
Phillip Francis Stumpo
Cantautore di San Francisco, Stumpo incise il suo unico album nel 1978, con tutti i brani scritti da lui stesso. Il disco presenta diverse influenze, dal pop con venature di jazz swing ai discreti mid-tempo in stile West Coast californiano, cantati quasi come un crooner moderno degli anni ’70.
Si tratta di un album caratterizzato da numerosi pezzi slow, in cui emerge chiaramente la parte “piaciona” dello Yacht Rock, che rappresenta un tratto distintivo dell’opera. Un vero e proprio marchio di fabbrica di quel decennio.
Disco consigliato:
“One Man Circus” - (1978, Billetdoux) Ristampato nel 2011 dalla Vivid Sound e dalla Beatball Music Korea
Richard Powell
Questo è forse uno degli album più esoterici che mi sia mai capitato di ascoltare, sia per la sua rarità che per il suo carattere “strano”.
Dopo aver trascorso sei anni nella Marina degli Stati Uniti, Powell tornò alla vita civile lavorando come intrattenitore al nuovo ristorante/bar del parco roulotte Glen Ivy, The Pub. Qui incise il suo unico album, venduto esclusivamente nel negozio di souvenir del parco e mai distribuito al di fuori.
L’album è composto da dieci brani, cinque originali e cinque cover, e posso dire che gli originali sono ottimi pezzi, con un’atmosfera che ricorda lo Yacht Rock in stile lo-fi.
Ovviamente, solo la Numero Group poteva scoprire un disco del genere e pubblicarlo.
Disco consigliato:
“Memories Of Glenivy” - (1976, Glenivy Records) Ristampato nel 2020 dalla Numero Group
Robert Lester Folsom
Nativo di Lowndes County in Georgia, la storia di Folsom è quella di un musicista che, dopo un’educazione musicale influenzata dai genitori, ha cercato di dare vita alle proprie passioni registrando nel 1976 il suo primo album, Music and Dreams, ad Atlanta. Nonostante le seicento copie stampate avessero generato un piccolo culto locale, il disco finì presto nel dimenticatoio a causa della mancanza di supporto mediatico. Dopo trenta anni, la canzone “April Suzanne” riacquistò attenzione grazie a internet, portando alla ristampa dell’album.
La copertina del disco può trarre in inganno, poiché il suo contenuto è una raccolta di brani pop che richiamano artisti come Todd Rundgren e Neil Young. L’album include brani morbidi e malinconici, affiancati da alcuni pezzi più energici, creando un’atmosfera che richiama il soft rock, ma in veste psichedelica.
Disco consigliato:
“Music And Dreams” - (1976, Private Press) Ristampato nel 2022 dalla Anthology Records
Will and James Ragar
Autori di un unico album pubblicato nel 1980 in poche copie e presto scomparso dalla circolazione, i fratelli James e Will Ragar hanno visto il loro disco raggiungere il valore di 1.200 euro su Discogs. Fortunatamente, l’etichetta coreana Riverman, e successivamente BBE, ne hanno curato la ristampa.
Originari della Louisiana, James e Will Ragar si sono formati musicalmente a New Orleans, dove sono stati profondamente influenzati dal jazz dal vivo. La loro esperienza nei club della Louisiana ha affinato il loro stile, che unisce toni acustici ed elettrici in modo unico.
Ribattezzato One nella versione ristampata, l’album è considerato un capolavoro assoluto del folk-funk, una miscela di folk, jazz, country e soul, per lo più acustica, ma con accenti di chitarra elettrica e splendide armonizzazioni vocali.
I fratelli sono accompagnati da John Smart alle tastiere, Dave D'Aubin al basso e Tommy Jefferson alla batteria, che suona un tono più alto del solito sul rullante.
È un disco onirico, perfetto per chi cerca atmosfere da “venticinquesima ora,” simile in intensità all’album dei Batteaux.
“Will and James Ragar One” - (1980, Private Press) Ristampato nel 2010 dalla coreana Riverman Records e nel 2023 dalla BBE
Il resto della compagnia
Le compilation di rarità Westcoast YR sono tappe fondamentali per chi vuole avvicinarsi a questo genere e scoprire artisti rimasti troppo a lungo nell’ombra. Dobbiamo ringraziare etichette come Numero Group, BBE, Favorite Recordings e Too Slow To Disco se oggi possiamo ascoltare questi talenti ingiustamente dimenticati.
Ecco alcune compilation consigliate:
Too Slow To Disco:
“Too Slow To Disco Vol. 1-2-3-4”
“Too Slow To Disco Brasil Compiled By Ed Motta”
“Too Slow To Disco NEO - En France”
“The Ladies Of Too Slow To Disco”
“To Slow To Disco Yacht Soul”
“Yacht Soul - The Cover Version”
Favorite Records
“AOR Global Sound Vol. 1-2-3-4-5”
Numero Group:
“Seafaring Strangers: Private Yacht”
“WV2NG 89.9 FM”
“W3NG”
“WTNG 89.9 FM: Solid Bronze”
BBE:
“Americana - Rock Your Soul - Blue Eyed Soul and Sounds from the Land of the Free”
Le puntate precedenti qua: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
La categoria dei “losers” dello yacht rock è forse la più intrigante.
Questo genere-non genere, capace di inglobare vari stili, attirò l’attenzione di molti musicisti che vi si cimentarono, anche senza poter contare sui migliori sessionmen messi a disposizione dalle major.
Molti di loro riuscirono a creare opere interessanti pur con pochi mezzi.
Alcuni pubblicarono un solo disco per piccole etichette indipendenti, altri riuscirono a distribuire i propri lavori solo in Giappone, in pochi ebbero dietro una major ma furono ben presto dimenticati, mentre i più “sfortunati” dovettero affidarsi alla stampa in proprio, le cosiddette “private press,” spesso con tirature di poche centinaia di copie.
Questi dischi, dati per persi nel tempo, sono stati riportati alla luce grazie ai crate-diggers, spesso in collaborazione con etichette giapponesi, sudcoreane e statunitensi, offrendoci così l’opportunità di riscoprirli — e in alcuni casi di scoprire autentiche gemme.
La totale libertà creativa di questi artisti ha dato vita a lavori talvolta sorprendenti, non strettamente legati ai canoni dello yacht rock, ma con le sonorità westcoast come punto di partenza o come atmosfera di fondo. Non tutti gli album consigliati qui sono disponibili su servizi di streaming come Spotify; per ascoltarli, vi consiglio di cercarli su YouTube.
Archie James Cavanaugh
Originario dell’Alaska meridionale, l’unico album pubblicato da Cavanaugh uscì solo a livello locale nel 1980, rimanendo per anni un oggetto misterioso. Il sound di Cavanaugh si ispira soprattutto al soul, mescolato abilmente con il sophisti-pop losangelino. Un disco piacevole, ben cantato e ben suonato, che riesce a tenere alta l’attenzione dall’inizio alla fine.
Disco consigliato:
“Black and White Raven” - (1980, A&M) Ristampato dalla Numero Group
Batteaux
I fratelli Robin e David Batteaux, musicisti di formazione folk, diedero vita al duo Batteaux, creando con un solo album un universo sonoro etereo e sognante, frutto di una raffinata fusione di folk, latin, pop e jazz. Queste sonorità, oggi riscoperte grazie a compilation di rarità, hanno contribuito a definire un sottogenere noto come Folk-Funk.
Un lavoro unico, di grande fascino e atmosfera, in cui la Westcoast si intreccia con suggestioni astrali. Un disco da 25esima ora. Disco consigliato:
“Batteaux” - (1974, Columbia)
Bobby Martin
Come altri artisti citati qui, Bobby Martin non è certo un “loser” in termini di carriera. Chi conosce Frank Zappa saprà infatti della sua collaborazione con l’artista italo-americano, iniziata nel 1982 e proseguita fino alla morte di Zappa.
Tuttavia, sotto il profilo commerciale, il suo unico album solista, pubblicato nel 1983, non ha ottenuto il successo sperato. Si tratta di un lavoro impeccabile di pop californiano, puro yacht rock, che può essere paragonato ad alcuni progetti di Michael McDonald e alle produzioni di David Foster.
Pop, un tocco di soul e soft rock: una formula che rende quest’album ancora oggi un’esperienza d’ascolto piacevole.
Disco consigliato:
“Bobby Martin” - (1983, MCA)
Byrne And Barnes
Abbiamo incontrato Robert Byrne nella puntata dedicata ai Beautiful Losers, ma come mai lo ritroviamo anche qui?
Dopo l’uscita del suo album solista, Byrne forma un duo con il polistrumentista Brandon Barnes per registrare un nuovo album, che però verrà pubblicato solo in Giappone. La formula è simile a quella del lavoro precedente: un sophisti-pop dal forte tocco jazz, portato al massimo livello.
Qui, però, si spinge ancora più in alto, con straordinari brani mid-tempo e ballad avvolgenti.
Disco consigliato:
“An Eye For An Eye” - (1981, Climax)
Cado Belle
Contrariamente a quanto scritto su Wikipedia i Cado Belle non erano un gruppo rock scozzese, e neppure un gruppo disco come segnalato su All Music, scozzesi lo erano ma suonavano soul-pop che ricorda le produzioni YR, con un tocco funk e la loro attività si svolgeva principalmente nei pub.
Incisero un solo album nel 1976, ristampato da una label giapponese nel 2004. I Cado Belle sono stati il gruppo dove Maggie Reilly si è fatta le ossa.
Disco consigliato:
“Cado Belle” - (1976, Anchor)
Caroline Peyton
Caroline Peyton è stata una cantante e cantautrice americana, nota per la sua abilità nel fondere folk, jazz e pop in uno stile assolutamente unico.
Emersa negli anni ‘70, periodo d’oro del folk-rock, ha inciso due album: Mock Up nel 1972 e Intuition nel 1977, entrambi diventati oggetti di culto tra gli appassionati del genere. In particolare, Intuition spicca per i suoi arrangiamenti melodici e le armonie morbide che evocano il Westcoast sound, pur mantenendo una vena sperimentale e profondamente personale.
Disco consigliato:
“Intuition” - (1977, Bar-B-Q) Ristampato dalla Numero Group
Chuck Senrick
Chuck Senrick è un cantautore americano poco conosciuto che ha conquistato l’attenzione degli appassionati di musica “bizzarra” con il suo raro album Dreamin’, pubblicato nel 1976.
Registrato in un contesto molto casalingo, con il solo uso di un Fender Rhodes e una drum machine Donca Matic Mini Pops, Dreamin’ deve proprio a questa semplicità il suo fascino particolare e autentico.
L’album, autoprodotto in sole 200 copie e con una copertina disegnata dalla prima moglie di Senrick, è stato riscoperto per caso da un membro dei Jazzanova durante una sessione di crate digging. Lo stile richiama una sorta di yacht rock lo-fi casalingo, e tra i brani spicca Don’t Be So Nice, una canzone che sfiora la perfezione.
Album bellissimo.
Disco consigliato:
“Dreamin” - (1976, Private Press) Ristampato dalla Numero Group
Dave Plaehn
Nato in Iowa e cresciuto in una famiglia di appassionati di musica, ha iniziato a esibirsi già al liceo, interpretando brani di Bob Dylan e dei Rolling Stones. Il suo debutto come solista risale al 1980 con l’album Smokin’, un lavoro ben riuscito che propone una miscela fluida di pop, funk e soft rock, eseguita con il supporto di musicisti di grande livello, a loro agio con ogni traccia.
Gli arrangiamenti sono di qualità, e il disco sorprende per il suo ritmo groovy, nonostante le aspettative iniziali modeste. Successivamente, Plaehn si orienterà verso il blues, abbandonando queste sonorità in cui aveva dato davvero il meglio.
Disco consigliato
“Smokin’” - (1980, Pilot)
Dennis Lambert
Dennis Lambert è un cantautore, produttore discografico e musicista americano, noto per il suo contributo al pop, soul e soft rock dagli anni ’60 in poi.
Insieme al suo storico partner Brian Potter, Lambert ha scritto e prodotto brani per artisti come The Four Tops, Glen Campbell, The Righteous Brothers, Dusty Springfield e Commodores. Nel 1972 ha pubblicato il suo unico album solista, Bags and Things, un lavoro di pop-soul di rara qualità, con influenze bacharachiane, che si è rivelato sorprendentemente innovativo per l’epoca. Nonostante la bellezza dell’album, è passato inosservato e non ha avuto un seguito, ed è per questo motivo che è finito nella categoria dei “losers”. Vale la pena ascoltarlo: non è certo inferiore ai migliori album pop del periodo.
Disco consigliato:
“Bags and Things” - (1972, Dunhill)
Forest
Band proveniente dal Massachusetts, i Forest hanno inciso un solo album, pubblicato privatamente e diventato un oggetto di culto tra i collezionisti, ma ormai introvabile.
L’etichetta BBE lo ha riscoperto e ristampato, aggiungendo sei tracce inedite. I Forest erano noti per il loro sound unico che mescolava acid-jazz, soul e YR.
La band, caratterizzata dalla presenza di due batteristi, Gary Stevens e Bob “Rox” Girouard, ha calcato numerosi palchi condivisi con gruppi come The Fabulous Rhinestones e The James Montgomery Band. L’album era nato con l’obiettivo di ottenere un contratto discografico.
Molti membri della band hanno poi intrapreso carriere di successo nella musica, collaborando con artisti come Faith Hill, Bruce Springsteen e Nile Rodgers.
Disco consigliato:
“Forest” - (1978, Private Press) Ristampato nel 2023 dalla BBE
Franklin Micare
Franklin Micare è un cantante, cantautore e musicista originario di Albany, New York, noto per la sua lunga carriera nella scena musicale locale e per il suo stile che spazia tra pop, rock e soul. Attivo soprattutto negli anni ’70 e ’80, Micare è apprezzato per la voce calda e l’abilità come tastierista, qualità che lo hanno avvicinato agli artisti del soft rock e soul melodico dell’epoca.
Nel 1978 ha pubblicato un unico album da solista con una piccola etichetta, accompagnato da alcuni dei migliori sessionmen di New York. Sebbene non abbia ottenuto grande visibilità, l’album è un buon esempio di pop-soul con sfumature jazz e latin.
Disco consigliato:
“Franklin Micare” - (1978, Private Stock)
Fred Knoblock
James Fred Knoblock, originario di Jackson, Mississippi, ha inciso un solo album per una piccola etichetta nel 1980.
Le poche informazioni disponibili lo descrivono come un musicista country, ma ascoltando il disco questa etichetta appare tutt’altro che azzeccata. Il singolo “Why Not Me”, infatti, ha raggiunto la vetta della classifica Adult Contemporary per due settimane e il 18° posto nella Billboard Hot 100, collocandosi chiaramente in un contesto pop.
Si tratta di un ottimo esempio di pop californiano, con brani energici che evitano qualsiasi tamarraggine, e ballate e mid-tempo realizzati con grande cura. Un lavoro di cantautorato di alto livello, che richiama il primo Bill LaBounty.
Disco consigliato:
“Why Not Me” - (1980, Scotti Brothers)
James McKenzie e The McKenzie Brothers
Grazie alla lungimiranza di etichette come Athens of The North, alcuni gioielli musicali sono stati riportati alla luce, tra cui i due album di James McKenzie del 1977.
Il primo, I’ve Got To Go, pubblicato da solista, e il secondo, New Trick, realizzato in coppia con il fratello, comprendono undici brani selezionati dai diciotto originali. Si tratta di due dischi private press, la cui esistenza era nota a pochi e che raramente si erano potuti ascoltare. Le atmosfere richiamano a tratti il “folk funk”, ma in una versione più ritmata e marcatamente funk, con uno stile che ricorda la tradizione YR, seppur declinato in chiave cantautorale e non pensato per le radio. Davvero notevole.
“James McKenzie & The McKenzie Brothers” - (2019, Athens of The North)
Jay Days
Ecco un altro artista sconosciuto, emerso dal nulla, di cui si trovano pochissime informazioni online. L’unica sua immagine è quella sul retro della copertina del suo unico disco, pubblicato in private press nel 1978. Un album di cui pochi conoscevano l’esistenza, registrato presso i Blue Light Recording Studios di Del Mar, California, e riscoperto nel 2014 dall’etichetta Big Pink, poi riproposto nel 2020 da Mad About Records.
L’album presenta otto brani in cui l’artista si muove con disinvoltura tra blue-eyed soul, YR funk e jazz rock, creando un suono ricco e variegato.
Le tracce sono un perfetto esempio di contaminazione stilistica, caratterizzate da groove avvolgenti. Questo disco è una gemma nascosta che merita attenzione per l’originalità e la qualità delle composizioni.
Disco consigliato:
“Between The Swells” - (1978, Private Press)
Johnny Gamboa
Nativo di Los Angeles, Johnny Gamboa è un artista di cui si conoscono poche informazioni, ma la sua carriera musicale è comunque interessante. Ha iniziato a suonare all’età di quattro anni, dimostrando fin da piccolo una straordinaria predisposizione per la musica.
La sua versatilità è impressionante, poiché è in grado di suonare ben 26 strumenti diversi. Nel corso della sua carriera, ha pubblicato solo due album, a distanza di diciannove anni l’uno dall’altro; Il primo, uscito nel 1980, è particolarmente significativo, poiché offre una miscela di buone vibrazioni soulful e groove YR. Questo album è stato ristampato nel 2005 da Nitebird Entertainment
Disco consigliato:
“Man of Wisdom” - (1980, Blue Dove Records)
Jimmy Spheeris
Fratello della regista Penelope, famosa per il film “Fusi di Testa”, Spheeris è un nome che non dirà molto, nemmeno per i più incalliti appassionati di YR. Ed è un peccato perché ci troviamo davanti ad una delle massime espressioni della westcoast più onirica.
Cresciuto a Los Angeles, ha iniziato a scrivere canzoni in giovane età, ispirato dalla vivace scena musicale californiana degli anni ‘60 e ‘70.
Amico di Laura Nyro, con cui condivideva lo stesso appartamento quando si trasferì a New York, e di Jackson Browne, fu presentato a Clive Davis, allora dirigente della Columbia, per la quale inciderà quattro album, da Richie Havens.
Spheeris si distingue per la sua voce vellutata e il suo approccio lirico, capace di trascinarti via su un’onda lunga e lenta, lontano dalla banalità della vita quotidiana.
Precursore del westcoast pop (il suo primo album è del 1971), Spheeris è il cantautore che guarda all’oceano, ma ha lo sguardo rivolto al cielo. Purtroppo, Spheeris è morto in un incidente stradale nel 1984, a soli 34 anni, quando con la sua moto si schiantò contro un furgone guidato da un ubriaco.
Dischi consigliati:
“Isle of View” - (1971, Columbia)
“The Dragon is Dancing” - (1975, Columbia)
“Ports of The Heart” - (1976, Columbia)
Jeff Harrington
Si hanno poche informazioni su Harrington, se non che fosse un cantante e cantautore attivo nella Minneapolis degli anni ‘70. Come Spheeris, è considerato un precursore del west coast pop e può essere inserito nel genere Folk-Funk.
Ha inciso due album, il primo dei quali, Quiet Corner, pubblicato nel 1975, è un piccolo gioiello di cantautorato intimista che mescola folk e psichedelia leggera. Nei brani “Baby Mine” e “Too Much Feeling” si avverte l’influenza del pop californiano in procinto di emergere. Disco consigliato
“Quiet Corner” - (1975, Programme Records)
John Konteau
Pensate che sfortuna: riesci a incidere il tuo primo album solista, ma la casa discografica cambia il tuo cognome, Kontel, in Konteau, senza il tuo consenso. A parte questo, l’album è un ottimo esempio di sound sophisti-pop, soul e jazz, con un brano, “The Heckler”, che sembra un outtake degli Steely Dan.
La canzone che apre l’album, con il suo ritmo terzinato, non lascia presagire quello che ascolteremo in seguito; infatti, il resto del disco si orienta verso un sound più affine a Fagen e Becker (in un brano pure a Gino Vannelli) pur senza risultare un copia-incolla. Davvero niente male.
Disco consigliato:
“I’m With You” - (1981, Erect)
Jolis & Simone
Chi sono James Jolis e Kevin Simone? Di loro si trovano poche informazioni in rete, ma si sa che nel 1979 riuscirono a firmare un contratto con la Columbia, che produsse l’unico disco della loro carriera. Un traguardo non da poco, considerando che erano praticamente sconosciuti.
E il disco? Davvero notevole. Si distingue non solo per l’abilità dei musicisti coinvolti, ma anche per la qualità delle canzoni, alcune delle quali eccellenti. Emergono qui il buon affiatamento tra i due, armonizzazioni raffinate e brani di sophisti-pop e soul di grande fascino. È un peccato che non abbiano inciso altro.
Disco consigliato:
“Jolis & Simone” - (1979, Columbia)
Greg Yoder
Come già accennato per i Batteaux, anche Yoder può essere annoverato a pieno titolo nel genere Folk-Funk, genere fatto di mix di chitarre acustiche, ritmi ripetitivi e ripetuti, tocchi jazz e potenti stacchi di batteria, il tutto suonato in un’atmosfera ovattata.
Musicista californiano trasferitosi alle Hawaii, Yoder è diventato popolare soprattutto grazie al suo album Dreamer of Life, pubblicato nel 1976. Questo album è oggi considerato un classico tra gli appassionati del westcoast sound, con influenze che spaziano tra il jazz, il folk ed il soul.
Il timbro vocale di Yoder e il suo stile chitarristico hanno creato un suono morbido e sofisticato, diventando un cult.
Disco Consigliato:
“Dreamer of Life” - (1976, Private Press) Ristampato dalla Favorite Records
Greenflow
Le sonorità dei Greenflow non rientrano propriamente nello stile Yacht Rock, anche se i leader della band, Art Green e sua sorella Eleanora, sono originari della California. I Greenflow incisero un solo album, pubblicato nel 1977 come disco autoprodotto, che si distingue come un ottimo esempio di soul-funk-R&B.
Tra i brani spiccano I Got’Cha, un pezzo soul-lounge dall’atmosfera molto suggestiva, e il mid-tempo No Other Life Without You. Non sappiamo molto altro sul gruppo, se non che si esibiva nei club con pezzi R&B originali e partecipava ai tour della USO per intrattenere le truppe americane all’estero, inclusa una tournée in Giappone nel 1976.
Disco consigliato:
“Solutions” - (1977, Private Press) Ristampato nel 2024 dalla Numero Group
Kevin Moore
Chi segue il blues probabilmente conosce Keb’ Mo’, pseudonimo di Kevin Moore.
Prima di adottare questo nome d’arte, nel 1980 incise un album intitolato Rainmaker, prodotto dalla Casablanca Records e legato al genere YR o giù di lì.
Compositore e chitarrista originario di Los Angeles, Moore si fece conoscere alla fine degli anni Settanta accompagnando in concerto band come i Jefferson Starship. Rainmaker è un ottimo disco in cui si cimenta con brani di sua composizione, muovendosi tra soul e pop, con una particolare predilezione per le ballad.
Disco consigliato:
“Rainmaker” - (1980, Casablanca)
Leder Brothers
Dietro questo disco c’è una storia davvero curiosa: i fratelli Leder, originari di Wilson, North Carolina, sono figli di un imprenditore proprietario di grandi magazzini e altre proprietà.
Hanno inciso il loro unico album usando lo stesso nome dell’azienda di famiglia e lo hanno prodotto autonomamente, con una copertina piuttosto mediocre, ma con contenuti musicali di grande qualità. Le canzoni, a metà tra pop e soul, richiamano in alcuni momenti le sonorità degli Steely Dan (il brano Bottom Line sembra un outtake tratto da Pretzel Logic, ascoltare per credere). Riscoperti dalla Numero Group, i Leder sono stati inclusi con un loro brano in una delle compilation dedicate allo YR. Sorprendente.
Disco consigliato:
“Leder Brothers” - (1978, Leder) Ristampato dalla Numero Group
Lyons & Clark
È un disco YR? Sì e no. Di sicuro i musicisti coinvolti sono tra i migliori del genere: David Hungate, Jeff Porcaro, Jerry Scheff, Joe Sample, Larry Carlton, Michael Omartian, Steve Gadd, Tom Scott, Wilton Felder… non certo nomi da poco. Prisms, l’unico album di Debbie Lyons e Pam Clark, è davvero una piccola gemma, ed è un peccato che non abbiano proseguito la loro carriera. Le canzoni richiamano lo stile di Carole King, con voci delicate e ben armonizzate e una freschezza che sorprende ancora oggi. Consigliatissimo.
Disco consigliato:
“Prisms” -(1976, Shelter)
Matthew Larkin Cassell
Cantautore e polistrumentista della Bay Area di San Francisco, Matthew Larkin Cassell ha prodotto uno dei capolavori del westcoast pop, nonostante le sue opere—un album, un EP e un singolo senza titolo—siano stati pubblicati come private press.
Il suo stile fonde funk, pop, R&B, soul e jazz, creando un mix che ricorda a tratti gli Steely Dan. Negli ultimi anni, grazie al web e ai collezionisti di vinili, è rinato l’interesse per la sua musica. La sua riscoperta è stata raccontata su testate come The Huffington Post e il San Francisco Chronicle.
Cassell è stato campionato da artisti come Madlib e MF Doom, e il suo catalogo è stato ristampato da varie etichette internazionali, con una raccolta completa pubblicata da Stones Throw nel 2010.
Disco consigliato:
“Pieces” - (1977, Private Press)
Michael Stosic
Chi segue il panorama della Christian Contemporary Music (CCM) conoscerà sicuramente Michael Stosic, uno dei più apprezzati autori del genere attivo dal 1986 fino ad oggi. Pochi però sanno che nel 1982 Stosic incise un album private press che non presenta testi di musica cristiana e che risulta essere un ottimo disco di Yacht Rock, con forti assonanze con la musica dei Doobie Brothers nella versione di Michael McDonald. Quattro canzoni dell’album sono scritte da David Batteaux.
Disco consigliato:
“Michael Stosic” - (1982, Kristofer) Ristampato nel 2020 dalla P-Vine Records
Nimbus
Children Of The Earth è l’unico album dei Nimbus, pubblicato in modo indipendente nel 1980. Composta da quattro amici che suonavano jazz e soul a Detroit, la band decise nel 1979 di registrare un album raccogliendo le composizioni di alcuni membri. Il risultato è un’opera sofisticata e melodiosa che fonde Yacht Rock, soul, jazz e folk. È un bel disco.
Disco consigliato:
“Children Of The Earth” - (1980, Private Press) Ristampato nel 2009 dalla P-Vine e nel 2019 dalla Providenciales Records
Paul Hillery
Non un cantante, ma un DJ: può sembrare strano vederlo citato qui, ma la storia di Paul Hillery merita di essere raccontata.
Hillery era un DJ molto apprezzato nei club di musica house, fino a quando un grave esaurimento nervoso non lo portò a cambiare radicalmente percorso. Fu proprio a causa di questa esperienza che abbandonò la house per dedicarsi a generi con ritmi più lenti, diventando presto uno dei più noti cacciatori di rarità in vinile, specializzato nel folk-funk e nelle sonorità della west coast.
A lui dobbiamo la riscoperta di molti degli artisti menzionati qui.
Hillery ha iniziato a pubblicare compilation su Mixcloud, per poi collaborare con BBE e la RE:WARM Records e realizzarle anche in formato fisico. E sono davvero notevoli. Vi consiglio di visitare il suo sito, https://paulhillery.co.uk, per ascoltare le sue splendide playlist.
Dischi consigliati:
“We Are The Children Of The Sun” (BBE)
“Once Again We Are The Children Of The Sun” (BBE)
“Folk Funk & Trippy Troubadours Vol. 1-2” (RE:WARM)
The Parker Brothers
Un’altra band cresciuta con l’influenza di Michael McDonald e degli Average White Band, i Parker Brothers incisero nel 1981 il loro unico album per una piccola etichetta, prodotto da George P. Grexa.
La band mescola elementi di modern soul, boogie, jazz crossover e rock, creando un risultato che ricorda i gloriosi anni della musica West Coast, sebbene sia stato registrato a Pittsburgh. Questo disco rappresenta senza dubbio la parte più “piaciona” dello Yacht Rock, risultando molto gradevole all’ascolto.
Disco consigliato:
“The Parker Brothers” (1981, Crown Vetch Enterprises) Ristampato nel 2016 dalla Favorite Records
Phillip Francis Stumpo
Cantautore di San Francisco, Stumpo incise il suo unico album nel 1978, con tutti i brani scritti da lui stesso. Il disco presenta diverse influenze, dal pop con venature di jazz swing ai discreti mid-tempo in stile West Coast californiano, cantati quasi come un crooner moderno degli anni ’70.
Si tratta di un album caratterizzato da numerosi pezzi slow, in cui emerge chiaramente la parte “piaciona” dello Yacht Rock, che rappresenta un tratto distintivo dell’opera. Un vero e proprio marchio di fabbrica di quel decennio.
Disco consigliato:
“One Man Circus” - (1978, Billetdoux) Ristampato nel 2011 dalla Vivid Sound e dalla Beatball Music Korea
Richard Powell
Questo è forse uno degli album più esoterici che mi sia mai capitato di ascoltare, sia per la sua rarità che per il suo carattere “strano”.
Dopo aver trascorso sei anni nella Marina degli Stati Uniti, Powell tornò alla vita civile lavorando come intrattenitore al nuovo ristorante/bar del parco roulotte Glen Ivy, The Pub. Qui incise il suo unico album, venduto esclusivamente nel negozio di souvenir del parco e mai distribuito al di fuori.
L’album è composto da dieci brani, cinque originali e cinque cover, e posso dire che gli originali sono ottimi pezzi, con un’atmosfera che ricorda lo Yacht Rock in stile lo-fi.
Ovviamente, solo la Numero Group poteva scoprire un disco del genere e pubblicarlo.
Disco consigliato:
“Memories Of Glenivy” - (1976, Glenivy Records) Ristampato nel 2020 dalla Numero Group
Robert Lester Folsom
Nativo di Lowndes County in Georgia, la storia di Folsom è quella di un musicista che, dopo un’educazione musicale influenzata dai genitori, ha cercato di dare vita alle proprie passioni registrando nel 1976 il suo primo album, Music and Dreams, ad Atlanta. Nonostante le seicento copie stampate avessero generato un piccolo culto locale, il disco finì presto nel dimenticatoio a causa della mancanza di supporto mediatico. Dopo trenta anni, la canzone “April Suzanne” riacquistò attenzione grazie a internet, portando alla ristampa dell’album.
La copertina del disco può trarre in inganno, poiché il suo contenuto è una raccolta di brani pop che richiamano artisti come Todd Rundgren e Neil Young. L’album include brani morbidi e malinconici, affiancati da alcuni pezzi più energici, creando un’atmosfera che richiama il soft rock, ma in veste psichedelica.
Disco consigliato:
“Music And Dreams” - (1976, Private Press) Ristampato nel 2022 dalla Anthology Records
Will and James Ragar
Autori di un unico album pubblicato nel 1980 in poche copie e presto scomparso dalla circolazione, i fratelli James e Will Ragar hanno visto il loro disco raggiungere il valore di 1.200 euro su Discogs. Fortunatamente, l’etichetta coreana Riverman, e successivamente BBE, ne hanno curato la ristampa.
Originari della Louisiana, James e Will Ragar si sono formati musicalmente a New Orleans, dove sono stati profondamente influenzati dal jazz dal vivo. La loro esperienza nei club della Louisiana ha affinato il loro stile, che unisce toni acustici ed elettrici in modo unico.
Ribattezzato One nella versione ristampata, l’album è considerato un capolavoro assoluto del folk-funk, una miscela di folk, jazz, country e soul, per lo più acustica, ma con accenti di chitarra elettrica e splendide armonizzazioni vocali.
I fratelli sono accompagnati da John Smart alle tastiere, Dave D'Aubin al basso e Tommy Jefferson alla batteria, che suona un tono più alto del solito sul rullante.
È un disco onirico, perfetto per chi cerca atmosfere da “venticinquesima ora,” simile in intensità all’album dei Batteaux.
“Will and James Ragar One” - (1980, Private Press) Ristampato nel 2010 dalla coreana Riverman Records e nel 2023 dalla BBE
Il resto della compagnia
Le compilation di rarità Westcoast YR sono tappe fondamentali per chi vuole avvicinarsi a questo genere e scoprire artisti rimasti troppo a lungo nell’ombra. Dobbiamo ringraziare etichette come Numero Group, BBE, Favorite Recordings e Too Slow To Disco se oggi possiamo ascoltare questi talenti ingiustamente dimenticati.
Ecco alcune compilation consigliate:
Too Slow To Disco:
“Too Slow To Disco Vol. 1-2-3-4”
“Too Slow To Disco Brasil Compiled By Ed Motta”
“Too Slow To Disco NEO - En France”
“The Ladies Of Too Slow To Disco”
“To Slow To Disco Yacht Soul”
“Yacht Soul - The Cover Version”
Favorite Records
“AOR Global Sound Vol. 1-2-3-4-5”
Numero Group:
“Seafaring Strangers: Private Yacht”
“WV2NG 89.9 FM”
“W3NG”
“WTNG 89.9 FM: Solid Bronze”
BBE:
“Americana - Rock Your Soul - Blue Eyed Soul and Sounds from the Land of the Free”
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