mercoledì, novembre 20, 2024

The X

Nell'ultima foto una delle cartoline che mi mandava la band negli anni 80.

Lo scorso sabato ho reso omaggio all'avventura degli X, ormai alla conclusione (sicuramente discografica, non è ancora chiaro se anche concertistica), nelle pagine de "Il Manifesto".
Riprendo qui l'articolo.


E' giunta al commiato la splendida avventura degli X, una delle band più personali della scena punk di Los Angeles degli anni Ottanta.
Il recente “Smoke & Fiction” è l'ultimo album, probabile preludio anche all'addio alle scene.

La salute del chitarrista Billy Zoom è da tempo precaria e anche la cantante Exene Chervenka ha superato dure prove fisiche.

Una band meravigliosa, sorta nella metropoli californiana in un'epoca molto travagliata a livello sociale e in cui la musica underground era in bilico tra pop commerciale da una parte e la violentissima e intransigente nascente scena hardcore locale (dai Black Flag ai Germs ai Circle Jerks). Exene, il bassista John Doe, Billy Zoom e il batterista DJ Bonebrake crearono invece una formula sonora in cui, a fianco dell'energia, urgenza, cattiveria punk, inserirono country, rockabilly, blues e stupende melodie in cui le voci si fondevano e armonizzavano alla perfezione portando alla mente la coralità dei Jefferson Airplane.
E in tempi in cui il passato era considerato il male assoluto chiamarono alla produzione niente meno che Ray Manzarek, tastierista di una delle band più classiche del rock tradizionale, i Doors.
Ne uscì una miscela inimitabile, esplosiva ma allo stesso introspettiva, con testi che non erano solo invettive ma andavano a scavare nelle problematiche sociali, nella disperazione degli emarginati (“Ogni due settimane ho bisogno di un nuovo indirizzo, padrone di casa, tutta la nostra fottuta vita è un disastro, siamo disperati, abituatevi” in “We're desperate”), nella quotidianità (“L'alba arriva presto per la classe operaia e continua ad arrivare, presto o tardi”), vita di strada, romanticismo, mettendo il tutto in poesia urbana.

"All'inizio eravamo piuttosto autodistruttivi, ma lo facevamo per vedere l'altro lato. Era solo per cercare di vedere cosa c'è là fuori" ha dichiarato John Doe che descrive al meglio il segreto della band:
"DJ e io siamo più adattabili, essendo bassista e batterista. E io, essendo un cantautore, posso scrivere in stili diversi. Ma penso che Billy abbia portato la chitarra rockabilly nel punk rock, perché nessun altro lo faceva. Nessuno aveva le capacità o l'esperienza per farlo. Ed Exene era una cosa unica perché non era cresciuta in una band e non aveva mai cantato con armonie tradizionali. Ma alla fine ha creato un suo stile".

E poi quel nome, diretto, semplice, minimale, iconico, che campeggerà sulla copertina del primo album “Los Angeles” dell'aprile del 1980.
Una X incendiata, lugubre rimando alle croci infuocate del Ku Klux Klan.
Un disco favoloso, tra i migliori in assoluti usciti dalla scena punk/new wave americana, con una versione esplosiva di “Soul kitchen” dei Doors del loro produttore Ray Manzarek (che suona l'organo in alcuni brani del disco).

Ci sarà ancora lui al lavoro dietro il mixer per “Wild Gift” dell'anno successivo, meno riuscito ma sempre ad alti livelli, che stabilizza la popolarità e il profilo della band ed è preludio al loro capolavoro, “Under the Big Black Sun”.
Undici brani che ne attestano la raggiunta maturità compositiva e stilistica.
Come specifica John Doe. “Il punk rock lo avevamo già suonato. Era arrivato il momento di allargare le dimensioni della nostra musica”.
Suoni potenti, ancora tanto punk, ma anche lo struggente blues “Come Back To Me” dedicato alla sorella da poco scomparsa di Exene, la sorprendente versione di un brano anni Trenta in chiave Tex Mex, “Dancing With Tears In My Eyes”, e il commovente omaggio alla parte oscura della loro Los Angeles in “The Have Nots”, ai locali in cui si rifugiano gli sconfitti, la classe operaia distrutta da una giornata in fabbrica. Il mondo della band è perfettamente definito.
Anche il taglio compositivo ed esecutivo.
Exene e John Doe hanno voci riconoscibili e immediatamente distinguibili, marchio di fabbrica indiscutibile, Billy Zoom tesse trame rockabilly, accarezza la chitarra con il piglio e il gusto di un elegante membro di una band anni Cinquanta, DJ Bonebrake è un batterista precisissimo e completo, mai banale, sempre abilissimo a creare parti ritmiche complesse.

Nel 1984 approdarono anche in Italia, dimostrando dal vivo una capacità tecnica rara in ambito genericamente punk (e anche una grandissima empatia, simpatia e disponibilità nei camerini).
Rimane gustosissimo l'aneddoto che li vede fermarsi attoniti davanti a una sede del P.C.I., con falce e martello esibita su targa e bandiera e uscirsene con un “ma da voi è legale il Partito Comunista?”.
Peraltro il chitarrista Billy Zoom è sempre stato un fervente Conservatore e cattolico praticante.
Negli ultimi anni anche Exene si è inspiegabilmente spostata verso posizioni destroidi e complottiste.

Nel successivo “More Fun In The New World” tentano una strada più commerciale con il singolo “True Love Part 2”, brano sfacciatamente funky dance e una cover di “Breathless” di Jerry Lee Lewis.
L'album è di buona qualità ma non darà le soddisfazioni sperate.

Nemmeno il successivo “Ain't Love Grand” per il quale abbandonano Ray Manzarek per affidarsi a un nuovo produttore che imprime al sound una sterzata verso l'hard rock, spersonalizzando l'anima del gruppo. Billy Zoom lascia la band e anche il successivo “See How We Are” mostra una band persa alla ricerca disperata di una nuova dimensione ma senza trovarla. Le canzoni sono spesso buone ma è evidente che si è persa la fiamma iniziale, soprattutto la strada per l'agognato successo.

“Live at Whiskey At Go Go” segna la fine di un'epoca, mostrando quanto fossero ancora efficaci dal vivo, fedeli alle origini punk rock.

Il ritorno del 1993 con “Hey Zeus!” sarà un nuovo fallimento, rimanendo nella mediocrità di un suono che non gli appartiene.
Fanno in tempo a pubblicare il delizioso live in acustico “Unclogged” con molte delle loro hit completamente rivisitate che dimostra ancora una volta quanto qualitativamente fossero ottime le loro composizioni.

I componenti del gruppo si dedicheranno alle rispettive carriere soliste e ad altri progetti, per tornare insieme nel 2004 solo per l'attività concertistica, riservata quasi esclusivamente ai loro Stats, con qualche puntata in Centro e Sud America.

Gli anni 2000 riserveranno loro parecchi problemi di salute, con la sclerosi multipla per Exene e un cancro da combattere per Billy Zoom.

E infine l'ormai inaspettato ritorno discografico nel 2020 con l'energico e freschissimo “Alphabetland” (che include anche una collaborazione di Robby Krieger dei Doors alla chitarra, giusto per chiudere il cerchio) e il commiato con “Smoke & Fiction” pubblicato in agosto, altro album di pregevole fattura, immediato, meno di mezzora di musica, senza fronzoli, punk rock “come una volta”, artigianale e “operaio” come si conviene. Ora che la loro bellissima e stimolante storia è finita, resta un senso di tristezza nel perdere una realtà così affascinante, pura e originale come raramente abbiamo conosciuto.

Ma è lo stesso John Doe a mettere in chiaro le cose e a suggellare alla perfezione la loro vita artistica: “L'ultima cosa che desidererei è avere trentacinque o venticinque anni adesso. Non posso parlare per tutti nella band, ma mi sento davvero fortunato, incredibilmente fortunato, ad aver vissuto e visto tutte le cose che abbiamo fatto.
E vogliamo dare l'esempio di essere ancora creativi a questa età, e avere ancora fuoco, ancora passione e desiderio di creare e di essere una band".


Intervista a Exene (2019)
https://tonyface.blogspot.com/2019/02/intervista-exene-cervenka-x.html

Intervista a John Doe (2020)
https://tonyface.blogspot.com/2020/02/intervista-john-doe-x.html

martedì, novembre 19, 2024

I losers dello Yacht Rock

L'amico LEANDRO GIOVANNINI prosegue la rubrica dedicata allo YACHT ROCK, ambito musicale spesso vituperato ma che nasconde piccole gemme degne di essere scoperte.
Le puntate precedenti qua: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock

La categoria dei “losers” dello yacht rock è forse la più intrigante.
Questo genere-non genere, capace di inglobare vari stili, attirò l’attenzione di molti musicisti che vi si cimentarono, anche senza poter contare sui migliori sessionmen messi a disposizione dalle major.
Molti di loro riuscirono a creare opere interessanti pur con pochi mezzi.
Alcuni pubblicarono un solo disco per piccole etichette indipendenti, altri riuscirono a distribuire i propri lavori solo in Giappone, in pochi ebbero dietro una major ma furono ben presto dimenticati, mentre i più “sfortunati” dovettero affidarsi alla stampa in proprio, le cosiddette “private press,” spesso con tirature di poche centinaia di copie.
Questi dischi, dati per persi nel tempo, sono stati riportati alla luce grazie ai crate-diggers, spesso in collaborazione con etichette giapponesi, sudcoreane e statunitensi, offrendoci così l’opportunità di riscoprirli — e in alcuni casi di scoprire autentiche gemme.
La totale libertà creativa di questi artisti ha dato vita a lavori talvolta sorprendenti, non strettamente legati ai canoni dello yacht rock, ma con le sonorità westcoast come punto di partenza o come atmosfera di fondo. Non tutti gli album consigliati qui sono disponibili su servizi di streaming come Spotify; per ascoltarli, vi consiglio di cercarli su YouTube.

Archie James Cavanaugh
Originario dell’Alaska meridionale, l’unico album pubblicato da Cavanaugh uscì solo a livello locale nel 1980, rimanendo per anni un oggetto misterioso. Il sound di Cavanaugh si ispira soprattutto al soul, mescolato abilmente con il sophisti-pop losangelino. Un disco piacevole, ben cantato e ben suonato, che riesce a tenere alta l’attenzione dall’inizio alla fine.
Disco consigliato:
“Black and White Raven” - (1980, A&M) Ristampato dalla Numero Group

Batteaux
I fratelli Robin e David Batteaux, musicisti di formazione folk, diedero vita al duo Batteaux, creando con un solo album un universo sonoro etereo e sognante, frutto di una raffinata fusione di folk, latin, pop e jazz. Queste sonorità, oggi riscoperte grazie a compilation di rarità, hanno contribuito a definire un sottogenere noto come Folk-Funk.
Un lavoro unico, di grande fascino e atmosfera, in cui la Westcoast si intreccia con suggestioni astrali. Un disco da 25esima ora. Disco consigliato:
“Batteaux” - (1974, Columbia)

Bobby Martin
Come altri artisti citati qui, Bobby Martin non è certo un “loser” in termini di carriera. Chi conosce Frank Zappa saprà infatti della sua collaborazione con l’artista italo-americano, iniziata nel 1982 e proseguita fino alla morte di Zappa.
Tuttavia, sotto il profilo commerciale, il suo unico album solista, pubblicato nel 1983, non ha ottenuto il successo sperato. Si tratta di un lavoro impeccabile di pop californiano, puro yacht rock, che può essere paragonato ad alcuni progetti di Michael McDonald e alle produzioni di David Foster.
Pop, un tocco di soul e soft rock: una formula che rende quest’album ancora oggi un’esperienza d’ascolto piacevole.
Disco consigliato:
“Bobby Martin” - (1983, MCA)

Byrne And Barnes
Abbiamo incontrato Robert Byrne nella puntata dedicata ai Beautiful Losers, ma come mai lo ritroviamo anche qui?
Dopo l’uscita del suo album solista, Byrne forma un duo con il polistrumentista Brandon Barnes per registrare un nuovo album, che però verrà pubblicato solo in Giappone. La formula è simile a quella del lavoro precedente: un sophisti-pop dal forte tocco jazz, portato al massimo livello.
Qui, però, si spinge ancora più in alto, con straordinari brani mid-tempo e ballad avvolgenti.
Disco consigliato:
“An Eye For An Eye” - (1981, Climax)

Cado Belle
Contrariamente a quanto scritto su Wikipedia i Cado Belle non erano un gruppo rock scozzese, e neppure un gruppo disco come segnalato su All Music, scozzesi lo erano ma suonavano soul-pop che ricorda le produzioni YR, con un tocco funk e la loro attività si svolgeva principalmente nei pub.
Incisero un solo album nel 1976, ristampato da una label giapponese nel 2004. I Cado Belle sono stati il gruppo dove Maggie Reilly si è fatta le ossa.
Disco consigliato:
“Cado Belle” - (1976, Anchor)

Caroline Peyton
Caroline Peyton è stata una cantante e cantautrice americana, nota per la sua abilità nel fondere folk, jazz e pop in uno stile assolutamente unico.
Emersa negli anni ‘70, periodo d’oro del folk-rock, ha inciso due album: Mock Up nel 1972 e Intuition nel 1977, entrambi diventati oggetti di culto tra gli appassionati del genere. In particolare, Intuition spicca per i suoi arrangiamenti melodici e le armonie morbide che evocano il Westcoast sound, pur mantenendo una vena sperimentale e profondamente personale.
Disco consigliato:
“Intuition” - (1977, Bar-B-Q) Ristampato dalla Numero Group

Chuck Senrick
Chuck Senrick è un cantautore americano poco conosciuto che ha conquistato l’attenzione degli appassionati di musica “bizzarra” con il suo raro album Dreamin’, pubblicato nel 1976.
Registrato in un contesto molto casalingo, con il solo uso di un Fender Rhodes e una drum machine Donca Matic Mini Pops, Dreamin’ deve proprio a questa semplicità il suo fascino particolare e autentico.
L’album, autoprodotto in sole 200 copie e con una copertina disegnata dalla prima moglie di Senrick, è stato riscoperto per caso da un membro dei Jazzanova durante una sessione di crate digging. Lo stile richiama una sorta di yacht rock lo-fi casalingo, e tra i brani spicca Don’t Be So Nice, una canzone che sfiora la perfezione.
Album bellissimo.
Disco consigliato:
“Dreamin” - (1976, Private Press) Ristampato dalla Numero Group

Dave Plaehn
Nato in Iowa e cresciuto in una famiglia di appassionati di musica, ha iniziato a esibirsi già al liceo, interpretando brani di Bob Dylan e dei Rolling Stones. Il suo debutto come solista risale al 1980 con l’album Smokin’, un lavoro ben riuscito che propone una miscela fluida di pop, funk e soft rock, eseguita con il supporto di musicisti di grande livello, a loro agio con ogni traccia.
Gli arrangiamenti sono di qualità, e il disco sorprende per il suo ritmo groovy, nonostante le aspettative iniziali modeste. Successivamente, Plaehn si orienterà verso il blues, abbandonando queste sonorità in cui aveva dato davvero il meglio.
Disco consigliato
“Smokin’” - (1980, Pilot)

Dennis Lambert
Dennis Lambert è un cantautore, produttore discografico e musicista americano, noto per il suo contributo al pop, soul e soft rock dagli anni ’60 in poi.
Insieme al suo storico partner Brian Potter, Lambert ha scritto e prodotto brani per artisti come The Four Tops, Glen Campbell, The Righteous Brothers, Dusty Springfield e Commodores. Nel 1972 ha pubblicato il suo unico album solista, Bags and Things, un lavoro di pop-soul di rara qualità, con influenze bacharachiane, che si è rivelato sorprendentemente innovativo per l’epoca. Nonostante la bellezza dell’album, è passato inosservato e non ha avuto un seguito, ed è per questo motivo che è finito nella categoria dei “losers”. Vale la pena ascoltarlo: non è certo inferiore ai migliori album pop del periodo.
Disco consigliato:
“Bags and Things” - (1972, Dunhill)

Forest
Band proveniente dal Massachusetts, i Forest hanno inciso un solo album, pubblicato privatamente e diventato un oggetto di culto tra i collezionisti, ma ormai introvabile.
L’etichetta BBE lo ha riscoperto e ristampato, aggiungendo sei tracce inedite. I Forest erano noti per il loro sound unico che mescolava acid-jazz, soul e YR.
La band, caratterizzata dalla presenza di due batteristi, Gary Stevens e Bob “Rox” Girouard, ha calcato numerosi palchi condivisi con gruppi come The Fabulous Rhinestones e The James Montgomery Band. L’album era nato con l’obiettivo di ottenere un contratto discografico.
Molti membri della band hanno poi intrapreso carriere di successo nella musica, collaborando con artisti come Faith Hill, Bruce Springsteen e Nile Rodgers.
Disco consigliato:
“Forest” - (1978, Private Press) Ristampato nel 2023 dalla BBE

Franklin Micare
Franklin Micare è un cantante, cantautore e musicista originario di Albany, New York, noto per la sua lunga carriera nella scena musicale locale e per il suo stile che spazia tra pop, rock e soul. Attivo soprattutto negli anni ’70 e ’80, Micare è apprezzato per la voce calda e l’abilità come tastierista, qualità che lo hanno avvicinato agli artisti del soft rock e soul melodico dell’epoca.
Nel 1978 ha pubblicato un unico album da solista con una piccola etichetta, accompagnato da alcuni dei migliori sessionmen di New York. Sebbene non abbia ottenuto grande visibilità, l’album è un buon esempio di pop-soul con sfumature jazz e latin.
Disco consigliato:
“Franklin Micare” - (1978, Private Stock)

Fred Knoblock
James Fred Knoblock, originario di Jackson, Mississippi, ha inciso un solo album per una piccola etichetta nel 1980.
Le poche informazioni disponibili lo descrivono come un musicista country, ma ascoltando il disco questa etichetta appare tutt’altro che azzeccata. Il singolo “Why Not Me”, infatti, ha raggiunto la vetta della classifica Adult Contemporary per due settimane e il 18° posto nella Billboard Hot 100, collocandosi chiaramente in un contesto pop.
Si tratta di un ottimo esempio di pop californiano, con brani energici che evitano qualsiasi tamarraggine, e ballate e mid-tempo realizzati con grande cura. Un lavoro di cantautorato di alto livello, che richiama il primo Bill LaBounty.
Disco consigliato:
“Why Not Me” - (1980, Scotti Brothers)

James McKenzie e The McKenzie Brothers
Grazie alla lungimiranza di etichette come Athens of The North, alcuni gioielli musicali sono stati riportati alla luce, tra cui i due album di James McKenzie del 1977.
Il primo, I’ve Got To Go, pubblicato da solista, e il secondo, New Trick, realizzato in coppia con il fratello, comprendono undici brani selezionati dai diciotto originali. Si tratta di due dischi private press, la cui esistenza era nota a pochi e che raramente si erano potuti ascoltare. Le atmosfere richiamano a tratti il “folk funk”, ma in una versione più ritmata e marcatamente funk, con uno stile che ricorda la tradizione YR, seppur declinato in chiave cantautorale e non pensato per le radio. Davvero notevole.
“James McKenzie & The McKenzie Brothers” - (2019, Athens of The North)

Jay Days
Ecco un altro artista sconosciuto, emerso dal nulla, di cui si trovano pochissime informazioni online. L’unica sua immagine è quella sul retro della copertina del suo unico disco, pubblicato in private press nel 1978. Un album di cui pochi conoscevano l’esistenza, registrato presso i Blue Light Recording Studios di Del Mar, California, e riscoperto nel 2014 dall’etichetta Big Pink, poi riproposto nel 2020 da Mad About Records.
L’album presenta otto brani in cui l’artista si muove con disinvoltura tra blue-eyed soul, YR funk e jazz rock, creando un suono ricco e variegato.
Le tracce sono un perfetto esempio di contaminazione stilistica, caratterizzate da groove avvolgenti. Questo disco è una gemma nascosta che merita attenzione per l’originalità e la qualità delle composizioni.
Disco consigliato:
“Between The Swells” - (1978, Private Press)

Johnny Gamboa
Nativo di Los Angeles, Johnny Gamboa è un artista di cui si conoscono poche informazioni, ma la sua carriera musicale è comunque interessante. Ha iniziato a suonare all’età di quattro anni, dimostrando fin da piccolo una straordinaria predisposizione per la musica.
La sua versatilità è impressionante, poiché è in grado di suonare ben 26 strumenti diversi. Nel corso della sua carriera, ha pubblicato solo due album, a distanza di diciannove anni l’uno dall’altro; Il primo, uscito nel 1980, è particolarmente significativo, poiché offre una miscela di buone vibrazioni soulful e groove YR. Questo album è stato ristampato nel 2005 da Nitebird Entertainment
Disco consigliato:
“Man of Wisdom” - (1980, Blue Dove Records)

Jimmy Spheeris
Fratello della regista Penelope, famosa per il film “Fusi di Testa”, Spheeris è un nome che non dirà molto, nemmeno per i più incalliti appassionati di YR. Ed è un peccato perché ci troviamo davanti ad una delle massime espressioni della westcoast più onirica.
Cresciuto a Los Angeles, ha iniziato a scrivere canzoni in giovane età, ispirato dalla vivace scena musicale californiana degli anni ‘60 e ‘70.
Amico di Laura Nyro, con cui condivideva lo stesso appartamento quando si trasferì a New York, e di Jackson Browne, fu presentato a Clive Davis, allora dirigente della Columbia, per la quale inciderà quattro album, da Richie Havens.
Spheeris si distingue per la sua voce vellutata e il suo approccio lirico, capace di trascinarti via su un’onda lunga e lenta, lontano dalla banalità della vita quotidiana.
Precursore del westcoast pop (il suo primo album è del 1971), Spheeris è il cantautore che guarda all’oceano, ma ha lo sguardo rivolto al cielo. Purtroppo, Spheeris è morto in un incidente stradale nel 1984, a soli 34 anni, quando con la sua moto si schiantò contro un furgone guidato da un ubriaco.
Dischi consigliati:
“Isle of View” - (1971, Columbia)
“The Dragon is Dancing” - (1975, Columbia)
“Ports of The Heart” - (1976, Columbia)

Jeff Harrington
Si hanno poche informazioni su Harrington, se non che fosse un cantante e cantautore attivo nella Minneapolis degli anni ‘70. Come Spheeris, è considerato un precursore del west coast pop e può essere inserito nel genere Folk-Funk.
Ha inciso due album, il primo dei quali, Quiet Corner, pubblicato nel 1975, è un piccolo gioiello di cantautorato intimista che mescola folk e psichedelia leggera. Nei brani “Baby Mine” e “Too Much Feeling” si avverte l’influenza del pop californiano in procinto di emergere. Disco consigliato
“Quiet Corner” - (1975, Programme Records)

John Konteau
Pensate che sfortuna: riesci a incidere il tuo primo album solista, ma la casa discografica cambia il tuo cognome, Kontel, in Konteau, senza il tuo consenso. A parte questo, l’album è un ottimo esempio di sound sophisti-pop, soul e jazz, con un brano, “The Heckler”, che sembra un outtake degli Steely Dan.
La canzone che apre l’album, con il suo ritmo terzinato, non lascia presagire quello che ascolteremo in seguito; infatti, il resto del disco si orienta verso un sound più affine a Fagen e Becker (in un brano pure a Gino Vannelli) pur senza risultare un copia-incolla. Davvero niente male.
Disco consigliato:
“I’m With You” - (1981, Erect)

Jolis & Simone
Chi sono James Jolis e Kevin Simone? Di loro si trovano poche informazioni in rete, ma si sa che nel 1979 riuscirono a firmare un contratto con la Columbia, che produsse l’unico disco della loro carriera. Un traguardo non da poco, considerando che erano praticamente sconosciuti.
E il disco? Davvero notevole. Si distingue non solo per l’abilità dei musicisti coinvolti, ma anche per la qualità delle canzoni, alcune delle quali eccellenti. Emergono qui il buon affiatamento tra i due, armonizzazioni raffinate e brani di sophisti-pop e soul di grande fascino. È un peccato che non abbiano inciso altro.
Disco consigliato:
“Jolis & Simone” - (1979, Columbia)

Greg Yoder
Come già accennato per i Batteaux, anche Yoder può essere annoverato a pieno titolo nel genere Folk-Funk, genere fatto di mix di chitarre acustiche, ritmi ripetitivi e ripetuti, tocchi jazz e potenti stacchi di batteria, il tutto suonato in un’atmosfera ovattata.
Musicista californiano trasferitosi alle Hawaii, Yoder è diventato popolare soprattutto grazie al suo album Dreamer of Life, pubblicato nel 1976. Questo album è oggi considerato un classico tra gli appassionati del westcoast sound, con influenze che spaziano tra il jazz, il folk ed il soul.
Il timbro vocale di Yoder e il suo stile chitarristico hanno creato un suono morbido e sofisticato, diventando un cult.
Disco Consigliato:
“Dreamer of Life” - (1976, Private Press) Ristampato dalla Favorite Records

Greenflow
Le sonorità dei Greenflow non rientrano propriamente nello stile Yacht Rock, anche se i leader della band, Art Green e sua sorella Eleanora, sono originari della California. I Greenflow incisero un solo album, pubblicato nel 1977 come disco autoprodotto, che si distingue come un ottimo esempio di soul-funk-R&B.
Tra i brani spiccano I Got’Cha, un pezzo soul-lounge dall’atmosfera molto suggestiva, e il mid-tempo No Other Life Without You. Non sappiamo molto altro sul gruppo, se non che si esibiva nei club con pezzi R&B originali e partecipava ai tour della USO per intrattenere le truppe americane all’estero, inclusa una tournée in Giappone nel 1976.
Disco consigliato:
“Solutions” - (1977, Private Press) Ristampato nel 2024 dalla Numero Group

Kevin Moore
Chi segue il blues probabilmente conosce Keb’ Mo’, pseudonimo di Kevin Moore.
Prima di adottare questo nome d’arte, nel 1980 incise un album intitolato Rainmaker, prodotto dalla Casablanca Records e legato al genere YR o giù di lì.
Compositore e chitarrista originario di Los Angeles, Moore si fece conoscere alla fine degli anni Settanta accompagnando in concerto band come i Jefferson Starship. Rainmaker è un ottimo disco in cui si cimenta con brani di sua composizione, muovendosi tra soul e pop, con una particolare predilezione per le ballad.
Disco consigliato:
“Rainmaker” - (1980, Casablanca)

Leder Brothers
Dietro questo disco c’è una storia davvero curiosa: i fratelli Leder, originari di Wilson, North Carolina, sono figli di un imprenditore proprietario di grandi magazzini e altre proprietà.
Hanno inciso il loro unico album usando lo stesso nome dell’azienda di famiglia e lo hanno prodotto autonomamente, con una copertina piuttosto mediocre, ma con contenuti musicali di grande qualità. Le canzoni, a metà tra pop e soul, richiamano in alcuni momenti le sonorità degli Steely Dan (il brano Bottom Line sembra un outtake tratto da Pretzel Logic, ascoltare per credere). Riscoperti dalla Numero Group, i Leder sono stati inclusi con un loro brano in una delle compilation dedicate allo YR. Sorprendente.
Disco consigliato:
“Leder Brothers” - (1978, Leder) Ristampato dalla Numero Group

Lyons & Clark
È un disco YR? Sì e no. Di sicuro i musicisti coinvolti sono tra i migliori del genere: David Hungate, Jeff Porcaro, Jerry Scheff, Joe Sample, Larry Carlton, Michael Omartian, Steve Gadd, Tom Scott, Wilton Felder… non certo nomi da poco. Prisms, l’unico album di Debbie Lyons e Pam Clark, è davvero una piccola gemma, ed è un peccato che non abbiano proseguito la loro carriera. Le canzoni richiamano lo stile di Carole King, con voci delicate e ben armonizzate e una freschezza che sorprende ancora oggi. Consigliatissimo.
Disco consigliato:
“Prisms” -(1976, Shelter)

Matthew Larkin Cassell
Cantautore e polistrumentista della Bay Area di San Francisco, Matthew Larkin Cassell ha prodotto uno dei capolavori del westcoast pop, nonostante le sue opere—un album, un EP e un singolo senza titolo—siano stati pubblicati come private press.
Il suo stile fonde funk, pop, R&B, soul e jazz, creando un mix che ricorda a tratti gli Steely Dan. Negli ultimi anni, grazie al web e ai collezionisti di vinili, è rinato l’interesse per la sua musica. La sua riscoperta è stata raccontata su testate come The Huffington Post e il San Francisco Chronicle.
Cassell è stato campionato da artisti come Madlib e MF Doom, e il suo catalogo è stato ristampato da varie etichette internazionali, con una raccolta completa pubblicata da Stones Throw nel 2010.
Disco consigliato:
“Pieces” - (1977, Private Press)

Michael Stosic
Chi segue il panorama della Christian Contemporary Music (CCM) conoscerà sicuramente Michael Stosic, uno dei più apprezzati autori del genere attivo dal 1986 fino ad oggi. Pochi però sanno che nel 1982 Stosic incise un album private press che non presenta testi di musica cristiana e che risulta essere un ottimo disco di Yacht Rock, con forti assonanze con la musica dei Doobie Brothers nella versione di Michael McDonald. Quattro canzoni dell’album sono scritte da David Batteaux.
Disco consigliato:
“Michael Stosic” - (1982, Kristofer) Ristampato nel 2020 dalla P-Vine Records

Nimbus
Children Of The Earth è l’unico album dei Nimbus, pubblicato in modo indipendente nel 1980. Composta da quattro amici che suonavano jazz e soul a Detroit, la band decise nel 1979 di registrare un album raccogliendo le composizioni di alcuni membri. Il risultato è un’opera sofisticata e melodiosa che fonde Yacht Rock, soul, jazz e folk. È un bel disco.
Disco consigliato:
“Children Of The Earth” - (1980, Private Press) Ristampato nel 2009 dalla P-Vine e nel 2019 dalla Providenciales Records

Paul Hillery
Non un cantante, ma un DJ: può sembrare strano vederlo citato qui, ma la storia di Paul Hillery merita di essere raccontata.
Hillery era un DJ molto apprezzato nei club di musica house, fino a quando un grave esaurimento nervoso non lo portò a cambiare radicalmente percorso. Fu proprio a causa di questa esperienza che abbandonò la house per dedicarsi a generi con ritmi più lenti, diventando presto uno dei più noti cacciatori di rarità in vinile, specializzato nel folk-funk e nelle sonorità della west coast.
A lui dobbiamo la riscoperta di molti degli artisti menzionati qui.
Hillery ha iniziato a pubblicare compilation su Mixcloud, per poi collaborare con BBE e la RE:WARM Records e realizzarle anche in formato fisico. E sono davvero notevoli. Vi consiglio di visitare il suo sito, https://paulhillery.co.uk, per ascoltare le sue splendide playlist.
Dischi consigliati:
“We Are The Children Of The Sun” (BBE)
“Once Again We Are The Children Of The Sun” (BBE)
“Folk Funk & Trippy Troubadours Vol. 1-2” (RE:WARM)

The Parker Brothers
Un’altra band cresciuta con l’influenza di Michael McDonald e degli Average White Band, i Parker Brothers incisero nel 1981 il loro unico album per una piccola etichetta, prodotto da George P. Grexa.
La band mescola elementi di modern soul, boogie, jazz crossover e rock, creando un risultato che ricorda i gloriosi anni della musica West Coast, sebbene sia stato registrato a Pittsburgh. Questo disco rappresenta senza dubbio la parte più “piaciona” dello Yacht Rock, risultando molto gradevole all’ascolto.
Disco consigliato:
“The Parker Brothers” (1981, Crown Vetch Enterprises) Ristampato nel 2016 dalla Favorite Records

Phillip Francis Stumpo
Cantautore di San Francisco, Stumpo incise il suo unico album nel 1978, con tutti i brani scritti da lui stesso. Il disco presenta diverse influenze, dal pop con venature di jazz swing ai discreti mid-tempo in stile West Coast californiano, cantati quasi come un crooner moderno degli anni ’70.
Si tratta di un album caratterizzato da numerosi pezzi slow, in cui emerge chiaramente la parte “piaciona” dello Yacht Rock, che rappresenta un tratto distintivo dell’opera. Un vero e proprio marchio di fabbrica di quel decennio.
Disco consigliato:
“One Man Circus” - (1978, Billetdoux) Ristampato nel 2011 dalla Vivid Sound e dalla Beatball Music Korea

Richard Powell
Questo è forse uno degli album più esoterici che mi sia mai capitato di ascoltare, sia per la sua rarità che per il suo carattere “strano”.
Dopo aver trascorso sei anni nella Marina degli Stati Uniti, Powell tornò alla vita civile lavorando come intrattenitore al nuovo ristorante/bar del parco roulotte Glen Ivy, The Pub. Qui incise il suo unico album, venduto esclusivamente nel negozio di souvenir del parco e mai distribuito al di fuori.
L’album è composto da dieci brani, cinque originali e cinque cover, e posso dire che gli originali sono ottimi pezzi, con un’atmosfera che ricorda lo Yacht Rock in stile lo-fi.
Ovviamente, solo la Numero Group poteva scoprire un disco del genere e pubblicarlo.
Disco consigliato:
“Memories Of Glenivy” - (1976, Glenivy Records) Ristampato nel 2020 dalla Numero Group

Robert Lester Folsom
Nativo di Lowndes County in Georgia, la storia di Folsom è quella di un musicista che, dopo un’educazione musicale influenzata dai genitori, ha cercato di dare vita alle proprie passioni registrando nel 1976 il suo primo album, Music and Dreams, ad Atlanta. Nonostante le seicento copie stampate avessero generato un piccolo culto locale, il disco finì presto nel dimenticatoio a causa della mancanza di supporto mediatico. Dopo trenta anni, la canzone “April Suzanne” riacquistò attenzione grazie a internet, portando alla ristampa dell’album.
La copertina del disco può trarre in inganno, poiché il suo contenuto è una raccolta di brani pop che richiamano artisti come Todd Rundgren e Neil Young. L’album include brani morbidi e malinconici, affiancati da alcuni pezzi più energici, creando un’atmosfera che richiama il soft rock, ma in veste psichedelica.
Disco consigliato:
“Music And Dreams” - (1976, Private Press) Ristampato nel 2022 dalla Anthology Records

Will and James Ragar
Autori di un unico album pubblicato nel 1980 in poche copie e presto scomparso dalla circolazione, i fratelli James e Will Ragar hanno visto il loro disco raggiungere il valore di 1.200 euro su Discogs. Fortunatamente, l’etichetta coreana Riverman, e successivamente BBE, ne hanno curato la ristampa.
Originari della Louisiana, James e Will Ragar si sono formati musicalmente a New Orleans, dove sono stati profondamente influenzati dal jazz dal vivo. La loro esperienza nei club della Louisiana ha affinato il loro stile, che unisce toni acustici ed elettrici in modo unico.
Ribattezzato One nella versione ristampata, l’album è considerato un capolavoro assoluto del folk-funk, una miscela di folk, jazz, country e soul, per lo più acustica, ma con accenti di chitarra elettrica e splendide armonizzazioni vocali.
I fratelli sono accompagnati da John Smart alle tastiere, Dave D'Aubin al basso e Tommy Jefferson alla batteria, che suona un tono più alto del solito sul rullante.
È un disco onirico, perfetto per chi cerca atmosfere da “venticinquesima ora,” simile in intensità all’album dei Batteaux.
“Will and James Ragar One” - (1980, Private Press) Ristampato nel 2010 dalla coreana Riverman Records e nel 2023 dalla BBE

Il resto della compagnia

Le compilation di rarità Westcoast YR sono tappe fondamentali per chi vuole avvicinarsi a questo genere e scoprire artisti rimasti troppo a lungo nell’ombra. Dobbiamo ringraziare etichette come Numero Group, BBE, Favorite Recordings e Too Slow To Disco se oggi possiamo ascoltare questi talenti ingiustamente dimenticati.
Ecco alcune compilation consigliate:

Too Slow To Disco:
“Too Slow To Disco Vol. 1-2-3-4”
“Too Slow To Disco Brasil Compiled By Ed Motta”
“Too Slow To Disco NEO - En France”
“The Ladies Of Too Slow To Disco”
“To Slow To Disco Yacht Soul”
“Yacht Soul - The Cover Version”

Favorite Records
“AOR Global Sound Vol. 1-2-3-4-5”

Numero Group:
“Seafaring Strangers: Private Yacht”
“WV2NG 89.9 FM”
“W3NG”
“WTNG 89.9 FM: Solid Bronze”

BBE:
“Americana - Rock Your Soul - Blue Eyed Soul and Sounds from the Land of the Free”

lunedì, novembre 18, 2024

Assalti Frontali live a Cooperativa Popolare Infrangibile 1946 - Piacenza - 16 novembre 2024

L'istituzione per eccellenza dell'hip hop italiano, ASSALTI FRONTALI, approda a Piacenza nella stupenda Coop Infra, in cui succedono sempre cose bellissime.
Tanta gente, tantissimi giovani.

Ad aprire i convicenti Greve Croma e poi quasi due ore di grande lezione rap, partecipazione, interazione con il pubblico, accompagnati dall'eccellente Er Tempesta.

Da omaggi alle radici ("Batti il tuo tempo") ai piccoli classici come "Il rap di Enea", "Cattivi maestri" o "Il lago che combatte").
Unici nella loro credibilità, spessore artistico, autorevolezza, sempre e per sempre combattenti in prima linea con le rime e le parole.

domenica, novembre 17, 2024

Garageland #4

Disponibile il nuovo numero di Garageland, il magazine cartaceo nato dalla collaborazione tra Crombie Media e Red Star Press - Hellnation Libri , e dedicato al mondo delle sottoculture.

Tra le tante cose una lunga intervista a Daniel Rachel, autore del libro "Too much too young", un pezzo sui Basement 5, uno sui Sapeurs congolesi, SPQR Skins, tatuaggi e controcultura, The Redskins, un'intervista con Robert Arkins (del nostro collaboratore Michele Savini) attore del film The Commitments e tanto altro.

Io scrivo di PETE TOWNSHEND e del filo conduttore che lega buona parte della sua produzione, dedicata alle problematiche adolescenziali, da "Can't explain" a "My generation", "Pictures of Lily", "I'm a boy", "Tattoo", "Tommy", "Quadrophenia", fino a "Rough Boys".

https://www.facebook.com/crombiemedia

https://www.facebook.com/hellnationmusic

sabato, novembre 16, 2024

Appuntamenti

Domenica 17 novembre al Circolo Arci Il Girone, via Arentina 24 Fiesole/Firenze.
Presentazione libro "Quadrophenia" alle ore 18.

https://www.facebook.com/events/962865159211637
Sabato 23 novembre
Kanalino, via Canalino 78, Modena
Ore 16.

Si parla di ska e 2Tone con Pier Tosi e Robertò Gagliardi di Hellnation, partendo sdal libro di Daniel Rachel "Too much too young".
(recensione qui: https://tonyface.blogspot.com/2024/09/daniel-rachel-too-much-too-young.html

venerdì, novembre 15, 2024

John Entwistle



Poco più di un mese fa (il 9 ottobre) JOHN ENTWISTLE avrebbe compiuto 80 anni.
Riprendo un articolo che ho scritto per IL MANIFESTO, pubblicato nell'inserto "Ultrasioni / Alias" quattro anni fa.

Lo aveva dovuto chiarire, ad un certo punto, nell'album degli Who “Face dances” (1982) nel brano autografo “The quiet one”:
“Tutti mi chiamano quello tranquillo.
Non sono tranquillo, sono gli altri troppo eccessivi
”.

Ma è sempre stato difficile crederlo. John Entwistle aveva un portamento distaccato, da vecchio gentleman inglese, modi raffinati, poche parole e un'attitudine che sembrava la più lontana possibile dalla classica vita dissipata ed eccessiva della rockstar.
Una recente biografia, “The Ox” (il bue, suo soprannome fin dagli esordi), del giornalista Paul Rees, a cui hanno contributo la prima moglie Alison, la seconda Maxine e il figlio Christopher, oltre agli amici e colleghi più intimi, svela invece un personaggio che si è consumato lentamente tra abusi di ogni tipo, fino all'imprevista (per chi non lo conosceva, più consapevoli e da tempo allarmati i suoi più intimi amici e collaboratori), fine, nel giugno del 2002, in un hotel di Los Angeles, dopo una notte di sesso e cocaina con una spogliarellista locale.

Le dichiarazioni contenute nel libro concordano unanimemente che avesse diverse personalità, due in particolare.
L'una, che lo accompagnava nel suo ruolo da rockstar, soprattutto in tour, in cui si abbandonava a un consumo smodato di liquori di ogni tipo, droghe, costantemente circondato da donne disponibili e da notti senza fine, spesso spese a raccontare le sue storie ad amici e fan fino all'alba e oltre.
L'altra è quella del tranquillo signore di campagna che attendeva con impazienza di tornare a suonare.
Si apriva in quei momenti nella sua anima un buco nero che lo assorbiva e lo faceva sprofondare nella depressione.
A cui cercava di sfuggire con acquisti compulsivi, qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Bassi e chitarre, spesso costosissimi e rarissimi, erano le spese che preferiva.
Ne aveva accumulati qualche centinaio, di tutte le forme e marche. E poi auto di lusso a profusione (anche se non aveva, volutamente. la patente. Preferiva un autista che lo scarrozzasse ovunque mentre lui beveva sul sedile posteriore).
E, ancora, vestiti che comprava in maniera bulimica.
Durante un tour in America, si fermò in un negozio di abbigliamento country e comprò 100 paia di camicie da cowboy, di ogni foggia e colore, oltre a una dozzina di paia di stivali tutti uguali.
La sua casa (un vecchio maniero nella campagna inglese) era stracolma di supellettili e mobilio di ogni tipo, oltre che di un paio di studi di registrazione personali.
Un bar, costruito ad hoc, serviva ad ogni ora del giorno e della notte ai suoi numerosi (talvolta semi sconosciuti) ospiti, ogni ben di dio alcolico, dal gin allo champagne (ovviamente marche di prima qualità).
Ricorda un amico che lo andò a trovare in hotel alla fine di un tour e, negli anni 80, quando la cifra in questione era una piccola fortuna, aveva sul tavolo 20.000 dollari in banconote nuovissime. “Sto uscendo per spenderli tutti”.

Era totalmente ignaro del concetto di risparmio e di gestione del danaro.
Durante una lunga sosta nll'attività degli Who, organizzò e intraprese un tour a sue spese, pur di non rimanere fermo, con la John Entwistle Band, rimettendoci cifre importanti, tra affitto di impianti faranoici e teatri, che finirono per essere sovradimensionati rispetto al pubblico intervenuto.
Tutto questo lo portò più volte alla bancarotta, a cui rimediarono i vecchi amici Who con tour americani che ridavano ossigeno (per avere un'idea delle proporzioni, si parla di guadagni da tre milioni di dollari a testa alla volta) alle sue casse. Serviva a poco e per poco.
Riprendeva immediatamente a devastare conto corrente e il fisico.

Ma il musicista John Entwistle era inarrivabile.

Difficile discutere su chi sia stato il miglior bassista rock di tutti i tempi e non trovarlo ai vertici.
Una potenza inaudita, una tecnica unica e personale, un suono, elaborato nel tempo, mai eguagliato. Aveva la capacità di suonare i brani in studio una sola volta (vedi le evoluzioni di “The real me”, che apre “Quadrophenia”, suonata una volta sola, senza aver praticamente mai ascoltato bene il brano, giusto per provare il suono. Talmente sublime che venne mantenuto su disco in quella primissima e unica versione!).

Talvolta, in studio di registrazione, quando gli altri del gruppo erano troppo impegnati a litigare o a riprendersi da qualche sbronza, era solito, per non annoiarsi, rifare le parti già incise per riproporle sostanzialmente uguali a prima, semplicemente perfette.
Dal vivo era quello che teneva insieme la follia ritmica di Keith Moon e le improvvisazioni di Pete Townshend. Impassibile e immobile sul palco mentre intorno a lui gli altri tre scatenavano l'inferno.

Provò anche una carriera solista da affiancare all'attività saltellante degli Who ma mancarono le soddisfazioni. Se il primo album “Smash your head against the wall”, intriso del suo consueto humor nero è un ottimo lavoro, ispirato e ben fatto molto meno riusciti sono i sei successivi, sparsi nel corso degli anni, spesso registrati più per fuggire dalla depressione, causata dall'inattività, che per reali esigenze artistiche.

Fu anche parte anche della All Star Band di Ringo Starr, negli anni 90, nascondendosi dal batterista dei Beatles quando voleva bere. Ringo, dopo un passato di pesante alcolista, si era ripulito da tempo ed esigeva che nessuno facesse uso di alcolici e droghe durante il tour. Gli ultimi anni con gli Who sono all'insegna di un enorme successo, stadi pieni, la celebrazione del mito, gli ultimi sopravvisuti con Rolling Stones e Paul McCartney della grande leggenda del rock, ormai musealizzata e consegnata alla storia e al passato, icone di un'epoca irripetibile. Pagati cifre astronomiche, tra hotel di lusso, aerei, Limousine, i migliori ristoranti.
Ma vivono il tutto separatamente, Dormono in luoghi diversi, ognuno ha un proprio camerino, suonano, spesso senza nemmeno guardarsi in faccia, intascano il cachet e se ne vanno. John subisce più degli altri una situazione artificiosa e il suo “buco nero” diventa sempre più profondo.

Nel frattempo i volumi spaventosi con cui ha suonato per anni lo hanno reso ormai quasi completamente sordo.

Il suo amplificatore sul palco è sempre al massimo, non riesce più a sentire gli altri, osserva costantemente le mani di Pete Townshend, per capire che accordi stia facendo per seguire correttamente il brano in esecuzione.
Talvolta Townshend, infastidito, gli voltava volutamente le spalle per dispetto.
Nel suo vortice autodistruttivo John ha sempre trascurato cocciutamente ogni tipo di tutela della propria salute. Incurante della progressiva perdita di udito, ha anche sempre accuratamente ignorato il consiglio da parte di amici e famigliari di curare la dieta alimentare, assolutamente devastante, fatta quasi esclusivamente di cibi fritti e bistecche alla griglia, senza alcun tipo di frutta e verdura.
Negli ultimi tempi molti amici notavano con orrore che aveva la pelle sempre più grigiastra e un aspetto pessimo.
La vicinanza con la nuova compagna Lisa, cocainomane, alcolista, estrema in ogni sua manifestazione, lo trascinò ancora più a fondo, fino alla notte fatale del 2002.

Per apprezzare il genio e il talento di John Entwistle i dischi solisti sono davvero poco significativi, se non per i fan più accaniti e completisti.

Nella discografia degli Who l'album che ne esalta al meglio la capacità tecnica e creativa è senz'altro “Quadrophenia”, del 1973, e in cui John arrangia e suona tutta la sezione fiati (era un abilissimo con il corno ma se la cavava anche con tuba, tromba e sax).

John ha sparso la discografia degli Who di brani di sua composizione, spesso di eccellente qualità. In particolare l'inquietante “Boris the spider”, le altrettanto sinistre “Fiddle about” e “Cousin Kevin” dall'opera “Tommy” e la perfida “My wife”, dedicata alla prima moglie Alison.
Meno conosciute ma altrettanto belle “Silas Stingy” e l'elettronica futuristica “905” da “Who are you”.

giovedì, novembre 14, 2024

Death In Vegas - Scorpio Rising

E' raramente citato e poco considerato ma il terzo album della creatura di Richard Fearless (dal titolo ispirato al film di Kenneth Anger) è un'opera che merita particolare attenzione.

Pubblicato nel 2002 annovera una serie di ospiti eccellenti (pratica spesso usata dalla band), da Liam Gallagher a Paul Weller, Hope Sandoval (e il batterista Simon Hanson che troveremo poi in decine di altre esperienze tra cui Squeeze e Secret Affair tra i tanti).

Il sound è un condensato di rock dalle tinte psichedeliche e sguardi post wave e di gusto Sixties (vedi "23 lies" che campiona "Goin'back" dei Byrds).
Stupenda la versione di "So you say you lost your baby" di Gene Clark with the Gosdin Brothers (primo album solista dell'ex Byrds del 1967) cantato e suonato da Paul Weller con Mani degli Stone Roses e Primal Scream al basso.
Potentissimo e arrogante rispetto alla versione sognante originale.
La title track è un brillante mid tempo psichedelico con un Liam Gallagher alla voce mai così tanto John Lennon, perfetta outtake per un album degli Oasis.
C'è Hope Sandoval (ex Mazzy Star) nel dolente country blues "Killing smile" e nei conclusivi 10 minuti psichedelici di "Help yourself".
L'ipnotica e lisergica "Girls" finì nel bellissimo "Lost in translation" di Sofia Coppola.

Un album ancora particolarmente efficace, fresco e che riesce ad essere sempre attuale.

Death in Vegas & Paul Weller - So you say you lost your baby
https://www.youtube.com/watch?v=2vN72ySL9cQ

mercoledì, novembre 13, 2024

Berlinguer. La grande ambizione di Andrea Segre

Intriso di struggente nostalgia per un'epoca che appartiene a un passato sempre più remoto, irripetibile e irriconiscibile (vedi i commoventi inserti originali d'epoca), il film non è (e presumo non volesse essere) una biografia di Enrico Berlinguer ma un'istantanea (Polaroid) su alcuni aspetti socio politici dell'epoca.

Proprio a questo livello la narrazione è spesso superficiale e omette tanti aspetti ma non si tratta di un documentario o un libro di storia.

Elio Germano è molto bravo, non caricaturizza il segretario del PCI ma lo interpreta con credibilità, cura e distacco.
Anni di forti e sinceri ideali e idealismi, di un'etica ferrea, finiti come sappiamo e come vediamo.

Un'opera non imperdibile ma nemmeno trascurabile.

martedì, novembre 12, 2024

Yacht Rock al femminile

L'amico LEANDRO GIOVANNINI prosegue la rubrica dedicata allo YACHT ROCK, ambito musicale spesso vituperato ma che nasconde piccole gemme degne di essere scoperte.
Le puntate precedenti qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock

Il connubio tra yacht rock e la sensibilità femminile ha dato vita a dischi di grande qualità, assolutamente all’altezza dei più celebri nomi maschili del genere.
Nonostante lo yacht rock sia spesso associato a voci maschili, diverse artiste donne hanno saputo imprimere una cifra stilistica unica, portando freschezza e profondità a questo genere.
Pioniere come Carly Simon, Rita Coolidge e Nicolette Larson hanno abbracciato le sonorità morbide e sofisticate dello yacht rock, arricchendole con una sensibilità vocale e lirica tutta al femminile. Anche per queste artiste vale la regola applicata nelle altre puntate: la selezione dei dischi è pensata in modo che possono essere ascoltati in streaming o in forma fisica, gli album introvabili su queste piattaforme non saranno recensiti.

Amy Holland
Amy Holland, vocalist molto attiva negli album di musicisti californiani, emerse sulla scena musicale all’inizio degli anni ’80 con il suo album omonimo, prodotto da Michael McDonald, futuro marito e membro dei Doobie Brothers. Le influenze della band sono chiaramente presenti nel disco, cosa che cambia nel suo secondo album. Anche in questo caso McDonald è alla produzione, ma a differenza del primo lavoro, ricco di cover, qui i brani sono per lo più originali, con quattro tracce scritte dallo stesso McDonald. L’abbinamento tra la voce delicata della Holland e la produzione del marito, caratterizzato da un mix equilibrato di pop, soul e soft rock, avrebbe meritato maggiore successo, nonostante il discreto riscontro ottenuto dal singolo “How Do I Survive”, tratto dal primo album.
Dischi consigliati:
“Amy Holland” - (1980, Capitol)
“On Your Every Word” - (1983, Capitol)

Brenda Russell
Nel 1983, Brenda Russell, dopo aver lasciato la A&M per la Warner Bros. con il produttore Tommy LiPuma, pubblicò Two Eyes, un album che, pur essendo un flop commerciale, è diventato un cult tra i fan dello YR. Il disco, scritto in gran parte dalla Russell, vanta collaborazioni eccezionali, tra cui David Foster, Bill LaBounty, Michael McDonald e Stevie Wonder. I brani spaziano dal pop-soul raffinato a ballad romantiche, come “It’s Something” e “Stay Close”. Nonostante il talento e la qualità degli arrangiamenti, l’album fu ignorato dai media dell’epoca, ma è stato riscoperto grazie anche al passaparola in rete.
Disco consigliato:
“Two Eyes” - (1983, Warner Bros.)

Carly Simon
Carly Simon non ha bisogno di presentazioni, e pur muovendosi in un raffinato pop influenzato dalla Westcoast californiana, l’album in cui si avvicina maggiormente al sound Yacht Rock è “Another Passenger” del 1976. Prodotto da Ted Templeman, il disco vede la partecipazione al completo dei Doobie Brothers e dei Little Feat in veste di musicisti e di altri turnisti di altissimo livello. Se i precedenti lavori della Simon erano già noti per la loro sofisticatezza, qui si va oltre: con l’aggiunta di Van Dyke Parks in una traccia, avete l’ingrediente giusto per il suo album migliore.
Eppure la sua raffinatezza – un mix di pop, folk, soul e blues – lo rese forse troppo sofisticato per il grande pubblico, tanto che raggiunse solo il 29º posto nella Billboard Hot 100.
Disco consigliato:
“Another Passenger” - (1976, Elektra)

Carole Bayer Sager
Carole Bayer Sager, autrice notissima e una delle figure più celebri del pop, vincitrice di un Oscar per la canzone “Arthur” e di innumerevoli altri premi, è stata anche cantante e ha firmato un album amatissimo dai fan dello Yacht Rock: “Sometimes Late At Night”. Prodotto da Burt Bacharach, suo marito all’epoca, l’album contiene brani scritti da entrambi, accompagnati da una formazione di musicisti di altissimo livello.
Si tratta di un concept album che racconta l’evoluzione di una relazione e le varie sfaccettature dell’amore, attraverso una prospettiva femminile, in cui la vulnerabilità della voce della Sager esprime perfettamente la fragilità dei rapporti e il desiderio di ricominciare.
Le canzoni sono il classico pop orchestrale di Bacharach, imponente e avvolgente, caratterizzato da un’intimità lirica e da una magnificenza musicale. L’aggancio con lo YR? Richard Page dei Pages come background vocal e la canzone “Stronger Then Before”. Una curiosità: nel brano “Just Friends”, la Sager duetta con Michael Jackson.
Disco consigliato:
“Sometimes Late At Night” - (1981- Boardwalk)

Charlie Dore
L’attrice e cantautrice inglese Charlie Dore ha pubblicato solo due album nel corso della sua carriera, ma è il secondo a poter essere accostato al sound dello Yacht Rock. Questo è dovuto sia alla qualità dei musicisti coinvolti, tra cui spiccano nomi di rilievo come Jeff e Mike Porcaro e Steve Lukather, sia alla scrittura dei brani. Le canzoni si distinguono infatti per un raffinato pop in stile West Coast, con una forte impronta cantautorale, che riesce a unire melodie accattivanti a sonorità morbide e sofisticate, tipiche di quel periodo e genere. In seguito la Dore lascerà la musica per dedicarsi alla carriera di attrice.
Disco consigliato:
“Listen” - (1981, Chrysalis)

Dara Sedaka
Figlia del celebre cantante Neil Sedaka, a 19 anni registrò un album prodotto da David Foster, pubblicato esclusivamente in Giappone.
Nonostante la partecipazione di musicisti di alto livello come Foster, Steve Porcaro, Steve Lukather e Michael Landau, e malgrado l’atmosfera leggera che caratterizza l’intero lavoro, l’album risulta piuttosto trascurabile. Anche se un paio di brani si distinguono per qualità, nel complesso è un’opera modesta, consigliata più che altro ai collezionisti.
Disco consigliato:
“I’m Your Girl Friend” - (1982, Canyon Records)

Deniece Williams
Deniece Williams è nota soprattutto per la sua collaborazione con Maurice White degli Earth, Wind & Fire, grazie al quale, nel 1976, pubblicò il suo album di debutto, che ottenne grande successo negli Stati Uniti. Tuttavia, per quanto riguarda il suo contributo al sound Yacht Rock, bisogna spostarsi al 1979, quando incise When “Love Comes Calling”.
Questo album, caratterizzato da un raffinato mix di pop e soul in stile losangelino, include anche qualche incursione nella dance meno cialtrona. Prodotto da David Foster e Ray Parker Jr., vanta una schiera di session men californiani di altissimo livello e arrangiamenti sontuosi.
Disco consigliato
“When Loves Come Calling” - (1979, Columbia)

Dionne Warwick
Anche Dionne Warwick ha un album che può essere ascritto allo Yacht Rock, anche se, tra i suoi million sellers dopo il passaggio alla Arista Records, è quello che ha venduto di meno.
“Friends in Love”, prodotto da Jay Graydon, è un classico esempio di “unpopular popular music”, un disco di pop-soul curato nei minimi dettagli e suonato dai migliori musicisti dell’epoca, che però non ha incontrato i gusti del pubblico adulto medio, incapace forse di apprezzarne tutte le sfumature. Eppure, le canzoni avevano tutto il potenziale per essere dei successi.
Disco consigliato:
“Friends in Love” - (1982, Arista)

Diana Ross
Nel 1983, Diana Ross intraprese una sfida audace con la pubblicazione dell’album Ross, cercando di cimentarsi nel pop raffinato e nell’adult-contemporary. Nonostante la presenza di produttori e autori di talento, tra cui Gary Katz, Michael McDonald e Donald Fagen, l’album non ottenne il successo sperato, forse a causa della mancanza di una produzione unitaria e dell’eccessivo uso dei synth, caratteristico dell’epoca.
"Ross" si configura oggi come un lavoro interessante ma frammentato, che riflette le ambizioni e i contrasti di una fase di sperimentazione musicale in ambito pop negli anni ’80.
Disco consigliato:
“Ross” - (1983, RCA)

Elkie Brooks
Elkie Brooks, cantante inglese, non è propriamente associata allo Yacht Rock. Prima della sua carriera solista, ha suonato principalmente rock-blues, inizialmente in coppia con il marito Peter Cage e poi con Cage e Robert Palmer nel gruppo Vinegar Joe.
Con il suo secondo album solista, la Brooks ha esplorato sonorità che si avvicinano allo Yacht Rock, pur senza rientrarvi del tutto, spaziando tra pop-rock e pop-soul in un disco comunque interessante.
Disco consigliato:
“Two Days Away” - (1977, A&M)

Evie Sands
Evie Sands è un’altra cantante bianca profondamente innamorata del soul, genere a cui ha dedicato la sua carriera. Pur avendo pubblicato solo sei album in circa quarant’anni e ottenuto un singolo di successo negli Stati Uniti nel 1969, è con il suo secondo album solista che ha messo in luce tutto il suo talento.
Estate of Mind, composto in gran parte dalla stessa Sands, ha ricevuto un buon riscontro sia dalla critica, che dagli appassionati di musica soul. L’album colpisce per la sua raffinata miscela di soul e pop, grazie ai musicisti coinvolti e alla cura degli arrangiamenti, anticipando lo stile che sarebbe poi diventato tipico delle produzioni Yacht Rock.
Disco consigliato:
“Estate of Mind” - (1975, Haven)

Jaye P. Morgan
In Italia è poco conosciuta, ma J.P. Morgan fu una figura popolarissima negli Stati Uniti negli anni ‘50 e ‘60, grazie anche a due programmi televisivi da lei condotti.
Dotata di una voce perfetta per il soul, la Morgan non aveva mai esplorato questo genere fino al 1976, quando, dopo una carriera legata a brani pop e ballad jazz, fu scelta dal giovane David Foster per la produzione del suo primo album come produttore in proprio. In questo disco si possono già scorgere le fondamenta del sound che avrebbe caratterizzato il futuro dello Yacht Rock targato Foster.
L’album omonimo di J.P. Morgan è un piccolo capolavoro di pop raffinato e soul levigato, che avrebbe influenzato tutti quegli artisti in cerca di perfezione sia nella produzione che negli arrangiamenti, unendo la precisione tecnica all’eleganza stilistica che diventerà il marchio di fabbrica dello Yacht Rock.
Disco consigliato:
“Jaye P. Morgan” - (1976, Candor)

Karla Bonoff
Tra tutte le rivalutazioni, anche alcune di cui non ne sentivamo il bisogno, spicca l’assenza di un nome come Karla Bonoff. Nonostante il suo significativo contributo alla musica, la sua carriera non ha ricevuto l’attenzione che merita, e molti degli ascoltatori contemporanei potrebbero non conoscere il suo lavoro.
La sua capacità di scrivere canzoni che raccontano storie con una personalità emotiva rara, rimane una delle sue qualità distintive, rendendola una figura importante e spesso trascurata nel panorama musicale degli anni ’70. Il suo omonimo album solista, pubblicato nel 1977, è un capolavoro che ha ricevuto elogi sia dalla critica che dal pubblico. Questo disco contiene alcune delle sue canzoni più belle, come “Someone to Lay Down Beside Me” e “Home,” che catturano perfettamente la sua abilità nel descrivere emozioni complesse e storie di vita quotidiana.
La produzione curata e le melodie accattivanti hanno reso l’album un classico nel genere, influenzando molti artisti successivi. Dischi consigliati:
“Karla Bonoff” - (1977, Columbia)
“Restless Night” - (1979, Columbia)

Kiki Dee
Il fan appassionato di Yacht Rock è un vero esploratore musicale, sempre alla ricerca di perle nascoste oltre le canzoni più popolari.
Kiki Dee, icona britannica soprattutto per il celebre duetto con Elton John in “Don’t Go Breaking My Heart”, nel 1978 registrò Stay With Me a Los Angeles, un album che incanta i veri conoscitori del genere. Prodotto da Bill Schnee, l’album vede la partecipazione dei Toto e di altri rinomati sessionman californiani, offrendo una sofisticata interpretazione del pop californiano. La voce della Dee si fonde perfettamente con questa atmosfera musicale ricca di qualità e raffinatezza, con brani notevoli come “One Step”, “Don’t Stop Loving Me” e “Safe Harbor”.
Disco consigliato:
“Stay With Me” - (1978, Rocket)

Lani Hall
Lani Hall è una cantante statunitense che ha iniziato la sua carriera come voce principale del gruppo Sérgio Mendes & Brasil ’66, con cui ha portato il sound della bossa nova negli Stati Uniti interpretando brani come “Mas que Nada” e “The Look of Love”. Dopo aver lasciato il gruppo, ha intrapreso una carriera solista, esplorando generi come pop, jazz e musica latina, spesso collaborando con il marito, il musicista Herb Alpert.
I suoi album da solista più vicini allo stile West Coast/YR sono Blush del 1980 e Albany Park del 1981; personalmente, preferisco il primo, un disco che coinvolge grandi musicisti come Jeff e Mike Porcaro, Jay Graydon, Greg Phillinganes e David Hungate. È un ottimo lavoro di pop raffinato, quando questo genere non era ancora sputtanato come oggi.
Dischi consigliati:
“Blush” - (1980, A&M)
“Albany Park” - (1981, A&M)

Laura Nyro
“Walk the Dog and Light the Light,” pubblicato nel 1993, segna l’ultimo album di Laura Nyro prima della sua prematura scomparsa nel 1997. Nonostante l’etichetta di “minore” data da alcuni critici, l’album è una sofisticata esplorazione del genere adult contemporary, resa possibile grazie alla produzione di Gary Katz, già produttore degli Steely Dan, che riesce a valorizzare appieno la sensibilità della Nyro.
Il disco alterna brani soulful e intimi, come “A Woman of the World,” “The Descent of Luna Rose,” “Art of Love,” e “Broken Rainbow.” Su dieci tracce, otto sono originali e due cover, arricchite dal contributo di talenti come i Brecker Brothers, Bernard Purdie e Michael Landau.
Dischi consigliati:
“Nested” - (1978, Columbia)
“Walk The Dog And Light The Light” - (1993, Columbia)

Laura Allan
Laura Allan è un nome poco conosciuto dagli appassionati di musica, ad eccezione forse dai fan della West Coast. Da giovane, la Allan strinse amicizia con Joni Mitchell, Jackson Browne e David Crosby; suo è l’autoharp del brano “Traction in The Rain”, contenuto nell’album “If I Could Only Remember My Name”. Nonostante le buone premesse, il primo album della Allan risale al 1978 ed è emblematico di come il termine yacht rock possa essere interpretato in modi diversi, poiché al suo interno si respirano atmosfere tipicamente westcoastiane, con una predilezione per i suoni acustici.
Il disco, caratterizzato da una voce delicata e rilassata, non ebbe un seguito immediato; la Allan tornò a incidere altri due album nel 1996 e nel 1999, prima della prematura scomparsa nel 2008, a soli 56 anni.
Disco consigliato:
“Laura Allan” - (1978, Elektra)

Laureen Wood
Laureen Wood è una voce di spicco nello yacht-rock, con due album solisti che si distinguono: “Cat Trick” e “Laureen Wood”. Prima di intraprendere la carriera solista, ha fatto parte del trio Chunk, Novi ed Ernie, che pubblicò due album, il primo dei quali fu prodotto da John Cale.
I suoi dischi solisti rappresentano il westcoast pop nella sua forma migliore, caratterizzati da un groove impeccabile e da un mix di pop di sostanza e soul. Purtroppo, questi album non ottennero un riscontro commerciale significativo, portando la Wood a intraprendere una carriera come autrice per altri artisti e per colonne sonore di film e programmi televisivi.
Dischi consigliati:
“Laureen Wood” - (1979, Warner Bros.)
“Cat Trick” - (1981, Warner Bros.)

Leah Kunkel
Leah Kunkel ha iniziato la sua carriera principalmente come cantante di supporto e corista, collaborando con artisti importanti come Jackson Browne, James Taylor, Art Garfunkel, e molti altri nomi noti del folk-rock e della soft rock californiana. Oltre alla sua carriera di corista, ha pubblicato due lavori da solista: Leah Kunkel (1979) e I Run With Trouble (1980). Nonostante non abbiano raggiunto un grande successo commerciale, sono da annoverare come due ottimi lavori, tra i quali preferisco il primo, composto da canzoni pop con retrogusto soul ed eccellenti arrangiamenti.
Una curiosità: Leah Kunkel è la sorella minore di “Mama” Cass Elliot, cantante dei The Mamas and the Papas.
“Leah Kunkel” - (1979, Columbia)

Libby Titus
Libby Titus è una figura significativa nella musica degli anni ’70 e ’80, conosciuta non solo per la sua carriera artistica, ma anche per la sua relazione con Donald Fagen, co-fondatore degli Steely Dan. Ha collaborato con artisti di spicco, tra cui Jackson Browne.
Il suo album più noto, “Libby Titus,” pubblicato nel 1977, è stato apprezzato per il suo mix di pop e soul, arricchito da inflessioni jazzate e un cantautorato intimistico, che dimostra la sua abilità nel fondere diversi stili musicali. Vale la pena ascoltarlo, poiché potrebbe sorprendervi. Nonostante il suo talento, il suo lavoro non ha ricevuto il riconoscimento commerciale che meritava. Inoltre, sono da segnalare le sue collaborazioni con Burt Bacharach e Dr. John.
Disco consigliato:
“Libby Titus” - (1977, Columbia)

Lisa Dal Bello
Lisa Dal Bello debutta come solista nel 1977 con un album prodotto da David Foster, che vede la partecipazione dell’intera band dei Toto e di artisti come Jay Graydon, Jay Gruska, Larry Carlton e Bill Champlin.
Nonostante il discreto successo, l’album non le garantì il rinnovo del contratto con la MCA. Il disco eccelle nelle ballad e nei brani mid-tempo di pop raffinato, in perfetto stile West Coast/AOR, mentre i pezzi in stile rock FM risultano meno convincenti, anche se non compromettono il giudizio complessivo, che resta positivo. Dal 1981 l’artista si orienterà verso un rock più convenzionale, lasciando questo primo album come unica testimonianza nel genere YR. Disco consigliato:
“Lisa Dal Bello” - (1977, MCA)

Marva King
Famosa per le sue collaborazioni con artisti del calibro di Prince, Stevie Wonder e Lenny Kravitz, e per il suo status di dance-diva, nel 1981 la King ha fatto il suo ingresso nell’epopea dello yacht rock con l’album “Feels Right”.
Anche se non è particolarmente memorabile, potrebbe piacere a chi apprezza il mellow soul più zuccheroso. Vale la pena notare la sua bella cover di un brano scritto da Kenny Loggins e Richard Page dei Pages, che le consente di dare un piccolo contributo al Westcoast pop. Disco consigliato:
“Feels Right” - (1981, RCA)

Melissa Manchester
Poco conosciuta in Italia, ma non nei paesi anglosassoni, la Manchester è una cantante dotata di notevoli capacità vocali. Ha avuto la fortuna di collaborare con un maestro dell’R’n’B come Leon Ware, che le ha prodotto quello che è considerato il suo capolavoro, “Don’t Cry Out Loud”, un album davvero bello di blue-eyed soul e sophisti-pop. Nonostante la melensa title track, che stona completamente con il mood del disco e che è stata imposta da quello sfaccimme di Clive Davis, forse pensando di avere a che fare con una Barry Manilow in gonnella, e nonostante il disaccordo della Manchester, il resto dell’album riesce a volare davvero alto.
Dischi consigliati:
“Home To Myself” - (1973, Arista)
“Don’t Cry Out Loud” - (1978, Arista)

Nicolette Larson
Se “Cool Night” di Paul Davis rappresenta al meglio il genere YR per gli artisti maschili, per le artiste femminili il brano simbolo è senza dubbio “Lotta Love”. Scritta da Neil Young, interpretata da Nicolette Larson – sua corista – e arrangiata secondo i canoni del genere YR, la canzone raggiunse l’ottava posizione della Billboard Hot 100 e conquistò il primo posto nella classifica adult contemporary ed ebbe un discreto successo anche in Italia.
Nessuno mi toglie dalla testa che il brano abbia ispirato l’atmosfera di “Voglia e Turnà” di Teresa De Sio.
Nicolette Larson, però, non è solo “Lotta Love”: i suoi primi due album rientrano di diritto tra i migliori del genere. Tra i due, il secondo è probabilmente il più riuscito, con sonorità più mature e una traccia che da sola giustifica l’acquisto dell’album: “Let Me Go, Love”, cantata in coppia con Michael McDonald.
Purtroppo, la Larson non riuscì a mantenere gli stessi risultati negli album successivi, orientandosi verso il country, dove ebbe un discreto successo nelle classifiche di settore. La sua vita si concluse prematuramente nel 1997, a soli 45 anni, a causa di complicazioni legate a un edema cerebrale. Nicolette Larson rimarrà per sempre un simbolo della scena YR degli anni ’70.
Dischi consigliati:
“Nicolette” - (1978, Warner Bros.)
“In The Nick Of Time” - (1979, Warner Bros.)

Randy Crawford
Randy Crawford, insieme a Valerie Carter, è una delle voci femminili più belle del panorama westcoast pop, e con Nicolette Larson è anche quella che ha ottenuto più successo nel genere. Tuttavia, il primo successo della Crawford arrivò nel mondo del jazz fusion, come vocalist del brano Street Life dei Crusaders.
Passata sotto la guida del produttore Tommy LiPuma, realizzò quelli che sono considerati due pietre miliari dello yacht rock al femminile: Secret Combination e Windsong, quest’ultimo un vero capolavoro. Le canzoni presentano un pop losangelino in versione extra-lusso, grazie alla perizia musicale dei sessionmen e alla straordinaria voce della Crawford, che rendono questo album un classico senza tempo.
Come per il primo album di Robbie Dupree, anche l’ascolto di Windsong ha quella “maledizione” che mi colpisce all’improvviso, evocando una pioggia di ricordi e facendomi precipitare nella “saudade” per quel periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
Dischi consigliati:
“Secret Combination” - (1981, Warner Bros.)
“Windsong” - (1982, Warner Bros.)

Rita Coolidge
Rita Coolidge è un’interprete molto conosciuta e apprezzata negli Stati Uniti, che ha avuto un breve momento di notorietà radiofonica in Italia grazie al singolo “You” del 1978. Sebbene non si possa definire un’artista propriamente YR, l’album che più si avvicina a questo genere è “Anytime… Anywhere”, pubblicato nel 1977. Gli appassionati di YR la ricordano soprattutto per la sua magistrale interpretazione di “We’re All Alone”, un brano di Boz Scaggs.
I suoi album consistono essenzialmente in reinterpretazioni di canzoni di artisti come Smokey Robinson, Barry Gibb, Neil Sedaka e Sam Cooke. Tuttavia, nonostante alcuni elementi comuni, i suoi lavori di fine anni 70 non possono essere definiti propriamente YR, ma restano comunque i migliori.
Album consigliato:
“Anytime… Anywhere” - (1977, A&M)

Sarah Dash
Sarah Dash è stata una cantante e attrice americana, nota soprattutto per il suo ruolo nel gruppo femminile Labelle, con cui ha raggiunto il successo negli anni ’70 grazie alla hit Lady Marmalade. Anche Sarah Dash abbracciò le sonorità dello yacht rock e del pop sofisticato con l’album Close Enough del 1983, uno dei suoi progetti più raffinati e in linea con lo spirito del westcoast pop. Le tracce dell’album fondono elementi di R&B e soul raffinato con arrangiamenti e una produzione elegante, che richiamano le sonorità di artisti come Michael McDonald e David Foster. Molto bella la cover di “Somebody’s Angel”, brano scritto da David Lasley.
Disco consigliato:
“Close Enough” - (1983, Columbia)

Valerie Carter
Valerie Carter rappresenta un’altra scommessa perduta del westcoast pop, essendo una delle voci più belle che abbiano arricchito il genere. È stata una corista molto richiesta, collaborando con artisti del calibro di James Taylor, sua stretta amica e collaboratrice per decenni, Linda Ronstadt, Jackson Browne, Don Henley e molti altri.
La sua voce contribuiva in modo significativo alle armonie vocali di queste produzioni, grazie alla sua timbrica e alle interpretazione delicate. La Carter ha debuttato come solista nel 1977 con l’album Just a Stone’s Throw Away, un lavoro che mostra il suo talento unico nell’interpretare brani di genere folk, pop e R&B con una sensibilità raffinata. L’album, prodotto da Lowell George dei Little Feat, è considerato uno dei migliori esempi dello stile westcoast, grazie anche alla partecipazione di musicisti di spicco come Jackson Browne, Maurice White e membri dei Little Feat.
Valerie ha pubblicato un altro album, Wild Child (1978), ma, nonostante le recensioni positive, non ha mai raggiunto un successo commerciale significativo. Se il suo primo lavoro può essere ascritto alla westcoast più tradizionale con incursioni nel soul, è con Wild Child che Valerie Carter approda al pop-soul sofisticato, regalandoci un album straordinario.
Dischi consigliati:
“Just A Stone's Throw Away” - (1977, Columbia)
“Wild Child” - (1978, Columbia)

lunedì, novembre 11, 2024

Marta Cagnola / Simone Fattori - Musicarelli. L'Italia degli anni '60 nei film musicali

Molti della mia generazione (1961) sono cresciuti con i Musicarelli.
Prima da molto piccoli, poi da più grandicelli e infine, negli anni Ottanta, cercando di cogliere in quel marasma, scampoli dei tanto amati dell'epica/epoca Sixties (vedere in azione Motowns, Rcoky Roberts, Lola Falana, i primitives, i Rokes, tra i tanti, era particolarmente interessante e istruttivo, in epoca pre You Tube). All'inizio nei cinema parrocchiali e poi nelle tv private.

"Se nella sale di prima visione, quelle delle grandi città, il musicarello non fa registrare numeri elevatissimi, nei successivi passaggi alle seconde e terze visioni, nei capoluoghi di provincia e nei piccoli centri. compresi i passaggi successivi nelle sale parrocchiali, si registrano sempre incassi notevoli.

Un centinaio di titoli usciti tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Settanta, dalla trama esile, inframezzata da siparietti comici ma soprattutto dalle canzoni dei/delle protagonisti/e (che spesso davano il titolo al film).

"Il film musicale è un film che non sfrutta soltanto le canzoni, che sono fini a se stesse ma è un film completo in tutti i suoi punti. Nei punti comici, patetici, drammatici e umoristici, naturalmente". (Aldo Grimaldi)

Il libro analizza il fenomeno, elenca e commenta (con tanto di locandina) tutti i film, raccoglie varie testimonianze inedite in relative interviste (Rita Pavone, Al Bano, Shel Shapiro, Mal, tra i vari protagonisti), conferma come l'ambito ebbe enorme successo, soprattutto economico (a fronte di investimenti modesti e produzioni minimali).
Parteciperanno attori famosi e future star (da Totò a Terence Hill, Nino Taranto, Paolo Villaggio etc).

"Il musicarello ha rappresentato negli anni Sessanta anche una palestra nella quale si sono fornati molti attori destinati successivaemte al grande successo di pubblico."

C'è tutto l'immaginario del fenomeno e l'approfondimento necessario a comprenderlo, senza esaltazioni inopportune o revivalismi improbabili.

"Un unico grande film, pieno di musica popolare, di facce entrate nell'iconografia italiana, di comicità semplice, di storie romantiche e travagliate, ma che con candida ingenuità ci raccontano come è cambiata la società italiana tra il 1960 e 1970".

"Il linguaggio ideale per raggiungere il pubblico dei giovani è veloce, leggero, energico ma anche romantico e sognatore.
Il tono deve essere divertente anche comico ma deve contenere un messaggio ecumenico che non disturbi troppo la borghesia cattolica impegnata a produrre e guadagnare.
Un linguaggio innocuo insomma, che contenga talmente tanti messaggi da non contenerne alcuno e con un solo obiettivo: vendere.
Biglietti del cinema, 45 giri delle canzoni, serate degli artisti, la loro faccia e le loro vite sulle riviste."


Marta Cagnola / Simone Fattori
Musicarelli. L'Italia degli anni '60 nei film musicali
Vololibero Edizioni
250 pagine
26.50 euro
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