martedì, aprile 09, 2024

Back to Africa. Il ritorno alle radici dei musicisti afroamericani

Riprendo l'articolo che ho scritto sabato scorso per "Il Manifesto".

A cavallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei Settanta la lotta per il riconoscimento dei diritti degli afroamericani raggiunse l'apice, spesso in modo anche violento, sia come reazione ai soprusi che come azione propositiva.
Dagli insegnamenti di Martin Luther King alla pulsione delle idee di Malcolm X e all'attività delle Black Panthers il conflitto ideologico assunse aspetti spesso particolarmente estremi, tra i quali prese piede anche la rivalutazione delle teorie del politico e scrittore Marcus Garvey, fondatore nel 1914 della Universal Negro Improvement Association, che promosse nel 1920 una campagna per il ritorno in Africa di 30.000 famiglie afroamericane. Il progetto fallì clamorosamente, fu poi arrestato per bancarotta, espulso dagli Stati Uniti e tornò nella natìa Giamaica continuando a predicare il ritorno in Africa di tutti i neri del mondo, che non dovevano sentirsi cittadini dei paesi in cui risiedevano, ma africani.

Un'idea che colpì numerosi artisti afroamericani, attirati sia dall'idea politica che dalla musica e cultura che stava arrivando progressivamente dall'Africa, in cui, paradossalmente, il blues e il soul, nati da matrici africane, era tornati nelle radio e nei gusti dei giovani, grazie ai colonizzatori britannici e francesi che li trasmettevano in radio e suonavano alle loro feste.
L'aspetto più complesso era quello logistico, sia per le grandi distanze che per i costi elevati, la scarsità tecnologica e l'impreparazione locale nella gestione degli eventi, a cui spesso si univano problematiche politiche e corruzione.
Ma molti artisti riuscirono ugualmente ad arrivare nel luogo delle loro agognate radici, attraverso esibizioni singole o festival.

Louis Armstrong aveva già anticipato i tempi nel 1956 suonando due concerti ad Accra in Ghana, dopo essere stato accolto all'aeroporto da migliaia di persone unendosi subito a una band che suonava musica locale, riconoscendo all'interno di quelle note le origini del jazz.
E quando vide una donna che era l'immagine di sua nonna, si convinse che i suoi antenati arrivavano dalla costa ovest dell'Africa.

James Brown sbarcò in Nigeria alla fine del 1970 (poco dopo la conclusione della tragica guerra civile in Biafra) con i J.Bs e forte del successo del singolo "Sex Machine", uscito da qualche mese. Il tour influenzò tantissimo la scena musicale locale che esplose con decine di nuove band.
Tra il pubblico anche un ammirato Fela Kuti che si ritrovò poi James Brown e la band come spettatori a uno dei suoi concerti al suo locale The Shrine. Tony Allen, il grande batterista di Fela, “inventore” dell'afrobeat, rivelò che si trovò a fianco David Matthews, l'arrangiatore di James Brown:
'Osservava il movimento delle mie gambe e delle mie mani, e prendeva nota. La band prese molto da Fela quando vennero in Nigeria. È come se entrambi si influenzassero a vicenda. Fela è stato influenzato dall'America, James Brown dall' Africa.”
Il bassista William 'Bootsy' Collins ricorda:
“Fela aveva un club a Lagos, e quando ci andammo ci trattarono come dei re. Gli dicemmo che erano i funky cats più incredibili che avevamo mai sentito in vita nostra. Noi eravamo la band di James Brown, ma siamo stati completamente spazzati via! È stato un viaggio che non scambierei con nulla al mondo.”
Pare che Fela fosse inizialmente diffidente nei confronti di Brown poiché pensava che stesse cercando di rubargli il sound, ma tali paure furono velocemente dissipate.
Fela Kuti confermò il suo animo malfidente nel 1973 quando a Lagos arrivò Paul McCartney con gli Wings a registrare il suo capolavoro “Band on the run”.
Il “Black President” pretese di ascoltare le registrazioni in anteprima per verificare che Paul non stesse perpetrando un furto della musica africana.

Il 6 marzo del 1971 si tenne ad Accra in Ghana il “Festival Soul to Soul” per festeggiare l'anniversario (il quattordicesimo) dell'indipendenza dello stato africano dall'Impero Britannico.
I manifesti riportavano la dicitura “Where it all started” (dove tutto è incominciato) a rimarcare il legame ancestrale tra afroamericani e Africa.
Tra gli invitati in tanti rifiutarono, come Aretha Franklin, James Brown, Booker T & The MG's, Louis Armstrong e Fela Kuti.
Arrivarono in compenso altre eccellenze della black music come Wilson Pickett, Ike & Tina Turner, The Staple Singers, Santana, Roberta Flack, The Voices of East Harlem, affiancati da numerosi artisti locali tra cui Kwa Mensah, tra i pionieri dell'Highlife sound.
Al concerto parteciparono circa 100.000 persone che già erano davanti al palco ben prima dell'inizio previsto per le 15 (poi slittato alle 17.30).
I concerti furono applauditi e apprezzati ma in molti notarono la compostezza quasi rigida del pubblico, attento ad ascoltare e che solo con Tina Turner e Wilson Pickett, dopo ripetuti inviti, incominciò a ballare.
Mavis Staples riportò le stesse impressioni che avevano caratterizzato la visita di Louis Armstrong:
"Mi sentivo come se vedessi i miei genitori ovunque. Da piccola vedevo mia nonna prendere un ramoscello da un albero e morderlo o intingerlo nel tabacco da fiuto. Lo chiamava "bastoncino da masticare". E ho visto questa donna sul traghetto in Ghana fare proprio quello che faceva la nonna. È stato come tornare alla tua infanzia in un altro paese.”
Tina Turner e Mavis Staples furono colpite in particolar modo dalla visita che fecero nei luoghi in cui venivano imprigionati gli schiavi prima di essere portati nelle Americhe.
Mavis "Quella è stata l'esperienza più triste e pesante... ti scendevano le lacrime dagli occhi. C’era una sensazione inquietante, molto inquietante. A volte a tarda notte si sentivano lamenti e gemiti che arrivavano da lì. I loro spiriti sono ancora qui”.

Tina Turner tornò in Africa per suonare nel Sud Africa dell'apartheid nel 1979, poco dopo aver divorziato da Ike Turner, esibendosi in diverse date, tra settembre e dicembre, a Durban, Johannesburg e Cape Town.
Durante il suo viaggio le fu conferito lo status di “bianca onoraria”, scatenando le critiche dei neri sudafricani, che la accusarono di sostenere l’apartheid. Nel 1985 si pentì di aver accettato il quel titolo. “All’epoca ero ingenua riguardo alla politica in Sud Africa.
Tuttavia, negli ultimi mesi ho rifiutato diverse offerte lucrose per esibirmi in quel paese o in Botswana. Continuerò a rifiutare tali offerte finché prevarranno le circostanze attuali”.

Tornerà nel 1996 dopo la fine dell'apartheid.

Anche Ray Charles nel 1981 suonò a Sun City in SudAfrica, in un concerto aperto formalmente anche i neri ma dai costi altissimi e proibitivi per la maggior parte di loro. Ray in qualche modo pensò di compensare la sua presenza a Sun City organizzando un concerto anche a Soweto ma la comunità locale respinse fermamente e minacciosamente l'idea e l'esibizione fu cancellata. Per smorzare le polemiche dichiarò:
“Ho espresso più volte la mia contrarietà al regime del SudAfrica. In questi anni il tema dell'apartheid non è mai stato particolarmente popolare nell'opinione pubblica, neanche tra i neri americani. Ma io non ho mai perso interesse verso la questione. E per questo non posso scusarmi di aver suonato in SudAfrica con migliaia di neri sudafricani che con gli occhi bagnati di lacrime hanno espresso la loro gratitudine per averlo fatto. Questo tour ha rappresentato il primo concerto totalmente integrato in città come Johannesburg o Cape Town senza che io abbia suonato per le somme che abitualmente si prendono suonando a Sun City. Ho suonato con un'orchestra che aveva un asiatico, due latini, otto bianchi e sei neri, tutti insieme sul palco, nel bus, negli hotel, sempre insieme, senza barriere e divisioni. Non mi scuserò mai per aver sempre combattuto il bigottismo sia esso in SudAfrica, in America o in qualsiasi altro posto del mondo“.

Dal 22 al 24 settembre si tenne a Kinshasa, allora Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo, il Festival Zaire 74.
Concepito dal trombettista sudaricano Hugh Masekela per approfittare dell'incontro di pugilato del secolo, il “Rumble in the jungle” tra Alì e Foreman, con lo scopo di unire le culture africana e afroamericana, fu messo in dubbio da un infortunio di Foreman che posticipò l'incontro di sei settimane ma si svolse ugualmente, coronato da un grande successo con 80.000 spettatori.
Gli Usa schierarono grandi calibri della musica soul come James Brown, Bill Withers, B.B. King, Fania All Stars e gli Spinners, oltre alla star cubana Celia Cruz, l'Africa rispose con Miriam Makeba, Zaïko Langa Langa, TPOK Jazz e Tabu Ley Rochereau.
Fu una grande e riuscita festa.

Organizzato a Lagos, in Nigeria, il Festac 77 (Il Secondo Festival Mondiale delle Arti e della Cultura Nera e Africana, il primo si era tenuto a Dakar in Senegal nel 1966) è stato il culmine culturale del movimento panafricano, riunendo musicisti, ballerini, stilisti, artisti e scrittori in rappresentanza di 70 paesi dell'Africa e della diaspora africana.
Si svolse dal 15 gennaio al 12 febbraio 1977.
Quattro settimane di eventi in 10 sedi, tra cui il Teatro Nazionale da 5.000 posti appositamente costruito; 15.000 partecipanti alloggiati in 5.000 appartamenti e hotel sempre tutti costruiti per l'evento; una rete di autostrade creata per evitare la consueta congestione del traffico di Lagos.
Ci sono voluti 12 anni di pianificazione, durante i quali la Nigeria è passata attraverso una guerra civile, a un assassinio presidenziale e a due colpi di stato.
Il costo finale lievitò a 400 milioni di dollari, corrispondente a quasi 2 miliardi di dollari odierni. Il coordinatore di Festac, il professor Chiki Onwauchi, dichiarò:“Se si stanno spendendo miliardi per tenere separati i neri è impossibile ritenere di spendere troppi soldi per riunire i neri”.
L'evento attirò artisti da tutto il mondo, tra cui musicisti come Stevie Wonder, Sun Ra, Donald Byrd, Archie Shepp Gilberto Gil, Fela Kuti, la Trinidad All-Stars Steel Band, Mighty Sparrow, Miriam Makebae, la band funk afro-caraibica di Londra, Osibisa, parte di una delegazione britannica che, nella cerimonia di apertura, ha sfilato lungo la pista dello Stadio Nazionale dietro lo striscione “Black People of Great Britain”.
Stevie Wonder rimase a Lagos dopo la chiusura del festival, quando, con Makeba, ha organizzato un collegamento satellitare per ricevere i suoi quattro Grammy Awards per l'album "Fullfillingness" dal vivo da Lagos. Il loro piano era quello di portare Festac all’attenzione internazionale, dopo che i media mondiali lo avevano ampiamente ignorato.
Sfortunatamente, le apparizioni del cantante sono state in gran parte ricordate per le parole di Andy Williams (che presentava lo spettacolo di premiazione) che gli chiesto: "Riesci a vederci?".
Fela Kuti, dopo avere aderito, condannò l'evento come esercizio di propaganda e si ritirò, organizzando un suo festival al The Shrine.
Il governo scoraggiò gli artisti e i visitatori del FESTAC dall'andare al club, ma molti li ignorarono, incluso Stevie Wonder, che proprio nel club fece il suo primo concerto nigeriano.

Stevie ha successivamente più volte annunciato la decisione di trasferirsi per sempre in Ghana per sfuggire al razzismo crescente in America ma al momento non ha mai attuato il suo proposito.

Significativa la testimonianza della fotografa e giornalista Marylin "Soulsista" Nance, cresciuta nel Bronx ascoltando le parole di Malcolm X e la musica di Nina Simone, che volò in Nigeria per documentare l'evento. Seguace, come molti altri afroamericani, tra i 60 e i 70 delle teorie di Marcus Garvey, si trovò a contatto con una realtà diversa: "Andai in Nigeria pensando, io sono un'africana. Sono stata portata via da quel continente ma eccomi tornata. Ma quando arrivai mi resi conto che non eravamo considerati africani ma americani. Per la prima volta realizzai di essere un'americana".

Bob Marley approdò in Africa nel 1978.
Dopo una doverosa visita in Etiopia, la nazione di Hailè Selassìe, considerato dai Rastafariani il rappresentante di dio in terra, festeggiò il primo anno di indipendenza dello Zimbabwe, suonando il 18 aprile del 1980 allo stadio Rufaro ad Harare (che aveva appena cambiato nome cancellando Salisbury, quando la nazione si chiamava ancora Rhodesia), pagandosi il viaggio e l'affitto di tutta l'impiantistica. Le condizioni logistiche erano pessime ma riuscirono a rimediare.
Il disappunto fu grande quando si rese conto che il concerto era riservato alla nuova nomenclatura del paese, con tanto di invitati eccellenti come il Principe Carlo e Indira Ghandi.
Il pubblico cercò di sfondare, la polizia replicò con cariche e gas lacrimogeni che interruppero il concerto.
Bob Marley decise allora di suonare anche il giorno successivo, in un concerto aperto alla popolazione questa volta davanti a 80.000 persone. Ai primi di gennaio Marley aveva tenuto due controversi concerti nel Gabon del dittatore Omar Bongo, davanti a 5000 persone, scelte nell'alta società del paese. Pare che la ragione fosse la storia d'amore con figlia di Bongo, Pascaline, che gestì il breve tour.

Alla fine del 1974 chi realizzò in pratica i propositi di tanti artisti e attivisti neri che dopo una breve (e remunerata) visita se ne tornavano nella tanto odiata patria, fu Nina Simone che si trasferì a Monrovia, capitale della Liberia, convinta dall'amica Miriam Makeba.
“Forse là avrei trovato un po’ di pace, oppure un marito. Forse sarebbe stato come tornare a casa”.
Erano anni in cui il paese della costa ovest africana viveva un momento sereno con il presidente progressista Tolbert che cercava di mettere a punto una riforma sociale che riducesse le diseguaglianze, incoraggiando la libertà d'espressione. Nina Simone si trovò molto bene, con la figlia Lisa al seguito, suona raramente, solo per pochi amici e si godette una vita tranquilla.
"Sono profondamente consapevole di essere entrata in un mondo che avevo sognato per tutta la vita, e che è un mondo perfetto, ora sono a casa, ora sono libera”.
Se ne andrà nel 1977, richiamata dal desiderio di tornare a suonare, registrare, fare quello che aveva sempre fatto. Poco tempo la Liberia sprofonderà in una serie di feroci dittature e lunghe guerre civili.

Successivamente i musicisti americani ed europei hanno incominciato con più frequenza a suonare in Africa e, a loro volta, quelli africani ad arrivare più agevolmente nel resto del mondo.
Le teorie di ricongiungimento alle radici ancestrali hanno progressivamente perso vigore e importanza ma probabilmente la migliore considerazione l'ha fatta una ragazza kenyota anonima, commentando un video di Kendrick Lamar realizzato durante un suo soggiorno in Ghana.
"Non mi piace davvero il modo in cui le celebrità americane descrivono l'Africa, come questa terra feticizzata che funge da nient'altro che uno sfondo estetico per loro di fronte al loro conflitto interno o qualunque viaggio mentale e personale stiano attualmente attraversando".

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