In onda su Netflix un documentario del 2013 che documenta l'infelice concerto di FRANK ZAPPA del 1982 a Palermo.
Immagini d'epoca sulla vicenda alternate alla visita della famiglia nel 2012 (apparentemente ancora unita, prima di insanabili litigi e divergenze, tristemente documentate dalla figlia Moon Unit Zappa nel libro "Terra chiama Luna": https://tonyface.blogspot.com/2025/09/moon-unit-zappa-terra-chiama-luna-un.html a Partinico (da dove arrivava la famiglia Zappa), per rivedere i luoghi d'origine e ricevere onori e saluti da parenti lontani.
Le immagini del concerto sono particolarmente preziose e fanno il paio con le testimonianze dei protagonisti (da Steve Vai a Massimo Bassoli, diventato stretto amico del chitarrista e che lo ispirò per il brano" “Tengo ‘na minchia tanta!").
L'attesa esibizione di Frank Zappa a Palermo fu disastrata da un'organizzazione decisamente carente e impreparata, che piazzò il palco in mezzo al campo di calcio della "Favorita" e relegò il pubblico in una curva lontana, a cui il suono arrivava bassissimo e ovattato.
Quando un gruppo di giovani saltò le recinzioni per avvicinarsi al palco, la polizia reagì in modo sconsiderato a suon di manganellate e lacrimogeni, scatenando la fuga rovinosa del pubblico, scontri e l'esplosione di un'enorme tensione che già gravitava sulla città siciliana martoriata da una spietata guerra di mafia che lasciava nelle strade un morto ogni 48 ore.
Frank Zappa alla fine del concerto (interrotto dopo un'ora) negli spogliatoi dello stadio indossa un giubbotto antiproiettile...lo stesso chitarrista rimasto inorridito dallo stato della città e dintorni definita nemmeno da "terzo" ma da "quinto mondo".
Un documentario originale e particolare, divertente e curioso, da vedere.
giovedì, dicembre 04, 2025
Summer ’82: When Zappa came to Sicily di Salvo Cuccia
Etichette:
Film
mercoledì, dicembre 03, 2025
21 anni di blog
Oggi il blog compie 21 anni.
5.654 post, 5.408.344 accessi, oltre 49.858 commenti. Il primo post fu pubblicato il 3 dicembre 2004:
https://tonyface.blogspot.com/2004/12/anyway-anyhow-anywhere-pete-townshend.html
Grazie e a tutti i LETTORI/LETTRICI e ai COLLABORATORI che lo rendono e lo hanno reso sempre più interessante e vivo.
Negli ultimi quattro anni, dopo un periodo di stabilità, seguito a uno di regressione a cavallo del 2010, il numero di accessi è esploso, triplicandosi.
Il blog è un preziosissimo archivio personale di recensioni, spunti, elenchi, dati, segnalazioni, spesso utili per articoli o libri e che contrasta con la volatilità dei social, nei quali i contributi si perdono il più delle volte in pochissimo tempo.
Lunga vita al blog!
5.654 post, 5.408.344 accessi, oltre 49.858 commenti. Il primo post fu pubblicato il 3 dicembre 2004:
https://tonyface.blogspot.com/2004/12/anyway-anyhow-anywhere-pete-townshend.html
Grazie e a tutti i LETTORI/LETTRICI e ai COLLABORATORI che lo rendono e lo hanno reso sempre più interessante e vivo.
Negli ultimi quattro anni, dopo un periodo di stabilità, seguito a uno di regressione a cavallo del 2010, il numero di accessi è esploso, triplicandosi.
Il blog è un preziosissimo archivio personale di recensioni, spunti, elenchi, dati, segnalazioni, spesso utili per articoli o libri e che contrasta con la volatilità dei social, nei quali i contributi si perdono il più delle volte in pochissimo tempo.
Lunga vita al blog!
Etichette:
I me mine
martedì, dicembre 02, 2025
Bo Diddley
Riprendo l'articolo che ho pubbliato sabato per "Alias" de "Il Manifesto", dedicato a BO DIDDLEY.
Non sono in tanti che possono vantare l’ “invenzione” di uno stile, una specie di “genere musicale” nella storia del rock.
Bo Diddley è uno dei pochi in assoluto che creò una modalità ritmica che è diventata nel tempo un marchio di fabbrica, immediatamente e inevitabilmente riconducibile a lui. Una miscela di ritmi africani, la cui origine pare arrivi dalla zona sub sahariana, blues, gospel e la tradizione folk “Hambone” utilizzata da musicisti di strada che cantavano accompagnandosi con battiti di mani e colpi su gambe e petto.
Divenne una sorta di anello di congiunzione tra blues e il nascente rock ‘n’ roll a metà anni Cinquanta.
Una base di batteria, con l’uso prevalente dei timpani e tom, sulla quale la chitarra ripeteva lo stesso groove, diventando un ulteriore elemento percussivo. Una modalità che nasce probabilmente dall’abortita volontà di suonare la batteria.
“Volevo diventare un batterista, ma non funzionò. Le mie mani non riuscivano a fare una cosa, mentre l'altra faceva l'altra. Cercavano di fare la stessa cosa.”
L’ossessivo e ipnotico rullare dei tamburi, con le maracas a dare un tocco latino, sono l’aspetto saliente del Bo Diddley Beat (detto talvolta anche Jungle Beat). La sua influenza fu immediata su molti artisti, da Buddy Holly a Elvis Presley fino (soprattutto) alla nuova scena beat inglese degli anni Sessanta che da Rolling Stones a Pretty Things, Who, Kinks, Yardbirds, fino agli Animals, che incisero un brano intitolato “The story of Bo Diddley”.
Pare che Bo non fosse del tutto soddisfatto che qualcuno utilizzasse/rubasse la su “invenzione” ma alla fine si rese conto che era in realtà un omaggio affettuoso. Io sono quello che Elvis ha copiato. Ha copiato me e ci ha messo insieme Jackie Wilson.
Anche se negli ultimi anni di vita è sempre stato piuttosto categorico nel definire il suo ruolo all’interno del rock:
La musica odierna non ha niente a che vedere con il rhythm and blues o il rock'n'roll, come lo chiamavamo noi. Oggi i ragazzi sostengono di essere rock'n'roll con tutti quelle chitarre urlanti e roba del genere. Beh, questo non è rock'n'roll! Non sembra Elvis Presley, non sembra i Beatles... beh, i Beatles non erano proprio rock'n'roll. Non so come lo chiameresti, ma non accetto la parola rock'n'roll con i Beatles. Non appartengono alla lista dei rock'n'roller. Erano più o meno folk country o qualcosa del genere. Non so cosa fossero.
Personaggio strano e particolare, dalla vita altrettanto anomala.
Nato nello stato del Mississippi, lasciato dal giovanissimo padre in adozione al cugino, che gli diede il cognome McDaniel, si trasferì a Chicago, dove divenne membro attivo di una chiesa Battista e suonò trombone e violino per almeno una dozzina d’anni, in maniera impeccabile, tanto da far parte dell’orchestra della Chiesa.
“Nessuno mi spinse a suonare il violino ma quando ne vidi uno per la prima volta me ne innamorai e imparai subito a usarlo. Così bene che fecero una colletta per comprarmene uno da 29 dollari. A quei tempi (anni Quaranta) erano un sacco di soldi, un sacco di patate costava 50 cents!” (Le dichiarazioni sono tratte da un’intervista del 2006 di Bob Gerstzyn).
Nonostante abbia provato sulla sua pelle il rigore del razzismo è sempre stato molto lontano da rivendicazioni particolari in merito, fortemente influenzato dalla sua fede religiosa e da un innato patriottismo:
"Non sono stato coinvolto nel movimento per i diritti degli afroamericani, ma ho tratto beneficio dalle persone che lo facevano. Perché questa merda non sarebbe mai dovuta andare così, fin dall'inizio.
L’America è un paese meraviglioso e penso che abbiamo uno dei sistemi migliori al mondo, ma ha dei difetti, molti difetti gravi. Abbiamo delle cose in corso in questo paese che non dovrebbero succedere.
Sto parlando di libertà. Non credo che si debba andare in giro a fare del male e poi nascondersi dietro la bandiera, ma molte persone lo stanno facendo. Essendo un uomo di colore, non direi nemmeno cazzate del genere, perché penso che un giorno tutti saranno una cosa sola.
Indipendentemente da chi siamo, se la Bibbia è giusta, siamo tutti fratelli e sorelle, indipendentemente dal colore della nostra pelle.
Dalla nostra nazionalità o da qualsiasi altro modo. Non ho mai pensato che le persone fossero bianche e nere, gialle e verdi e tutte quelle stronzate. Siamo tutti uno.”
Uno dei problemi che lo ha accomunato a tantissimi artisti di colore dell’epoca è stato la mancata corresponsione dei diritti delle sue canzoni.
Fino agli anni Sessanta inoltrati il sistema dei diritti d’autore è stato “regolato” da modalità selvagge, senza particolari tutele, soprattutto per gli artisti di colore, spesso senza contratti, con i brani che non venivano effettivamente depositati a loro nome o che, nel caso di plagio o “furto”, non avevano possibilità di sobbarcarsi in cause legali.
“La gente non si rende conto che era comune per gli artisti non essere pagati per le loro canzoni perché non c'era nulla che si potesse fare. Assumere un avvocato e intentare cause legali costa, quindi quando vivi di concerto in concerto, non hai i fondi. Poi ci sono i termini di prescrizione, quindi se passa troppo tempo, non c'è nulla che tu possa fare.
Forse prima di lasciare questa dannata Terra, uscirò e guarderò nella mia cassetta della posta e li troverò tutti lì dentro. In altre parole, non succederà, questa è l'America. Questo è quello che si chiama una buona vecchia fregatura americana. Sono stato fregato per milioni, tesoro! Milioni! Non lo dico solo come una parola. Sono stato fregato. Non ho mai visto un assegno di royalty che mi arrivasse.
La sua carriera è stata comunque ricca di grandi soddisfazioni e successi, soprattutto con “I’m A Man”, “Bo Diddley”, “You Can’t Judge a Book By The Cover”, “Pretty Thing”, “Who Do You Love?”, “Roadrunner”, “Say Man” che ritroviamo nei repertori di decine di gruppi (oltre ai già citati protagonisti del Beat inglese nell’elenco troviamo anche Doors, Captain Beefheart, Creedence Clearwater Revival, New York Dolls).
Ha introdotto l’uso del tremolo nella chitarra, utilizzando spesso anche la distorsione.
Famose le sue chitarre dalle forme rettangolari e anche la sua apparizione in “Una poltrona per due”, con un cappello da sceriffo, interpretando il gestore di un banco dei pegni.
In effetti, nel periodo in cui visse in New Mexico, negli anni Settanta, fu per tre anni il vice sceriffo della sua cittadina, Las Lunas.
Nel 1979 i Clash, in tour in America, lo vollero come act di apertura dei loro concerti, essendo un idolo di Joe Strummer.
Famoso il suo litigio con Ed Sullivan che lo volle al suo show in cui però Bo Diddley decise di cambiare il brano previsto, allungando il tempo a sua disposizione.
Nel corso degli anni è stato spesso presente a varie celebrazioni dei grandi del rock ‘n’ roll a fianco di Chuck Berry o BB King, ha collaborato con Eric Clapton e con i Rolling Stones, sia dal vivo che in studio (nel suo ultimo album, del 1996, “A Man Amongst Men”, ci sono Keith Richards e Ron Wood).
L’ultima sua apparizione in studio è inusuale, in un album del 2006 dei riuniti New York Dolls.
Muore alle soglie degli ottanta anni nel 2008. Resta uno dei personaggi più influenti nella storia del rock ‘n’roll, qualcuno che inconsapevolmente e senza alcun tipo di preparazione preventiva “a tavolino”, ha unito suoni, ritmi, attitudine che sentiva dentro l’ anima, il cuore, la carne e ne ha fatto un mirabile sunto che ancora oggi suona tribale, minaccioso, demoniaco, travolgente.
Per un primo approccio a Bo Diddley consigliato il suo esordio omonimo del 1958 e la compilation His Best del 1998.
Non sono in tanti che possono vantare l’ “invenzione” di uno stile, una specie di “genere musicale” nella storia del rock.
Bo Diddley è uno dei pochi in assoluto che creò una modalità ritmica che è diventata nel tempo un marchio di fabbrica, immediatamente e inevitabilmente riconducibile a lui. Una miscela di ritmi africani, la cui origine pare arrivi dalla zona sub sahariana, blues, gospel e la tradizione folk “Hambone” utilizzata da musicisti di strada che cantavano accompagnandosi con battiti di mani e colpi su gambe e petto.
Divenne una sorta di anello di congiunzione tra blues e il nascente rock ‘n’ roll a metà anni Cinquanta.
Una base di batteria, con l’uso prevalente dei timpani e tom, sulla quale la chitarra ripeteva lo stesso groove, diventando un ulteriore elemento percussivo. Una modalità che nasce probabilmente dall’abortita volontà di suonare la batteria.
“Volevo diventare un batterista, ma non funzionò. Le mie mani non riuscivano a fare una cosa, mentre l'altra faceva l'altra. Cercavano di fare la stessa cosa.”
L’ossessivo e ipnotico rullare dei tamburi, con le maracas a dare un tocco latino, sono l’aspetto saliente del Bo Diddley Beat (detto talvolta anche Jungle Beat). La sua influenza fu immediata su molti artisti, da Buddy Holly a Elvis Presley fino (soprattutto) alla nuova scena beat inglese degli anni Sessanta che da Rolling Stones a Pretty Things, Who, Kinks, Yardbirds, fino agli Animals, che incisero un brano intitolato “The story of Bo Diddley”.
Pare che Bo non fosse del tutto soddisfatto che qualcuno utilizzasse/rubasse la su “invenzione” ma alla fine si rese conto che era in realtà un omaggio affettuoso. Io sono quello che Elvis ha copiato. Ha copiato me e ci ha messo insieme Jackie Wilson.
Anche se negli ultimi anni di vita è sempre stato piuttosto categorico nel definire il suo ruolo all’interno del rock:
La musica odierna non ha niente a che vedere con il rhythm and blues o il rock'n'roll, come lo chiamavamo noi. Oggi i ragazzi sostengono di essere rock'n'roll con tutti quelle chitarre urlanti e roba del genere. Beh, questo non è rock'n'roll! Non sembra Elvis Presley, non sembra i Beatles... beh, i Beatles non erano proprio rock'n'roll. Non so come lo chiameresti, ma non accetto la parola rock'n'roll con i Beatles. Non appartengono alla lista dei rock'n'roller. Erano più o meno folk country o qualcosa del genere. Non so cosa fossero.
Personaggio strano e particolare, dalla vita altrettanto anomala.
Nato nello stato del Mississippi, lasciato dal giovanissimo padre in adozione al cugino, che gli diede il cognome McDaniel, si trasferì a Chicago, dove divenne membro attivo di una chiesa Battista e suonò trombone e violino per almeno una dozzina d’anni, in maniera impeccabile, tanto da far parte dell’orchestra della Chiesa.
“Nessuno mi spinse a suonare il violino ma quando ne vidi uno per la prima volta me ne innamorai e imparai subito a usarlo. Così bene che fecero una colletta per comprarmene uno da 29 dollari. A quei tempi (anni Quaranta) erano un sacco di soldi, un sacco di patate costava 50 cents!” (Le dichiarazioni sono tratte da un’intervista del 2006 di Bob Gerstzyn).
Nonostante abbia provato sulla sua pelle il rigore del razzismo è sempre stato molto lontano da rivendicazioni particolari in merito, fortemente influenzato dalla sua fede religiosa e da un innato patriottismo:
"Non sono stato coinvolto nel movimento per i diritti degli afroamericani, ma ho tratto beneficio dalle persone che lo facevano. Perché questa merda non sarebbe mai dovuta andare così, fin dall'inizio.
L’America è un paese meraviglioso e penso che abbiamo uno dei sistemi migliori al mondo, ma ha dei difetti, molti difetti gravi. Abbiamo delle cose in corso in questo paese che non dovrebbero succedere.
Sto parlando di libertà. Non credo che si debba andare in giro a fare del male e poi nascondersi dietro la bandiera, ma molte persone lo stanno facendo. Essendo un uomo di colore, non direi nemmeno cazzate del genere, perché penso che un giorno tutti saranno una cosa sola.
Indipendentemente da chi siamo, se la Bibbia è giusta, siamo tutti fratelli e sorelle, indipendentemente dal colore della nostra pelle.
Dalla nostra nazionalità o da qualsiasi altro modo. Non ho mai pensato che le persone fossero bianche e nere, gialle e verdi e tutte quelle stronzate. Siamo tutti uno.”
Uno dei problemi che lo ha accomunato a tantissimi artisti di colore dell’epoca è stato la mancata corresponsione dei diritti delle sue canzoni.
Fino agli anni Sessanta inoltrati il sistema dei diritti d’autore è stato “regolato” da modalità selvagge, senza particolari tutele, soprattutto per gli artisti di colore, spesso senza contratti, con i brani che non venivano effettivamente depositati a loro nome o che, nel caso di plagio o “furto”, non avevano possibilità di sobbarcarsi in cause legali.
“La gente non si rende conto che era comune per gli artisti non essere pagati per le loro canzoni perché non c'era nulla che si potesse fare. Assumere un avvocato e intentare cause legali costa, quindi quando vivi di concerto in concerto, non hai i fondi. Poi ci sono i termini di prescrizione, quindi se passa troppo tempo, non c'è nulla che tu possa fare.
Forse prima di lasciare questa dannata Terra, uscirò e guarderò nella mia cassetta della posta e li troverò tutti lì dentro. In altre parole, non succederà, questa è l'America. Questo è quello che si chiama una buona vecchia fregatura americana. Sono stato fregato per milioni, tesoro! Milioni! Non lo dico solo come una parola. Sono stato fregato. Non ho mai visto un assegno di royalty che mi arrivasse.
La sua carriera è stata comunque ricca di grandi soddisfazioni e successi, soprattutto con “I’m A Man”, “Bo Diddley”, “You Can’t Judge a Book By The Cover”, “Pretty Thing”, “Who Do You Love?”, “Roadrunner”, “Say Man” che ritroviamo nei repertori di decine di gruppi (oltre ai già citati protagonisti del Beat inglese nell’elenco troviamo anche Doors, Captain Beefheart, Creedence Clearwater Revival, New York Dolls).
Ha introdotto l’uso del tremolo nella chitarra, utilizzando spesso anche la distorsione.
Famose le sue chitarre dalle forme rettangolari e anche la sua apparizione in “Una poltrona per due”, con un cappello da sceriffo, interpretando il gestore di un banco dei pegni.
In effetti, nel periodo in cui visse in New Mexico, negli anni Settanta, fu per tre anni il vice sceriffo della sua cittadina, Las Lunas.
Nel 1979 i Clash, in tour in America, lo vollero come act di apertura dei loro concerti, essendo un idolo di Joe Strummer.
Famoso il suo litigio con Ed Sullivan che lo volle al suo show in cui però Bo Diddley decise di cambiare il brano previsto, allungando il tempo a sua disposizione.
Nel corso degli anni è stato spesso presente a varie celebrazioni dei grandi del rock ‘n’ roll a fianco di Chuck Berry o BB King, ha collaborato con Eric Clapton e con i Rolling Stones, sia dal vivo che in studio (nel suo ultimo album, del 1996, “A Man Amongst Men”, ci sono Keith Richards e Ron Wood).
L’ultima sua apparizione in studio è inusuale, in un album del 2006 dei riuniti New York Dolls.
Muore alle soglie degli ottanta anni nel 2008. Resta uno dei personaggi più influenti nella storia del rock ‘n’roll, qualcuno che inconsapevolmente e senza alcun tipo di preparazione preventiva “a tavolino”, ha unito suoni, ritmi, attitudine che sentiva dentro l’ anima, il cuore, la carne e ne ha fatto un mirabile sunto che ancora oggi suona tribale, minaccioso, demoniaco, travolgente.
Per un primo approccio a Bo Diddley consigliato il suo esordio omonimo del 1958 e la compilation His Best del 1998.
Etichette:
Heroes
lunedì, dicembre 01, 2025
Jimmy Cliff
L'amico Pier Tosi ricorda la figura di JIMMY CLIFF, recentemente scomparso.
E' scomparso il 23 novembre a 81 anni per le complicazioni di una polmonite Jimmy Cliff, uno degli artisti reggae piu’ noti a livello mondiale e uno dei primissimi artisti giamaicani ad esportare con successo la cultura musicale del suo paese ed ad interagire alla pari con musicisti di culture diverse.
Il suo vero nome era James Chambers ed e’nato il 30 luglio del 1944 in condizioni di povertà nello sperduto villaggio di Adelphi Land nel parish di St.James, non lontano da Montego Bay.
Jimmy scopre l'espressione musicale in tenera età in chiesa ma rimane folgorato dal R&B americano suonato dalle radio e dai sound systems ed a circa sei anni iniza a comporre le prime canzoni.
Dopo aver ben figurato in alcuni talent shows nella sua comunità a circa sedici anni raggiunge con il padre la capitale Kingston per proseguire gli studi ma incomincia a registrare alcuni brani usati dai sound systems come esclusivi e si lega al produttore di origine cinese Leslie Kong per il quale registra i suoi grandi successi dell’era ska tra i quali la numero uno ‘Hurricane Hattie’, ‘Dearest Beverley’, ‘King Of Kings’ e ‘Miss Jamaica’.
Durante questo periodo, Jimmy conosce Bob Marley e sara’ proprio lui a presentarlo a Lesle Kong, il producer per cui Bob registrera’ i suoi primi due singoli nel 1963.
Il suo talento lo lega a personaggi importanti della scena giamaicana come il bassista e band leader Byron Lee, a sua volta legato al giovane politico conservatore Edward Seaga: grazie a Lee Jimmy diventa uno dei proncipali giovani cantanti ska, si esibisce spesso in concerti e tours dell'isola ed ha anche l'opportunità di aprire gli shows giamaicani di personaggi come Ben E.King e Ray Charles.
Nell'aprile del 1964 parte addirittura per New York con Byron Lee & The Dragonaires, i suoi colleghi Prince Buster, Monty Morris e Lloyd Charmers e vari ballerini come parte di un piano del ministero della cultura giamaicano di popolarizzare lo ska e la sua danza negli USA.
I loro concerti alla World Fair ed in vari locali della città sono ben accolti ma in realtà il piano non sortirà gli effetti sperati.
Il giovane cantante ha una voce bellissima ed un grande talento: Jimmy ha appreso appieno la lezione dei grandi cantanti soul americani ed il suo stile caldo ed al contempo sofisticato lo porta all’attenzione dell'imprenditore giamaicano Chris Blackwell che lo vuole come parte della sua Island label, l’etichetta che sta producendo grandi talenti anche in campo rock come Spencer Davis Group ed in seguito Traffic, John Martyn e Jethro Tull e che come è noto lancerà anche Bob Marley ed altri artisti reggae.
Quando la musica giamaicana è ancora agli albori la mossa di Blackwell è di lanciare Jimmy come cantante soul e R&B attraverso una dura gavetta di concerti inglesi e francesi che lo vedono condividere il palco spesso con i compagni di etichetta Spencer Davis Group e con personaggi come The Who (pare che il giovane Pete Townshend diventi un grande fan di Jimmy) o Jimi Hendrix Experience.
Nel 1967 esce il suo primo album 'Hard Road To Travel' ed è un disco di pop dalle venature soul prodotto dal giovane Jimmy Miller, producer che lascerà in seguito segni indelebili nella cultura pop mondiale lavorando con Rolling Stones e Motorhead fino a produrre 'Screamedelica' dei Primal Scream prima di scomparire prematuramente a metà degli anni novanta.
L'album viene pubblicato anche negli USA nel 1969 dall'etichetta Veep con il titolo 'Can't Get Enough Of It' ed una scaletta leggermente differente. Il grande successo tarda ad arrivare ma queste importanti esperienze fanno maturare il giovane artista giamaicano.
All'inizio del 1969 Jimmy viene invitato in Brasile a rappresentare la Giamaica all’International Song Festival con il suo brano 'Waterfall': il festival non va particolarmente bene ma 'Waterfall' è un grande successo nel paese della Bossa Nova e la sua energia e spontaneità gli danno un enorme successo esteso anche ad altri paesi del Sud America.
In Brasile registra con musicisti locali il suo secondo album 'Jimmy Cliff In Brasil', costituito di classici contemporanei brasiliani con le liriche tradotte in inglese ma anche 'Serenou' cantato in portoghese.
La gioia di condividere la sua musica in Brasile gli da l’ispirazione per scrivere ‘Wonderful World, Beautiful People’ che con ‘Vietnam’, brano che ispira addirittura Bob Dylan, farà parte del suo bellissimo eponimo album del 1969 realizzato dalla Trojan Records.
Un'altra importante esperienza di questo periodo è la registrazione dell'album 'Another Cycle' registrato ai Muscle Shoals Studios, uno dei templi dei soul del Sud degli USA insieme ai grandi musicisti che gravitano in quegli studi.
Ancora una volta si tratta di un lavoro privo di ritmi giamaicani e che contiene la meravigliosa 'Sitting In Limbo' e sempre in Alabama registrerà anche 'Many Rivers To Cross', uno dei suoi brani della vita.
Un'altra straordinaria occasione di Jimmy Cliff sta per arrivare: già nel 1970 il regista giamaicano Perry Henzel lo contatta per proporgli di comporre brani per un film da ambientarsi in Giamaica il cui scopo è raccontare la complicata realtà dell'isola.
Jimmy accetta di buon grado ma oltre al coinvolgimento come musicista Henzell gli affida il ruolo di protagonista di ‘The Harder They Come’ dove interpreta il rude boy Ivan, un country boy che si scontra con la dura realtà urbana di Kingston, ha ambizioni musicali ma diventa quasi suo malgrado un criminale dalla fama leggendaria.
Questo capolavoro esce nel 1972 e porta alla ribalta di tutto il mondo la complessa realtà giamaicana e la vitalità della sua musica.
Diventa un cult movie globale (l'edizione italiana sarà intitolata 'Più Duro E', Più Forte Cade') e la sua colonna sonora uscita nel 1973 e contentente le sue ‘Many River To Cross’, ‘You Can’t Get It If You Really Want’, 'Sitting In Limbo e ‘The Harder They Come’, oltre ad altri classici di personaggi come Toots & Maytals, i Melodians e gli Slickers avrà una importanza incalcolabile nella popolarizzazione globale del reggae.
Questo periodo e’ il piu’ intenso della sua carriera: lascia la Island e si accasa alla EMI per cui escono tra il 1973 ed il 1974 grandi album come ‘Unlimited’, 'Struggling Man' ed 'Home Of Exile'.
La sua musica ha in questo periodo la spontaneità e l'autenticità del grande reggae che sta emergendo ma anche un taglio globale che arriva dalle sue importanti esperienze dandogli la capacità di comunicare in modo universale.
Per tutta la decade comunque continua a produrre ottima musica nel suo inconfondibile stile adattandosi tuttavia al roots reggae popolarizzato da Bob Marley e Peter Tosh ed a portare i suoi bellissimi spettacoli in giro per il mondo.
Già dai primi anni ottanta inizia una lunga serie di apprezzate apparizioni anche in Italia.
Nel 1983 ritrova l’enorme successo mondiale con il pop-reggae di ‘Reggae Night’, un po' vituperata dagli hardcore reggae fans e nel resto della sua carriera continua a cercare il successo commerciale attraverso altri singoli molto 'leggeri' ed a fondere la sua musica con altre tradizioni musicali come per esempio il Samba.
Durante gli anni ottanta e novanta torna infatti spesso in Brasile per soggiorni spesso anche piuttosto lunghi ed a pubblicare nuovi albums con regolarità.
Nel 1986 vince un Grammy Award di categoria con 'Cliff Hanger', disco che in linea con i gusti del momento ha pesanti apporti elettronici che non reggono molto il test del tempo.
Da segnalare il suo secondo Grammy vinto nel 2012 con 'Rebirth', bellissimo disco prodottogli da Tim Armstrong dei Rancid e che contiene una bella cover di 'Guns Of Brixton' dei Clash.
Prima della sua scomparsa Jimmy duetta anche con Joe Strummer in 'Over The Border'.
L'ultimo album realizzato da Jimmy Cliff è 'Refugees' del 2022.
E' scomparso il 23 novembre a 81 anni per le complicazioni di una polmonite Jimmy Cliff, uno degli artisti reggae piu’ noti a livello mondiale e uno dei primissimi artisti giamaicani ad esportare con successo la cultura musicale del suo paese ed ad interagire alla pari con musicisti di culture diverse.
Il suo vero nome era James Chambers ed e’nato il 30 luglio del 1944 in condizioni di povertà nello sperduto villaggio di Adelphi Land nel parish di St.James, non lontano da Montego Bay.
Jimmy scopre l'espressione musicale in tenera età in chiesa ma rimane folgorato dal R&B americano suonato dalle radio e dai sound systems ed a circa sei anni iniza a comporre le prime canzoni.
Dopo aver ben figurato in alcuni talent shows nella sua comunità a circa sedici anni raggiunge con il padre la capitale Kingston per proseguire gli studi ma incomincia a registrare alcuni brani usati dai sound systems come esclusivi e si lega al produttore di origine cinese Leslie Kong per il quale registra i suoi grandi successi dell’era ska tra i quali la numero uno ‘Hurricane Hattie’, ‘Dearest Beverley’, ‘King Of Kings’ e ‘Miss Jamaica’.
Durante questo periodo, Jimmy conosce Bob Marley e sara’ proprio lui a presentarlo a Lesle Kong, il producer per cui Bob registrera’ i suoi primi due singoli nel 1963.
Il suo talento lo lega a personaggi importanti della scena giamaicana come il bassista e band leader Byron Lee, a sua volta legato al giovane politico conservatore Edward Seaga: grazie a Lee Jimmy diventa uno dei proncipali giovani cantanti ska, si esibisce spesso in concerti e tours dell'isola ed ha anche l'opportunità di aprire gli shows giamaicani di personaggi come Ben E.King e Ray Charles.
Nell'aprile del 1964 parte addirittura per New York con Byron Lee & The Dragonaires, i suoi colleghi Prince Buster, Monty Morris e Lloyd Charmers e vari ballerini come parte di un piano del ministero della cultura giamaicano di popolarizzare lo ska e la sua danza negli USA.
I loro concerti alla World Fair ed in vari locali della città sono ben accolti ma in realtà il piano non sortirà gli effetti sperati.
Il giovane cantante ha una voce bellissima ed un grande talento: Jimmy ha appreso appieno la lezione dei grandi cantanti soul americani ed il suo stile caldo ed al contempo sofisticato lo porta all’attenzione dell'imprenditore giamaicano Chris Blackwell che lo vuole come parte della sua Island label, l’etichetta che sta producendo grandi talenti anche in campo rock come Spencer Davis Group ed in seguito Traffic, John Martyn e Jethro Tull e che come è noto lancerà anche Bob Marley ed altri artisti reggae.
Quando la musica giamaicana è ancora agli albori la mossa di Blackwell è di lanciare Jimmy come cantante soul e R&B attraverso una dura gavetta di concerti inglesi e francesi che lo vedono condividere il palco spesso con i compagni di etichetta Spencer Davis Group e con personaggi come The Who (pare che il giovane Pete Townshend diventi un grande fan di Jimmy) o Jimi Hendrix Experience.
Nel 1967 esce il suo primo album 'Hard Road To Travel' ed è un disco di pop dalle venature soul prodotto dal giovane Jimmy Miller, producer che lascerà in seguito segni indelebili nella cultura pop mondiale lavorando con Rolling Stones e Motorhead fino a produrre 'Screamedelica' dei Primal Scream prima di scomparire prematuramente a metà degli anni novanta.
L'album viene pubblicato anche negli USA nel 1969 dall'etichetta Veep con il titolo 'Can't Get Enough Of It' ed una scaletta leggermente differente. Il grande successo tarda ad arrivare ma queste importanti esperienze fanno maturare il giovane artista giamaicano.
All'inizio del 1969 Jimmy viene invitato in Brasile a rappresentare la Giamaica all’International Song Festival con il suo brano 'Waterfall': il festival non va particolarmente bene ma 'Waterfall' è un grande successo nel paese della Bossa Nova e la sua energia e spontaneità gli danno un enorme successo esteso anche ad altri paesi del Sud America.
In Brasile registra con musicisti locali il suo secondo album 'Jimmy Cliff In Brasil', costituito di classici contemporanei brasiliani con le liriche tradotte in inglese ma anche 'Serenou' cantato in portoghese.
La gioia di condividere la sua musica in Brasile gli da l’ispirazione per scrivere ‘Wonderful World, Beautiful People’ che con ‘Vietnam’, brano che ispira addirittura Bob Dylan, farà parte del suo bellissimo eponimo album del 1969 realizzato dalla Trojan Records.
Un'altra importante esperienza di questo periodo è la registrazione dell'album 'Another Cycle' registrato ai Muscle Shoals Studios, uno dei templi dei soul del Sud degli USA insieme ai grandi musicisti che gravitano in quegli studi.
Ancora una volta si tratta di un lavoro privo di ritmi giamaicani e che contiene la meravigliosa 'Sitting In Limbo' e sempre in Alabama registrerà anche 'Many Rivers To Cross', uno dei suoi brani della vita.
Un'altra straordinaria occasione di Jimmy Cliff sta per arrivare: già nel 1970 il regista giamaicano Perry Henzel lo contatta per proporgli di comporre brani per un film da ambientarsi in Giamaica il cui scopo è raccontare la complicata realtà dell'isola.
Jimmy accetta di buon grado ma oltre al coinvolgimento come musicista Henzell gli affida il ruolo di protagonista di ‘The Harder They Come’ dove interpreta il rude boy Ivan, un country boy che si scontra con la dura realtà urbana di Kingston, ha ambizioni musicali ma diventa quasi suo malgrado un criminale dalla fama leggendaria.
Questo capolavoro esce nel 1972 e porta alla ribalta di tutto il mondo la complessa realtà giamaicana e la vitalità della sua musica.
Diventa un cult movie globale (l'edizione italiana sarà intitolata 'Più Duro E', Più Forte Cade') e la sua colonna sonora uscita nel 1973 e contentente le sue ‘Many River To Cross’, ‘You Can’t Get It If You Really Want’, 'Sitting In Limbo e ‘The Harder They Come’, oltre ad altri classici di personaggi come Toots & Maytals, i Melodians e gli Slickers avrà una importanza incalcolabile nella popolarizzazione globale del reggae.
Questo periodo e’ il piu’ intenso della sua carriera: lascia la Island e si accasa alla EMI per cui escono tra il 1973 ed il 1974 grandi album come ‘Unlimited’, 'Struggling Man' ed 'Home Of Exile'.
La sua musica ha in questo periodo la spontaneità e l'autenticità del grande reggae che sta emergendo ma anche un taglio globale che arriva dalle sue importanti esperienze dandogli la capacità di comunicare in modo universale.
Per tutta la decade comunque continua a produrre ottima musica nel suo inconfondibile stile adattandosi tuttavia al roots reggae popolarizzato da Bob Marley e Peter Tosh ed a portare i suoi bellissimi spettacoli in giro per il mondo.
Già dai primi anni ottanta inizia una lunga serie di apprezzate apparizioni anche in Italia.
Nel 1983 ritrova l’enorme successo mondiale con il pop-reggae di ‘Reggae Night’, un po' vituperata dagli hardcore reggae fans e nel resto della sua carriera continua a cercare il successo commerciale attraverso altri singoli molto 'leggeri' ed a fondere la sua musica con altre tradizioni musicali come per esempio il Samba.
Durante gli anni ottanta e novanta torna infatti spesso in Brasile per soggiorni spesso anche piuttosto lunghi ed a pubblicare nuovi albums con regolarità.
Nel 1986 vince un Grammy Award di categoria con 'Cliff Hanger', disco che in linea con i gusti del momento ha pesanti apporti elettronici che non reggono molto il test del tempo.
Da segnalare il suo secondo Grammy vinto nel 2012 con 'Rebirth', bellissimo disco prodottogli da Tim Armstrong dei Rancid e che contiene una bella cover di 'Guns Of Brixton' dei Clash.
Prima della sua scomparsa Jimmy duetta anche con Joe Strummer in 'Over The Border'.
L'ultimo album realizzato da Jimmy Cliff è 'Refugees' del 2022.
Etichette:
Heroes
sabato, novembre 29, 2025
Not Moving live a Pisa "Caracol" 5 dicembre 2025
🖤 NOT MOVING
📍 Caracol – Via Cattaneo 64, Pisa
🗓️ Giovedì 5 dicembre 2024
🕣 ore 20:30 (attenzione: concerto PRIMA!)
🎫 Ingresso 10€ – riservato soci ARCI
🍔 Bar e cucina attivi
In apertura: I Segreti di Hansel
💥 Ingresso 10€ – riservato soci ARCI
🎶 Concerto alle 20:30 puntuali!
📍 Caracol – Contemporanea Casa del Popolo
Via Cattaneo 64, Pisa
📍 Caracol – Via Cattaneo 64, Pisa
🗓️ Giovedì 5 dicembre 2024
🕣 ore 20:30 (attenzione: concerto PRIMA!)
🎫 Ingresso 10€ – riservato soci ARCI
🍔 Bar e cucina attivi
In apertura: I Segreti di Hansel
💥 Ingresso 10€ – riservato soci ARCI
🎶 Concerto alle 20:30 puntuali!
📍 Caracol – Contemporanea Casa del Popolo
Via Cattaneo 64, Pisa
Etichette:
Not Moving
venerdì, novembre 28, 2025
Novembre 2025. Il meglio
Siamo alla fine del 2025, a breve partono le playlist conclusive.
Intanto tra i migliori album quelli di New Street Adventure, Little Simz, Black Eyes, Bob Mould, The New Eves, Big Special, Mavis Staples, Len Price 3, Kae Tempest, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Paul Weller, Cardiacs, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins, The Who, Nat Birchall, Robert Plant, The Prize, Th Unknowns
Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, La Nina, I Sordi, Calibro 35, Piaggio Soul Combination, Cesare Basile, The Lings, The Lancasters, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella, Alex Fernet, Mars X, The Ghiblis.
BLACK EYES - Hostile Design
Torna a vent'anni dallo scioglimento e dal secondo album, la band di Washington, sempre per la Dischord Records e con la produzione di Ian McKaye (ex Fugazi e Minor Threat). Due batterie, basso, chitarra, sax voce stridente, sei brani per mezzora di musica, in cui si mischiano tribalismi, free jazz, post hardcore, dub. Una bomba di energia e creatività, un disco che sorprende e spiazza e di raro impatto. Spettacolari.
MAVIS STAPLES - Sad And Beautiful World
A 86 anni la Signora del Gospel/Soul riesce a regalarci ancora emozioni e brividi, con un album di estrema intensità e profondità. Dodici brani ripresi con una grazia e un cuore immensi, come da sempre ci ha abituati. L'introduttiva "Chicago" di Tom Waits lascia senza fiato, "We Got Have Piece" di Curtis Mayfield e "Anthemn di Leonard Cohen commuovono alle lacrime. Al suo fianco ospiti perfettamente adeguati comne Buddy Guy, Bonnie Raitt, Jeff Tweedy, Derek Trucks. Spettacolare.
LEN PRICE 3 - Misty Medway Magick
Venti anni di attività, una discografia corposa e un nuovo album travolgente per la band di Chatham. Il sound guarda esplicitamente al garage beat di matrice Prisoners ma anche direttamente ai Sixties di Who, Kinks e affini. Una ventata di freschezza, irruenza, riff crudi e immediati, grandi canzoni.
THE SPITFIRES - MK II
Torna la band di Billy Sullivan, line up completamente rinnovata, il sound che mantiene le radici in un classico mod sound (dai Jam agli Ordinary Boys), debitore a matrici soul e Sixties, con un'asprezza di derivazione punk/new wave. L'approccio è più raffinato, meno irruente del passato, con arrangiamenti più curati e uno sguardo verso un pop più fruibile (se "Where Did We Go Wrong?" e "Man Out Of time" sono puro e semplice ska, "Like They Used To" e "Can't Kee This Up" virano verso un mood alla Duran Duran). Un buon ritorno, molto uniforme, che graffia poco ma comunque convincente.
THE CHARLATANS - We Are Love
A otto anni dal precedente, in pieno revival del Britpop, anche la band di Tim Burgess ha pensato bene di rifarsi sentire. Cercando una nuova identità che mantenesse però i legami con la riconoscibilità del passato. Il risultato è piacevole, c'è qualche riferimento psych, un po' di riempitivi, qualche secchiata di Lennon/McCartney (il finale "Now Everything" alla Oasis/Beatles è esemplificativo). Il giudizio è positivo, gradevole ma dubito che lascerà un segno.
DIANE KOWA & the PIAGGIO SOUL COMBINATION - Allnighter Material
Torna ad incidere la miglior soul band italiana ma che può vantare di avere pochi rivali al mondo, soprattutto dopo l'aggiunta vocale della stupenda Diane Kowa. Il nuovo album rispetta tutte le aspettative, dopo una serie di lavori sempre a livelli di eccellenza, snocciolando brani autografi di gran classe, fedeli al soul sound più classico, con incursioni nel Northern Soul, rhythm and blues, funk, gospel e blues. Il tutto suonato e interpretato nel migliore dei modi e con classe cristallina. Consigliatissimo e ai vertici tra i migliori dischi italiani dell'anno.
COOKIN ON 3 BURNERS - Cookin’ The Books
Torna dopo sei anni di silenzio la band austrialiana con il classico Hammond Sound di derivazione Booker T/JTQ/Jimmy Smith. Con il prezioso aiuto di una serie di ospiti vocali ci si tuffa anche in intensi brani soul, blues e funk, splendidamente cantati. A condire anche il tutto una versione funk di un brano hip hop di Mos Def, "Ms. Fat Booty". Sound prevedibile finché si muove ma sempre molto bello da ascoltare e apprezzare.
THE QUESTION - Shall Be Love
Per chi ama "scavare" in un certo ambito (per quanto mi riguarda la scena MOD in tutte le sue espressioni) ecco un nuovo tassello da aggiungere alla gloriosa storia.
Band di Los Angeles, attiva nei primi anni 80, molto vicina ai Jam, power pop e affini.
Viene pubblicato ora un ep con canzoni del 1982, in attesa di un album imminente con vecchio materiale e uno che sancisce un nuovo corso della band. Tra Jam, Squire, Purple Hearts, è un ascolto che gli appassionati del genere apprezzeranno.
GEESE - Getting Killed
Che strana la band NewYorkese. Difficile trovare una recensione che condivida i riferimenti sonori con un'altra. Grande la confusione sotto il cielo...Personalmente ci sento Talking Heads ma soprattutto le cose più sghembe del David Byrne solista, i Violent Femmes (quel cantato sguaiato alla Gordon Gano), un po' di Strokes, una vena funk, un po' di Morphine, un briciolo di Nick Cave o di Pavement. Ma sono suggestioni che arrivano a sprazzi, perché è l'insieme che conta e risalta. Qualcosa di distintivo e personale, che rende il disco interessantissimo, quanto, allo stesso modo, di fragile equilibrio compositivo.
In ogni caso è più che ottimo.
CHRISSIE HYNDE & THE PALS - Duets Special
Gli album di duetti su cover più o meno famose, hanno sempre la consueta caratteristica di dividersi tra alti e bassi, senza lode né infamia.
Non sfugge questo, pur carino, della voce dei Pretenders, con grande sfoggio di prestigiosi ospiti: Dave Gahan dei Depeche Mode, Debbie Harry, Alan Sparhawk dei Low, Rufus Wainwright, Shirley Manson dei Garbage, Lucinda Williams, Dan Auerbach dei Black Keys e il compianto Mark Lanegan. Si passa da Elvis Presley a Morrissey, Low, 10cc, Righteous Brothers e "It's Only Love" dei Beatles con il figlio del compositore originale, Julian Lennon, uno dei brani che John ha sempre dichiarato di odiare.
Qualcosa è suggestivo, altro un po' meno, il tono è generalmente molto soft e alla fine entra talvolta nella noia. Ma un ascolto lo si può dare.
THE UNKNOWNS - Looking from the outside
Il terzo album della band australiana è uno stupendo disco di punk rock che guarda tanto ai New York Dolls quanto ai Dead Boys, primi Damned, Saints. Quel punk intriso di rock'n'roll, veloce, aggressivo, minimale. Sono potentissimi e devastanti. Top del 2025.
HUSKER DU - 1985. The Miracle year
Una delle più potenti band mai uscite nella scena (punk) rock, in grado di coniugare la rabbia dell'hardcore con melodie Sixties e canzoni tra le più commoventi mai sentite.
In questo live c'è tutta l'essenza della band: rabbia, malinconia, disperazione ma anche tanto divertimento e passione nel riprendere brani come "Ticket To Ride", "Helter Skelter", "Eight Miles High" o "Sunshine Superman" oltre a varie perle del loro repertorio. Sempre fantastico ascoltarli ripresi (piuttosto bene) su un palco.
SMITH AND LIDDLE - Songs For The Desert
Molto carino questo primo lavoro del duo inglese in cui si intrecciano Sixties Pop, Simon & Garfunkel, Fleetwood Mac, i primi Dire Straits, Beach Boys, Wings e Beatles. Un bel mix, talvolta molto zuccheroso ma sempre di grande qualità e classe.
KASSA OVERALL - Cream
Kassa cattura il respiro di New York, dove vive, riprendendo in chiave cool jazz una serie di brani hip hop, da Notorious B.I.G. a Wu-Tang Clan, Dr. Dre, A Tribe Called Quest, OutKast, Digable Planets, Juvenile.
Sorprendente, suonato come dichiara "senza nessun montaggio, nessuna sovraincisione, nessun campione o drum machine. Solo un grande gruppo di musicisti che suonano insieme."
Si sente, davvero interessante.
CELESTE - Woman Of Faces
Il secodno album della voce "black" britannica è un viaggio in atmosfere soul, in bilico tra una visione moderna e una più classica del sound in oggetto. Struggenti e drammatiche ballate, con supporti orchestrali, che, non di rado, riportano alla mente Amy Winehouse nell'approccio vocale, ottime canzoni, talvolta troppo patinate ma sempre efficaci. Un lavoro di gran classe ed eleganza.
ULAN BATOR – Dark Times
Torna la band di Amaury Cambuzat, a lungo vicina al nostro Consorzio Produttori Indipendenti e con alle spalle trent’anni di prestigiosa attività di elevatissimo spessore. Il nuovo album conserva le matrici e le dinamiche che hanno sempre caratterizzato il gruppo, tra noise, post punk, atmosfere cupe e minacciose e uno sguardo particolare alla canzone d’autore francese. Personalità e maturità, capacità compositive collaudate e di primissimo livello per un’ennesima prova d’eccellenza.
AA.VV. - Difficult Children Cup
La benemerita Venti3 di Stefano Gilardino raccoglie in un ep in vinile di quattro brani le band che sta spingendo con la consueta passione e abnegazione.
Tiratura limitata in 150 copie con tanto di aggiunta di figurine adesive delle band.
Aprono i Twerks con la loro miscela di Buzzcocks, garage e elementi post punk, proseguono i 20 Minutes con un brevissimo e sporchissimo punk blues di ispirazione Pussy Galore / Jon Spencer / Cramps. Con gli Spectre si vola in atmosfere post punk alla Killing Joke, dal sapore goth. Con i bolognesi Chow i ritmi esplodono al limite dell'hardcore, mantenendo un groove garage punk. Un ep semplicemente perfetto.
KLASSE KRIMINALE – Live at Punk Rock Raduno
La leggendaria band street punk/ Oi! colta nel suo habitat più consono, dal vivo al Punk Rock Raduno del 2023. Scorrono i loro brani più significativi e noti, in versione potentissima, tirata e travolgente con la perfetta chiusura di “White Riot” dei Clash a suggello di una serata speciale. La registrazione è più che ottima e rende giustizia alla potenza di fuoco che sa esprimere il gruppo di Marco Balestrino ogni volta che sale su un palco.
OSLO TAPES - Låst Comet
Torna la band guidata da Marco Campitelli con un lavoro che ne conferma la maturità, l'originalità e un ruolo di primo piano nell'ambito della musica d'avanguardia. Confluiscono in Låst Comet umori kraut. psichedelia, ritmiche ipnotiche e ossessive ma anche le atmosfere liquide e sospese di Quasistar e Lazarus Aweking, i ritmi spezzati di Pyramid Shape, il gusto da moderni Velvet Underground di Tribe Telepathy. Un lavoro complesso, ricco di sfaccettature creative e sonore, denso di spunti e stimoli.
OBSCURITY AGE - s/t
DHG (Dissolutio Humani Generis) – Filìa
VIRIDANSE / THE ART OF WAITING – s/t
Rocka Tapes è un’etichetta discografica che propone in vinile storiche tape dell’underground musicale italiano. Una ricerca preziosa di materiale altrimenti destinato all’oblìo.
Pionieri della scena post punk, da Milano, gli Obscurity Age, lasciarono poche testimonianze: un mini album di sei brani nel 1986 e una tape nel 1984 allegata alla fanzine “Amen” che ora rivive nella ristampa su vinile. Sei canzoni, sonorità scarne e minimali, voce femminile volutamente monocorde, suoni post wave, registrazione senza fronzoli o abbellimenti. Un perfetto ritratto di un’epoca.
Band seminale nella scena italiana, i DHG lasciarono solo un album nel 1988, “Arido cammino”. Lo stesso anno in cui incisero otto provini in una session di un giorno, destinati alla ricerca di un’etichetta.
Il gruppo di sciolse prima, i membri si sparsero tra Ritmo Tribale, Ca Ira e altre esperienze. Il materiale vede per la prima volta la luce, evidenziando la maturità del sound della band, che mischia post punk, post wave e un’anima più rock, restando immersa in atmosfere cupe e dark. Tutto ancora molto fresco, ben prodotto e con una registrazione di ottima qualità.
Molto interessante l’accoppiata Viridanse / Art of Waiting, con il materiale allegato, in formato audiocassetta, alla fanzine “Amen”.
I Viridanse di Alessandria furono tra i migliori interpreti della new wave italiana degli anni Ottanta, con un sound malinconico ma energico che ben si intuisce in questo primo passo in studio di registrazione.
Più cupa e vicina al post punk dalle vesti dark la proposta degli Art of Waiting di Bari. La qualità della registrazione è buona e non risente del tempo trascorso ma restituisce, al contrario, l’urgenza di quegli anni. Gli Art of Waiting incisero un ep nel 1986, “La caduta del simbolo”, per la Toast, i Viridanse un piccolo gioiello come “Mediterranea” nel 1986 per Contempo e successivamente altri due album nel 2015 e nel 2017.
TIRATURA LIMITATA – s/t
Tornano, grazie alla lungimirante opera dell’etichetta Area Pirata, le tracce perdute della band milanese che, pur molto valida, non ebbe mai la giusta esposizione, in quegli anni Ottanta nella scena del “nuovo rock italiano”, così ricca di nomi, dischi, iniziative. Eppure avrebbero meritato tantissimo, come testimonia questo album che raccoglie tracce di un ep mai pubblicato, brani demo in studio e live, più una nuova registrazione, cover di “Doesn’t make it alright” degli Specials, incisa da poco. Marcate influenze Clash, quelle più evidenti e palesi, ma tanto altro, rock, punk e poesia. Un ennesimo tassello a completare la storia di un’epoca irripetibile.
THE BOOJUMS - s/t
La band canadese si muove tra punk rock, garage, melodie 60's, movenze alla Weezer e/o Pixies ma in maniera molto ruvida, ai confini con il lo-fi. Non male.
THE BELAIR LIP BOMBS - Again
Un buon disco di alt pop rock un po' ruvido, un po' gradevole, tra Wet leg e Sleater-Kinney, ben fatto e con buone probabilità di arrivare in alto, pur restando nel limbo della mediocrità e non decollare quasi mai.
VV.AA. - Eccentric Modern Soul
Compilation molto accattivante con brani rari e inediti di soul anni 60 e 70, pubblicati dalla Numero tra dsco soul, Philly Sound, reggae soul e pop soul molto fruibile. Nel brano dei 94 East c'è anche il 16enne Prince alla chitarra. Rilassante e groovy.
BEE BEE SEA - Stanzini Can Be Allright
I Bee Bee Sea macinano da anni un poderoso mix di garage, psych rock, punk, power pop, a cui nel nuovo album aggiungono anche una manciata di glam (vedi l'iniziale "Holy Money"). Il sound è grezzo, diretto, urgente, ruvido, minimale, le canzoni hanno sempre la giusta carica e attitudine. I dodici brani scorrono veloci ma non per questo sono di semplice costruzione. Anzi, la composizione è spesso elaborata, con melodie e approcci ritmici variegati e mai scontati. Ancora una volta, più che ottimi!
MESSINESS – s/t
Sorprende per qualità e versatilità artistica l’esordio della band milanese, guidata dall’estro di Max Raffa, cantante, compositore, polistrumentista, scrittore e sociologo. L’album si snoda in direzioni sempre differenti, ricche di contaminazioni tra psichedelia, echi di Britpop (“Previous life” su tutte), omaggi espliciti ai Caravan (“Eternity Unbound”), la sperimentazione di “Optmised”, retaggi “Baggy/Madchester” e tanto altro. La qualità della scrittura è alta, la produzione artistica perfetta, un lavoro dalle grandi possibilità.
ATOM LUX - Voidgaze Dopamine Salad
Il polistrumentista, autore e cantante cilentano, trapiantato a Roma, dopo una variegata carriera che lo ha portato a vagare tra innumerevoli esperienze musicali, arriva all'esordio solista con un album sorprendente per varietà stilistica. Un caleidoscopio di riferimenti, dalla psichedelia allo stoner, dai Gong, ai King Gizzard & the Lizard Wizard, Primus e tanto altro, elementi prog, cambi ritmici, grande capacità tecnica ed esecutiva. Notevole e molto interessante.
BAM!BOX ORCHESTRA - Lovers' Course
La folle band napoletana è sicuramente cresciuta apprezzando tutto quel sound, sporco, gracchiante e spericolato, che dai Cramps passa per i Gories, Pussy Galore, Jon Spencer Blues Explosion, Oblivians, tra i tanti. I dodici brani di questo album parlano chiaro. Rock 'n' roll malsano e brutale, sgangherato, aggressivo ma sempre divertente, suonato con passione e noncuranza per ogni possibile sbocco commerciale. E per questo ancora più bello.
STERBUS - Black and Gold
Un lavoro molto interessante, dalla genesi particolare, in piena pandemia, sviluppatasi progressivamente intorno all'iconica figura di Virginia Wolf, in una sorta di concept. I brani, scritti e arrangiati da Emanuele Sterbini e Dominique D'Avanzo, suonati insieme a musicisti ospiti della scena romana ed inglese, viaggiano in sentieri sonori difficilmente collocabili, tra folk inglese, psichedelia, blues, in una miscela visionaria, tra atmosfere sospese, semi acustiche che amano guardare spesso agli anni a cavallo tra Sessanta e Settanta. Un lavoro anomalo e originale, pressoché unico nel panorama italiano ma non solo.
TAMPAX – Tampax in the cuntry / Iraq ‘n’ Roll Is Dead
La mitica band friulana, la prima, con i conterranei Hitler SS a pubblicare, nel 1978, un disco punk, torna, a dieci anni dall’ultima testimonianza sonora, con un 45 giri che, come sempre, sorprendente, caotico, anarchico. Sul lato A un country punk serrato, divertente, travolgente, nella B side un punk n roll ai limiti del noise. Un’altra rara testimonianza di una storia che non smette mai di stupire.
CAPPUCCIO COLLECTIVE SMOOTH – Breathe
Un album di immensa classe in cui il jazz incrocia atmosfere blues, pop, lunghe, soul, fusion, funk. Il mondo è quello di George Benson, Al Jarreau ma anche degli anni Ottanta di Sade. La qualità esecutiva è stupefacente, avvalendosi dell’apporto di strumentisti eccelsi che ben si affiancano alla chitarra di Mimmo Cappuccio e alla meravigliosa voce di Annina Galiano e le armonie di Cristina Massaro. Eleganza e raffinatezza, basti l’ascolto delle cover di “Summertime” e di “September” degli Earth, Wind and Fire. Super!
ASCOLTATO ANCHE:
SNOCAPS (gradevole lo fi pop rock dagli USA), AL SUNNY (soul e city pop, influenze marcate di Steve Wonder in un discreto album per l'artista francese),
LETTO
Gabriel Seroussi - La periferia vi guarda con odio. Come nasce la fobia dei maranza
"Le istituzioni e la politica hanno cominciato a demonizzare la figura del maranza con tutti i mezzi a disposizione, trasformandola in un capro espiatorio utile a confortare una società vecchia e impoverita".
Si riassume in queste righe la tesi dell'autore, che analizza, attraverso una serie di incontri e interviste, non tanto la figura spettacolarizzata e demonizzata del "maranza" ma il contesto sociale e culturale in cui emergono criticità che portano alle situazioni più estreme (sparate puntualmente in prima pagina.
Inserendo uno degli aspetti conseguenti, la modalità comunicativa più immediata ovvero l'ascolto e la proposta di certe tematiche attraverso rap e trap.
"Nello stereotipo del maranza c'è la sintesi di tutto ciò che è destabilizzante per una società depressa a livello economico e demograficamente anziana, sobillata da decenni di retorica razzista e xenofoba.
La fobia del maranza è una reazione di rigetto di fronte a cambiamenti demografici e culturali che sono già pienamente in atto in Italia."
Il libro riesce a dare voce, in modo chiaro e diretto, a una realtà già da tempo stabile, attiva e partecipe alla quotidianità italiana, per quanto sia ancora vista come un corpo estraneo, una nicchia, un ghetto a parte.
"Un altro tratto culturale del nostro paese è il diffuso sentimento d'odio verso i giovani. Considerati da molti pigri e ignoranti, sbeffeggiati perché non hanno fatto il Sessantotto o usato un telefono a gettoni, i giovani in Italia sono una categoria su cui si riversa facilmente la frustrazione di giornalisti anziani e incapaci di leggere la contemporaneità."
In questo contesto si inserisce l'importanza della musica (t)rap, veicolo comunicativo, spesso inintelleggibile dai meno giovani e al di fuori dal contesto di riferimento, anche se "il valore culturale e politico dei rapper si misura dunque in ciò che questi rappresentano, prima ancora che in quello che comunicano.
Il rap, soprattutto negli ultimi anni, è stato additato come piaga sociale, proprio perché in grado di raccontare condizioni di estrema marginalizzazione sociale, in particolare quelle persone con un background migratorio".
Un testo importante, approfondito e profondo, da leggere per chi è interessato a ciò che cambia o è già cambiato.
"Questi ragazzi, spesso, non parlano con gli adulti. Non si fidano. L'unico modo per costruire un dialogo è imparare ad ascoltarli davvero, con rispetto."
Angela Valcavi - Via Rismondo 117
Delle vicende legate alle sottoculture italiane (e non solo) sviluppatesi negli anni Ottanta, sia da un punto di vista di “colore” ed estetica, sia nelle loro implicazioni politico/sociali, si è parlato e si continua a farlo a profusione.
Difficilmente chi non le ha vissute in prima persona riuscirà a coglierne tutte le sfumature e quanto fossero sinonimo di identità, appartenenza, antagonismo (talvolta ingenuo e superficiale ma sempre sincero e genuino).
E’ però importante che si aggiungano progressivamente ulteriori racconti e approfondimenti, nuovi tasselli di un mondo irripetibile e che non c’è più.
“Via Rismondo 117” di Angela Valcavi (pubblicato da Interno 4 Edizioni) è una storia, esplicitamente “romanzata” ma che è invece molto aderente alla realtà.
Si parla della vicenda della fanzine “Amen” attorno alla quale si sviluppano mille altre iniziative e racconti della Milano “punk e dintorni” degli anni Ottanta, dai centri sociali occupati come il “Virus”, all’arrivo dei punx nel “Leoncavallo”, con l’apertura dello spazio parallelo dell’”Helter Skelter” (dove suonarono eccellenze come Henry Rollins e Sonic Youth), attraverso tutte le contraddizioni e scontri ideologici all’interno dello stesso giro antagonista, gli sforzi per costruire nuovi spazi antitetici all’inizio del “sacco di Milano” (edilizio, politico, sociale e non solo).
“Noi eravamo e volevamo essere un mondo a parte...appartenevamo a un mondo con sue specificità e caratteristiche culturali ben definite, con presupposti e percorsi differenti da qualunque altro precedente per genesi e sviluppo. La definizione di sottocultura avrebbe solo insterilito il nostro ambito di elaborazione di pensiero e azione”.
Nel libro, scritto molto bene e con puntiglio, le vicende scorrono tra “gioia e rivoluzione” ma anche lutti, macerie e amarezza. Il tutto corredato da tantissimo materiale grafico.
L’importanza di quelle gesta è rimasta nella società odierna, ha formato persone e le ha rese migliori o comunque differenti dall’omologazione imperante.
“Gli anni Ottanta furono una vera fucina sotterranea di libertà creativa che investì ogni aspetto della realtà giovanile...una cultura diversa si era sparsa, diffusa e affermata, correndo impazzita, imprendibile, sviluppandosi dove aveva trovato il terreno adatto, opponendosi al livello avvilente di bisogni indotti dall’effimero del mercato. Guardando un’ultima volta le macerie, resta il grande sogno.”
Francesco Donadio - Rinnegato. Vita e canzonette di Edoardo Bennato
Una biografia dettagliatissima e approfondita, quanto ragionata, della carriera di Edoardo Bennato, uno dei cantautori più originali e creativi della canzone d’autore italiana, spesso trascurato e dimenticato.
Il testo ci lascia capire che le sue posizioni mai allineate e spesso scomode gli hanno inimicato parecchie “fazioni” politiche e non.
In effetti passare dal circuito del PCI e Lotta Continua negli anni Settanta all’appoggio convinto a Beppe Grillo e al suo nascente Movimento, per poi sbeffeggiarlo in “Al diavolo il Grillo Parlante” e alla partecipazione alle feste per Alleanza Nazionale, non aiuta.
Ma è sempre stato lo stile di Bennato, seguire una sua strada, incurante del resto.
La carriera è ricchissima di successi e capolavori ma anche di rovinose cadute in album poco significativi, di un San Siro con 80.000 persone a esibizioni in feste di paese.
Il libro manca (anche volutamente) delle parole del protagonista ma si avvale delle testimonianze dei suoi più stretti collaboratori (a partire dai fratelli Eugenio e il compianto Giorgio).
Un lavoro certosino e completo. Edoardo Bennato fu tra i primissimi a portare in Italia il linguaggio blues e rock ‘n’roll.
Pietruccio Montalbetti - Storia di due amici e dei Dik Dik
Pietruccio Montalbetti è da sempre l'anima dei DIK DIK ma anche un coinvolgente scrittore e un indomito esploratore (consiglio uno dei suoi libri sull'argomento, dedicato a un viaggio avventurosissimo in solitaria in Amazzonia: https://tonyface.blogspot.com/2018/12/pietruccio-montalbetti-io-mi-fermo-qui.html).
In questo nuovo testo racconta della sua intima amicizia con LUCIO BATTISTI, con particolari inediti e spesso molto gustosi, parallelamente alla vicenda artistica dei Dik Dik, dagli esordi nella prima metà degli anni Sessanta ad oggi (a 84 anni continua a portare in giro la band).
Una valanga di aneddoti e una "fotografia" di epoche lontane e inimmaginabili per quanto fossero pionieristiche.
Gli appassionati di epoca beat e musica italiana apprezzeranno questo ulteriore tassello.
Valerio Bruner - Spiriti nella notte
«Le canzoni di Bruce Springsteen sono la mia colonna sonora da quando avevo quindici anni. C’era qualcosa nella sua poetica in cui vedevo finalmente espresso quello che mi portavo dentro e che ancora non riuscivo a dire con parole mie. Da lì è stato l’inizio di un viaggio insieme che dura tuttora».
Non sono un grande estimatore e conoscitore di Springsteen, per cui trovare riferimenti diretti alle canzoni che hanno ispirato all'autore questi venticinque racconti, non mi è facile.
Il libro riesce però a vivere un'esistenza a sé stante, indipendentemente dai collegamenti, perchè sono pagine scritte molto bene, coinvolgenti, dirette, crude, in cui si colgono, invece, le radici artistiche e socio/culturali del Boss e delle sue canzoni.
I fan di Springsteen troveranno pane per i loro denti, gli "altri" avranno comunque buona soddisfazione.
Mutti Enrico - Porretto Rita, Mericone Silvia - Casalanguida Luca - Liberatore Tanino - Nightmare in Rome
Nightmare in Rome è un progetto audiovisivo (e visionario ma non troppo considerate le numerose attinenze con l'attualità) nato da un'idea di Enrico Mutti, Lorenzo Senni e dalla matita di Tanino Liberatore, dove musica e fumetto si incontrano per dare forma a qualcosa di radicalmente nuovo.
Si parla di un collettivo musicale segreto di musicisti che usano la musica per resistere in un mondo post-apocalittico, in una Roma del 2045 tra macerie e una dimensione di museo, utilizzando campioni delle colonne sonore della CAM Sugar, il più vasto catalogo di musica per il cinema italiano, che attraverso l'incontro con l'elettronica, il rap ed il pop si trasformano in qualcosa di radicalmente attuale.
Proprio perché il fumetto va di pari passo con una colonna sonora che prende spunto da brani originali di Ennio Morricone, Riz Ortolani, Stelvio Cipriani, Franco Godi e Daniele Patucchi.
Un lavoro originale, intrigante e pressoché unico.
Gimme Danger #7 - Autunno 2025
È uscito il nuovo numero di GIMME DANGER, la rivista ideata e diretta da Claudio Sorge e Luca Frazzi.
Io mi occupo di recensire il "Live at Oval" degli Who, l'antologia degli Outer Limits, i box di Discharge e Blitz, la compilation mod "Countdown 1985-88", i Proper, il nuovo Paul Weller, Bonnie Dobson & The Hanging Stars oltre a qualche pagina dedicata alla storia (vista nella mia ottica personale) dei Not Moving.
Allegato un EP/7 pollici con Neoprimitivi (in un brano live ipnotico tra kraut e psichedelia), Seekers 70 (potente cover di "Flashback" dei Moving Sidewalks), Jukebox 74 (grandissima ripresa di "Father's Name is Dad" degli inglesi Fire).
Per averlo:
gimmedanger2022@gmail.com
hellnation64@gmail.com
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto".
APPUNTAMENTI
NOT MOVING
"That's All Folks!" Tour
*** Venerdì 5 dicembre: Pisa "Caracol" ore 22
*** Sabato 13 dicembre: Poviglio (Reggio Emilia) "Caseificio La Rosa"
*** Venerdì 19 dicembre: Cagliari "Fabrik"
*** Sabato 20 dicembre: Sassari "Teatro Verdi"
To be continued in 2026
E' uscito venerdì 17 ottobre, in vinile (azzurro "blues" per le prime 500 copie) e CD “That’s all Folks!”, l’ultimo album dei Not Moving.
Dai primi concerti nel 1981 e dell’esordio discografico del 1982, Rita Lilith Oberti, Dome La Muerte e Antonio Bacciocchi hanno portato sempre avanti lo spirito della band. Anche nei lunghi periodi di pausa e allontanamento, i Not Moving hanno continuato a vivere nei reciproci progetti solisti, nella cura di ristampe (spesso con inediti), documentari, un live dagli anni Ottanta, una breve reunion tra il 2005 e il 2006. Nel 2017 il ritorno insieme con un nuovo album e un centinaio di concerti lungo la Penisola.
La storia ora si conclude.
Il rock ‘n’roll salva la vita (come cantava Lou Reed con i Velvet Underground) ma in cambio ti chiede l’anima, il cuore, la carne. Ti divora e distrugge.
Un prezzo concordato già nell’adolescenza e consegnato al Demone. Che ha restituito la vita che i Not Moving hanno sempre voluto e desiderato, nella sua sadica precarietà, anche quando il fisico perde i previsti colpi.
“That’s All Folks” era stato concepito come un omaggio alle radici da cui la band è partita: il blues. L’album si sviluppa su quelle coordinate, guardando però anche al punk, Gun Club, Cramps, The X, psichedelia, Rolling Stones, Bo Diddley e si chiude con il testo di “Not Moving” dei DNA di Arto Lindsay, brano tratto da “No New York” da cui la band prese il nome.
That’s All Folks!
Intanto tra i migliori album quelli di New Street Adventure, Little Simz, Black Eyes, Bob Mould, The New Eves, Big Special, Mavis Staples, Len Price 3, Kae Tempest, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Paul Weller, Cardiacs, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins, The Who, Nat Birchall, Robert Plant, The Prize, Th Unknowns
Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, La Nina, I Sordi, Calibro 35, Piaggio Soul Combination, Cesare Basile, The Lings, The Lancasters, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella, Alex Fernet, Mars X, The Ghiblis.
BLACK EYES - Hostile Design
Torna a vent'anni dallo scioglimento e dal secondo album, la band di Washington, sempre per la Dischord Records e con la produzione di Ian McKaye (ex Fugazi e Minor Threat). Due batterie, basso, chitarra, sax voce stridente, sei brani per mezzora di musica, in cui si mischiano tribalismi, free jazz, post hardcore, dub. Una bomba di energia e creatività, un disco che sorprende e spiazza e di raro impatto. Spettacolari.
MAVIS STAPLES - Sad And Beautiful World
A 86 anni la Signora del Gospel/Soul riesce a regalarci ancora emozioni e brividi, con un album di estrema intensità e profondità. Dodici brani ripresi con una grazia e un cuore immensi, come da sempre ci ha abituati. L'introduttiva "Chicago" di Tom Waits lascia senza fiato, "We Got Have Piece" di Curtis Mayfield e "Anthemn di Leonard Cohen commuovono alle lacrime. Al suo fianco ospiti perfettamente adeguati comne Buddy Guy, Bonnie Raitt, Jeff Tweedy, Derek Trucks. Spettacolare.
LEN PRICE 3 - Misty Medway Magick
Venti anni di attività, una discografia corposa e un nuovo album travolgente per la band di Chatham. Il sound guarda esplicitamente al garage beat di matrice Prisoners ma anche direttamente ai Sixties di Who, Kinks e affini. Una ventata di freschezza, irruenza, riff crudi e immediati, grandi canzoni.
THE SPITFIRES - MK II
Torna la band di Billy Sullivan, line up completamente rinnovata, il sound che mantiene le radici in un classico mod sound (dai Jam agli Ordinary Boys), debitore a matrici soul e Sixties, con un'asprezza di derivazione punk/new wave. L'approccio è più raffinato, meno irruente del passato, con arrangiamenti più curati e uno sguardo verso un pop più fruibile (se "Where Did We Go Wrong?" e "Man Out Of time" sono puro e semplice ska, "Like They Used To" e "Can't Kee This Up" virano verso un mood alla Duran Duran). Un buon ritorno, molto uniforme, che graffia poco ma comunque convincente.
THE CHARLATANS - We Are Love
A otto anni dal precedente, in pieno revival del Britpop, anche la band di Tim Burgess ha pensato bene di rifarsi sentire. Cercando una nuova identità che mantenesse però i legami con la riconoscibilità del passato. Il risultato è piacevole, c'è qualche riferimento psych, un po' di riempitivi, qualche secchiata di Lennon/McCartney (il finale "Now Everything" alla Oasis/Beatles è esemplificativo). Il giudizio è positivo, gradevole ma dubito che lascerà un segno.
DIANE KOWA & the PIAGGIO SOUL COMBINATION - Allnighter Material
Torna ad incidere la miglior soul band italiana ma che può vantare di avere pochi rivali al mondo, soprattutto dopo l'aggiunta vocale della stupenda Diane Kowa. Il nuovo album rispetta tutte le aspettative, dopo una serie di lavori sempre a livelli di eccellenza, snocciolando brani autografi di gran classe, fedeli al soul sound più classico, con incursioni nel Northern Soul, rhythm and blues, funk, gospel e blues. Il tutto suonato e interpretato nel migliore dei modi e con classe cristallina. Consigliatissimo e ai vertici tra i migliori dischi italiani dell'anno.
COOKIN ON 3 BURNERS - Cookin’ The Books
Torna dopo sei anni di silenzio la band austrialiana con il classico Hammond Sound di derivazione Booker T/JTQ/Jimmy Smith. Con il prezioso aiuto di una serie di ospiti vocali ci si tuffa anche in intensi brani soul, blues e funk, splendidamente cantati. A condire anche il tutto una versione funk di un brano hip hop di Mos Def, "Ms. Fat Booty". Sound prevedibile finché si muove ma sempre molto bello da ascoltare e apprezzare.
THE QUESTION - Shall Be Love
Per chi ama "scavare" in un certo ambito (per quanto mi riguarda la scena MOD in tutte le sue espressioni) ecco un nuovo tassello da aggiungere alla gloriosa storia.
Band di Los Angeles, attiva nei primi anni 80, molto vicina ai Jam, power pop e affini.
Viene pubblicato ora un ep con canzoni del 1982, in attesa di un album imminente con vecchio materiale e uno che sancisce un nuovo corso della band. Tra Jam, Squire, Purple Hearts, è un ascolto che gli appassionati del genere apprezzeranno.
GEESE - Getting Killed
Che strana la band NewYorkese. Difficile trovare una recensione che condivida i riferimenti sonori con un'altra. Grande la confusione sotto il cielo...Personalmente ci sento Talking Heads ma soprattutto le cose più sghembe del David Byrne solista, i Violent Femmes (quel cantato sguaiato alla Gordon Gano), un po' di Strokes, una vena funk, un po' di Morphine, un briciolo di Nick Cave o di Pavement. Ma sono suggestioni che arrivano a sprazzi, perché è l'insieme che conta e risalta. Qualcosa di distintivo e personale, che rende il disco interessantissimo, quanto, allo stesso modo, di fragile equilibrio compositivo.
In ogni caso è più che ottimo.
CHRISSIE HYNDE & THE PALS - Duets Special
Gli album di duetti su cover più o meno famose, hanno sempre la consueta caratteristica di dividersi tra alti e bassi, senza lode né infamia.
Non sfugge questo, pur carino, della voce dei Pretenders, con grande sfoggio di prestigiosi ospiti: Dave Gahan dei Depeche Mode, Debbie Harry, Alan Sparhawk dei Low, Rufus Wainwright, Shirley Manson dei Garbage, Lucinda Williams, Dan Auerbach dei Black Keys e il compianto Mark Lanegan. Si passa da Elvis Presley a Morrissey, Low, 10cc, Righteous Brothers e "It's Only Love" dei Beatles con il figlio del compositore originale, Julian Lennon, uno dei brani che John ha sempre dichiarato di odiare.
Qualcosa è suggestivo, altro un po' meno, il tono è generalmente molto soft e alla fine entra talvolta nella noia. Ma un ascolto lo si può dare.
THE UNKNOWNS - Looking from the outside
Il terzo album della band australiana è uno stupendo disco di punk rock che guarda tanto ai New York Dolls quanto ai Dead Boys, primi Damned, Saints. Quel punk intriso di rock'n'roll, veloce, aggressivo, minimale. Sono potentissimi e devastanti. Top del 2025.
HUSKER DU - 1985. The Miracle year
Una delle più potenti band mai uscite nella scena (punk) rock, in grado di coniugare la rabbia dell'hardcore con melodie Sixties e canzoni tra le più commoventi mai sentite.
In questo live c'è tutta l'essenza della band: rabbia, malinconia, disperazione ma anche tanto divertimento e passione nel riprendere brani come "Ticket To Ride", "Helter Skelter", "Eight Miles High" o "Sunshine Superman" oltre a varie perle del loro repertorio. Sempre fantastico ascoltarli ripresi (piuttosto bene) su un palco.
SMITH AND LIDDLE - Songs For The Desert
Molto carino questo primo lavoro del duo inglese in cui si intrecciano Sixties Pop, Simon & Garfunkel, Fleetwood Mac, i primi Dire Straits, Beach Boys, Wings e Beatles. Un bel mix, talvolta molto zuccheroso ma sempre di grande qualità e classe.
KASSA OVERALL - Cream
Kassa cattura il respiro di New York, dove vive, riprendendo in chiave cool jazz una serie di brani hip hop, da Notorious B.I.G. a Wu-Tang Clan, Dr. Dre, A Tribe Called Quest, OutKast, Digable Planets, Juvenile.
Sorprendente, suonato come dichiara "senza nessun montaggio, nessuna sovraincisione, nessun campione o drum machine. Solo un grande gruppo di musicisti che suonano insieme."
Si sente, davvero interessante.
CELESTE - Woman Of Faces
Il secodno album della voce "black" britannica è un viaggio in atmosfere soul, in bilico tra una visione moderna e una più classica del sound in oggetto. Struggenti e drammatiche ballate, con supporti orchestrali, che, non di rado, riportano alla mente Amy Winehouse nell'approccio vocale, ottime canzoni, talvolta troppo patinate ma sempre efficaci. Un lavoro di gran classe ed eleganza.
ULAN BATOR – Dark Times
Torna la band di Amaury Cambuzat, a lungo vicina al nostro Consorzio Produttori Indipendenti e con alle spalle trent’anni di prestigiosa attività di elevatissimo spessore. Il nuovo album conserva le matrici e le dinamiche che hanno sempre caratterizzato il gruppo, tra noise, post punk, atmosfere cupe e minacciose e uno sguardo particolare alla canzone d’autore francese. Personalità e maturità, capacità compositive collaudate e di primissimo livello per un’ennesima prova d’eccellenza.
AA.VV. - Difficult Children Cup
La benemerita Venti3 di Stefano Gilardino raccoglie in un ep in vinile di quattro brani le band che sta spingendo con la consueta passione e abnegazione.
Tiratura limitata in 150 copie con tanto di aggiunta di figurine adesive delle band.
Aprono i Twerks con la loro miscela di Buzzcocks, garage e elementi post punk, proseguono i 20 Minutes con un brevissimo e sporchissimo punk blues di ispirazione Pussy Galore / Jon Spencer / Cramps. Con gli Spectre si vola in atmosfere post punk alla Killing Joke, dal sapore goth. Con i bolognesi Chow i ritmi esplodono al limite dell'hardcore, mantenendo un groove garage punk. Un ep semplicemente perfetto.
KLASSE KRIMINALE – Live at Punk Rock Raduno
La leggendaria band street punk/ Oi! colta nel suo habitat più consono, dal vivo al Punk Rock Raduno del 2023. Scorrono i loro brani più significativi e noti, in versione potentissima, tirata e travolgente con la perfetta chiusura di “White Riot” dei Clash a suggello di una serata speciale. La registrazione è più che ottima e rende giustizia alla potenza di fuoco che sa esprimere il gruppo di Marco Balestrino ogni volta che sale su un palco.
OSLO TAPES - Låst Comet
Torna la band guidata da Marco Campitelli con un lavoro che ne conferma la maturità, l'originalità e un ruolo di primo piano nell'ambito della musica d'avanguardia. Confluiscono in Låst Comet umori kraut. psichedelia, ritmiche ipnotiche e ossessive ma anche le atmosfere liquide e sospese di Quasistar e Lazarus Aweking, i ritmi spezzati di Pyramid Shape, il gusto da moderni Velvet Underground di Tribe Telepathy. Un lavoro complesso, ricco di sfaccettature creative e sonore, denso di spunti e stimoli.
OBSCURITY AGE - s/t
DHG (Dissolutio Humani Generis) – Filìa
VIRIDANSE / THE ART OF WAITING – s/t
Rocka Tapes è un’etichetta discografica che propone in vinile storiche tape dell’underground musicale italiano. Una ricerca preziosa di materiale altrimenti destinato all’oblìo.
Pionieri della scena post punk, da Milano, gli Obscurity Age, lasciarono poche testimonianze: un mini album di sei brani nel 1986 e una tape nel 1984 allegata alla fanzine “Amen” che ora rivive nella ristampa su vinile. Sei canzoni, sonorità scarne e minimali, voce femminile volutamente monocorde, suoni post wave, registrazione senza fronzoli o abbellimenti. Un perfetto ritratto di un’epoca.
Band seminale nella scena italiana, i DHG lasciarono solo un album nel 1988, “Arido cammino”. Lo stesso anno in cui incisero otto provini in una session di un giorno, destinati alla ricerca di un’etichetta.
Il gruppo di sciolse prima, i membri si sparsero tra Ritmo Tribale, Ca Ira e altre esperienze. Il materiale vede per la prima volta la luce, evidenziando la maturità del sound della band, che mischia post punk, post wave e un’anima più rock, restando immersa in atmosfere cupe e dark. Tutto ancora molto fresco, ben prodotto e con una registrazione di ottima qualità.
Molto interessante l’accoppiata Viridanse / Art of Waiting, con il materiale allegato, in formato audiocassetta, alla fanzine “Amen”.
I Viridanse di Alessandria furono tra i migliori interpreti della new wave italiana degli anni Ottanta, con un sound malinconico ma energico che ben si intuisce in questo primo passo in studio di registrazione.
Più cupa e vicina al post punk dalle vesti dark la proposta degli Art of Waiting di Bari. La qualità della registrazione è buona e non risente del tempo trascorso ma restituisce, al contrario, l’urgenza di quegli anni. Gli Art of Waiting incisero un ep nel 1986, “La caduta del simbolo”, per la Toast, i Viridanse un piccolo gioiello come “Mediterranea” nel 1986 per Contempo e successivamente altri due album nel 2015 e nel 2017.
TIRATURA LIMITATA – s/t
Tornano, grazie alla lungimirante opera dell’etichetta Area Pirata, le tracce perdute della band milanese che, pur molto valida, non ebbe mai la giusta esposizione, in quegli anni Ottanta nella scena del “nuovo rock italiano”, così ricca di nomi, dischi, iniziative. Eppure avrebbero meritato tantissimo, come testimonia questo album che raccoglie tracce di un ep mai pubblicato, brani demo in studio e live, più una nuova registrazione, cover di “Doesn’t make it alright” degli Specials, incisa da poco. Marcate influenze Clash, quelle più evidenti e palesi, ma tanto altro, rock, punk e poesia. Un ennesimo tassello a completare la storia di un’epoca irripetibile.
THE BOOJUMS - s/t
La band canadese si muove tra punk rock, garage, melodie 60's, movenze alla Weezer e/o Pixies ma in maniera molto ruvida, ai confini con il lo-fi. Non male.
THE BELAIR LIP BOMBS - Again
Un buon disco di alt pop rock un po' ruvido, un po' gradevole, tra Wet leg e Sleater-Kinney, ben fatto e con buone probabilità di arrivare in alto, pur restando nel limbo della mediocrità e non decollare quasi mai.
VV.AA. - Eccentric Modern Soul
Compilation molto accattivante con brani rari e inediti di soul anni 60 e 70, pubblicati dalla Numero tra dsco soul, Philly Sound, reggae soul e pop soul molto fruibile. Nel brano dei 94 East c'è anche il 16enne Prince alla chitarra. Rilassante e groovy.
BEE BEE SEA - Stanzini Can Be Allright
I Bee Bee Sea macinano da anni un poderoso mix di garage, psych rock, punk, power pop, a cui nel nuovo album aggiungono anche una manciata di glam (vedi l'iniziale "Holy Money"). Il sound è grezzo, diretto, urgente, ruvido, minimale, le canzoni hanno sempre la giusta carica e attitudine. I dodici brani scorrono veloci ma non per questo sono di semplice costruzione. Anzi, la composizione è spesso elaborata, con melodie e approcci ritmici variegati e mai scontati. Ancora una volta, più che ottimi!
MESSINESS – s/t
Sorprende per qualità e versatilità artistica l’esordio della band milanese, guidata dall’estro di Max Raffa, cantante, compositore, polistrumentista, scrittore e sociologo. L’album si snoda in direzioni sempre differenti, ricche di contaminazioni tra psichedelia, echi di Britpop (“Previous life” su tutte), omaggi espliciti ai Caravan (“Eternity Unbound”), la sperimentazione di “Optmised”, retaggi “Baggy/Madchester” e tanto altro. La qualità della scrittura è alta, la produzione artistica perfetta, un lavoro dalle grandi possibilità.
ATOM LUX - Voidgaze Dopamine Salad
Il polistrumentista, autore e cantante cilentano, trapiantato a Roma, dopo una variegata carriera che lo ha portato a vagare tra innumerevoli esperienze musicali, arriva all'esordio solista con un album sorprendente per varietà stilistica. Un caleidoscopio di riferimenti, dalla psichedelia allo stoner, dai Gong, ai King Gizzard & the Lizard Wizard, Primus e tanto altro, elementi prog, cambi ritmici, grande capacità tecnica ed esecutiva. Notevole e molto interessante.
BAM!BOX ORCHESTRA - Lovers' Course
La folle band napoletana è sicuramente cresciuta apprezzando tutto quel sound, sporco, gracchiante e spericolato, che dai Cramps passa per i Gories, Pussy Galore, Jon Spencer Blues Explosion, Oblivians, tra i tanti. I dodici brani di questo album parlano chiaro. Rock 'n' roll malsano e brutale, sgangherato, aggressivo ma sempre divertente, suonato con passione e noncuranza per ogni possibile sbocco commerciale. E per questo ancora più bello.
STERBUS - Black and Gold
Un lavoro molto interessante, dalla genesi particolare, in piena pandemia, sviluppatasi progressivamente intorno all'iconica figura di Virginia Wolf, in una sorta di concept. I brani, scritti e arrangiati da Emanuele Sterbini e Dominique D'Avanzo, suonati insieme a musicisti ospiti della scena romana ed inglese, viaggiano in sentieri sonori difficilmente collocabili, tra folk inglese, psichedelia, blues, in una miscela visionaria, tra atmosfere sospese, semi acustiche che amano guardare spesso agli anni a cavallo tra Sessanta e Settanta. Un lavoro anomalo e originale, pressoché unico nel panorama italiano ma non solo.
TAMPAX – Tampax in the cuntry / Iraq ‘n’ Roll Is Dead
La mitica band friulana, la prima, con i conterranei Hitler SS a pubblicare, nel 1978, un disco punk, torna, a dieci anni dall’ultima testimonianza sonora, con un 45 giri che, come sempre, sorprendente, caotico, anarchico. Sul lato A un country punk serrato, divertente, travolgente, nella B side un punk n roll ai limiti del noise. Un’altra rara testimonianza di una storia che non smette mai di stupire.
CAPPUCCIO COLLECTIVE SMOOTH – Breathe
Un album di immensa classe in cui il jazz incrocia atmosfere blues, pop, lunghe, soul, fusion, funk. Il mondo è quello di George Benson, Al Jarreau ma anche degli anni Ottanta di Sade. La qualità esecutiva è stupefacente, avvalendosi dell’apporto di strumentisti eccelsi che ben si affiancano alla chitarra di Mimmo Cappuccio e alla meravigliosa voce di Annina Galiano e le armonie di Cristina Massaro. Eleganza e raffinatezza, basti l’ascolto delle cover di “Summertime” e di “September” degli Earth, Wind and Fire. Super!
ASCOLTATO ANCHE:
SNOCAPS (gradevole lo fi pop rock dagli USA), AL SUNNY (soul e city pop, influenze marcate di Steve Wonder in un discreto album per l'artista francese),
LETTO
Gabriel Seroussi - La periferia vi guarda con odio. Come nasce la fobia dei maranza
"Le istituzioni e la politica hanno cominciato a demonizzare la figura del maranza con tutti i mezzi a disposizione, trasformandola in un capro espiatorio utile a confortare una società vecchia e impoverita".
Si riassume in queste righe la tesi dell'autore, che analizza, attraverso una serie di incontri e interviste, non tanto la figura spettacolarizzata e demonizzata del "maranza" ma il contesto sociale e culturale in cui emergono criticità che portano alle situazioni più estreme (sparate puntualmente in prima pagina.
Inserendo uno degli aspetti conseguenti, la modalità comunicativa più immediata ovvero l'ascolto e la proposta di certe tematiche attraverso rap e trap.
"Nello stereotipo del maranza c'è la sintesi di tutto ciò che è destabilizzante per una società depressa a livello economico e demograficamente anziana, sobillata da decenni di retorica razzista e xenofoba.
La fobia del maranza è una reazione di rigetto di fronte a cambiamenti demografici e culturali che sono già pienamente in atto in Italia."
Il libro riesce a dare voce, in modo chiaro e diretto, a una realtà già da tempo stabile, attiva e partecipe alla quotidianità italiana, per quanto sia ancora vista come un corpo estraneo, una nicchia, un ghetto a parte.
"Un altro tratto culturale del nostro paese è il diffuso sentimento d'odio verso i giovani. Considerati da molti pigri e ignoranti, sbeffeggiati perché non hanno fatto il Sessantotto o usato un telefono a gettoni, i giovani in Italia sono una categoria su cui si riversa facilmente la frustrazione di giornalisti anziani e incapaci di leggere la contemporaneità."
In questo contesto si inserisce l'importanza della musica (t)rap, veicolo comunicativo, spesso inintelleggibile dai meno giovani e al di fuori dal contesto di riferimento, anche se "il valore culturale e politico dei rapper si misura dunque in ciò che questi rappresentano, prima ancora che in quello che comunicano.
Il rap, soprattutto negli ultimi anni, è stato additato come piaga sociale, proprio perché in grado di raccontare condizioni di estrema marginalizzazione sociale, in particolare quelle persone con un background migratorio".
Un testo importante, approfondito e profondo, da leggere per chi è interessato a ciò che cambia o è già cambiato.
"Questi ragazzi, spesso, non parlano con gli adulti. Non si fidano. L'unico modo per costruire un dialogo è imparare ad ascoltarli davvero, con rispetto."
Angela Valcavi - Via Rismondo 117
Delle vicende legate alle sottoculture italiane (e non solo) sviluppatesi negli anni Ottanta, sia da un punto di vista di “colore” ed estetica, sia nelle loro implicazioni politico/sociali, si è parlato e si continua a farlo a profusione.
Difficilmente chi non le ha vissute in prima persona riuscirà a coglierne tutte le sfumature e quanto fossero sinonimo di identità, appartenenza, antagonismo (talvolta ingenuo e superficiale ma sempre sincero e genuino).
E’ però importante che si aggiungano progressivamente ulteriori racconti e approfondimenti, nuovi tasselli di un mondo irripetibile e che non c’è più.
“Via Rismondo 117” di Angela Valcavi (pubblicato da Interno 4 Edizioni) è una storia, esplicitamente “romanzata” ma che è invece molto aderente alla realtà.
Si parla della vicenda della fanzine “Amen” attorno alla quale si sviluppano mille altre iniziative e racconti della Milano “punk e dintorni” degli anni Ottanta, dai centri sociali occupati come il “Virus”, all’arrivo dei punx nel “Leoncavallo”, con l’apertura dello spazio parallelo dell’”Helter Skelter” (dove suonarono eccellenze come Henry Rollins e Sonic Youth), attraverso tutte le contraddizioni e scontri ideologici all’interno dello stesso giro antagonista, gli sforzi per costruire nuovi spazi antitetici all’inizio del “sacco di Milano” (edilizio, politico, sociale e non solo).
“Noi eravamo e volevamo essere un mondo a parte...appartenevamo a un mondo con sue specificità e caratteristiche culturali ben definite, con presupposti e percorsi differenti da qualunque altro precedente per genesi e sviluppo. La definizione di sottocultura avrebbe solo insterilito il nostro ambito di elaborazione di pensiero e azione”.
Nel libro, scritto molto bene e con puntiglio, le vicende scorrono tra “gioia e rivoluzione” ma anche lutti, macerie e amarezza. Il tutto corredato da tantissimo materiale grafico.
L’importanza di quelle gesta è rimasta nella società odierna, ha formato persone e le ha rese migliori o comunque differenti dall’omologazione imperante.
“Gli anni Ottanta furono una vera fucina sotterranea di libertà creativa che investì ogni aspetto della realtà giovanile...una cultura diversa si era sparsa, diffusa e affermata, correndo impazzita, imprendibile, sviluppandosi dove aveva trovato il terreno adatto, opponendosi al livello avvilente di bisogni indotti dall’effimero del mercato. Guardando un’ultima volta le macerie, resta il grande sogno.”
Francesco Donadio - Rinnegato. Vita e canzonette di Edoardo Bennato
Una biografia dettagliatissima e approfondita, quanto ragionata, della carriera di Edoardo Bennato, uno dei cantautori più originali e creativi della canzone d’autore italiana, spesso trascurato e dimenticato.
Il testo ci lascia capire che le sue posizioni mai allineate e spesso scomode gli hanno inimicato parecchie “fazioni” politiche e non.
In effetti passare dal circuito del PCI e Lotta Continua negli anni Settanta all’appoggio convinto a Beppe Grillo e al suo nascente Movimento, per poi sbeffeggiarlo in “Al diavolo il Grillo Parlante” e alla partecipazione alle feste per Alleanza Nazionale, non aiuta.
Ma è sempre stato lo stile di Bennato, seguire una sua strada, incurante del resto.
La carriera è ricchissima di successi e capolavori ma anche di rovinose cadute in album poco significativi, di un San Siro con 80.000 persone a esibizioni in feste di paese.
Il libro manca (anche volutamente) delle parole del protagonista ma si avvale delle testimonianze dei suoi più stretti collaboratori (a partire dai fratelli Eugenio e il compianto Giorgio).
Un lavoro certosino e completo. Edoardo Bennato fu tra i primissimi a portare in Italia il linguaggio blues e rock ‘n’roll.
Pietruccio Montalbetti - Storia di due amici e dei Dik Dik
Pietruccio Montalbetti è da sempre l'anima dei DIK DIK ma anche un coinvolgente scrittore e un indomito esploratore (consiglio uno dei suoi libri sull'argomento, dedicato a un viaggio avventurosissimo in solitaria in Amazzonia: https://tonyface.blogspot.com/2018/12/pietruccio-montalbetti-io-mi-fermo-qui.html).
In questo nuovo testo racconta della sua intima amicizia con LUCIO BATTISTI, con particolari inediti e spesso molto gustosi, parallelamente alla vicenda artistica dei Dik Dik, dagli esordi nella prima metà degli anni Sessanta ad oggi (a 84 anni continua a portare in giro la band).
Una valanga di aneddoti e una "fotografia" di epoche lontane e inimmaginabili per quanto fossero pionieristiche.
Gli appassionati di epoca beat e musica italiana apprezzeranno questo ulteriore tassello.
Valerio Bruner - Spiriti nella notte
«Le canzoni di Bruce Springsteen sono la mia colonna sonora da quando avevo quindici anni. C’era qualcosa nella sua poetica in cui vedevo finalmente espresso quello che mi portavo dentro e che ancora non riuscivo a dire con parole mie. Da lì è stato l’inizio di un viaggio insieme che dura tuttora».
Non sono un grande estimatore e conoscitore di Springsteen, per cui trovare riferimenti diretti alle canzoni che hanno ispirato all'autore questi venticinque racconti, non mi è facile.
Il libro riesce però a vivere un'esistenza a sé stante, indipendentemente dai collegamenti, perchè sono pagine scritte molto bene, coinvolgenti, dirette, crude, in cui si colgono, invece, le radici artistiche e socio/culturali del Boss e delle sue canzoni.
I fan di Springsteen troveranno pane per i loro denti, gli "altri" avranno comunque buona soddisfazione.
Mutti Enrico - Porretto Rita, Mericone Silvia - Casalanguida Luca - Liberatore Tanino - Nightmare in Rome
Nightmare in Rome è un progetto audiovisivo (e visionario ma non troppo considerate le numerose attinenze con l'attualità) nato da un'idea di Enrico Mutti, Lorenzo Senni e dalla matita di Tanino Liberatore, dove musica e fumetto si incontrano per dare forma a qualcosa di radicalmente nuovo.
Si parla di un collettivo musicale segreto di musicisti che usano la musica per resistere in un mondo post-apocalittico, in una Roma del 2045 tra macerie e una dimensione di museo, utilizzando campioni delle colonne sonore della CAM Sugar, il più vasto catalogo di musica per il cinema italiano, che attraverso l'incontro con l'elettronica, il rap ed il pop si trasformano in qualcosa di radicalmente attuale.
Proprio perché il fumetto va di pari passo con una colonna sonora che prende spunto da brani originali di Ennio Morricone, Riz Ortolani, Stelvio Cipriani, Franco Godi e Daniele Patucchi.
Un lavoro originale, intrigante e pressoché unico.
Gimme Danger #7 - Autunno 2025
È uscito il nuovo numero di GIMME DANGER, la rivista ideata e diretta da Claudio Sorge e Luca Frazzi.
Io mi occupo di recensire il "Live at Oval" degli Who, l'antologia degli Outer Limits, i box di Discharge e Blitz, la compilation mod "Countdown 1985-88", i Proper, il nuovo Paul Weller, Bonnie Dobson & The Hanging Stars oltre a qualche pagina dedicata alla storia (vista nella mia ottica personale) dei Not Moving.
Allegato un EP/7 pollici con Neoprimitivi (in un brano live ipnotico tra kraut e psichedelia), Seekers 70 (potente cover di "Flashback" dei Moving Sidewalks), Jukebox 74 (grandissima ripresa di "Father's Name is Dad" degli inglesi Fire).
Per averlo:
gimmedanger2022@gmail.com
hellnation64@gmail.com
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto".
APPUNTAMENTI
NOT MOVING
"That's All Folks!" Tour
*** Venerdì 5 dicembre: Pisa "Caracol" ore 22
*** Sabato 13 dicembre: Poviglio (Reggio Emilia) "Caseificio La Rosa"
*** Venerdì 19 dicembre: Cagliari "Fabrik"
*** Sabato 20 dicembre: Sassari "Teatro Verdi"
To be continued in 2026
E' uscito venerdì 17 ottobre, in vinile (azzurro "blues" per le prime 500 copie) e CD “That’s all Folks!”, l’ultimo album dei Not Moving.
Dai primi concerti nel 1981 e dell’esordio discografico del 1982, Rita Lilith Oberti, Dome La Muerte e Antonio Bacciocchi hanno portato sempre avanti lo spirito della band. Anche nei lunghi periodi di pausa e allontanamento, i Not Moving hanno continuato a vivere nei reciproci progetti solisti, nella cura di ristampe (spesso con inediti), documentari, un live dagli anni Ottanta, una breve reunion tra il 2005 e il 2006. Nel 2017 il ritorno insieme con un nuovo album e un centinaio di concerti lungo la Penisola.
La storia ora si conclude.
Il rock ‘n’roll salva la vita (come cantava Lou Reed con i Velvet Underground) ma in cambio ti chiede l’anima, il cuore, la carne. Ti divora e distrugge.
Un prezzo concordato già nell’adolescenza e consegnato al Demone. Che ha restituito la vita che i Not Moving hanno sempre voluto e desiderato, nella sua sadica precarietà, anche quando il fisico perde i previsti colpi.
“That’s All Folks” era stato concepito come un omaggio alle radici da cui la band è partita: il blues. L’album si sviluppa su quelle coordinate, guardando però anche al punk, Gun Club, Cramps, The X, psichedelia, Rolling Stones, Bo Diddley e si chiude con il testo di “Not Moving” dei DNA di Arto Lindsay, brano tratto da “No New York” da cui la band prese il nome.
That’s All Folks!
Etichette:
Il meglio del mese
giovedì, novembre 27, 2025
Ornella Vanoni
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
SPECIALE ORNELLA VANONI.
Non sono mai stato un accurato e profondo estimatore di ORNELLA VANONI ma qualche suo disco è nella mia libreria e qualche altro l'ho ascoltato volentieri nel corso degli anni. La voglia la pazzia l'incoscienza l'allegria (1976)
Uno dei capolavori della canzone d'autore italiana anche se le musiche sono firmate da Vinícius de Moraes e Toquinho (testi e produzione di Sergio Bardotti). "Senza paura" e la title track sono due gioielli, le atmosfere "Brasil" accoppiate alla voce vellutata di Ornella rendono l'album un lavoro unico.
Io dentro (1977)
Io fuori (1977)
Realizzati entrambi con il supporto compositivo ed esecutivo dei New Trolls, sono due ottimi lavori in cui si spazia tra disco soul di eccellenza ("Ti voglio" e "Mi piace fare l'amore al pomeriggio" da "Io fuori", album più frizzante e divertito) e atmosfere introspettive (nel più malinconico ""Io dentro").
Due episodi di grande classe.
Duemilatrecentouno parole (1981)
Un'eccellenza un po' dimenticata, con uno dei suoi più grandi successi, "Musica musica", collaborazioni con Pierangelo Bertoli (bellissima "Una favola") e l'amato Gino Paoli ("E Gino risponde"). Maurizio Fabrizio compone quasi tutto, Ornella scrive i testi (di eccellente fattura). Uomini (1983)
Nonostante i suoni "sintetici" degli arrangiamenti che appaiono ora particolarmente datati, un lavoro che si avvale dell'apporto di Lucio Dalla e Gerry Mulligan (entrambi al sax) e Toquinho. "Il grande cacciatore" (di Serge Gainsbourg), il divertente "La donna cannibale", si affiancano a una serie di ballate intense e di grande presa. La Vanoni firma buona parte dei testi.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
SPECIALE ORNELLA VANONI.
Non sono mai stato un accurato e profondo estimatore di ORNELLA VANONI ma qualche suo disco è nella mia libreria e qualche altro l'ho ascoltato volentieri nel corso degli anni. La voglia la pazzia l'incoscienza l'allegria (1976)
Uno dei capolavori della canzone d'autore italiana anche se le musiche sono firmate da Vinícius de Moraes e Toquinho (testi e produzione di Sergio Bardotti). "Senza paura" e la title track sono due gioielli, le atmosfere "Brasil" accoppiate alla voce vellutata di Ornella rendono l'album un lavoro unico.
Io dentro (1977)
Io fuori (1977)
Realizzati entrambi con il supporto compositivo ed esecutivo dei New Trolls, sono due ottimi lavori in cui si spazia tra disco soul di eccellenza ("Ti voglio" e "Mi piace fare l'amore al pomeriggio" da "Io fuori", album più frizzante e divertito) e atmosfere introspettive (nel più malinconico ""Io dentro").
Due episodi di grande classe.
Duemilatrecentouno parole (1981)
Un'eccellenza un po' dimenticata, con uno dei suoi più grandi successi, "Musica musica", collaborazioni con Pierangelo Bertoli (bellissima "Una favola") e l'amato Gino Paoli ("E Gino risponde"). Maurizio Fabrizio compone quasi tutto, Ornella scrive i testi (di eccellente fattura). Uomini (1983)
Nonostante i suoni "sintetici" degli arrangiamenti che appaiono ora particolarmente datati, un lavoro che si avvale dell'apporto di Lucio Dalla e Gerry Mulligan (entrambi al sax) e Toquinho. "Il grande cacciatore" (di Serge Gainsbourg), il divertente "La donna cannibale", si affiancano a una serie di ballate intense e di grande presa. La Vanoni firma buona parte dei testi.
mercoledì, novembre 26, 2025
Pietruccio Montalbetti - Storia di due amici e dei Dik Dik
Pietruccio Montalbetti è da sempre l'anima dei DIK DIK ma anche un coinvolgente scrittore e un indomito esploratore (consiglio uno dei suoi libri sull'argomento, dedicato a un viaggio avventurosissimo in solitaria in Amazzonia: https://tonyface.blogspot.com/2018/12/pietruccio-montalbetti-io-mi-fermo-qui.html).
In questo nuovo testo racconta della sua intima amicizia con LUCIO BATTISTI, con particolari inediti e spesso molto gustosi, parallelamente alla vicenda artistica dei Dik Dik, dagli esordi nella prima metà degli anni Sessanta ad oggi (a 84 anni continua a portare in giro la band).
Una valanga di aneddoti e una "fotografia" di epoche lontane e inimmaginabili per quanto fossero pionieristiche.
Gli appassionati di epoca beat e musica italiana apprezzeranno questo ulteriore tassello.
Pietruccio Montalbetti
Storia di due amici e dei Dik Dik
Minerva Edizioni
240 pagine
19 euro
In questo nuovo testo racconta della sua intima amicizia con LUCIO BATTISTI, con particolari inediti e spesso molto gustosi, parallelamente alla vicenda artistica dei Dik Dik, dagli esordi nella prima metà degli anni Sessanta ad oggi (a 84 anni continua a portare in giro la band).
Una valanga di aneddoti e una "fotografia" di epoche lontane e inimmaginabili per quanto fossero pionieristiche.
Gli appassionati di epoca beat e musica italiana apprezzeranno questo ulteriore tassello.
Pietruccio Montalbetti
Storia di due amici e dei Dik Dik
Minerva Edizioni
240 pagine
19 euro
Etichette:
Libri
martedì, novembre 25, 2025
Angela Valcavi - Via Rismondo 117
Delle vicende legate alle sottoculture italiane (e non solo) sviluppatesi negli anni Ottanta, sia da un punto di vista di “colore” ed estetica, sia nelle loro implicazioni politico/sociali, si è parlato e si continua a farlo a profusione.
Difficilmente chi non le ha vissute in prima persona riuscirà a coglierne tutte le sfumature e quanto fossero sinonimo di identità, appartenenza, antagonismo (talvolta ingenuo e superficiale ma sempre sincero e genuino).
E’ però importante che si aggiungano progressivamente ulteriori racconti e approfondimenti, nuovi tasselli di un mondo irripetibile e che non c’è più.
“Via Rismondo 117” di Angela Valcavi (pubblicato da Interno 4 Edizioni) è una storia, esplicitamente “romanzata” ma che è invece molto aderente alla realtà.
Si parla della vicenda della fanzine “Amen” attorno alla quale si sviluppano mille altre iniziative e racconti della Milano “punk e dintorni” degli anni Ottanta, dai centri sociali occupati come il “Virus”, all’arrivo dei punx nel “Leoncavallo”, con l’apertura dello spazio parallelo dell’”Helter Skelter” (dove suonarono eccellenze come Henry Rollins e Sonic Youth), attraverso tutte le contraddizioni e scontri ideologici all’interno dello stesso giro antagonista, gli sforzi per costruire nuovi spazi antitetici all’inizio del “sacco di Milano” (edilizio, politico, sociale e non solo).
“Noi eravamo e volevamo essere un mondo a parte...appartenevamo a un mondo con sue specificità e caratteristiche culturali ben definite, con presupposti e percorsi differenti da qualunque altro precedente per genesi e sviluppo. La definizione di sottocultura avrebbe solo insterilito il nostro ambito di elaborazione di pensiero e azione”.
Nel libro, scritto molto bene e con puntiglio, le vicende scorrono tra “gioia e rivoluzione” ma anche lutti, macerie e amarezza.
Il tutto corredato da tantissimo materiale grafico.
L’importanza di quelle gesta è rimasta nella società odierna, ha formato persone e le ha rese migliori o comunque differenti dall’omologazione imperante.
“Gli anni Ottanta furono una vera fucina sotterranea di libertà creativa che investì ogni aspetto della realtà giovanile...una cultura diversa si era sparsa, diffusa e affermata, correndo impazzita, imprendibile, sviluppandosi dove aveva trovato il terreno adatto, opponendosi al livello avvilente di bisogni indotti dall’effimero del mercato. Guardando un’ultima volta le macerie, resta il grande sogno.”
Angela Valcavi
Via Rismondo 117
Interno 4 Edizioni
448 pagine
24 euro
Difficilmente chi non le ha vissute in prima persona riuscirà a coglierne tutte le sfumature e quanto fossero sinonimo di identità, appartenenza, antagonismo (talvolta ingenuo e superficiale ma sempre sincero e genuino).
E’ però importante che si aggiungano progressivamente ulteriori racconti e approfondimenti, nuovi tasselli di un mondo irripetibile e che non c’è più.
“Via Rismondo 117” di Angela Valcavi (pubblicato da Interno 4 Edizioni) è una storia, esplicitamente “romanzata” ma che è invece molto aderente alla realtà.
Si parla della vicenda della fanzine “Amen” attorno alla quale si sviluppano mille altre iniziative e racconti della Milano “punk e dintorni” degli anni Ottanta, dai centri sociali occupati come il “Virus”, all’arrivo dei punx nel “Leoncavallo”, con l’apertura dello spazio parallelo dell’”Helter Skelter” (dove suonarono eccellenze come Henry Rollins e Sonic Youth), attraverso tutte le contraddizioni e scontri ideologici all’interno dello stesso giro antagonista, gli sforzi per costruire nuovi spazi antitetici all’inizio del “sacco di Milano” (edilizio, politico, sociale e non solo).
“Noi eravamo e volevamo essere un mondo a parte...appartenevamo a un mondo con sue specificità e caratteristiche culturali ben definite, con presupposti e percorsi differenti da qualunque altro precedente per genesi e sviluppo. La definizione di sottocultura avrebbe solo insterilito il nostro ambito di elaborazione di pensiero e azione”.
Nel libro, scritto molto bene e con puntiglio, le vicende scorrono tra “gioia e rivoluzione” ma anche lutti, macerie e amarezza.
Il tutto corredato da tantissimo materiale grafico.
L’importanza di quelle gesta è rimasta nella società odierna, ha formato persone e le ha rese migliori o comunque differenti dall’omologazione imperante.
“Gli anni Ottanta furono una vera fucina sotterranea di libertà creativa che investì ogni aspetto della realtà giovanile...una cultura diversa si era sparsa, diffusa e affermata, correndo impazzita, imprendibile, sviluppandosi dove aveva trovato il terreno adatto, opponendosi al livello avvilente di bisogni indotti dall’effimero del mercato. Guardando un’ultima volta le macerie, resta il grande sogno.”
Angela Valcavi
Via Rismondo 117
Interno 4 Edizioni
448 pagine
24 euro
Etichette:
Libri
lunedì, novembre 24, 2025
Intervista ai Not Moving
Non avevo mai intervistato i NOT MOVING prima d'ora.
Il recente album "That's All Folks!" (La Pop / La Tempesta) sta avendo un buon riscontro di critica e perfino di vendite, il tour è pronto e ulteriori date si aggiungeranno a quelle già previste, Marco Murtas è subentrato a Iride Volpi nella line up.
Visto che è imminente la conclusione della loro carriera credo fosse necessario sentire cosa hanno da dire.
Video "But It's Not": https://www.youtube.com/watch?v=Foxxqa8ouR0
Se quel giorno del 1983 Dome non avesse detto si alla proposta di Rita e Mariella di unirsi ai Not Moving, da poco lasciati dal primo chitarrista, Paolo Molinari, le nostre vite sarebbero state radicalmente e completamente diverse. Da un punto di vista artistico/musicale come pensate sarebbe andata invece?
DOME: Eravamo tutti molto giovani, ribelli e romantici .
E se quel fuoco che ci bruciava dentro, brucia ancora, dopo tutti questi anni, sono sicuro che se non aveste incontrato me, sareste andati avanti comunque.
O avreste trovato qualcunaltro, o forse avreste deciso di suonare senza chitarra, e magari sarebbe stato ancora più originale, e comunque, anche se avreste deciso di sciogliervi, avreste continuato, anche singolarmente, a calcare palchi e far parte in prima persona della scena alternativa di quegli anni.
La dimostrazione è che, quando per molto tempo, i Not Moving non sono più esistiti, noi siamo andati avanti coi nostri progetti solisti.
RITA: Noi non volevamo un rimpiazzo, volevamo un Not Moving.
Parlo per me, sicuramente sarei inciampata in un’altra “religione”, fosse teatro, musica, Fluxus, colore, ombre.
Il bisogno di lucidare il mio specchio era troppo aggressivo, vitale, prioritario.
ANTONIO: Avrei continuato a vagare da un gruppo all'altro. Forse con i Chelsea Hotel, che si stavano spostando verso una forma di hardcore con influenze metal, si poteva aprire qualche porta nell'ambito perché suonavamo benissimo e stavamo “inventando” un genere.
Che sostanzialmente odiavo, per cui sarei probabilmente uscito dal gruppo.
Credo che senza i Not Moving la batteria sarebbe diventata un passatempo occasionale e non sarebbe successo nulla di quello che è accaduto dopo (Lilith, Link Quartet, Lilith and the Sinnersaints etc).
Quando tra meno di un anno ci sarà l’ultimo concerto dei Not Moving, cosa farete (artisticamente e non) dal giorno dopo?
DOME: Per ora non ci voglio pensare, so già che mi mancherà molto.
Per questo cercherò di dare tutto quello che posso sul palco e godermi questa nuova avventura fino in fondo.
Per il resto, continuerò a suonare con gli E.X.P. e sentirò sicuramente il bisogno di ritirare su una R'n'R band.
E poi mi dedicherò al collage!
RITA: Non ci voglio pensare nemmeno io.
Alcuni giorni già mi manca.
Inciamperò in qualcosa anche stavolta.
Non posso avere una voce così e non fare un cazzo.
ANTONIO: Smetterò di suonare. Sono 50 anni che lo faccio, in tutti i modi, in mezzo mondo.
Per i prossimi 50 anni farò altre cose.
Credo che progressivamente lascerò anche l'ambito musicale.
Credo che questo “That’s All Folks” sia uno degli album in cui tu, Rita, abbia espresso il meglio di te, in maniera matura e con una voce sempre più inimitabile. Concordi? Quali altri album o brani annovereresti nel tuo meglio vocale di sempre?
RITA: grazie Antonio. Mi sembra corretto. C’è una versione di “La notte“ di Adamo di Lilith and the Sinnersaints che ancora oggi se la sento mi sembra una buona esecuzione.
Anche “La vostra misera cambiale” con Cesare Basile mi sembra un’interpretazione niente male.
Con i Not Moving ho sempre dato il massimo delle mie possibilità.
Nei primi tempi le mie performance vocali erano davvero scarse.
Mi sono sempre salvata con i concerti.
Tu Dome, come giudichi il tuo modo di suonare in questo ultimo album? Che approccio hai avuto?
DOME : Pensando che sarebbe stato l' ultimo album dei Not Moving, quando ho cominciato a scrivere la musica dei brani, ho cercato di immedesimarmi il più possibile nel tipo di energia e creatività, che avevamo agli inizi e sapendo che questo disco avrebbe chiuso un lungo cerchio, ho pensato che avrebbe dovuto essere più semplice e diretto di Love Beat, cercando comunque di mantenere quel suono un po' sperimentale e cupo delle origini.
Allo stesso tempo, lo ritengo un album maturo, perché quando abbiamo cominciato non sapevamo quasi suonare e nel tempo, almeno un po' siamo cresciuti.
E tu, caro Antonio, come hai affrontato i nuovi brani e le nuove registrazioni?
ANTONIO: Quando abbiamo ripreso con i Not Moving LTD ho cambiato completamente il mio modo di suonare.
Ho eliminato la modalità di accompagnamento ritmico, che avevo sempre basato sul basso, che la band non ha, supplendo la sua assenza con l'uso costante dei timpani per ricreare le tonalità basse.
E ho adottato un approccio il più possibile minimale, pochissime rullate, ritmi continui, ipnotici, semplici.
L'ispirazione va da Nick Knox dei Cramps a Budgie di Siouxsie and the Banshees a Scott Asheton degli Stooges a Charlie Watts.
Dopo 40 anni di rock ‘n’ roll come vedete la situazione italiana? C’è stata una semina che sta fruttando oppure rimane un orticello insignificante messo in un angolo?
DOME: Che il R'n'R è morto lo sentiamo dire dagli anni '70.
In realtà ho visto un sacco di periodi in cui c'è stato un ricambio generazionale.
Ricordo quando nel 2006, ho fondato i Diggers, c'erano in giro band di R'n'R di provincia di diciassettenni. Cosa che ho rivisto negli ultimi tre anni in Romagna o anche nelle Marche, band di adolescenti che suonano psichedelia californiana, hard rock, punk o glam 70.
RITA: Non sono particolarmente interessata alla “situazione italiana”.
La musica va a onde (“love comes in spurts”). Queste onde trascendono il luogo, l’origine e il tempo. Ci sono momenti in cui il blues si mischia all’urlo, altre volte al tamburo.
ANTONIO: ci sono tantissimi gruppi che suonano ma credo che proporzionalmente ci sia meno pubblico amante del rock 'n' roll, soprattutto giovane.
Credo sia finita un'epoca, irripetibile, totalmente diversa dalla realtà attuale.
Sono contento di averla vissuta.
Quando siamo partiti avreste/avremmo mai immaginato questo percorso? Oppure si pensava a tutt’altra cosa? Cosa ci ricordiamo di quello che pensavamo 40 o anche 30 anni fa?
DOME: Al di là degli anni che passano e delle esperienze fatte nella vita, i miei ideali e i miei sogni rimangono gli stessi.
RITA: sono un po’ meno incosciente tenendo conto che sono stata il massimo dell’incoscienza, della ribellione (con o senza una causa), del coraggio.
Questo per quanto riguarda la mia vita.
ANTONIO: escludevo di ritrovarmi a 65 anni su un palco a suonare rock 'n' roll e punk.
L'idea era di morire giovane e bruciare alla svelta oppure dopo un po' gettare tutto alle ortiche e prendere altre strade.
Sono stupito e mi stupisco ogni giorno di più, di essere invecchiato così tanto continuando a suonare questa musica, che si sia attaccata a me in maniera così indelebile.
Ormai è andata così.
Volenti o nolenti i Not Moving sono stati il momento più importante della nostra vita artistica. Va bene così oppure no? C’era tanto altro da potere fare? Cosa?
DOME: Per quanto riguarda i Not Moving penso che abbiamo fatto la strada che ci siamo scelti, si poteva andare in tante altre direzioni, ma non avremmo mai sopportato le regole del mainstream.
Le due volte che ci hanno chiamato alla Rai, ci sentivamo fuori posto e insofferenti. Essendo una band di provincia, eravamo dentro fino al collo alla filosofia del Do it yourself. Venivamo dal punk, che aveva spazzato via le ricche e inavvicinabili rock star degli anni 70, nelle quali non ci riconoscevamo più, cercavamo idoli che fossero uguali a noi.
RITA: Tutto quello che potevo e volevo fare, l’ho fatto. Qualcosa ha funzionato, qualcosa no.
ANTONIO: potevamo fare mille cose diverse ma solo con il senno di poi.
In ogni periodo della nostra vita artistica abbiamo fatto le scelte che ci piacevano, impulsivamente, urgentemente, gettandoci ogni volta nel fuoco, nelle spine, nel dirupo.
E' andata sempre così.
Ne siamo usciti vivi, alla fine.
Non fatelo a casa! E' pericoloso.
A metà anni 80 ci fu proposto un servizio fotografico per un’importante rivista di moda. Rifiutammo mentre tanti altri gruppi underground italiani accettarono di buon grado. Poi ci proposero un contratto per la CGD a patto che cantassimo in italiano. Rifiutammo. Ora accetteremmo? Perché?
DOME: Si ricordo quel periodo in cui molte band della nostra scena, fecero servizi fotografici per riviste musicali e di moda, e anche la proposta della CGD.
Per noi voleva dire vendere la propria musica e la propria estetica al mainstream .
Il circuito indipendente era diventato competitivo e le Major cercavano di mettere sotto contratto band alternative, che avevano già un nutrito pubblico e una loro identità, molti firmarono. Noi credevamo fermamente nella scena indipendente ed eravamo orgogliosi di farne parte.
Facevamo di tutto per renderla più forte, a differenza di altre band , che l' hanno usata solo come trampolino di lancio. Certe scelte le sto ancora pagando, ma non cambierei una virgola.
RITA: Quello che ho fatto, ho fatto.
In questo momento accetterei un bel servizio fotografico su “Vogue”.
Siamo abbastanza radicali e radicati nelle nostre convinzioni che non corriamo nessun rischio.
Da ragazzi è diverso perché la corruzione data dal denaro e visibilità può essere molto pericolosa. Ci sono tanti esempi di gruppi di ragazzini abbagliati da un effimero successo che passeranno tutta la vita a leccarsi le ferite.
ANTONIO: la rivoluzione e la guerra sono finite.
Abbiamo perso, in casa, 7 a 1, dopo essere passati in vantaggio.
Il capitalismo ha stravinto, disumanizzato la società, raso al suolo l'umanità.
Sono contento di aver fatto parte di un gruppo, di una generazione, di una situazione che ha cercato di dare l'esempio e di sovvertire le cose.
Siamo sempre stati puri, di una purezza che alla fine ci ha fatto molto male.
“Abbiamo sognato talmente forte che ci è uscito il sangue dal naso (e non solo)” per citare De Andrè, siamo pieni di cicatrici interiori ma va bene così.
Probabilmente accetteremmo certe offerte adesso ma sempre con la purezza che ci ha sempre contraddistinto.
Entrare in un gruppo già avviato è sempre un problema. Farlo con chi è insieme (più o meno) da oltre 40 anni lo è di più?
MARCO: In teoria dovrebbe essere difficile entrare in una band che suona insieme da quarant’anni.
In pratica, con loro, no: sono diretti e ti mettono subito sul pezzo. E poi ne sto approfittando per imparare da ognuno di loro qualcosa: trucchetti, attitudine, dettagli di stile rock’n’roll. Abbiamo la stessa visione della musica, ma loro ci aggiungono quarant’anni di esperienza.
L’unica cosa che senti davvero è il peso della storia.
Ma appena attacchi l’ampli… passa tutto.
Il recente album "That's All Folks!" (La Pop / La Tempesta) sta avendo un buon riscontro di critica e perfino di vendite, il tour è pronto e ulteriori date si aggiungeranno a quelle già previste, Marco Murtas è subentrato a Iride Volpi nella line up.
Visto che è imminente la conclusione della loro carriera credo fosse necessario sentire cosa hanno da dire.
Video "But It's Not": https://www.youtube.com/watch?v=Foxxqa8ouR0
Se quel giorno del 1983 Dome non avesse detto si alla proposta di Rita e Mariella di unirsi ai Not Moving, da poco lasciati dal primo chitarrista, Paolo Molinari, le nostre vite sarebbero state radicalmente e completamente diverse. Da un punto di vista artistico/musicale come pensate sarebbe andata invece?
DOME: Eravamo tutti molto giovani, ribelli e romantici .
E se quel fuoco che ci bruciava dentro, brucia ancora, dopo tutti questi anni, sono sicuro che se non aveste incontrato me, sareste andati avanti comunque.
O avreste trovato qualcunaltro, o forse avreste deciso di suonare senza chitarra, e magari sarebbe stato ancora più originale, e comunque, anche se avreste deciso di sciogliervi, avreste continuato, anche singolarmente, a calcare palchi e far parte in prima persona della scena alternativa di quegli anni.
La dimostrazione è che, quando per molto tempo, i Not Moving non sono più esistiti, noi siamo andati avanti coi nostri progetti solisti.
RITA: Noi non volevamo un rimpiazzo, volevamo un Not Moving.
Parlo per me, sicuramente sarei inciampata in un’altra “religione”, fosse teatro, musica, Fluxus, colore, ombre.
Il bisogno di lucidare il mio specchio era troppo aggressivo, vitale, prioritario.
ANTONIO: Avrei continuato a vagare da un gruppo all'altro. Forse con i Chelsea Hotel, che si stavano spostando verso una forma di hardcore con influenze metal, si poteva aprire qualche porta nell'ambito perché suonavamo benissimo e stavamo “inventando” un genere.
Che sostanzialmente odiavo, per cui sarei probabilmente uscito dal gruppo.
Credo che senza i Not Moving la batteria sarebbe diventata un passatempo occasionale e non sarebbe successo nulla di quello che è accaduto dopo (Lilith, Link Quartet, Lilith and the Sinnersaints etc).
Quando tra meno di un anno ci sarà l’ultimo concerto dei Not Moving, cosa farete (artisticamente e non) dal giorno dopo?
DOME: Per ora non ci voglio pensare, so già che mi mancherà molto.
Per questo cercherò di dare tutto quello che posso sul palco e godermi questa nuova avventura fino in fondo.
Per il resto, continuerò a suonare con gli E.X.P. e sentirò sicuramente il bisogno di ritirare su una R'n'R band.
E poi mi dedicherò al collage!
RITA: Non ci voglio pensare nemmeno io.
Alcuni giorni già mi manca.
Inciamperò in qualcosa anche stavolta.
Non posso avere una voce così e non fare un cazzo.
ANTONIO: Smetterò di suonare. Sono 50 anni che lo faccio, in tutti i modi, in mezzo mondo.
Per i prossimi 50 anni farò altre cose.
Credo che progressivamente lascerò anche l'ambito musicale.
Credo che questo “That’s All Folks” sia uno degli album in cui tu, Rita, abbia espresso il meglio di te, in maniera matura e con una voce sempre più inimitabile. Concordi? Quali altri album o brani annovereresti nel tuo meglio vocale di sempre?
RITA: grazie Antonio. Mi sembra corretto. C’è una versione di “La notte“ di Adamo di Lilith and the Sinnersaints che ancora oggi se la sento mi sembra una buona esecuzione.
Anche “La vostra misera cambiale” con Cesare Basile mi sembra un’interpretazione niente male.
Con i Not Moving ho sempre dato il massimo delle mie possibilità.
Nei primi tempi le mie performance vocali erano davvero scarse.
Mi sono sempre salvata con i concerti.
Tu Dome, come giudichi il tuo modo di suonare in questo ultimo album? Che approccio hai avuto?
DOME : Pensando che sarebbe stato l' ultimo album dei Not Moving, quando ho cominciato a scrivere la musica dei brani, ho cercato di immedesimarmi il più possibile nel tipo di energia e creatività, che avevamo agli inizi e sapendo che questo disco avrebbe chiuso un lungo cerchio, ho pensato che avrebbe dovuto essere più semplice e diretto di Love Beat, cercando comunque di mantenere quel suono un po' sperimentale e cupo delle origini.
Allo stesso tempo, lo ritengo un album maturo, perché quando abbiamo cominciato non sapevamo quasi suonare e nel tempo, almeno un po' siamo cresciuti.
E tu, caro Antonio, come hai affrontato i nuovi brani e le nuove registrazioni?
ANTONIO: Quando abbiamo ripreso con i Not Moving LTD ho cambiato completamente il mio modo di suonare.
Ho eliminato la modalità di accompagnamento ritmico, che avevo sempre basato sul basso, che la band non ha, supplendo la sua assenza con l'uso costante dei timpani per ricreare le tonalità basse.
E ho adottato un approccio il più possibile minimale, pochissime rullate, ritmi continui, ipnotici, semplici.
L'ispirazione va da Nick Knox dei Cramps a Budgie di Siouxsie and the Banshees a Scott Asheton degli Stooges a Charlie Watts.
Dopo 40 anni di rock ‘n’ roll come vedete la situazione italiana? C’è stata una semina che sta fruttando oppure rimane un orticello insignificante messo in un angolo?
DOME: Che il R'n'R è morto lo sentiamo dire dagli anni '70.
In realtà ho visto un sacco di periodi in cui c'è stato un ricambio generazionale.
Ricordo quando nel 2006, ho fondato i Diggers, c'erano in giro band di R'n'R di provincia di diciassettenni. Cosa che ho rivisto negli ultimi tre anni in Romagna o anche nelle Marche, band di adolescenti che suonano psichedelia californiana, hard rock, punk o glam 70.
RITA: Non sono particolarmente interessata alla “situazione italiana”.
La musica va a onde (“love comes in spurts”). Queste onde trascendono il luogo, l’origine e il tempo. Ci sono momenti in cui il blues si mischia all’urlo, altre volte al tamburo.
ANTONIO: ci sono tantissimi gruppi che suonano ma credo che proporzionalmente ci sia meno pubblico amante del rock 'n' roll, soprattutto giovane.
Credo sia finita un'epoca, irripetibile, totalmente diversa dalla realtà attuale.
Sono contento di averla vissuta.
Quando siamo partiti avreste/avremmo mai immaginato questo percorso? Oppure si pensava a tutt’altra cosa? Cosa ci ricordiamo di quello che pensavamo 40 o anche 30 anni fa?
DOME: Al di là degli anni che passano e delle esperienze fatte nella vita, i miei ideali e i miei sogni rimangono gli stessi.
RITA: sono un po’ meno incosciente tenendo conto che sono stata il massimo dell’incoscienza, della ribellione (con o senza una causa), del coraggio.
Questo per quanto riguarda la mia vita.
ANTONIO: escludevo di ritrovarmi a 65 anni su un palco a suonare rock 'n' roll e punk.
L'idea era di morire giovane e bruciare alla svelta oppure dopo un po' gettare tutto alle ortiche e prendere altre strade.
Sono stupito e mi stupisco ogni giorno di più, di essere invecchiato così tanto continuando a suonare questa musica, che si sia attaccata a me in maniera così indelebile.
Ormai è andata così.
Volenti o nolenti i Not Moving sono stati il momento più importante della nostra vita artistica. Va bene così oppure no? C’era tanto altro da potere fare? Cosa?
DOME: Per quanto riguarda i Not Moving penso che abbiamo fatto la strada che ci siamo scelti, si poteva andare in tante altre direzioni, ma non avremmo mai sopportato le regole del mainstream.
Le due volte che ci hanno chiamato alla Rai, ci sentivamo fuori posto e insofferenti. Essendo una band di provincia, eravamo dentro fino al collo alla filosofia del Do it yourself. Venivamo dal punk, che aveva spazzato via le ricche e inavvicinabili rock star degli anni 70, nelle quali non ci riconoscevamo più, cercavamo idoli che fossero uguali a noi.
RITA: Tutto quello che potevo e volevo fare, l’ho fatto. Qualcosa ha funzionato, qualcosa no.
ANTONIO: potevamo fare mille cose diverse ma solo con il senno di poi.
In ogni periodo della nostra vita artistica abbiamo fatto le scelte che ci piacevano, impulsivamente, urgentemente, gettandoci ogni volta nel fuoco, nelle spine, nel dirupo.
E' andata sempre così.
Ne siamo usciti vivi, alla fine.
Non fatelo a casa! E' pericoloso.
A metà anni 80 ci fu proposto un servizio fotografico per un’importante rivista di moda. Rifiutammo mentre tanti altri gruppi underground italiani accettarono di buon grado. Poi ci proposero un contratto per la CGD a patto che cantassimo in italiano. Rifiutammo. Ora accetteremmo? Perché?
DOME: Si ricordo quel periodo in cui molte band della nostra scena, fecero servizi fotografici per riviste musicali e di moda, e anche la proposta della CGD.
Per noi voleva dire vendere la propria musica e la propria estetica al mainstream .
Il circuito indipendente era diventato competitivo e le Major cercavano di mettere sotto contratto band alternative, che avevano già un nutrito pubblico e una loro identità, molti firmarono. Noi credevamo fermamente nella scena indipendente ed eravamo orgogliosi di farne parte.
Facevamo di tutto per renderla più forte, a differenza di altre band , che l' hanno usata solo come trampolino di lancio. Certe scelte le sto ancora pagando, ma non cambierei una virgola.
RITA: Quello che ho fatto, ho fatto.
In questo momento accetterei un bel servizio fotografico su “Vogue”.
Siamo abbastanza radicali e radicati nelle nostre convinzioni che non corriamo nessun rischio.
Da ragazzi è diverso perché la corruzione data dal denaro e visibilità può essere molto pericolosa. Ci sono tanti esempi di gruppi di ragazzini abbagliati da un effimero successo che passeranno tutta la vita a leccarsi le ferite.
ANTONIO: la rivoluzione e la guerra sono finite.
Abbiamo perso, in casa, 7 a 1, dopo essere passati in vantaggio.
Il capitalismo ha stravinto, disumanizzato la società, raso al suolo l'umanità.
Sono contento di aver fatto parte di un gruppo, di una generazione, di una situazione che ha cercato di dare l'esempio e di sovvertire le cose.
Siamo sempre stati puri, di una purezza che alla fine ci ha fatto molto male.
“Abbiamo sognato talmente forte che ci è uscito il sangue dal naso (e non solo)” per citare De Andrè, siamo pieni di cicatrici interiori ma va bene così.
Probabilmente accetteremmo certe offerte adesso ma sempre con la purezza che ci ha sempre contraddistinto.
Entrare in un gruppo già avviato è sempre un problema. Farlo con chi è insieme (più o meno) da oltre 40 anni lo è di più?
MARCO: In teoria dovrebbe essere difficile entrare in una band che suona insieme da quarant’anni.
In pratica, con loro, no: sono diretti e ti mettono subito sul pezzo. E poi ne sto approfittando per imparare da ognuno di loro qualcosa: trucchetti, attitudine, dettagli di stile rock’n’roll. Abbiamo la stessa visione della musica, ma loro ci aggiungono quarant’anni di esperienza.
L’unica cosa che senti davvero è il peso della storia.
Ma appena attacchi l’ampli… passa tutto.
Etichette:
Not Moving
Iscriviti a:
Commenti (Atom)


























