venerdì, ottobre 03, 2025

Not Moving - But It's Not

I Not Moving tornano con l’album conclusivo della loro storia iniziata nel 1981: “That’s All Folks!”, in uscita il 17 ottobre per La Tempesta Dischi / LaPop.

Il primo singolo “But It’s Not” è un manifesto del loro sound, tra punk, Rolling Stones, rock’n’roll, glam e blues.

Un riflesso di un lungo cammino fatto di palchi, dischi, illusioni e delusioni, alti e bassi, “wild time” con una “wild mind”, in quella che è sempre sembrata una vacanza: “But It’s Not”.

👉 Link pre-save https://lnk.to/butitsnot (su Spotify, Apple Music, Deezer, Tidal, Amazon Music).

#NotMoving #ThatsAllFolks #LaTempesta

BUT IT'S NOT

And (is) the day
Same old day
Becoming light blue
And the world
Is over my dreams
Becoming strong blue

Oh is an Holy Day
Wild Time
It's like a vacation
But It's not

Rainy days
Wet old days
Dreams (all) becoming blue
And sweet hearts
Went all wrong
Becoming violent blue

Oh (is) an Holy Day
Wild mind
It's like a vacation
But It's Not

Clic per un like:
https://www.facebook.com/profile.php?id=100051397366697

giovedì, ottobre 02, 2025

Devo

Riprendo l'approfondimento che ho scritto per l'inserto "Alias" de "Il Manifesto" sui DEVO, lo scorso sabato.

Difficilmente chi ha vissuto gli anni tra il 1977 e i primi Ottanta riuscì a percepire la portata enorme di quello che stava artisticamente accadendo nella musica, inizialmente tra Londra e New York, immediatamente dopo in mezzo mondo.
Il punk e la new wave diedero il via all’attività di centinaia, migliaia, di gruppi, con variabili sonore e creative diversissime, spesso geniali, sconvolgenti, travolgenti.
In molti arrivarono inaspettatamente (per i tempi) al successo e a un posto nell’Olimpo del “rock” (dai Sex Pistols, ai Ramones, Clash, Talking Heads, Blondie, per citare i più noti), altri rimasero nel dimenticatoio.
In mezzo una lunga lista di splendidi dischi e artisti, il cui spessore creativo riluce ancora oggi per innovazione e capacità compositiva.
La suddetta repentina divulgazione del “verbo” della new wave arrivò, ben presto, dalle metropoli alla profonda provincia, forse ancora più adatta ad accogliere le istanze rivoltose di una gioventù che non aveva nulla con cui sfogare le proprie aspirazioni e il proprio desiderio di qualcosa di nuovo.

Un’onda che giunse perfino in Ohio, nella grigia “capitale della gomma”, Akron.
E’ qui che, addirittura nel 1973, parte l’avventura di una delle band più personali e originali nella storia del rock, i DEVO.

La cui nascita e primigenio sviluppo (fino al successo che trovarono dal secondo album in poi) viene ripercorsa con abbondanza di dettagli e un ricchissimo compendio fotografico (con immagini uniche e inedite) nel libro “Devo. In principio era la fine. L’incredibile storia dei DEVO e della loro fondazione” di Jade Dellinger e David Giffels, tradotto in italiano da Matteo Torcinovich per Hellnation Libri.

“Aveva una patina infernale e deprimente, una specie di strato di lattice sporco che riempiva l’aria, e così era la gente di Akron. I loro figli erano pronti a cadere nel baratro in qualsiasi momento. Erano talmente abbattuti che stavano per dare di matto. Tutto ciò si adattava perfettamente ai movimenti artistici del Novecento, Espressionismo, Dada e altro. Avevamo una visione tutta nostra, una visione di gomma. Siamo cresciuti come sfigati in Ohio, circondati da negozi per forniture per la pulizia, fabbriche di pneumatici, cataloghi di attrezzature industriali, guanti di gomma. Invece di vergognarcene o di cercare di negarlo, li abbiamo utilizzati” (Jerry Casale, bassista della band).

“Akron era la seconda città più grigia d’America, dopo Seattle. Condividevamo un certo disprezzo per un luogo in cui un gran numero di giovani non aveva futuro, a parte quello di lavorare in quelle fabbriche di gomma calde e sporche” (Mark Mothersbaugh, voce e tastiere).

Prima del celebre e fondamentale esordio del 1978, “Question: Are We Not Men? Answer: We Are Devo!”, prodotto nientemeno che da Brian Eno (dopo una fortunosa vicenda di una cassetta portata a Iggy Pop a un concerto, passata a David Bowie, in tour con lui e approdata al celebre musicista e produttore.
Cose che potevano accadere “una volta”), uno degli album più rivoluzionari e sorprendenti di sempre, la band ci mise più di un lustro per affinare sonorità e soprattutto immagine.
A cui si aggiunse un concept unico, filosofia portante della vicenda del gruppo, la “Devo-luzione”, una teoria in base alla quale l'umanità, invece che continuare a evolversi, avrebbe incominciato a regredire, come dimostra(va) la mentalità gretta della società statunitense, all’opposto dell’idealismo pseudo progressista e di presunta guida culturale e sociale del mondo, americano.

Non fu mai compreso appieno quanto il loro messaggio, radicale, anti sistema, la loro critica feroce al capitalismo americano, alle sciocche nostalgie per le tradizioni ("di un mondo che non è mai esistito"), non sia mai stato recepito, se non marginalmente (come malinconicamente evidenzia il recente doc su Netflix, “Devo” di Chris Smith) ma siano sempre stati considerati solo una band bizzara se non addirittura sciocca e caricaturale.

“Non eravamo veramente musicisti pop. Eravamo scienziati, reporter musicali. Siamo stati influenzati più dagli artisti pop multimediali e concettuali dell’epoca che dalla musica che si trasmetteva alla radio. Artisti visivi, come Andy Warhol, artisti degli anni Sessanta che avevano a che fare con concetti e idee. Volevamo far parte di questo, piuttosto che sederci con una chitarra in mano per il resto della nostra vita a scrivere canzoni. Vedevamo il mondo intero, la tecnologia e tutte le cose naturali e artificiali, come un potenziale materiale attraverso cui trasmettere il nostro messaggio”. (Mark Mothersbaugh).

I DEVO seppero condensare un immaginario futurista con le movenze robotiche dei musicisti sul palco (mutuate dalla lezione dei Kraftwerk) e un vestiario che rappresentava, sarcasticamente, quello della classe operaia della loro città, con tute gialle da lavoratori dell’industria chimica e tecnologica.

I DEVO erano un collettivo.

La band intendeva presentarsi come un gruppo unito, composto da lavoratori senza volto, con chitarre e sintetizzatori nella cassetta degli attrezzi.
Colonna sonora: una musica mai sentita che prendeva e rivoltava/devolveva il rock‘n’roll in una nuova miscela, ardita, arrembante, in cui new wave, elettronica, punk e sperimentazione, si univano a creare un nuovo ibrido pop.
Il manifesto del gruppo fu la rivisitazione sincopata e stravolta di “Satisfaction” dei Rolling Stones. Mick Jagger concesse con molto piacere il permesso di pubblicare una versione così irriverente, che poco o niente conservava di quella originale.
All’epoca fu stupefacente immaginare cosa poteva prefigurare una simile base di partenza. Anche perché, nell’esordio, la band affiancò brani come “Mongoloid” (difficile, se non impossibile, che con un titolo così, al giorno d’oggi, il brano potrebbe essere pubblicato) o “Uncontrollable Urge”, dall’imprevedibile ritmo in 7/4 che evidenziava la preparazione tecnica dei musicisti della band.
L’effetto colse di sorpresa tutti.

Basti pensare che la prestigiosa rivista “Creem” lo mise al primo posto tra gli album New Wave dell’anno ma i lettori votarono i DEVO al terzo tra i “migliori” gruppi e allo stesso posto tra i “peggiori”. Il famoso critico Lester Bangs li liquidò come “musica giocattolo”.

Ebbero la benedizione del pubblico del CBGB’S New Yorkese (pare che quasi tutti i gruppi passati per di lì abbiamo avuto un qualche tipo di successo) e di quello californiano e in breve sfondarono. Non durò molto (anche a causa di un processo legale intentato da Bob Lewis, tra i fondatori e ideologi del gruppo, che tagliò economicamente le gambe alla band) ma arrivarono ben presto anche al successo commerciale, dopo l’interlocutorio “Duty Now For The Future” (1979) con “Freedom Of Choice” (1980) e “New Traditionalists” (1981) e una serie di azzeccati singoli che diluivano in pop elettronico le precedenti intuizioni.
Il resto è normale amministrazione artistica.
Come chiosa il sopracitato libro, paradossalmente, i DEVO arrivarono ad autocitarsi involontariamente:
“I DEVO si sono devoluti. La loro storia degli anni Ottanta include tutti i clichés dei documentari rock: abuso di droghe, relazione tese, compromessi commerciali e passi falsi artistici”.

Cambiano le formazioni, la band resta a lungo silente, torna periodicamente ad esibirsi, si susseguono compilation, tributi, documentari, una vodka con il loro nome, l’arrivo nella Rock And Roll Hall Of Fame nel 2018.
Scompaiono membri storici come Bob Casale e Alan Myers ma il mito resiste, grazie alla creazione di un immaginario inimitabile e unico e a una delle migliori e più intriganti idee mai concepite all’interno della storia de rock.

“Anche se fin dall’inizio abbiamo sempre detto, con grande consapevolezza, che l’inizio era la fine e che la verità sulla Devolution incarnava questa idea ovvero che la fine arriva sempre inaspettata. La fine precisa non la capisci mai, non puoi prevederla ed è proprio questo lo scherzo perverso della faccenda”. (Jerry Casale)

martedì, settembre 30, 2025

Settembre 2025. Il meglio

Sembra impossibile ma ci stiamo avvicinando alla fine del 2025: tra i migliori album quelli di Little Simz, Bob Mould, The New Eves, Big Special, Kae Tempest, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Paul Weller, Cardiacs, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins, The Who, Nat Birchall.

Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella, Alex Fernet, Mars X.

JON BATISTE - Big Money
L'artista americano ritorna alle sue radici più profone, tra blues, gospel, soul, country, rhythm and blues, jazz. Il tutto suonato quasi live in studio, con collaboratori come Nick Waterhouse, Randy Newman, le Womack Sisters (nipoti di Sam Cooke), tra gli altri. Un lavoro molto intenso, diretto, sincero, pieno di groove e di riferimenti colti e di alto livello. Più che ottimo.

CURTIS HARDING - Departures & Arrivals: Adventures of Captain Curt
Si vola in alto con questo semi concept di grandissima qualità compositiva, arrangiamenti superbi, atmosfere ultra cool.
Soul funk, con orchestrazioni raffinate, un groove elegante e avvolgente, i soliti Curtis Mayfield e Marvin Gaye che guardano benevoli dall'alto.

CARDIACS - LSD
Ho avuto poche opportunità di seguire la band di Tim Smith, prematuramente scomparso nel 2020. L'ultimo album, completato postumo, è una valanga di idee, psichedelia, somma di influenze (a caso possiamo identificare XTC, Gong, King Gizzard and the Lizard Wizard, Devo, prog, attitudine punk e mille altre cose) che stordiscono per la loro sorprendente varietà, capacità di annullare ogni riferimento prevedibile. Difficile trovare un altro disco vagamente simile. Lascia senza fiato.

SUEDE - Antidepressants
Un ottimo album, elettrico, aggressivo, con i classici riferimenti Bowiani e post wave ma con un piglio arrembante che dona agli undici brani una grande energia. Un lavoro convincente, immediato, urgente.

CHAMALEONS - Arctic Moon
Assente dalla scena da oltre 20 anni, con un buon passato negli 80s' a base di un sound post new wave dalle inflessioni Sixties con chitarre Byrdsiane (non lontani dal gusto caro a Echo & the Bunnymen), torna la band inglese con un buon album. Non rimarrà negli annali e nemmeno nel meglio del 2025 ma si lascia ascoltare con piacere (vedi "Savioura are a dangerous" o "Where are you?".

DAVID BYRNE - Who Is The Sky?
Il genio di David Byrne lo conosciamo e non ha bisogno di presentazioni. Se ne sente traccia anche nel nuovo album che però stenta sempre a decollare. Tanti contenuti da chiari echi Talking Heads, ritmi e suoni latini, sperimentazione e altro sparso. Un buon ascolto ma che non lascia particolari segni.

THE DIVINE COMEDY - Rainy Sunday Afternoon
Dopo 6 anni di silenzio torna la creatura di Neil Hannon, come sempre alle prese con un repertorio lirico, dalle forti tinte alla Bacharach/Scott Walker che talvolta sfociano in deliziose ballate alla Kinks (vedi la title track). Come sempre una garanzia di qualità.

MALVOS – In the mood
L’eredità dei Ramones non smette di essere raccolta da nuove band, tanto è stata importante, decisiva, seminale. La band torinese mette in scena l’ennesimo omaggio a Joey e compagni, suonando in perfetto stile, con tanto di cover riuscita di “Self Control” di Raf. Punk rozzo, diretto, melodico, mid tempo. Ci vuole comunque talento per non sembrare una cover band degli amati e loro ci riescono molto bene, con canzoni sempre ben composte, fresche, efficaci. Un ascolto piacevolissimo.

MAD DOGS - The Future Is Now
Si fa presto a dire rock ‘n’ roll, punk, garage. Tecnicamente può non essere una faccenda complicata ma bisogna saperlo fare, se non si vuole cadere nel ridicolo e scontato. I Mad Dogs sono maestri in questo, da sempre attaccati alle radici classiche (Mc5, Stooges, New York Dolls, punk rock, Hellacopters etc) ma sempre in grado di aggiungere quel tocco di personalità che li rendono immediatamente distinguibili dal resto. Grande album!

MARS X - The Rabbit Hole
Esordio con il botto per il supergruppo bolognese, composto da solide e immarcescibili glorie del punk rock bolognese, Mars Valentine, Riccardo Pedrini, Franz Attack e Cesare Ferioli, dei quali è impossibile stilare un curriculum vitae senza riempire una pagina. A produrre il sigillo perfetto di Glezos, un altro che se ne intende e che rientra in quanto detto sopra. Come specificato, è punk rock (Damned, Dead Boys, Adverts, Sex Pistols, tra i tanti, fanno spesso capolino) ma declinato in una visione fresca, attuale e moderna. Canzoni potenti, aspre, semplicemente belle e un album di gran pregio, vitalità, sincerità, urgenza. Avercene!

NERO KANE – For the Love, the Death and the Poetry
Quanto è difficile distinguersi nel marasma di pubblicazioni che ormai travolgono l’ascoltatore. Uscire dal seminato e dalla prevedibilità è impresa ardua. Personaggi come Nero Kane, da sempre, sanno come fare. Attingendo da un background ricchissimo di influenze, radici, riferimenti, da dove acquisire elementi da mischiare a piacimento con la propria personalità, per creare un unicum originale, immediatamente identificabile, mantenendo il legame con le proprie fondamenta ma, ogni volta, riuscendo a proporre qualcosa di inedito e sorprendente. Nel nuovo album c’è di tutto: dalla solennità classicheggiante al blues, dal folk di gusto gotico a Nick Cave, dalle suggestioni care alle opere soliste di Nico al desert country “noir” di Johnny Cash. Ma c’è soprattutto l’anima (oscura) dell’autore, affiancato dalla visione artistica a 360 gradi di Samantha Stella, che ammanta molte parti dell’opera. Un lavoro che si impreziosisce per la sua unicità, introvabile altrove. Un ascolto è d’obbligo.

MINISTRI – Aurora popolare
La carriera ventennale è sinonimo di maturità artistica e compositiva, da parte di una delle band più iconiche della scena nostrana. Il nuovo lavoro ne conferma le qualità, la capacità di costruire assalti sonori travolgenti e devastanti, rabbiosi e cattivi, a cui potere affiancare momenti introspettivi e riflessivi. Un ulteriore passo avanti nel loro ormai lungo cammino che giunge ora all’ottavo album, ancora una volta, più che ottimo.

LETTO

Kevin Rowland - Bless Me Father: A life story
Dopo un lavoro durato vent'anni KEVIN ROWLAND porta a termine una faticosa, introspettiva, personalissima e drammatica autobiografia.
Ci sono ovviamente abbondanti spazi all'attività musicale con i Dexy's Midnight Rummers e progetti collaterali (a cui il lettore avrebbe voluto maggiore spazio e attenzione ma che, non di rado, vengono trattati come un aspetto quasi secondario di una vita convulsa e incerta) con i successi e i fallimenti ma buona parte del racconto è riservato all'adolescenza, all'infanzia, al difficilissimo rapporto con padre (vedi titolo) e stretti consanguinei, fino all'oscuro e lungo periodo di dipendenza dalla cocaina, la bancarotta, i conti con la sua sessualità e altri aspetti molto personali e intimi, spiattellati senza troppi filtri.
Una lettura talvolta ridondante e con cadute di tono ma per i fan, non solo dei Dexy's ma della scena inglese dagli Ottanta in poi, è un compendio interessante per aggiungere nuovi particolari, spesso inediti e sorprendenti, al periodo.

Gian Marco Griffi - Ferrovie del Messico
Pur il più accanito lettore rimane un attimo perplesso quando si appresta ad affrontare 824 pagine di libro (meglio dedicarsi a letture più agili e facili?): eppure "Ferrovie del Messico" scorre veloce, ironico, gustoso, ricchissimo di personaggi surreali e situazioni quasi psichedeliche, eventi inaspettati tanto divertenti quanto drammatici.
Una lettura ipnotica che raramente soffre di stagnazioni e che invoglia a continuare a scoprire ciò che potrà accadere.
I riferimenti sono molteplici, andando, a caso, da Cesare Pavese a Luigi Meneghello, Steinbeck e Borges.
La vicenda del protagonista principale Francesco Magetti, detto Cesco (e il suo costante mal di denti) nella Asti del 1944, occupata da nazisti, si dipana in mille direzioni e vicende che, talvolta, perdono i collegamenti ma alla fine riportano alla narrazione corretta.
Bello, consigliato, avvincente.

Moon Unit Zappa - Terra chiama Luna. Un viaggio folle e sincero con un padre di nome Frank Zappa
La questione è stata ampiamente dibattuta e risulta ormai quasi banale, tante sono le volte che è stata approfondita. Ovvero quanto la figura dell'artista sia compatibile o accostabile a quella dell'essere umano che la rappresenta.
Di fronte al genio del nostro musicista preferito o comunque unanimemente osannato, può tranquillamente passare in secondo piano un eventuale profilo umano discutibile o perfino deprecabile?
Influisce il suo comportamento privato con l'arte espressa nella sua musica? O sono due elementi completamente separati?
Moon Unit Zappa è la primogenita di Frank Zappa, monumento della musica del Novecento, sperimentatore, provocatore, innovatore e tantissimo altro.
Cresciuta all'ombra dell'ingombrante, egocentrica, anaffettiva, fino alla crudeltà, figura paterna, ne rende una devastante testimonianza nella sua recente autobiografia “Terra chiama Luna”, edita da Mondadori, tradotta da Gianni Pannofino.
Non meglio era la madre, Gail Sloatman che sposò Zappa nel 1967, poco prima di mettere al mondo Moon Unit. Le vicende narrate nel libro ci portano in territori di abusi psicologici (talvolta anche fisici) di estrema ferocia, peraltro assolutamente ingiustificata nei confronti della figlia e dei suoi successivi due fratelli (Dweezil e Ahmet) e la sorella (Diva).
A tratti le situazioni sono insopportabili, per quanto l'autrice riesca sempre ad alleggerire, spesso con buone dosi di (auto)ironia, lo sdegno a fronte di certi episodi. Frank Zappa ne esce come un personaggio esclusivamente concentrato sul suo lavoro, quasi mai incline a un gesto d'affetto o alla benché minima considerazione per i figli e la moglie, succube e rassegnata al suo strapotere, disposta a perdonare i suoi palesi e ripetuti tradimenti.v O è confinato nel suo studio, dal tardo pomeriggio alle prime ore della mattina o impegnato in lunghi tour intorno al mondo, che lo rendono pressoché sempre assente dalla vita affettiva e famigliare.
Gail (Moon sottolinea di averli sempre chiamati per nome, praticamente mai “mamma” o “papà”) sfoga la sua frustrazione sui figli, la primogenita in particolare.
L'aspetto più destabilizzante è che può essere protagonista anche di atti di grande amore e magnanimità, improvvisi, decontestualizzati, poi annientati da momenti di pura e semplice cattiveria gratuita.
La bambina Moon cresce in un ambiente anarchico e caotico, in cui genitori (ma non solo) girano nudi, le GTOs' (il gruppo di groupie care a Zappa) saltellano in casa in abiti comunque sempre succinti (pur se molto amorevoli con lei), l'amante neozelandese di Frank soggiorna a lungo tra le mura domestiche, facendo ovviamente impazzire la moglie (che si “divide” anche con un'altra amante europea di Zappa che minaccia spesso di raggiungere e abbandonare la famiglia).
“Una variegata coorte di sognatori libidinosi, tizi strampalati, sbandati e ruffiani viene da noi per scroccare a ciclo continuo. Io porto ancora il ciuccio appeso al collo, che mi dà un senso di sicurezza e non so mai chi è affidabile e chi no, chi si scopa mio padre e chi no.
Le stanze sono pervase dell'afrore di uomini e donne che ballano sui ripiani della cucina.
Il nostro giardino sul retro è pieno di oleandri, edere, sanguinella, merda di cane, vecchi cartoni del latte e cera che profuma di garofano. Non mi piace vedere sconosciuti nel nostro giardino che fanno acrobazie o si mettono a produrre candele, nudi, vicini ai miei giocattoli.
I miei piedi cominciano a guarire dopo che due signore che dovevano prendersi cura di me hanno lasciato che me li ustionassi su un termosifone”.
Nel 1982, a 14 anni, viene proiettata nello show business da un brano del padre, “Valley Girl”, con il quale vuole ridicolizzare il mondo della San Fernando Valley, dove la famiglia viveva.
Moon imita il tipico accento, lessico e argomentazioni delle sue coetanee del luogo.
La canzone arriverà nella top 40 americana, il risultato più alto ottenuto nella carriera di Zappa, che ne resterà particolarmente contrariato, trattato come “artista emergente” e autore di canzoncine divertenti. Peraltro ci vorrà tempo e l'ausilio della madre per attribuire parte dei diritti anche a Moon, contro il parere di Frank.
La ragazza diventa famosa, appare spesso in televisione, tra interviste e ospitate. Troppo e troppo presto, ne rimarrà quasi schiacciata.
Alla ricerca di un equilibrio e di una vita che non fosse legata alla figura paterna, Moon trova lavoro come conduttrice televisiva e come comparsa e piccoli ruoli in film e serie televisive.
La morte di Frank Zappa, nel 1993, per cancro, sarà un lungo e lento calvario, anche in questo caso ricco di sgarbi e bassezze tra i membri della famiglia.
Ma il peggio arrivò successivamente.
Gail tenne nascosto ai figli le disposizioni di Frank che avrebbe voluto un'equa divisione del suo patrimonio tra i cinque eredi, si intestò tutto, finendo anche in abissi debitori, problemi con le case discografiche, cause legali, spesso finite male, una gestione del materiale rimasto inedito spesso schizofrenica e inadeguata.
I figli ne furono travolti ed entrarono in conflitto tra loro, anche a causa di assegnazioni arbitrarie dei beni fisici di Zappa, dai dischi alle chitarre.
Ancora di più quando nel 2015, alla morte della madre (“non ha mai abbandonato il suo posto di comando in battaglia, anche se ha contribuito a perpetrare la guerra”), furono disposte quote differenti, attribuendo il 30% agli ultimi arrivati Ahmet e Diva e il 20% a Dweezil e Moon ma con la clausola che fosse Ahmet il gestore e che una divisione dei compensi sarebbe stata possibile solo quando la società che gestiva i diritti sarebbe tornata in attivo (gli errati investimenti di Gail avevano portato a un buco di parecchi milioni di dollari). Anche in questo caso piovono cause e querele, le loro vite si allontanano sempre di più.
“Sto imparando che che nulla può spingere certe persone ad amare. Io sono una cifra, una spesa, un guadagno, una perdita, una controparte con cui negoziare.
Non siamo una famiglia: siamo un'azienda camuffata da famiglia...dopo una vita passata a firmare documenti in cui si proclamava la nostra uguaglianza – una vita che credevo ispirata a un'idea di famiglia che ci impegnava tutti, una vita passata ad affermare principi che all'improvviso, con uno slittamento tettonico, si trasformano nel loro opposto – mi sento così tradita da non riuscire a pensare e parlare.”
La vita di Moon prosegue tra un matrimonio fallito e una figlia, ricerca spirituale attraverso filosofie orientali (anche in questo caso macchiate da vicende non sempre chiare e limpide con il guru di riferimento), varie altre attività sempre all'interno dello spettacolo, fino a una disperata e spiazzante ricerca di “conoscere come siamo fatti dentro” iscrivendosi a una scuola di anatomia, attraverso la quale dissezionare i cadaveri.
Un libro profondamente malinconico, acre e angosciante, una costante ricerca, a volte al limite dell'elemosina, di un atto d'amore da parte dei famigliari, evento raro, prontamente ripagato da profonde delusioni o pugnalate dolorose e inaspettate alle spalle.
Stupisce la capacità di “sopravvivenza” di Moon a tutto ciò, aggrappata a una visione positiva della vita, mai rassegnata alla totale disillusione e pur sempre devota alla figura paterna.
All'età di 58 anni ha deciso di scriverne, cercando proprio nelle ultime pagine un'ennesima riconciliazione con i fratelli che non vede e sente da anni.
Le ultime parole del libro sono proprio per loro “E' tutto perdonato. Tornate a casa”.

Andrea Valentini - 100 dischi essenziali dell’hardcore italiano del periodo 1983-1989
Andrea Valentini è un appassionato cultore di dischi "rumorosi" (vedi i suoi impegni letterari per Venom e Johnny Thunders, ad esempio).
La sua competenza è inattaccabile e indiscutibile quando affronta il periglioso impegno di elencare i 100 dischi essenziali dell’hardcore italiano del periodo 1983-1989 e altre 100 schede brevi, allegato al mensile "Rumore".
L'hardcore italiano è stato uno dei fenomeni più incredibili e interessanti della musica italiana recente ma che, proprio per la sua particolarità, non ha bisogno di tante spiegazioni e approfondimenti.
E' invece più che importante conservare memoria artistica e "politica" di quel periodo e guide come questa sono essenziali.
Saltiamo subito la prevedibile e noiosissima sequela di diatribe "non c'è questo/non c'è quello" e andiamo a rilevare quanto il lavoro sia completo, certosino, con numerose testimonianze dirette dei protagonisti e un'ironia essenziale che accompagna gli scritti.
Interessante la prefazione che sottolinea quanto in alcuni casi ci sia stata un'espilicita mancanza di collaborazione e come qualcuno abbia rivelato che alla fine a certi slogan non è che ci credessero poi tanto.
Anche questo fa parte della storia.

Detail. The Magazine for Modernists
Molto particolare e interessante la rivista DETAIL (Magazine for Modernists).
Settanta pagine (vedi il numero 17, mentre il 18 è appena uscito, di cui riporto la copertina a fondo articolo.
Il MODernismo viene approfondito in tutti i suoi aspetti, anche quelli meno conosciuti e più "tangenti". Vedi ad esempio l'estesa intervista a Matt Deighton dei Mother Earth e la sua esperienza con Paul Weller oppure un ottimo articolo sulla Ace Records che tanti gioielli ci ha regalato in ambito blues e rhythm and blues.
Focus anche sulla linea della Citroen DS, così vicina ai gusti mod o lo spazio e il prime mover della scena mod svedese e fondatore della Cosmos Records.
DETTAGLI, particolarità dell'universo mod, altrimenti trascurate o poco considerate.
Un compendio essenziale per chi intende approfondire al 100% l'argomento.

VISTO

DEVO. Doc per Netflix di Chris Smith
Un doc esaustivo, ben fatto, sintetico (un'ora e mezzo) che riassume alla perfezione la splendida (quanto amara) vicenda dei DEVO.
Partendo dalle origini (alle quali è dedicato gran parte del lavoro), utilizzando rari e inediti filmati degli esordi, una serie di documenti relativi alle loro ispirazioni e le celebrità che li apprezzarono (da Bowie a Jagger a Lennon a Neil Young).
L'aspetto più rilevante è la constatazione (spesso malinconica, da parte degli stessi protagonisti) di come il loro messaggio, radicale, anti sistema, la loro critica feroce al capitalismo americano, alle sciocche nostalgie per le tradizioni ("di un mondo che non è mai esistito"), non sia mai stato recepito, se non marginalmente.
I DEVO sono stati per lo più considerati una band bizzarra, curiosa, dai costumi ridicoli, che ha ottenuto il successo con il singolo "Whip It" (anch'esso, il video in particolare, male interpretato nel suo significato).
In realtà è stato uno dei progetti più interessanti, audaci e creativi a cavallo tra i 70 e gli 80.
Un doc davvero ben riuscito (solo su Netflix).

Madness | La folle avventura dello ska britannico
Segnalo questo (breve, meno di un'ora) interessante doc (per ARTE.tv Documentari) dedicato ai MADNESS e alla scena SKA britannica a fine Settanta. Divertente e con tanti filmati d'epoca.

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

APPUNTAMENTI

Nei prossimi giorni tornano i NOT MOVING.

lunedì, settembre 29, 2025

The Monkees



Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back.

Speciale THE MONKEES.

Una delle band più anomale della storia del rock , quella dei MONKEES è una storia esemplare.

Costruiti a tavolino dalla Gem Artists che selezionò i quattro membri (scartando anche un giovanissimo Stephen Stills) con un’inserzione su Variety e che confezionò il prototipo del perfetto gruppo beat , palesemente ispirato dai Beatles e in particolare dalle (dis)avventure rocambolesche, ironiche e simpatiche dei films “Help” e “A hard day’s night”.

I quattro Monkees erano solo l’immagine , alla musica (nei primi due album non componevano né suonavano nulla) al look , alla serie televisiva che li lanciò , pensava la produzione.
La serie televisiva “The Monkees” andò in onda con la prima puntata nel settembre 1966 e fu un immediato successo che li portò in testa alle classifiche e fruttò loro ben 29 dischi d’oro !!

Il gruppo viene liquidato abitualmente con disprezzo e facile ironia.
In realtà la qualità del prodotto fu sempre altissima e anche quando i quattro si liberarono dalle ristrettezze della produzione incominciando a comporre e suonare , seppero regalare momenti interessanti e di ottima elevatura artistica.
Non è noto a molti che i Monkees furono tra i finanziatori del film “Easy rider” assieme a Jack Nicholson (conosciuto sul set del loro film psichedelico e surreale de l68 “Head” e con loro nella foto in bianco e nero),comprarono la strumentazione alla band dei Three Dog Night per permettere loro di compiere i primi passi, furono i primi a usare il Moog in un disco pop nel 1967 (nel brano “Daily nightly” in “Pisces, Aquarius, Capricorn & Jones Ltd” ottimo album tra beat e psichedelica).

In quanto alla presunta mancanza di capacità musicali, Mike Nesmith era e fu in seguito valente compositore di country, Davy Jones aveva già avuto esperienze musicali e teatrali, Peter Tork suonava nel circuito folk del Greenwich Villane e Mickey Dolenz fu batterista con la garage band dei Missing Links.

Realizzarono cinque buoni album prima di sciogliersi lentamente attraverso l’abbandono di Tork, poi di Nesmith, passando attraverso varie ricostituzioni poco significative con altri membri, fino ad una reunion, ancora coronata dal successo.

Una band da riscoprire e di cui apprezzare una lunga serie di eccellenti songs.

Discografia essenziale
(NOTA BENE: dall’ottobre 66 al dicembre 68 hanno pubblicato SEI ALBUM)

The Monkees (ottobre 66)
More of the Monkees (gennaio 67)
Sono gli album più beat e diretti, con il classico suono Monkees, beatlesiano, pulito, molto soft. Nel primo ci sono “Theme from the Monkees”, “Last train to Clarksville”, nel secondo “Steppin stone” , “I’m a believer”, “Mary Mary”.

Headquarters (giugno 67)
Il primo tentativo di andare avanti, con brani più complessi e particolari (eccellenti “For Pete sake” e “Randy scouse git”).

Pisces, Aquarius, Capricorn & Jones, Ltd. (novembre 67)
Psichedelico, molto personale, un piccolo gioiello di psycho beat soft, il loro vertice artistico.

The Birds, The Bees & The Monkees (Maggio 68)
Vanta un capolavoro come “Valleri” e le stupende “Daydream believer” e “Po Box 9847” ma non è particolarmente ispirato.

Head (Soundtrack) (dicembre 68)
La colonna sonora, visionaria, psichedelica, tanto quanto il surreale film. Strano ma non essenziale.

I successivi “Instant replay”, “Present” , “Changes” e “Pool it” sono stati realizzati da membri della band ma non più con la formazione originale e pur essendo dignitosi non hanno granchè di interessante.

PS: nei primi 80's il gruppo molto vicino alla scena mod dei JETSET riprese da vicino sia il sound che lo stile e il mood dei Monkees incidendo alcuni ottimi album di pregevole beat cristallino.

venerdì, settembre 26, 2025

Detail. The Magazine for Modernists

Molto particolare e interessante la rivista DETAIL (Magazine for Modernists).

Settanta pagine (vedi il numero 17, mentre il 18 è appena uscito, di cui riporto la copertina a fondo articolo. Per averlo qui: https://www.detailmaguk.com/product-page/detail-issue-18-pre-sale-includes-uk-delivery-autumn-2025

Il MODernismo viene approfondito in tutti i suoi aspetti, anche quelli meno conosciuti e più "tangenti". Vedi ad esempio l'estesa intervista a Matt Deighton dei Mother earth e la sua esperienza con Paul Weller oppure un ottimo articolo sulla Ace Records che tanti gioielli ci ha regalato in ambito blues e rhythm and blues.
Focus anche sulla linea della Citroen DS, così vicina ai gusti mod o lo spazio e Frederick eralnder, prime mover della scena mod svedese e fondatore della Cosmos Records.

DETTAGLI, particolarità dell'universo mod, altrimenti trascurate o poco considerate.
Un compendio essenziale per chi intende approfondire al 100% l'argomento.

mercoledì, settembre 24, 2025

Andrea Valentini - 100 dischi essenziali dell’hardcore italiano del periodo 1983-1989

Andrea Valentini è un appassionato cultore di dischi "rumorosi" (vedi i suoi impegni letterari per Venom e Johnny Thunders, ad esempio).
La sua competenza è inattaccabile e indiscutibile quando affronta il periglioso impegno di elencare i 100 dischi essenziali dell’hardcore italiano del periodo 1983-1989 e altre 100 schede brevi, allegato al mensile "Rumore".

L'hardcore italiano è stato uno dei fenomeni più incredibili e interessanti della musica italiana recente ma che, proprio per la sua particolarità, non ha bisogno di tante spiegazioni e approfondimenti.
E' invece più che importante conservare memoria artistica e "politica" di quel periodo e guide come questa sono essenziali.

Saltiamo subito la prevedibile e noiosissima sequela di diatribe "non c'è questo/non c'è quello" e andiamo a rilevare quanto il lavoro sia completo, certosino, con numerose testimonianze dirette dei protagonisti e un'ironia essenziale che accompagna gli scritti.

Interessante la prefazione che sottolinea quanto in alcuni casi ci sia stata un'espilicita mancanza di collaborazione e come qualcuno abbia rivelato che alla fine a certi slogan non è che ci credessero poi tanto.
Anche questo fa parte della storia.

Si trova qui: https://rumoremag.com/2025/07/29/100-dischi-hardcore-essenziali-rumore/

lunedì, settembre 22, 2025

Kevin Rowland - Bless Me Father: A life story

Dopo un lavoro durato vent'anni KEVIN ROWLAND porta a termine una faticosa, introspettiva, personalissima e drammatica autobiografia.

Ci sono ovviamente abbondanti spazi all'attività musicale con i Dexy's Midnight Rummers e progetti collaterali (a cui il lettore avrebbe voluto maggiore spazio e attenzione ma che, non di rado, vengono trattati come un aspetto quasi secondario di una vita convulsa e incerta) con i successi e i fallimenti ma buona parte del racconto è riservato all'adolescenza, all'infanzia, al difficilissimo rapporto con padre (vedi titolo) e stretti consanguinei, fino all'oscuro e lungo periodo di dipendenza dalla cocaina, la bancarotta, i conti con la sua sessualità e altri aspetti molto personali e intimi, spiattellati senza troppi filtri.

Una lettura talvolta ridondante e con cadute di tono ma per i fan, non solo dei Dexy's ma della scena inglese dagli Ottanta in poi, è un compendio interessante per aggiungere nuovi particolari, spesso inediti e sorprendenti, al periodo.

Kevin Rowland
Bless Me Father: A life story
Ebury Spotlight
400 pagine
19,40 sterline

venerdì, settembre 19, 2025

Raduno Mod Italiano 26/27 settembre. Cattolica (Rimini)

Torna il Raduno Mod Italiano il 26/27 settembre a Cattolica (Rimini).
Oscar Giammarinaro si addentra, in questa breve intervista, nell'argomento.


Se i conti non sono sbagliati il raduno mod si svolge ormai da oltre 40 anni, se partiamo da Gabicce Mare nel settembre 1982 e ancora prima da quello improvvisato a Viareggio nella primavera 1982.
In tutti questi anni ha cambiato faccia?

Si’ il primo raduno semi ufficiale fu a Viareggio nel 1982, poi a settembre dello stesso anno i Mods di piazza Mercanti di Milano si organizzarono con i Mods di Rimini che riuscirono a ottenere l’uso della discoteca Aleph a Gabicce e in qualche modo fu il primo vero raduno
.All’Aleph ballammo musica Soul e 79 che era stata registrata in cassette mixate da alcuni Mods di Milano.
L’età media dei partecipanti era 18 anni e tu lo ricorderai bene, visto che eri presente e distribuivi “Faces”, che c‘erano varie modzInes disponibili provenienti da Milano,Parma,Roma etc.
Tutti noi ci eravamo scoperti mod e chi è mod lo è per la vita.
Certo: qualcuno pensava di essere mod ma si sbagliava e si è allontanato dalla scena, qualcun altro è scomparso e riapparso a intermittenza, qualcuno si è allontanato nel periodo genitoriale ed è ritornato una volta cresciuti i figli. E’ chiaro che oggi i partecipanti hanno un’età media superiore a quella dei primi raduni, per fortuna ci sono varie generazioni tutte insieme e per fortuna che sono rimasti tanti Mods che frequentavano agli albori del nostro movimento.
Molto immodestamente ma senza alcuna possibilità di smentita, devo affermare che io ci sono sempre stato e ho sempre cercato di far crescere il movimento, di diffonderlo il più possibile e tenendo sempre in primo piano il senso di vera ribellione e di identità dell’essere mod, esaltandone l ‘individualità spiccata associata a un assoluto senso di appartenenza, sicuro che ora come allora il Modernismo sia la soluzione migliore per vivere in questo sistema pessimo che nei decenni è ulteriormente peggiorato.
Dico questo perché ho potuto vivere tutti i cambiamenti fisiologici della scena e quindi degli eventi e dei raduni.
Il Raduno Mod Italiano c’è sempre stato ma dal 2006 e’ ripartito per essere il Raduno dell’unità di tutti i Mods italiani, infatti è e sarà sempre organizzato da Mods di vari parti d’Italia, inoltre da quest’anno collaborano a organizzare gli amici Mods inglesi degli Untouchables, storica crew motore dei raduni britannici fin da inizio anni ‘90.
In consolle ci sono djs solo mod provenienti da tutta Europa e la serata del sabato ha l’ingresso rigorosamente riservato solo agli invitati che indossano abbigliamento mod.
Applichiamo da sempre l’autofinanziamento, ripudiamo qualsiasi tipo di sponsorizzazione o intromissione degli enti locali o istituzioni.
Il Movimento mod ha un importante punto di forza nella sua spontaneità.
Noi Mods disprezziamo, combattiamo e ci batteremo con ogni mezzo necessario chi usa il nostro movimento,la nostra scena o anche il nostro termine/nome per fini commerciali o economici infangando la nostra immagine e la nostra cultura. Guai ai “non Mods” che organizzano eventi “sedicenti mod”!
Il Modernismo è la nostra vita e noi Mods meritiamo RISPETTO e quindi lo ESIGIAMO.

45 anni di Modernismo in Italia. Sono in tanti che organizzano eventi che ai tempi erano rigorosamente unitari. Cosa ne pensi? E’ sinonimo di attività oppure, perlomeno certe volte, una sorta di appropriazione di un “marchio” che ha mantenuto sempre un grande fascino?
La scena mod è una, non solo a livello italiano ma anche europeo.
Negli ultimi tempi si sono radicati gli eventi in periodi ben definiti: Dreamsville in Inghilterra (il raduno top in Europa) il primo fine settimana di luglio, poi Il Raduno Italiano a fine settembre, AllSaints a inizio novembre, il Flamingo a metà febbraio.
In Gran Bretagna ci sono eccellenti serate quasi ogni mese e in Italia si stanno affermando gli eventi di dicembre nelle Marche,giugno a Viareggio e Genova inizio settembre.
Ben vengano gli eventi soul ( per esempio a Pasqua sul lago di Garda o Pordenone oppure scooteristici come l’isola d’Elba), che hanno esplicite caratteristiche estetiche e musicali e non millantano o mistificano Mods e Modernismo, totale disprezzo per eventi da “gruppo misto “ dove il termine mod viene inserito e associato a miriadi di generi e definizioni che niente hanno a che fare con noi e danneggiano la nostra cultura.

Come vedi il futuro del Mod in Italia?
Francamente le nuove leve faticano ad arrivare ma soprattutto ad organizzare, a parte sporadiche eccezioni.

Alle “nuove leve” bisogna dare esempio di forte identità, integrità culturale,senso dì appartenenza, esaltando l’aspetto ribellistico dell’essere mod, dimostrando quotidianamente che il modernismo è possibile e che, non solo il nostro stile è la nostra musica sono il meglio che ci possa essere, ma è il meglio anche il nostro modo di vivere questo sistema, sfruttandolo il più possibile invece che esserne sfruttati! Certo, se tutti agissimo con la convinzione che il mod più importante è quello che non ha ancora scoperto di esserlo, avremo maggiori possibilità di diffondere la nostra cultura.

Dall’Inghilterra stanno arrivando nomi più o meno giovani e nuovi, come Sharp Class e Spitfires o i più “tangenti” al Mod come i Molotovs. Unita alla reunion degli Oasis, può essere una strada per nuova linfa vitale?
Gli Oasis hanno riacceso tanti cuori dormienti e hanno rilanciato suoni, stili e pensieri molto affini al modernismo e le band che citi nella domanda sono delle punte di diamante di sonorità che non solo ci piacciono ma ci rappresentano.

In questo senso mi ha, favorevolmente, molto colpito l’ingresso di Zak Loggia negli Statuto, figlio di uno storico membro della band come Alex. Un senso di prosecuzione verso il futuro inequivocabile.
L’attitudine di ZAK nell’interpretare i nostri brani non è solo entusiasmante tecnicamente e artisticamente ma è commovente per come dimostri quanto certi suoni e parole siano adatti eternamente a essere parte del linguaggio e dell’atteggiamento dei giovanissimi! Il futuro continua ad appartenerci!

giovedì, settembre 18, 2025

Skinheads e Suedeheads nel 1969 (secondo Kevin Rowland)

(in basso Kevin Rowland, aprile 1970).

Estratto dalla recente biografia di Kevin Rowland dei Dexy's Midnight Rummers, "Bless me Father" (recensione lunedì).

Nel momento in cui arrivai a Londra io facevo riferimento ai Mods locali con le loro pettinature curate, con i loro fantastic Mod Walks guidando i loro scotters (non dovevi indossare il casco ai tempi e nessun mod lo avrebbe mai fatto. Sedevano incredibilmente dritti su quelle macchine italiane.
Ma il 1969 era il NOSTRO momento proprio come per i Mod qualche anno prima e i Ted ancora prima. Noi avevamo il nostro look e la nostra musica, il reggae.

Non c’era nessun nome per questo look al tempo, ma PEANUTS era la descrizione che qualche volta davamo di noi stessi.
Skinhead era un termine scherzoso.
Se vedevi un amico che tornava dal barbiere con i capelli cortissimi magari gli dicevi “Oi, skinhead”.
Del nostro giro nessuno aveva quel taglio ma in parecchi incominciarono a farselo. Skinhead non è stato il nome di una sottocultura giovanile fino a quando non glielo hanno dato i media.

Il cool era nei sobborghi.
Fu ucciso dalla distorta visione che ne diedero i media.
Un giornale parò di Suedeheads dicendo che era la nuova moda.
Un gruppo di 11/13enni e qualcuno più vecchio incominciarono a descriversi con quel nome. A quel punto uno scrittore da “cash-in” (Richard Allen) che aveva già scritto un libro con il titolo di Skinhead ne pubblicò uno intitolato “Suedehead”.
E il mito nacque.
Al giorno d’oggi senti gente che parla dei Suedeheads come se fosse esistita una sottocultura del genere.
Ai tempi nessuno si chiamò mai così.

martedì, settembre 16, 2025

Moon Unit Zappa - Terra chiama Luna. Un viaggio folle e sincero con un padre di nome Frank Zappa

Riprendo l'articolo che ho scritto per "il Manifesto", nell'inserto "Alias", sabato scorso, dedicato all'ottimo libro di Moon Unit Zappa "Terra chiama Luna".

La questione è stata ampiamente dibattuta e risulta ormai quasi banale, tante sono le volte che è stata approfondita. Ovvero quanto la figura dell'artista sia compatibile o accostabile a quella dell'essere umano che la rappresenta.
Di fronte al genio del nostro musicista preferito o comunque unanimemente osannato, può tranquillamente passare in secondo piano un eventuale profilo umano discutibile o perfino deprecabile?
Influisce il suo comportamento privato con l'arte espressa nella sua musica? O sono due elementi completamente separati?

Moon Unit Zappa è la primogenita di Frank Zappa, monumento della musica del Novecento, sperimentatore, provocatore, innovatore e tantissimo altro.
Cresciuta all'ombra dell'ingombrante, egocentrica, anaffettiva, fino alla crudeltà, figura paterna, ne rende una devastante testimonianza nella sua recente autobiografia “Terra chiama Luna”, edita da Mondadori, tradotta da Gianni Pannofino.
Non meglio era la madre, Gail Sloatman che sposò Zappa nel 1967, poco prima di mettere al mondo Moon Unit. Le vicende narrate nel libro ci portano in territori di abusi psicologici (talvolta anche fisici) di estrema ferocia, peraltro assolutamente ingiustificata nei confronti della figlia e dei suoi successivi due fratelli (Dweezil e Ahmet) e la sorella (Diva).

A tratti le situazioni sono insopportabili, per quanto l'autrice riesca sempre ad alleggerire, spesso con buone dosi di (auto)ironia, lo sdegno a fronte di certi episodi.
Frank Zappa ne esce come un personaggio esclusivamente concentrato sul suo lavoro, quasi mai incline a un gesto d'affetto o alla benché minima considerazione per i figli e la moglie, succube e rassegnata al suo strapotere, disposta a perdonare i suoi palesi e ripetuti tradimenti.v O è confinato nel suo studio, dal tardo pomeriggio alle prime ore della mattina o impegnato in lunghi tour intorno al mondo, che lo rendono pressoché sempre assente dalla vita affettiva e famigliare.
Gail (Moon sottolinea di averli sempre chiamati per nome, praticamente mai “mamma” o “papà”) sfoga la sua frustrazione sui figli, la primogenita in particolare.
L'aspetto più destabilizzante è che può essere protagonista anche di atti di grande amore e magnanimità, improvvisi, decontestualizzati, poi annientati da momenti di pura e semplice cattiveria gratuita.
La bambina Moon cresce in un ambiente anarchico e caotico, in cui genitori (ma non solo) girano nudi, le GTOs' (il gruppo di groupie care a Zappa) saltellano in casa in abiti comunque sempre succinti (pur se molto amorevoli con lei), l'amante neozelandese di Frank soggiorna a lungo tra le mura domestiche, facendo ovviamente impazzire la moglie (che si “divide” anche con un'altra amante europea di Zappa che minaccia spesso di raggiungere e abbandonare la famiglia).

“Una variegata coorte di sognatori libidinosi, tizi strampalati, sbandati e ruffiani viene da noi per scroccare a ciclo continuo. Io porto ancora il ciuccio appeso al collo, che mi dà un senso di sicurezza e non so mai chi è affidabile e chi no, chi si scopa mio padre e chi no.
Le stanze sono pervase dell'afrore di uomini e donne che ballano sui ripiani della cucina. Il nostro giardino sul retro è pieno di oleandri, edere, sanguinella, merda di cane, vecchi cartoni del latte e cera che profuma di garofano. Non mi piace vedere sconosciuti nel nostro giardino che fanno acrobazie o si mettono a produrre candele, nudi, vicini ai miei giocattoli.
I miei piedi cominciano a guarire dopo che due signore che dovevano prendersi cura di me hanno lasciato che me li ustionassi su un termosifone”
.

Nel 1982, a 14 anni, viene proiettata nello show business da un brano del padre, “Valley Girl”, con il quale vuole ridicolizzare il mondo della San Fernando Valley, dove la famiglia viveva.
Moon imita il tipico accento, lessico e argomentazioni delle sue coetanee del luogo.
La canzone arriverà nella top 40 americana, il risultato più alto ottenuto nella carriera di Zappa, che ne resterà particolarmente contrariato, trattato come “artista emergente” e autore di canzoncine divertenti. Peraltro ci vorrà tempo e l'ausilio della madre per attribuire parte dei diritti anche a Moon, contro il parere di Frank.
La ragazza diventa famosa, appare spesso in televisione, tra interviste e ospitate. Troppo e troppo presto, ne rimarrà quasi schiacciata.
Alla ricerca di un equilibrio e di una vita che non fosse legata alla figura paterna, Moon trova lavoro come conduttrice televisiva e come comparsa e piccoli ruoli in film e serie televisive.

La morte di Frank Zappa, nel 1993, per cancro, sarà un lungo e lento calvario, anche in questo caso ricco di sgarbi e bassezze tra i membri della famiglia.
Ma il peggio arrivò successivamente.
Gail tenne nascosto ai figli le disposizioni di Frank che avrebbe voluto un'equa divisione del suo patrimonio tra i cinque eredi, si intestò tutto, finendo anche in abissi debitori, problemi con le case discografiche, cause legali, spesso finite male, una gestione del materiale rimasto inedito spesso schizofrenica e inadeguata.
I figli ne furono travolti ed entrarono in conflitto tra loro, anche a causa di assegnazioni arbitrarie dei beni fisici di Zappa, dai dischi alle chitarre.
Ancora di più quando nel 2015, alla morte della madre (“non ha mai abbandonato il suo posto di comando in battaglia, anche se ha contribuito a perpetrare la guerra”), furono disposte quote differenti, attribuendo il 30% agli ultimi arrivati Ahmet e Diva e il 20% a Dweezil e Moon ma con la clausola che fosse Ahmet il gestore e che una divisione dei compensi sarebbe stata possibile solo quando la società che gestiva i diritti sarebbe tornata in attivo (gli errati investimenti di Gail avevano portato a un buco di parecchi milioni di dollari). Anche in questo caso piovono cause e querele, le loro vite si allontanano sempre di più.

“Sto imparando che che nulla può spingere certe persone ad amare. Io sono una cifra, una spesa, un guadagno, una perdita, una controparte con cui negoziare.
Non siamo una famiglia: siamo un'azienda camuffata da famiglia...dopo una vita passata a firmare documenti in cui si proclamava la nostra uguaglianza – una vita che credevo ispirata a un'idea di famiglia che ci impegnava tutti, una vita passata ad affermare principi che all'improvviso, con uno slittamento tettonico, si trasformano nel loro opposto – mi sento così tradita da non riuscire a pensare e parlare.”


La vita di Moon prosegue tra un matrimonio fallito e una figlia, ricerca spirituale attraverso filosofie orientali (anche in questo caso macchiate da vicende non sempre chiare e limpide con il guru di riferimento), varie altre attività sempre all'interno dello spettacolo, fino a una disperata e spiazzante ricerca di “conoscere come siamo fatti dentro” iscrivendosi a una scuola di anatomia, attraverso la quale dissezionare i cadaveri.

Un libro profondamente malinconico, acre e angosciante, una costante ricerca, a volte al limite dell'elemosina, di un atto d'amore da parte dei famigliari, evento raro, prontamente ripagato da profonde delusioni o pugnalate dolorose e inaspettate alle spalle. Stupisce la capacità di “sopravvivenza” di Moon a tutto ciò, aggrappata a una visione positiva della vita, mai rassegnata alla totale disillusione e pur sempre devota alla figura paterna.
All'età di 58 anni ha deciso di scriverne, cercando proprio nelle ultime pagine un'ennesima riconciliazione con i fratelli che non vede e sente da anni.
Le ultime parole del libro sono proprio per loro “E' tutto perdonato. Tornate a casa”.

Moon Unit Zappa
Terra chiama Luna. Un viaggio folle e sincero con un padre di nome Frank Zappa
Mondadori
480 pagine
24 euro
.
Related Posts with Thumbnails