martedì, novembre 11, 2025

Francesco Donadio - Rinnegato. Vita e canzonette di Edoardo Bennato

Una biografia dettagliatissima e approfondita, quanto ragionata, della carriera di Edoardo Bennato, uno dei cantautori più originali e creativi della canzone d’autore italiana, spesso trascurato e dimenticato.
Il testo ci lascia capire che le sue posizioni mai allineate e spesso scomode gli hanno inimicato parecchie “fazioni” politiche e non.

In effetti passare dal circuito del PCI e Lotta Continua negli anni Settanta all’appoggio convinto a Beppe Grillo e al suo nascente Movimento, per poi sbeffeggiarlo in “Al diavolo il Grillo Parlante” e alla partecipazione alle feste per Alleanza Nazionale, non aiuta.
Ma è sempre stato lo stile di Bennato, seguire una sua strada, incurante del resto. La carriera è ricchissima di successi e capolavori ma anche di rovinose cadute in album poco significativi, di un San Siro con 80.000 persone a esibizioni in feste di paese.

Il libro manca (anche volutamente) delle parole del protagonista ma si avvale delle testimonianze dei suoi più stretti collaboratori (a partire dai fratelli Eugenio e il compianto Giorgio).
Un lavoro certosino e completo.
Edoardo Bennato fu tra i primissimi a portare in Italia il linguaggio blues e rock ‘n’roll.

Francesco Donadio
Rinnegato. Vita e canzonette di Edoardo Bennato
Il Castello
376 pagine
22 euro

lunedì, novembre 10, 2025

Diane Kowa & Piaggio Soul Combination - Allnighter Material (recensione e intervista)

Torna ad incidere la miglior soul band italiana ma che può vantare di avere pochi rivali al mondo, soprattutto dopo l’aggiunta vocale della stupenda Diane Kowa.
Il nuovo album rispetta tutte le aspettative, dopo una serie di lavori sempre a livelli di eccellenza, snocciolando brani autografi di gran classe, fedeli al soul sound più classico, con incursioni nel Northern Soul, rhythm and blues, funk, gospel e blues.
Il tutto suonato e interpretato nel migliore dei modi e con classe cristallina.
Consigliatissimo e ai vertici tra i migliori dischi italiani dell’anno.

Lo trovate qui:
https://www.areapirata.com/prodotto/diane-kowa-the-piaggio-soul-combination-allnighter-material

Intervista a Marco Piaggesi (voce e tastiere)

1) Domanda da un milione di dollari.
Cosa significa suonare soul music in Italia?
Un genere paradossalmente sempre ascoltato e suonato spesso dagli anni Sessanta in poi (da Rocky Roberts e Lucio battisti fino a Zucchero), raggiungendo la testa delle classifiche ma rimasto bene o male nella nicchia degli appassionati.

Il soul in Italia è tuttora identificato da un pubblico dai millennials in su, come musica da ballo, divertente.
Quindi questa musica trova posto nella programmazione di locali, festival e iniziartive varie. Come downside c'è il fatto che il soul prevede band numerose e quindi trovare degli spazi non è semplice.

2) E’ difficile riprodurre il glorioso soul sound in studio e dal vivo?
Riprodurre il suono di tipo Stax/Atlantic non è difficile, perchè è un suono piuttosto semplice e asciutto.
E' un vero problema, invece, cercare di repllicare il suono della Motown.
Ma più che il suono, il vero problema è replicare il groove, il potere da ballo che quei pezzi hanno. Ci si prova!

3) Come avete trovato la splendida voce di Diane Kowa?
Diane ci è stata presentata da Max, il padrone del Nidaba di Milano, che l'aveva sentita cantare insieme ad un gruppo locale. Gli dobbiamo molto, perchè lei è fantastica.

4) Parlaci un di “Allnighter material”, come sempre un disco potente, intenso, genuino. L'idea era quella di riuscire a fare dei pezzi che potessero essere messi in un soul allnighter mantenendo la pista piena. Infatti, i primi tre pezzi di ogni lato (che sono quelli che suonano meglio), sono quelli con potenziale da ballo. Il pezzo secondo noi, più efficente a questo scopo, lo abbiamo messo nel 45!

5) Siete in giro da un po’, avete avuto buoni riscontri all’estero, con un sound universale come il vostro?
Sì, molte persone all'estero ci apprezzano. Tra i riscontri ricevuti, ci sono filmati del nostro ultimo singolo messo in locali che per chi si intende di Northern Soul, ripagano veramente di ogni sforzo. Noi però non abbiamo ancora fatto tournee fuori dai confoiini nazionali e spero che questo sia il disco buono.

6) Cosa avete in programma per la promozione del nuovo disco?
Date, date, date, date. Suoneremo il più possibile, oltre alle presentazioni del disco. Il singolo sta andando molto bene e questo è incoraggiante.

venerdì, novembre 07, 2025

Wings - Boxset

Contestualmente alla pubblicazione del libro di Paul McCartney, "Wings. Una band in fuga" (per La nave di Teseo), Sir Paul sovraintende l'uscita di una compilation "definitiva" dei WINGS, con 32 brani tratti dai sette album della band e da sei singoli.

Un progetto interessante, durato dal 1971 al 1979, inteso come un gruppo "democratico" ma sostanzialmente (ovviamente) dominato dalla figura di Paul (con l'appogio della moglie Linda).
Non a caso la line up ha avuto varie turbolenze e defezioni (la più clamorosa alla viglia della partenza per la Nigeria per incidere il capolavoro "Band On The Run", quando batterista e chitarrista decisero di restare in Inghilterra, mollando il gruppo all'ultimo momento).

Abitualmente, con poche concessioni, la critica è stata molto severa (spesso ingenerosa) nei confronti di questa esperienza che ha fluttuato tra alti e bassi qualitativi, tra la voglia di sperimentare e l'attaccamento alle classifiche che ha prodotto dischi ibridi, canzoncine mielose e inconsistenti e veri e propri gioielli.

Dopo la mediocre partenza con "Wild Life", nel 1971, il livello è salito con il successivo "Red Rose Speedway" (maggio 1973) e la vetta inarrivabile di "Band On The Run" (dicembre 1973), per chi scrive il miglior album del post Beatles in assoluto.
Riuscito anche "Venus And Mars" (1975) per poi scendere di qualità "con "Wings At The Speed Of Sound" (1976) e "London Town" (1978), piuttosto deboli e chiudere con il confuso "Back To The Egg" (1979) che sancisce la fine della band.
Non dimenticando il triplo live del 1976 "Wings Over America" con 28 brani eseguiti al massimo dell'espressività con cinque concessioni Beatlesiane, ancora rare ai tempi.

L'album più considerato nel box è ovviamente "Band On The Run" con sei brani sui dieci inclusi nella versione originale mentre il resto è trattato con ponderate e centellinate scelte oltre ad alcuni singoli spettacolari e di gran successo.

Evitando le edizioni super costose, un buon modo per portarsi a casa un pezzo di storia del rock, comunque importante.

giovedì, novembre 06, 2025

Not Moving al Capannori Underground Festival 2025

Domenica 9 novembre al Capannori Underground Festival 2025 la prima presentazione assoluta di “That’s All Folks!” dei Not Moving.

Durante la serata il direttore artistico del Festival Gianmarco Caselli insieme ai Not Moving ripercorrerà le tappe più significative di quella che è una band storica nella cultura alternativa e la quale, per questo motivo, riceverà il Premio Capannori Underground Festival per la diffusione della cultura underground.
Suoneremo poi un live set con un po' di brani dall'album e non solo.

Alle ore 17.15 al polo culturale Artemisia di Tassignano (Lucca) L'ingresso è gratuito su prenotazione fino ad esaurimento posti scrivendo una mail a
associazionevaga@gmail.com

https://www.facebook.com/events/686385320820087

mercoledì, novembre 05, 2025

Gabriel Seroussi - La periferia vi guarda con odio. Come nasce la fobia dei maranza

"Le istituzioni e la politica hanno cominciato a demonizzare la figura del maranza con tutti i mezzi a disposizione, trasformandola in un capro espiatorio utile a confortare una società vecchia e impoverita".

Si riassume in queste righe la tesi dell'autore, che analizza, attraverso una serie di incontri e interviste, non tanto la figura spettacolarizzata e demonizzata del "maranza" ma il contesto sociale e culturale in cui emergono criticità che portano alle situazioni più estreme (sparate puntualmente in prima pagina.
Inserendo uno degli aspetti conseguenti, la modalità comunicativa più immediata ovvero l'ascolto e la proposta di certe tematiche attraverso rap e trap.

"Nello stereotipo del maranza c'è la sintesi di tutto ciò che è destabilizzante per una società depressa a livello economico e demograficamente anziana, sobillata da decenni di retorica razzista e xenofoba.
La fobia del maranza è una reazione di rigetto di fronte a cambiamenti demografici e culturali che sono già pienamente in atto in Italia."

Il libro riesce a dare voce, in modo chiaro e diretto, a una realtà già da tempo stabile, attiva e partecipe alla quotidianità italiana, per quanto sia ancora vista come un corpo estraneo, una nicchia, un ghetto a parte.

"Un altro tratto culturale del nostro paese è il diffuso sentimento d'odio verso i giovani. Considerati da molti pigri e ignoranti, sbeffeggiati perché non hanno fatto il Sessantotto o usato un telefono a gettoni, i giovani in Italia sono una categoria su cui si riversa facilmente la frustrazione di giornalisti anziani e incapaci di leggere la contemporaneità."

In questo contesto si inserisce l'importanza della musica (t)rap, veicolo comunicativo, spesso inintelleggibile dai meno giovani e al di fuori dal contesto di riferimento, anche se "il valore culturale e politico dei rapper si misura dunque in ciò che questi rappresentano, prima ancora che in quello che comunicano.
Il rap, soprattutto negli ultimi anni, è stato additato come piaga sociale, proprio perché in grado di raccontare condizioni di estrema marginalizzazione sociale, in particolare quelle persone con un background migratorio".


Un testo importante, approfondito e profondo, da leggere per chi è interessato a ciò che cambia o è già cambiato.

"Questi ragazzi, spesso, non parlano con gli adulti. Non si fidano. L'unico modo per costruire un dialogo è imparare ad ascoltarli davvero, con rispetto."

Gabriel Seroussi
La periferia vi guarda con odio. Come nasce la fobia dei maranza
Agenzia X
216 pagine
17 euro

martedì, novembre 04, 2025

The Who - Who Are You

Uno degli album che amo di più degli WHO, probabilmente perché il primo acquistato alla sua uscita.

Disco spesso aspramente criticato perché ritenuto scarsamente ispirato e troppo vicino ai suoni più "commerciali" dell'epoca.
In realtà rivelatosi, alla prova del tempo, un lavoro più che ottimo, nonostante non possa reggere il confronto con una lunga serie di capolavori con cui Townshend e compagni avevano lastricato la storia del rock in una dozzina di anni.
E' anche il, tristemente, ultimo disco in cui compare Keith Moon, morto pochi giorni dopo la pubblicazione.
La title track è diventata un classico, canzoni come "Sister Disco", "New Song", la potentissima "Trick of the Light" di John Entwistle, la complessità compositiva del rock barocco "Guitar and Pen", il jazz blues di "Music Must Change" conservano la freschezza e la giusta carica dopo quasi 50 anni dall'uscita.

La ristampa è molto interessante con il mixaggio inedito di Glyn Johns che fu scartato e che restituisce particolari rimasti nascosti e che conferisce alle canzoni maggior brillantezza e carica.
Ci sono anche parecchi demo (di John in particolare) non sempre interessanti o di particolare valore ma comunque degni di un ascolto.
In aggiunta le prove per le riprese del live al Shepperton Studios (che finirà nel film "Kids Are Alright") e la registrazioine dell'intero concerto.
La band è ancora in splendida forma, Keith Moon incluso, smentendo la storia che lo voleva ormai in estrema difficoltà a suonare.

Due live (e alcune prove) della band, successivi alla scomparsa di Moon, evidenziano quanto il drumming del neo entrato Kenney Jones fosse pulito, efficace e preciso.
Riascoltando le registrazioni è stupefacente il lavoro al basso di John, incredibilmente vario, creativo, tecnicamente spaventoso, uno strumento a parte che svolge un ruolo quasi orchestrale.
E anche la precisione con cui Keith Moon segue l'originalissima ritmica di "Sister Disco" (in cui John è stratosferico).
Roger Daltrey è ancora al massimo della potenza vocale, Pete Townshend svolge un lavoro certosino nelle orchestrazioni, con le parti elettroniche, di synth e si segnala eccellente chitarrista, mai così jazzy.
Curatissime le parti vocali, tra cori, seconde voci e particolari che è splendido riscoprire.

Un'occasione imperdibile per rivalutare un album il più delle volte poco considerato.

lunedì, novembre 03, 2025

La storia dell'Acid Jazz

In un periodo piuttosto complesso, l'aggiornamento quotidiano ( e compulsivo) del blog, ha subito qualche battuta d'arresto.
Ne approfitto pe riproprre vecchi articoli che reputo comunque interessanti.
Questo fu pubblicato due anni fa nelle pagine de "Il Manifesto"


Il musicologo e giornalista Charlie Gillett scrive, nel 1970, un'interessante considerazione sul legame tra la black music e la Gran Bretagna:
“C'é sempre stata una sorta di tradizione in Inghilterra fino dagli anni Venti, costantemente mantenuta da una minoranza di appassionati, nell'interesse per le forme meno conosciute della Black Music (“Negro Popular Music”). Con il succedersi delle varie mode musicali in Usa che rendevano gli stili progressivamente obsoleti, un gruppo di entusiasti in Europa si dedicarono a perpetuare quella musica collezionando dischi, importandoli e se possibile facendo suonare i protagonisti o riproponendo la loro musica con i loro gruppi”.

E’ un filo conduttore costantemente teso che ha portato l’Inghilterra a essere un costante laboratorio espressivo ed evolutivo per la “musica nera”.
Ballata nelle serate mod nei primi anni Sessanta e poi in quelle Northern Soul un decennio dopo, diventata colonna portante di buona parte della scena post wave dei primi anni Ottanta (da Jam e Style Council a Dexy’s Midnight Runners, Redskins ma anche in nomi ben più commerciali e abituali frequentatori delle parti alte delle classifiche, dai Simply Red ai Wham!, Spandau Ballett, ai synth pop-pers dei Soft Cell - vedi la celebre cover di “Tainted love” di Gloria Jones, agli Eurythmics che duettarono nientemeno che con la Regina del soul Aretha Franklin in “Sisters are doing for themselves” nel 1985).

Un sound diventato progressivamente “classico” e costantemente rielaborato dalle nuove generazioni.

Con il suggestivo nome di Acid Jazz (spesso l’importanza di un marchio - e in questo caso anche di un logo - è una chiave essenziale) alla fine degli anni Ottanta si creò una scena interessantissima che diede un enorme impulso al rinnovamento del contesto “black”.

Nel 1987 il DJ Gilles Peterson, già attivo con innovative trasmissioni radiofoniche e Eddie Piller, uno degli artefici della nuova ondata mod alla fine degli anni Settanta, mettono insieme competenze, esperienza e passione per dare voce a quei nuovi suoni che stavano spontaneamente emergendo dai club londinesi e che tornavano a mettere il jazz al centro dell’attenzione, dopo anni di punk, new wave e synth pop.
Ma non si trattava di sterili riproposizioni ma di un nuovo calderone di contaminazioni che attingeva anche dal soul, dall’elettronica, funk, musica latina, psichedelia, dance, guardava alle esperienze spoken word di Gil Scott Heron e Last Poets, non disdegnava elementi fusion, rap e hip hop.

I preveggenti Style Council di Paul Weller avevano, un po’ confusamente, indicato, poco prima, la strada, la neo nata Acid Jazz Records prendeva il timone e lo indirizzava verso nuovi lidi.
Gli inizi sono incerti e colgono di sorpresa il pubblico e gli stessi fondatori, tra i quali il sodalizio dura poco.
Qualche tempo dopo Gilles Peterson se ne va per formare l’altrettanto valida, sempre indirizzata sugli stessi binari, Talkin Loud Records.

Intanto la scena incomincia a esplodere, soprattutto grazie alle serate nel mitico Dingwall’s di Londra, un tempo patria del pub rock e che aveva dato ospitalità anche a molte punk band del primo periodo, tra infiammati dj set e concerti live.
Eddie Piller porta con sé in dote un nome di prestigio della sua precedente esperienza discografica con la Re-Elect The President, il James Taylor Quartet (filiazione dei fantastici mod heroes The Prisoners, da poco sciolti) tra i primi a riprendere quel cool jazz strumentale da colonna sonora anni Sessanta, tra Jimmy Smith e Booker T and the Mg’s.
Dagli inizi rudi e spontanei passeranno a sonorità e arrangiamenti sempre più raffinati, cogliendo il grande successo nel 1988,con la ripresa del tema della serie televisiva “Starsky and Hutch” con Fred Wesley e Pee Wee Ellis, sezione fiati di James Brown.
La band diventerà sempre più assidua frequentatrice dei dancefloor più sofisticati, si sposterà tra dance e ritorni a suoni più classici (anche nelle vesti semi occulte di New Jersey Kings), il leader James Taylor collaborerà con una lunga serie di grandi nomi, da Tom Jones agli U2, diventando una sorta di marchio di fabbrica, ricercato e stimato.

Piller porta con sé anche i Jazz Renegades dell’ex batterista degli Style Council, Steve White, più tradizionali e scontati.
A testimonianza del suo buon fiuto mette sotto contratto un promettente e sconosciuto gruppo, i Jamiroquai.
Che dopo un singolo per l’etichetta si accaseranno con un contratto multi milionario con una major e troveranno il successo mondiale.

“La Acid Jazz Records nacque dall’esplosione acid dei tardi anni ’80. Adoravamo il sound e l’atmosfera ma presto ci annoiammo della musica acid house.
Per scherzo, abbiamo dato vita alla nostra etichetta con pubblicazioni jazz, funk e soul ma con la trovata di aggiungere la parola “estranea” acid. L’etichetta fu subito un successo e sembrò catturare perfettamente l’essenza dei tempi.
La musica che pubblicavamo sembrava perfettamente adatta per il dancefloor e in seguito all’enorme successo dei Jamiroquai aprimmo il nostro club, il Blue Note, che ebbe grande successo e fu il primo di una nuova generazione di locali della zona di Hoxton a Londra”.
(Eddie Piller, intervista a Billboard).

Non lontani dal sound del James Taylor Quartet, anche se più frenetici, pulsanti, veloci e con il frequente uso della voce si mossero, dai primi anni 90, i Corduroy.
Tre album per la Acid Jazz, strumentalmente eccellenti, immagine smaccatamente Sixties, belle canzoni, retaggio Swinging London e un discreto successo commerciale.
Scioltisi alla fine degli anni Novanta sono tornati sulla scena recentemente con un nuovo, discreto, album pur se ornai fuori tempo massimo.

I Galliano furono tra le prime scelte della Acid Jazz Records, per la quale incisero, nel 1987, il singolo “Frederic Life Still”, stampato originariamente in cinquecento copie, andate esaurite in una settimana e arrivate velocemente alle diecimila, essenziale benzina per fare partire il motore dell’etichetta.
Vennero però subito portati dal dimissionario Gilles Peterson alla sua nuova creatura discografica Talkin Loud con la quale realizzarono i quattro album della breve carriera, finita allo scadere degli anni Novanta, tutti di discreto successo e che mischiavano funk, jazz e rap (erano definiti “la risposta di Finchley – quartiere di Londra - ai Last Poets”) in modo disinvolto e molto personale.

I Brand New Heavies vengono scoperti da Eddie Piller e lanciati con due eccellenti album tra il 1990 e 1992.
Il sound pesca nella tradizione soul funk ma con un approccio modernissimo, fresco, ritmato, a cui si aggiungono sonorità jazz e un groove di rara efficacia. Particolarità che li contraddistinguerà nel corso della carriera (tuttora la band è in attività) è la frequenza di collaborazioni esterne e cambi di cantanti e formazione, mantenendo però sempre il medesimo a
pproccio sonoro.
La band ha all’attivo una dozzina di album, alcuni dei quali arrivati a lusinghieri risultati di vendite nelle classifiche inglesi, nonostante, in questo senso, gli ultimi anni abbiano riservato loro scarse soddisfazioni.

Ebbero vita breve gli Young Disciples, guidati dalla splendida voce della cantante americana Carleen Anderson. Sfortunatamente, perché l’unico album realizzato, “Road to freedom” nel 1991 per la Talkin Loud, si configura come un perfetto manifesto di quella scena britannica che stava crescendo mischiando suoni, generi, ritmi diversi, collaborando e interagendo.
Soul, funk, hip hop, blues, gospel, rivisitati in chiave moderna con l’apporto di eccellenze del giro neo soul inglese.
Registrato negli studi di Paul Weller, i Solid Bond, tra i musicisti troviamo, oltre allo stesso Modfather in incognito, anche gli altri ex Style Council Mick Talbot e Steve White, Pee Wee Ellis, ex saxofonista di James Brown e i colleghi Fred Wesley e Maceo Perker, anche loro alla corte del Re del Funk e dei Parliament.
Un gioiello che influenzerà generazioni di nuovi artisti.
La Anderson (figlia di Vicky Anderson, corista di James Brown, che sposerà successivamente Bobby Bird, membro dei Blue Flames) se ne andrà dal gruppo sancendone la fine ma iniziando una proficua carriera solista più vicina a sonorità soul tradizionali, riprendendo in maniera magistrale brani come “Don’t look back in anger” degli Oasis o “Maybe I’m amazed” di Paul McCartney, collaborando con Paul Weller e, a lungo, con gli Incognito.

A proposito: gli Incognito sono da sempre uno dei gruppi di punta ascrivibili al concetto acid jazz.
Guidati da Jean Paul “Bluey” Maunick, unico componente rimasto fisso nella formazione dagli esordi ad oggi, hanno rappresentato al meglio il concetto di collettivo artistico che si arricchisce, aggiunge, cambia, progressivamente nel tempo, intorno a un’idea sonora
. Nel corso della lunga carriera si contano centinaia di membri della band (una sessantina solo i cantanti!).
Il loro esordio è addirittura nel 1981 con l’album dal programmatico titolo di “Jazz Funk” a cui seguono dieci anni di silenzio fino a quando non vengo o reclutati dalla Talkin Loud e incominciano il lungo percorso con il loro funk jazz tinto da groove anche disco e soul, una tecnica strumentale mostruosa, libere incursioni in altri generi e influenze. Più di una ventina di album, numerosi remix, collaborazioni a iosa, tour incessanti e qualche corroborante e occasionale apparizione nelle charts inglesi (nel 1991 “Always there” si arrampicò fino al sesto posto). Una corrente interna all’Acid Jazz si sviluppò parallelamente, mantenendo forti legami con il funk più ruspante mischiato a un sound che abbracciava Hammond grooves, beat, soul, Traffic, Small Faces, Booker T and the Mg’s e nuove influenze.

Ne furono tra principali rappresentanti i Mother Earth di Matt Deighton (che finì poi nella band di Paul Weller e sostituì Noel Gallagher negli Oasis in un tour del 2000, dopo uno dei tanti litigi con Liam).
Incisero tre ottimi album per la Acid Jazz Records a metà degli anni novanta, con l’aiuto di James Taylor, Paul Weller, Simon Bartholomew dei Brand New Heavies.
Deighton ha proseguito con una discreta carriera solista improntata a sonorità più folk rock.

Sulle stesse coordinate dei Morther Earth si mossero, nello stesso periodo, i Freak Power, guidati da Norman Cook (da poco uscito dagli Housemartins e in procinto di diventare una star con lo pseudonimo di Fat Boy Slim).
Due album e un singolo “Tune in, tune out, cope in” che, dopo un discreto successo, nel 1993, viene utilizzato in una pubblicità della Levi’s due anni dopo e sbanca le classifiche inglesi e non solo, vendendo 200.000 copie.

Anche una vecchia conoscenza come Graham Day dei Prisoners intraprende un cammino simile, con i Planet. “Splitting the humidity” è del 1995 ed è un bellissimo lavoro, come gran parte della produzione del chitarrista ma, come sua consuetudine, è un flop commerciale.
Dice Day:
“Mi è piaciuto fare qualcosa di totalmente diverso e trovavo esilarante guardare i volti dei fans mod dei Prisoners che semplicemente non sapeva no cosa pensare. Ho deliberatamente cercato di non scrivere canzoni con melodie come avevo sempre fatto prima e mi sono attenuto a riff di chitarra e ritmi funky. Stavo scrivendo un secondo album, ero tornato a uno stile più tradizionale e stavo parlando con due dei Mother Earth (che avevano appena perso il loro cantante Matt) riguardo alla possibilità di fare qualcosa insieme. avevo suonato un paio di canzoni in studio con loro quindi aveva senso. Sfortunatamente Eddie Piller ha detto che non voleva un secondo album (e non posso biasimarlo, non credo che il primo album abbia venduto molte copie) quindi non è successo niente e per i Planet è arrivata la fine”.

Tra le modalità espressive e compositive del giro acid jazz c’è il campionamento di grooves e ritmiche jazz e funk da sviluppare in nuove modalità.

E’ quello che diede il successo agli US3.
“Cantaloupe (flip fantasia)” campionava il classico “Cantaloupe Island” di Herbie Hancock, trasformandolo in un brano hip hop jazz. Il risultato fu un milione di copie vendute in Usa dell’album d’esordio del 1993 “Hand on the torch”.
Tutto il disco gioca su campionamenti di classici o brani minori di soul jazz, da Grant Green a Theolonious Monk, Art Blakey, Horace Silver. Il tutto con un gusto modernissimo e freschissimo.
La band prosegue con alterne vicende per una decina d’anni per poi tornare nell’oblìo. Rimane l’efficace slogan che li caratterizzava: “If jazz is the first way, and hip hop is the second way, then Us3 is the third way!”.

Non dissimile la strada intrapresa dagli UFO (United Future Organization), con un orientamento più lounge che facevano il paio (anche per le stesse origini di nascita) con i Pizzicato Five che, pur lontani dal concetto originale dell’ambito, sono tangenti a quelle atmosfere, più che altro per i riferimenti smaccatamente Sixties.

Anche l’Italia ha avuto una forte fascinazione per il genere (anche in virtù dei frequenti riferimenti alla tradizione lounge cinematografica di mostri sacri del genere come Ennio Morricone e Piero Piccioni, su tutti).
Da Nicola Conte a Francesco Gazzara, Link Quartet ai Jestofunk, furono numerose le band che calcarono quei ritmi e quei riferimenti grazie anche a etichette italiane come Irma e Schema che ne furono sapiente tramite per il pubblico nostrano e internazionale.
Un cenno anche alle numerose compilation che sono uscite nel corso del tempo ma in particolare a quelle che prepararono il terreno fertile all’esplosione della scena, riprendendo quanto veniva ballato e apprezzato nei dancefloor londinesi del tempo.

In particolare i DJ’s Baz Fe Jazz e Gilles Peterson nella serie “Acid Jazz”, raccolgono brani più o meno rari di Eddie Jefferson, Funk Inc, Jack McDuff, Charles Earland, Idris Muhammd o nella serie “Jazz Juice” per la sotto label della Ace Records , la Street Sounds, dove si passa (in otto volumi) da Miles Davis a Sergio Mendes dai Mar Keys a John Coltrane.
C’è anche la serie “Jazz Dance” (dal titolo esplicativo) con Lee Morgan, Roland Kirk, Art Blakey, Mel Tormè, Herbie Mann , Illinois Jacquet o il Ramsey Lewis Trio e quella intitolata “Soul Jazz” , sempre per la Ace, con Jimmy Smith, Hugh Masekela, Dizzie Gillespie. Parallelamente fioriscono anche quelle riservate alla miscela di jazz e sound latini, o più semplicemente “latin jazz” , con nomi come Mongo Santamaria, Ray Barretto, Tito Puente, Joe Bataan.

La Acid Jazz pubblicherà una lunga serie di significative compilation dal titolo “Totally Wired” colme di piccole gemme che documentavano le nuove uscite degli anni Novanta nell’ambito, tutt’ora preziose fotografie di un’epoca pulsante e innovativa, che guardava all’attualità e al futuro con le radici saldamente ancorate a un glorioso passato.

Che ci ha consegnato un sound e dischi che ancora oggi suonano attuali e stimolanti, senza avere perso quell’urgenza innovativa che trasmettevano e che sono il seme che ha fatto crescere così bene il giro inglese del New British Jazz, da Shabaka Hutchings agli Ezra Collective che ne sono una chiara prosecuzione artistica e di intenti.

giovedì, ottobre 30, 2025

Ottobre 2025. Il meglio

Manca poco alla fine del 2025:
tra i migliori album quelli di New Street Adventure, Little Simz, Bob Mould, The New Eves, Big Special, Kae Tempest, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Paul Weller, Cardiacs, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins, The Who, Nat Birchall, Robert Plant, The Prize.

Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, The Lancasters, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella, Alex Fernet, Mars X, The Ghiblis.


NEW STREET ADVENTURE - What Kind Of World?
Torna la band di Nick Corbin dopo un lungo silenzio con un album di rara bellezza. Tanto soul, da quello più introspettivo alla Curtis Mayfield/Marvin Gaye, a impennate Northern ("Let Me Loose" farebbe saltare per aria ogni dancefloor), fino al torrido funk di "Everyone's A Music Maker" (roba tra Sly and the Family Stone e i Temptations di "Cloud Nine"). L'album che da anni vorremmo da Paul Weller (a cui l'estetica sonora e l'impronta vocale si avvicina parecchio). Stupendi arrangiamenti di fiati e archi, musicisti di pura eccellenza, canzoni semplicemente perfette. Non per niente il tutto è targato Acid Jazz Records

ROBERT PLANT - Starving Grace
Il cammino solista di Plant è sempre stato all'insegna della raffinatezza, ricerca, omaggio alle sue radici blues, folk, country, gospel, in varie declinazioni e sempre arricchito da preziose collaborazioni. Non fa eccezione questo nuovo, pregevole, lavoro, in cui omaggia vecchie canzoni blues e folk ma si apprpria anche di uno stupendo brano dei Low. Grande.

TCHOTCHKE - Playin' Dumb
Il trio di ragazze NewYorkesi torna con un album grazioso e a tratti irresistibile, a base di power pop, Bangles, Go Go's, Beach Boys, Hollies, Beatles, bubblegum pop e altri deliziosi ingredienti zuccherosi. A dirigere le operazioni i fratelli D'Addario, alias Lemon Twigs, che producono e suonano mille strumenti dappertutto.

KATHRYN WILLIAMS - Mistery Park
La cantautrice di Liverpool firma il quindicesimo album, all'insegna di una canzone d'autore folk intimista di più che ottima qualità. A dare una mano ci sono anche Paul Weller, Polly Paulusma, Ed Harcourt, tra gli altri. Per chi ama atmosfere pastorali e auliche è il lavoro perfetto.

JOHNNY MARR - Look Out Live!
L'ex chitarra degli Smiths non ha mai lasciato particolari capolavori nella carriera solista ma, allo stesso modo, tanti buoni e dignitosi dischi che ne hanno confermato le indubbie capacità compositive e interpretative.
Il tutto converge in questo ottimo live in cui affianca a sue ottime songs, alcuni immancabili classici degli Smiths (This Charming Man, How Soon Is Now?, Bigmouth Strikes Again, Panic, Stop Me If You Think You’ve Heard This One Before) bene eseguiti e interpretati oltre all'ospitata di Neil Tennant dei Pet Shop Boys e un paio di cover discrete come "Rebel Rebel" e una evitabile "The passenger". Bel disco, registrato e suonato impeccabilmente.

RICHARD ASHCROFT - Lovin' You
Decisamente debole il nuovo dell'ex voce dei Verve, perso tra mielose ballate, spesso ripetitive, facilmente dimenticabili e l'ossessivo tentativo di ripetere le atmosfere di "Bittersweet Synphony". Nemmeno il disco sound di "I'm a rebel" riporta vigore a un lavoro sinceramente trascurabile.

TAME IMPALA - Deadbeat
Nati come paladini di una psichedelia moderna e innovativa, i Tame Impala di Kevin Parker, sono progressivamente andati verso una dimensione trance/techno/house che potrebbe essere un effettivo nuovo sbocco delle radici precedentemente piantate. Il nuovo album è purtroppo incolore e noioso, impersonale, sostanzialmente deludente.

SHAME - Cutthroat
Tra i pionieri della nuova ondata post punk, hanno continuato un buon percorso molto più in sordina rispetto ad altri (Fontaines DC, Idles) assurti a notorietà globale. Il nuovo album è una buona conferma, pur se, paradossalmente, rischia di passare nell'anonimato, non dicendo granché di nuovo. Gli appassionati troveranno di che goderne, comunque.

THE PRIZE - In the red
Il quintetto australiano confeziona un arrembante album in perfetto equilibrio tra power pop, Buzzcocks, punk rock, mod rock '79 (gli amanti dei Chords troveranno molte similitudini). Compongono bene, sono compatti e diretti, duri e pieni di energia teen. Ottimo lavoro!

THE WIND UPS - Confection
La band californiana riprende il songbook dei Ramones, aggiunge una chitarra gracchiante e confeziona un buon terzo album che non brilla di originalità né entrerà negli annali ma si lascia ascoltare con piacere.

BEBALONCAR - Love To Death
Il trio bolognese ha già marchiato a fuoco la scena underground italiana con due album di grande valore che hanno coraggiosamente mischiato elementi poco utilizzati ai nostri giorni. In particolare i Velvet Underground più oscuri e malati, richiami shoegaze, Jesus and Mary Chain ma anche la psichedelia meno scontata e "floreale" degli anni Sessanta. Il nuovo lavoro, che chiude una trilogia incentrata sulla profondità e il tormento dell'animo umano, allarga gli orizzonti verso folk e dream pop, palesando un maggiore ottimismo sonoro, guardando più spesso agli amati anni Sessanta (vedi l'unica cover, Pretty Colors dei Just Us, del 1966). Di nuovo un disco di grande spessore, originalità, personalità. Imperdibile.

THE LANCASTERS - The Word of the Mistral
Nuovo eccellente lavoro per la band bresciana che non esita ad attingere dalla migliore tradizione rock blues targata anni Settanta (Stones, Led Zep, Trapeze, Grand Funk Railroad). Suonano benissimo, con una perfetta padronanza della materia e la capacità di comporre canzoni a livelli altissimi e di grande pregio. Non c'è alcun afflato nostalgico o revivalista ma solo un grande album di rock sanguigno, blues, ricco di freschezza, attualissimo.

THE GHIBLIS - High Noon Mirage
Sembra facile fare un album di surf strumentale nel 2025. Il problema è non essere prevedibili, in un contesto che (apparentemente) non offre molte vie d'uscita. I piacentini Ghiblis, invece, hanno studiato a fondo la materia e riescono a tirare fuor un album più che godibile, vario, ricco di influenze e riferimenti (dal rock 'n' roll al rhythm and blues, exotica, lounge, perfino perfino la canzone tradizionale napoletana, nella conclusiva "Napoli in farmacia"). Più che ottimo.

BOP GUN – Vol. 1
L’album d’esordio della band bolognese parla un linguaggio noto ma sempre accattivante e coinvolgente ovvero quello del funk arricchito da pennellate jazz e da occasionali intermezzi rocksteady/reggae (“Black a cop”), con un particolare legame al mondo delle colonne sonore anni Settanta. Il riferimento più immediato e ovvio va alla collaudata esperienza dei Calibro 35 ma in questo caso c’è una buona dose di originalità e personalità, oltre a una capacità compositiva ed esecutiva di gusto raffinato.

EDDA – Messe sporche
Non ha bisogno di particolari presentazioni l’ex voce dei Ritmo Tribale, tornato sulla scena musicale con un’attività solista ricchissima di soddisfazioni e riconoscimenti e che ora aggiunge il settimo album a una discografia di sempre alto livello qualitativo. Il nuovo lavoro torna al rock, più duro e arrembante, con sguardi al rock blues, fino ad arrivare al punk e al blues più malinconico. La classe è quella che conosciamo, lo stile che lo ha sempre contraddistinto rende “Messe sporche” un altro eccellente tassello di un’avventura sonora di grandissimo spessore.

ANDREA LASZLO DE SIMONE – Una lunghissima ombra
Un lavoro di difficile collocazione, accompagnato, non a caso, da un lungometraggio, di cui “Una lunghissima ombra” è l’ideale colonna sonora. Onirica, sognante, fluttuante, tra suoni e approccio ambient, canzone d’autore (da Lucio Battisti a Claudio Rocchi), psichedelia, prog, Radiohead. Ma c’è molto di più rispetto ai riferimenti elencati ed è una personalità da tempo definita e che spicca tra le migliori e più significative nella scena autoriale italiana. Un ascolto è d’obbligo.

DELTA V - Fatti ostili
Il settimo album dei Delta V fa immediatamente centro, restando ancorato alle proprie radici, come sempre perfettamente in equilibrio tra pop ed elettronica ma con un’anima post wave e tematiche conturbanti, fino a diventare quasi disturbanti (vedi il passaggio in Nazisti dell’Illinois “Leggi le classifiche, brucia le classifiche, non accontentarti mai, al limite spara al dj”). Album raffinato e curato, ricchissimo di spunti, avvolgente e ammaliante. L’augurio è di avere il giusto risalto, in un’epoca artistica in cui la mediocrità la fa da padrona.

WESLEY AND THE BOYS - Rock 'n' roll ruined my life
Il quartetto americano scartavetra le orecchie con un punk rock minimale, dai suoni compressi, distorti, primitivi, ritmiche ossessive, voce alla Lux Interior. Non c'è nulla che conceda qualcosa al gradevole, solo sporcizia del rock 'n'roll più truce.

SINGOLI

Temporary Blessings - Cold Blood
La band australiana si muove nel contesto (strumentale) delle colonne sonore dei film Sessanta (con particolare riguardo per Morrcione e Piccioni). Molto ben fatto.

Angels of Libra – I Fell In Love
Delizioso brano in pieno groove e stile Northern Soul. Da immediato dancefloor.

Jeb Loy Nichols - No Rest Without Love
Stupenbda soul ballad che riporta agliStones anni Settanta, Thee Sacred Soul e JJ Cale.

ASCOLTATO ANCHE:
ASH (carino ma nulla più), MONDO FREAKS (disco funk di grande eleganza e alto livello per la band australiana), RETI (soul/funk/disco dall'Estonia, ben fatto e con un ottimo groove), LAST DINNER PARTY (pop glam, sentore anni 70, trascurabili), S-TONE INC (soft soul funk, piacevole).

LETTO

I 500 grandi dischi del rock
Anche CLASSIC ROCK ha pensato bene di fare la classifica dei 500 MIGLIORI ALBUM ROCK di sempre.
Attraverso una scelta preventiva dei redattori si è arrivati alla lista finale.
Da parte mia ho scritto una cinquantina di schede (da Paul Weller ai Beatles, dai Bad Brains ai Black Flag, dai Sonic Youth a Patti Smith, da "Quadrophenia" a "Sandinista").
Il GIOCO è già stato fatto decine di volte e ovviamente tale rimane, altrettanto ovviamente è tutto opinabile, discutibile e grande sarà lo scandalo perché c'è questo e non quello e che, per me, vedere "Stanley Road" di Paul Weller al 452° posto dietro a "Hair of the dog" dei Nazareth fa friggere il sangue. Ma è appunto un gioco.
Un modo per fare conoscere ai più giovani quello che è (stato) il rock e per i più attempati ricordarsi di tanti titoli dimenticati.
L'aspetto più scontato ed evidente è la presenza in stragrande maggioranza di album dagli anni Sessanta alla fine degli Ottanta.

Klaus Romilar - Scala Richards vol.1
Un libro tanto visionario quanto accattivante per noi onnivori musicali.
Quattordici racconti firmati da Klaus Romilar, personaggio leggendario, frutto di un lavoro collettivo di vari scrittori appassionati di musica e letteratura.
Si viaggia in mille direzioni, tra episodi di vita vissuta e altri di situazioni immaginate.
La musica (a 360 gradi, dai Liquid Liquid a Jorma Kaukonen, da Bob Dylan a John Lee Hooker ai Dead Kennedys, ai "mali" del Prog Rock, con tanto di dritte finali in ogni capitolo per avvicinarsi ai nomi citati) è il filo conduttore di ogni episodio.
Ci si diverte molto e, non di rado, è facile immedesimarsi nelle vicende narrate.
Molto gradevole, scritto bene e con tanto gusto.
La prefezione di Marino Severini dei Gang vale da sola l'acquisto.

Cristiano Colaizzi / Corrado Rizza - Disco Playlist Italia 1975-1995
Esce a, distanza di due anni, il seguito di "Roma Disco Playlist -1965-1995" (sempre per VoloLibero).
"Disco Playlist Italia 1975-2025" è un maniacale elenco di 246 playlist (con relativo QR Code per ascoltarle), con 4.500 brani che documentano il lavoro di 196 DJ in 180 discoteche di tutte le regioni italiane, dal 1977 al 1995.
Scorrendole troviamo grandi sorprese, brani oscuri, hit dimenticate e una cultura della discoteca che esula dal consunto concetto di "musica commerciale da ballo", tra soul, Philly Sound, elettronica, new wave e altro.
La lista dei protagonisti è spesso nota e prestigiosa (da Cecchetto a Fiorello, Jovanotti, Roberto D'Agostino, Mozart, Ringo etc).
Il tutto contestualizzato all'epoca, gli anni di riferimento, con tanto di interviste, foto, note.
Tanto specifico quanto interessante.

Garageland #5
E' sempre un piacere, con l'aggiunta, ogni volta, di scoperte sulle sottoculture o realtà affini, leggere riviste come GARAGELAND.
Preziosi scrigni di piccole gemme che altrimenti si perderebbero nell'oblìo e che invece vengono conservate e diffuse ai più curiosi dell'ambito.
E così si passa da Rocky Roberts ai Dexy's Midnight Runners, alla scena skinhead polacca durante la fase socialista, un'interessantissima intervista a Maurizio Gamba degli Ulster 77 nella Roma punk del 77/78, un pezzo intrigante sul calcio e gli ultras in Libano.
Il tutto corredato da foto inedite o comunque rare e una grafica, come sempre curatissima e accattivante.
Per chi ama il contesto, una rivista imperdibile!
Articoli e interviste a cura di Alexandra Czmil (che è anche autrice della foto di copertina), Flavio Frezza, Alessandro Aloe, Letizia Lucangeli, Simone Lucciola, Antonio Bacciocchi, Giuseppe Ranieri e Matt Zurowski.
Contributi artistici di Mattia Dossi, Alo e Alberto Cianfrone AKA Raudo.

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

APPUNTAMENTI

NOT MOVING
"That's All Folks!" Tour


*** Domenica 9 novembre: Lucca Underground Festival- Capannori (Lucca) Polo Culturale Artemisia Ore 17
*** Sabato 23 novembre: Savona "Raindogs" ore 22
*** Venerdì 5 dicembre: Pisa "Caracol" ore 22
*** Sabato 13 dicembre: Poviglio (Reggio Emilia) "Caseificio La Rosa"
*** Venerdì 19 dicembre: Cagliari "Fabrik"
*** Sabato 20 dicembre: Sassari "Teatro Verdi"
To be continued in 2026
E' uscito venerdì 17 ottobre, in vinile (azzurro "blues" per le prime 500 copie) e CD “That’s all Folks!”, l’ultimo album dei Not Moving.

Dai primi concerti nel 1981 e dell’esordio discografico del 1982, Rita Lilith Oberti, Dome La Muerte e Antonio Bacciocchi hanno portato sempre avanti lo spirito della band. Anche nei lunghi periodi di pausa e allontanamento, i Not Moving hanno continuato a vivere nei reciproci progetti solisti, nella cura di ristampe (spesso con inediti), documentari, un live dagli anni Ottanta, una breve reunion tra il 2005 e il 2006. Nel 2017 il ritorno insieme con un nuovo album e un centinaio di concerti lungo la Penisola.
La storia ora si conclude.
Il rock ‘n’roll salva la vita (come cantava Lou Reed con i Velvet Underground) ma in cambio ti chiede l’anima, il cuore, la carne. Ti divora e distrugge.
Un prezzo concordato già nell’adolescenza e consegnato al Demone. Che ha restituito la vita che i Not Moving hanno sempre voluto e desiderato, nella sua sadica precarietà, anche quando il fisico perde i previsti colpi.
“That’s All Folks” era stato concepito come un omaggio alle radici da cui la band è partita: il blues. L’album si sviluppa su quelle coordinate, guardando però anche al punk, Gun Club, Cramps, The X, psichedelia, Rolling Stones, Bo Diddley e si chiude con il testo di “Not Moving” dei DNA di Arto Lindsay, brano tratto da “No New York” da cui la band prese il nome.

That’s All Folks!

TRACKLIST
1. Soul of a Man
2. But It’s Not
3. Wyoming Girl
4. Saphran Road
5. The Devil with the Blue Dress On
6. On My Side
7. Bo Diddley Doing Something
8. Once Again
9. Ray Of Sun
10. Not Moving

Per l'acquisto: https://lnk.to/thatsallfolks

CREDITS

All songs by Oberti/Petrosino except for “Once Again” (Petrosino), “Soul of a man” (Blind Willie Johnson), “The devil with the blue dress on” (Frederick Long/William Stevenson), “Not Moving” (lyrics by Arto Lindsay)

Rita Lilith Oberti: vox
Dome La Muerte: guitars, sitar
Antonio Bacciocchi: drums, percussions, tablas
Iride Volpi: guitars, backing vocals

Guests: Paolo Apollo Negri: piano, Hammond, keyboards.
Lorenzo De Benedetti e Martin Ignacio Isolabella: backing vocals.

Recorded at Elfo Studio by Alberto Calegari e Matteo Gagliano + Ale Sportelli Recording Studio.
Mixed by Matteo Bordin

Artwork by Luca Galvani
Inner photos: Andrea Amadasi (Lilith, Iride), Enrico Auxilia (Dome La Muerte), Martina Ridondelli (Antonio Bacciocchi)
Band photo: Velvet (Luciano Guazzoni)

TRACK BY TRACK

Soul Of a Man – Brano di Blind Willie Johnson del 1930, il primo provato e arrangiato per l’album, una reinterpretazione aspra di un piccolo classico blues (ripreso anche da Tom Waits e Eric Burdon).

But It’s Not – Rock ‘n’roll, punk, una spolverata di glam e tutta l’essenza della vita. “Credi sia una vacanza ma non è vero (But it’s not!). “L’inizio di batteria è un personale omaggio al batterista dei Jam, Rick Buckler, recentemente scomparso, di cui riprendo la stessa figura ritmica nella partenza della loro “All Around the World”, del 1977 (un anno di riferimento per tutti noi Not Moving)” (Antonio)

Wyoming Girl – Un pizzico dei Doors più blues, un tempo swingante, un piano honky tonk. “E’ la storia di tutte le donne che si trovano a un confine. Le donne sanno bene di cosa parlo”. (Lilith)

Saphran Road – In ogni album c’è sempre stato qualche riferimento più o meno esplicito ai Gun Club, quelli più romantici e disperati di “Las Vegas Story”, per noi maestri e capostipiti della nostra scena. “Il testo è un tentativo “gastronomico” per spiegare che le cose vanno come devono andare.” (Lilith)

The Devil with the Blue Dress On – Un brano conosciuto attraverso la versione proto punk di Mitch Ryder and the Detroit Wheels. Irraggiungibile per efficacia, di conseguenza riadattata a quella dell’autore Shorty Long ma con un taglio Cramps in odore di gospel. “Mi sono molto immedesimata in questo abito, un vestito blue(s).” (Lilith)

On My Side – Una canzone d’amore. “Tu sei sempre stato dalla mia parte” (Lilith)

Bo Diddley Doing Something – Non poteva mancare un omaggio ritmico al grande Bo Diddley, pensando però a come avevano usato il suo groove gli Stooges in “1969”.

Once Again – “E’ un brano con un arrangiamento dark-punk, molto anni 80, è un storia d’amore travagliata, un continuo su e giù, che è anche una metafora della vita che abbiamo vissuto come artisti, picchi di felicità e cadute disastrose, aspettando una risposta che non arriva mai, sogni infranti, senso di inadeguatezza, una guerra quotidiana con sé stessi e le proprie contrastanti emozioni, ma sempre alla ricerca di un riscatto.” (Dome)

Ray Of Sun – “New York nella notte più buia con i lividi di “Black and Blue” dei Rolling Stones. La solitudine. Il raggio di sole. Ma anche quello non scalda” (Lilith).
“Un riff con un andamento celtico, come una danza pagana al rallentatore, con inserti psichedelici, sitar e percussioni.” (Dome)

Not Moving – Lilith declama il testo di “Not Moving” dei DNA di Arto Lindsay, il brano da “No New York” da cui la band prese il nome. La chiusura del cerchio.

Dicono di "That's All Folks!"

"Un disco rock, scarno, diretto... onesto. Rita, Antonio e Dome non potevano scegliere modo migliore per uscire di scena" (Rumore)

"I Not Moving si congedano dallo loro nutrita schiera di ammiratori con un disco che condensa tutte le sfaccettature e gli amori di una vita vissuta all'insegna del rock'n'roll senza compromessi" (Blowup)

"I Not Moving tornano in scena sfoggiando quella speciale magia che la maturità affila a suon di sintesi e naturalezza" (Raro)

"That’s All Folks! è il testamento di una band irriducibile: non un nostalgico sguardo al passato, ma un ultimo urlo pieno di dignità, passione e memoria. I Not Moving se ne vanno come sono arrivati: indipendenti, selvaggi e necessari" (Tuttorock)

"Un disco intenso, che dimostra come in Italia ci siano ancora band rock con la stoffa dei grandi" (Long Live Rcok'n'Roll)

mercoledì, ottobre 29, 2025

The Seeds

Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

SPECIALE THE SEEDS.

Tra le più importanti e influenti band della scena garage punk americana (pur se molto più personali della maggior parte delle band dell'ambito), tra i primissimi a utilizzare la tastiera come basso (Ray Manzarek riprese la tecnica più tardi con i Doors), autori di un classico senza tempo come "Pushin Too Hard", compositori delle loro canzoni in tempi in cui le cover erano spesso preponderanti negli album dei loro contemporanei.

The Seeds (1966)
Esordio fulminante, crudo nei suoni, con la voce di Sky Saxon debitrice a Mick Jagger e Phil May dei Pretty Things.
Oltre a "Pushin Too Hard", la "sorella" (compositivamente e come struttura) "No Escape" e un altro gioiello come "Can't Seem to Make You Mine".
L'album ha un portamento molto maturo, pur partendo da matrici rhythm and blues, con riferimenti jazz, proto psichedelici e atmosfere spesso ipnotiche.

A Web of Sound (1966)
Uscito dopo solo sei mesi dall'esordio, segna già un cambio brusco di rotta, indirizzandosi verso suoni più psichedelici ("Just let Go") e sperimentali ("Roll' Machine" ad esempio) con la seconda facciata occupata quasi interamente da quasi 15 minuti di "Up In Her Room", un blues psichedelico scarno e ipnotico.

Future (1967)
Il focus si sposta sempre di più verso la psichedelia e il freakbeat, mantenendo però un legame solido con la matrice più ruvida degli esordi. Paradossalemente furono "accusati" di imitare i Beatles di "Sgt Peppers", uscito qualche mese prima, quando invece "Future" era stato registrato già da tempo.
In realtà le connessioni tra i due album sono minime.
La psichedelia dei Seeds è minimale e cruda. Utilizza strumenti inusuali ma di "flower" c'è poco.
"A thousand Shadow" riprende ancora una volta l'incedere di "Pushin' Too Hard", gli otto minuti di "Fallin'" sono un incubo lisergico, un trip andato male, "Sad and alone" è acida e dura. Disco molto interessante e troppo sottovalutato.

Sky Saxon Blues Band - A Full Spoon of Seedy Blues (1967)
Con una scelta poco oculata la band torna alle radici blues (collaborando con vari membri della band di Muddy Waters), cambiando anche nome in Sky Saxon Blues Band, pur con la stessa formazione dei Seeds, in un momento (fine 1967) in cui la psichedelia è al top dell'interesse mediatico e artistico.
Un buon album ma estremamente impersonale e derivativo.

Raw & Alive: The Seeds in Concert at Merlin's Music Box (1968)
La carriera si chiude con un finto album live, in realtà realizzato in studio con l'aggiunta successiva di applausi e urla. Scorrono le hit ma si avverte la mancanza della dimensione da palco e l'inserimento dei rumori del pubblico è palesemente posticcio e artefatto.
Il risultato è comunque gradevole, sorta di Greatest Hits della band.

Il successo sarà scarso, perdono membri del gruppo, Sky Saxon continua qualche anno prima di chiudere l'avventura SEEDS.
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