venerdì, settembre 08, 2006

A litlle bit me...


Trovata per caso su google un'intervista di qualche mese fa rilasciata a www.novamuzique.net di Antz.
Ho detto anche delle robe intelligenti , così ve la propongo , in un'orgia di autoconsiderazione (ma d'altra parte il blog è mio e ci faccio quello che voglio , giusto?)
PS: la foto sopra è tratta dal concerto del Link Quartet a supporto di Manu Chao nel 2003

TONY FACE: Our Generation (antz)

Attivo sulla scena musicale dal 1979, Antonio Bacciocchi, noto come Tony Face è lo storico batterista dei Not Moving (
www.notmoving.net).
Di esperienze ne ha fatte.
Tony Face è anche editore musicale, organizzatore di concerti, festival ed eventi, giornalista musicale e di spettacolo.
Dall'intervista che segue emergono pillole di saggezza "underground” maturate da una esperienza non trascurabile…

Dagli esordi dei Not Moving alle ultime produzioni dei Link Quartet ne sono passati di anni… Te la senti di raccontarci una breve e personale storia del rock indipendente italiano “filtrata” dalla tua esperienza?
Per sintetizzare in estremo posso rimarcare come gli inizi fossero all’insegna della totale spontaneità, soprattutto perché non esisteva una scena, ma si creava ogni giorno che passava. Ogni contatto, ogni nuovo locale che dava spazio ai gruppi “punk” o “new wave”, ogni nuova fanzine erano un tassello in più che la faceva crescere. Nel corso degli anni il tutto si è omologato, liofilizzato, normalizzato.
Ora ci sono MTV, gli appositi media, ma soprattutto una mentalità che porta le nuove bands a non vedere l’ora di firmare per la major di turno e diventare i nuovi Green Day, Subsonica o Afterhours (a seconda delle ambizioni).
C’è un enorme offerta, spalmata su un estrema varietà di generi, ma mancano innanzitutto la domanda e in particolare la qualità, l’originalità, la spontaneità.

I Not Moving hanno rappresentato una delle esperienze più significative della nostra storia musicale. Vi siete “ritrovati” dopo 17 anni. Da quale esigenza nasce questa reunion? Avete intenzione di riprendere un percorso?
La reunion è stato un episodio sporadico, nato dalla voglia di supportare l’uscita del cd/dvd “Live in the 80’s” (edito dalla GoDown Records).
Con il ritorno casuale in Italia, in contemporanea all’uscita, del bassista originale, l’idea ha preso ancora più corpo. Di nuovo abbiamo privilegiato la spontaneità, senza farci troppe domande.
I concerti sono andati bene, è stato molto bello, probabilmente ci sarà un’appendice estiva con qualche altra data, ma è bene che il tutto finisca.

Gli anni 60 hanno segnato la tua vita (posso affermarlo?). Nei Link Quartet l’ispirazione è splendidamente manifesta. Che importanza attribuisci a quel decennio? …
E’ il decennio in cui è nata la cultura “underground” , finalmente ad appannaggio dei giovani.
Dove il rock n roll nel decennio precedente aveva gettato i semi, la cultura e la musica beat prima, poi la psichedelia, il ’68, le sperimentazioni con le droghe, la cosiddetta Woodstock generation etc etc hanno creato un mondo in cui , in particolare in ambito musicale (ma non solo ) è stato inventato TUTTO!
Il rock dagli anni 60 in poi è riuscito a creare ben poco di nuovo a mio parere.
Basti pensare ad un’ipotetica classifica dei migliori dieci album di tutti i tempi , immancabilmente la maggior parte è costituita da dischi di quel decennio

Credo che la propulsione data dal beat, a partire dagli anni 60 sia quella che poi, con il passar degli anni, ha determinato l’esplosione dello spirito punk.
La tua esperienza attraversa entrambi questi aspetti. Come li hai vissuti e come li vivi?
Il punk è stata la riproposizione, in qualche modo la modernizzazione del beat.
Non a caso gruppi come i Sonics o i Count Five nei 60’s venivano già definiti punk.
Discorso poi proseguito nei primi 70’s da bands come Stooges e New York Dolls e subito dopo fatto di nuovo esplodere dai vari Ramones, Damned, Dead Boys nel 75/76 e portati su tutti i giornali subito dopo da Sex Pistols e compagnia bella.
Personalmente ho sempre trovato la stessa energia, lo stesso significato, lo stesso mood tanto in “My generation” degli Who o “You really got me” dei Kinks che in “London calling” dei Clash o “New rose” dei Damned.
Non dimentichiamo che il tutto, volenti o nolenti, deriva dal rythm and blues e dalla soul music di Ray Charles , James Brown , Aretha Franklin (per citare i più famosi) a loro volta evoluzione di Chuck Berry, John Lee Hooker, Muddy Waters, Bo Diddley.
Il filo rosso è quello, le radici, la spina dorsale è quel ritmo, quel beat, quel suono, che arriva da lontanissimo, ormai da quasi 80 anni fa, da Robert Johnson, Leadbelly, Jerry Roll Morton, i primi bluesman.

L’approccio dei Link Quartet non mi sembra affatto “trendarolo”, a differenza di molte altre esperienze legate al jet set finto alternativo. Cosa pensi dell’esplosione della moda lounge, delle rivisitazioni sixities ad ogni costo e in tutte le salse che, spesso, fanno da soundtrack ad una generazione fighettina e snob, spesso superficiale e consumistica?
E’ lo sfruttamento commerciale di un’estetica che è sempre accattivante (soprattutto geniale) e spendibile in termini commerciali.
Soprattutto in Italia, i suoni 60’s più leggeri (quelli che i nostri genitori scoprirono con Equipe 84, Nada, Camaleonti etc etc) rappresentano la base musicale, quella che per gli americani è stato il blues o il country. Da piccolo in sottofondo sentivo i Beatles o le canzonette yè yè italiane.
Credo mi sia rimasto come marchio indelebile…

Non trovi che ci sia un distacco fortissimo tra la generazione “vinilica” e quella del “file sharing” in mp3? Non sono poi passati così tanti anni; ma nonostante ciò il concetto di fruizione dell’ascoltatore è totalmente cambiato. Che ne pensi?
La differenza più eclatante è che fino ad un po’ di tempo fa ascoltare musica significa acquistare un album e farlo passare almeno una decina di volte prima di giudicarlo e di apprezzarlo o meno.
Ora ci sono montagne di siti che ti fanno ascoltare tutto quello che c’è in circolazione.
La fruizione di un album si limita spesso ad un ascolto veloce e assolutamente superficiale. Siamo sommersi da montagne di produzioni (e di stimoli pubblicitari) e trovare cose interessanti su cui concentrarsi è sempre più difficile.
Personalmente per lavoro (curo un sito musicale e di spettacolo) ascolto decine di album al mese, indipendenti e non, ma se devo godermi un po’ di musica, tiro fuori i vinili di vecchio blues, soul, northern soul, Beatles, Who, Stones.

Credi che il copyleft possa aiutare le band emergenti ad avere un po’ più di visibilità?
E’ uno dei tanti palliativi attraverso cui si pensa di risolvere una situazione stagnante e moribonda.
E’ il sistema in generale che è chiuso su sé stesso e destinato a crollarsi addosso.
Le nuove bands la dovrebbero piantare di passare la giornata su internet a spedire i messaggi su MySpace e invece suonare in giro il più possibile, farsi il culo, girare l’Italia, l’Europa, il mondo.
Si può fare.
Certo costa sacrificio, sangue e sudore e ci vuole talento, ma è l’unico modo per uscire o perlomeno provarci veramente.

Trovi che ci sia qualcosa di interessante nell’attuale scena italiana?
Tantissime cose.
Nell’immensità delle uscite saltano spesso fuori dei gioielli di alta caratura, ti posso citare a caso, passando dai “grandi nomi” a quelli più “piccoli” Vinicio Capossela e gli Hormonauts, i Rosolina Mar e gli Assalti Frontali, i Santo Niente e gli Statuto, ma sono decine i nomi sconosciuti che sarebbero degni di attenzione, aiuto e considerazione.
Mi sembra che non manchino le proposte.
Manca invece chi le dovrebbe ascoltare, andare a vedere, comprare. Senza dimenticare che, contrariamente a tante altre situazioni, in Italia non c’è mai stato alcun tipo di aiuto da parte delle istituzioni, anzi, semmai il contrario.

I Link Quartet hanno un grosso seguito anche all’estero, così come accade per molte altre band italiane. E spesso questo è più gratificante dell’esperienza nazionale. Cos’è che non funziona da noi?
Innanzitutto un’esterofilia congenita che ci caratterizza da sempre e poi, come detto, la limitatezza della scena, la mancanza di concreti supporti che incentivino le bands più meritevoli. E’ possibile che la RAI o Mediaset non abbiano mai trovato uno spazio televisivo da dedicare alle nuove bands? E se le reti private possono essere giustificate dal tornaconto economico, la Rai no, è un ente pubblico, che può, anzi DEVE fare trasmissioni che non necessariamente debbano tenere conto dello share e degli ascolti. E comunque credo che una trasmissione che , come faceva Arbore ad esempio, desse spazio ad apparizioni live o ai video dei gruppi indy oltre ad avere un suo seguito servirebbe a smuovere non poco la situazione.
E’ solo un piccolo esempio di cose da fare ma la lista è lunga.

Alla luce delle tue esperienze personali, qual è la tua idea di “indipendente”?
Semplicemente chi decide di suonare la musica che gli pare nel modo in cui preferisce , cosa che ho sempre fatto…forse è per questo che non sono mai andato da nessuna parte…

Dovessi “ricominciare da zero”, oggi, come musicista, come ti muoveresti? O visti i tempi lasceresti perdere?
La formula rimane la stessa. Suonare dal vivo il più possibile, soprattutto all’estero.




6 commenti:

  1. semplice e pulito, come sempre...
    fra un paio d'ore la partita col brescia, vedremo un po'...
    Marco MODS Trieste

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  2. Che bella sensazione: Rimini - Juventus 1 a 1...Ricchiuti che stande Buffon dove aver superato l'invalicabile diga formata da Balzaretti e Boumsong...

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  3. TonyFace c'è la possibilità di un concerto dei Not Moving a Pisa?!?

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  4. Nessuna possibilità.
    i NOT MOVING SONO SCIOLTI DAL 2 SETTEMBRE per sempre.
    A Pisa abbiamo già suonato a dicembre dell oscorso anno al "Borderline"

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