Escono quasi in contemporanea due nuovi album della stupenda saga Chesterfield Kings.
Il primo attribuito al nome originale, il secondo è del dimissionario Greg Prevost, da tempo impegnato in una buona carriera solista.
CHESTERFIELD KINGS - We're still all the same
Dopo 15 anni di silenzio viene rispolverato il glorioso nome della band americana, orfana del membro fondatore, Greg Prevost.
Rimane Andy Babiuk a portare avanti il loro classico sound garage beat.
Al di là della "legittimità" di proseguire il progetto, il nuovo disco è energico, classico, divertente, fatto con tutti i crismi del caso, belle canzoni, suono forse un po' troppo "pulito" ma l'ascolto è gradevolissimo. Avercene...
GREG 'Stackhouse' PREVOST - After the wars
Quarto album solista per l'ex Chesterfield Kings.
Ancora una volta si destreggia con estrema abilità in chiave prevalemntemente acustica tra folk, blues, venature county e un approccio vicino alle ballate in stile Stones mid 60's ma che guarda anche a Johnny Thunders e Nikki Sudden e graffia con il poderoso rhythm and blues di "Roadkill Rag"
mercoledì, novembre 06, 2024
martedì, novembre 05, 2024
Lo Yacht Rock dei “beautiful losers”
L'amico LEANDRO GIOVANNINI prosegue la rubrica dedicata allo YACHT ROCK, ambito musicale spesso vituperato ma che nasconde piccole gemme degne di essere scoperte.
Le puntate precedenti qua: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Yacht%20Rock
Eccoli, i “beautiful losers” dello Yacht Rock:
autori noti e meno noti, che hanno realizzato uno o due album, anche per le major, per poi scomparire dalle scene, nell'illusione di un successo che non è mai arrivato o se è arrivato è stato come un’effimera fiammata.
Solo grazie alle ristampe giapponesi (grandi appassionati del genere) e al potere della rete, queste opere sono arrivate fino a noi.
Qui troverete molti grandi dischi dimenticati, che meritano un ascolto attento e approfondito. La selezione degli artisti è pensata in modo che i loro dischi possano essere ascoltati sia in streaming che in formato fisico.
Alcuni di questi sono disponibili in streaming esclusivamente su YouTube.
Adrian Gurvitz
Sì, proprio quel Gurvitz, noto per essere stato membro dei Gun e della Baker Gurvitz Army, famoso da noi per quella melensaggine di “Classic”. Ma scordatevi di quel Gurvitz e ascoltate “Sweet Vendetta”, un album che ha creato un piccolo culto intorno all’artista tra i fan dello YR. È un bel disco piacevole, senza pretese trascendentali, che offre un soul pop a tratti influenzato dalla disco di buona fattura. Le melodie e gli arrangiamenti sono particolarmente ben curati. Disco consigliato:
“Sweet Vendetta” - (1979, Jet)
Airplay
I deus ex machina dello YR, ovvero, Jay Graydon e David Foster, rispettivamente chitarrista e pianista, nonché produttori. A loro si deve la costruzione di questo genere. In quest’opera unica, i due, uniti in duo, mettono in mostra tutta la loro arte, con brani pop-soul e rock in stile FM americana, oltre a pezzi mid-tempo che saranno ripresi, tra gli altri, dai Manhattan Transfer e dagli Earth, Wind & Fire. Un vero must.
Disco consigliato:
“Airplay” - (1980, RCA)
Attitudes
Gli Attitudes sono stati la prima band in cui ha suonato David Foster, futuro produttore e uno degli “inventori” del sound West Coast. Oltre a lui, il gruppo era composto da Danny Kortchmar, Paul Stallworth e Jim Keltner.
La band ha pubblicato due album, entrambi caratterizzati da un buon mix di pop, soul e funk. Personalmente preferisco il secondo, arricchito dalla partecipazione dei Tower of Power in alcuni brani, di Ringo Starr in uno, e del sempre presente Jay Graydon alle chitarre.
Dischi consigliati:
“Attitudes” - (1976, Dark Horse)
“Good News” - (1977, Dark Horse)
Average White Band
Nel 1980, la band più “nera” di Scozia fece il suo ingresso nello Yacht Rock con l’album “Shine”, prodotto da David Foster. Il risultato fu un disco fresco, con alcuni brani che richiamano lo stile degli Earth, Wind & Fire. L’album include uno dei classici della band, “Let’s Go Round Again”, e dimostra l’autorevolezza di Alan Gorrie e Hamish Stuart anche nel contesto YR.
Disco consigliato:
“Shine” - (1980, Arista/RCA)
Bruce Roberts
Conosciuto come compositore per artisti del calibro di Bette Midler, Helen Reddy, Donna Summer e Dionne Warwick, Roberts si distingue per uno stile che ricorda molto quello di Stephen Bishop: brani pop leggeri e orecchiabili, perfetti per i romantici. Archi a go-go.
Dischi consigliati:
“Bruce Roberts” - (1977, Elektra)
“Cool Fool” - (1980, Elektra)
Bill Champlin
Tra i membri fondatori dei Sons of Champlin, attivi dal 1969 al 1977, il musicista fa il suo esordio da solista nel 1978 con "Single", seguito nel 1981 da "Runaway", entrambi considerati dei capisaldi dello Yacht Rock. Questi album mescolano sapientemente soul, funk e soft rock di altissima qualità. Non avendo ottenuto il successo sperato, nel 1992 si unirà ai Chicago.
Dischi consigliati:
“Single” - (1978, Full Moon)
“Runaway” - (1981, Elektra)
Bugatti & Musker
Il duo di musicisti inglesi, noto per aver scritto canzoni per artisti di spicco nel panorama musicale, realizzò un solo album a loro nome, prodotto da Arif Mardin. “The Dukes” è un vero gioiello del genere, dove prevale il blue-eyed soul, arricchito da momenti dance mai eccessivi. “Mystery Girl” è il mid-tempo perfetto, un manifesto dello Yacht Rock che tutti avrebbero voluto scrivere. Anche il roster dei musicisti coinvolti è impressionante.
Disco consigliato:
“The Dukes” - (1982, Atlantic)
China
Tra i numerosi artisti che si sono ispirati ai Doobie Brothers nel corso della loro carriera, va ricordato anche il trio dei China. Questo gruppo ha pubblicato un solo album nel 1981, caratterizzato da eccellenti brani pop-soul e da notevoli armonizzazioni vocali.
Disco consigliato:
“China” - (1981, Epic)
Cory Wells
L’ex cantante dei Three Dog Night esordì con un album che vide la partecipazione di artisti come David Foster al pianoforte, Jay Graydon e Steve Lukather alle chitarre, e Bill Champlin, Jennifer Warnes e Rita Coolidge ai cori. “Touch Me” è un disco dal marcato stile pop-soul californiano, con influenze funk e le consuete ballad di grande qualità, fortemente caratterizzato dal contributo di Foster e Graydon. Nonostante le premesse, l’album non avrà successo commerciale. Wells registrerà un secondo album nello stesso anno, che però verrà pubblicato solo nel 2002.
Disco consigliato:
“Touch Me” - (1978, A&M)
Crackin’
Band interrazziale composta da ottimi musicisti, i Crackin’ negli ultimi due album pubblicati, grazie anche alla produzione di Michael Omartian trasformeranno il soul/funk r’n’b di inizio carriera in uno stile più morbido, in pieno mood YR.
Due dischi molto belli, in particolare “Special Touch”.
Dischi consigliati:
“Crackin’” - (1977, Warner Bros)
“Special Touch” - (1978, Warner Bros)
Dane Donohue
Uno dei più grandi misteri dello YR; Donohue pubblica il suo primo album nel 1978 poi sparisce, salvo tornare con un disco nuovo nel 2024. L’esordio di Dane Donohue è passato alla storia come uno dei migliori album del genere. Le sonorità westcoast della prima parte dell’album si stemperano in pezzi dal sapore funk nella seconda. Indispensabile.
Dischi consigliati:
“Dane Donohue” - (1978, Columbia)
“L.A. Rainbow” - (2024, P-Vine Records)
Danny O’Keefe
Danny O’Keefe è conosciuto per essere l’autore di “The Road” portata al successo da Jackson Browne. I suoi album sul finire degli anni 70 sono quelli che più si avvicinano allo YR, mantenendo una struttura che mixa country, pop, e folk. Belli e mai banali.
Dischi consigliati
“American Roulette” - (1977, Atlantic)
“The Global Blues” - (1979, Warner Bros)
David Lasley
Autore raffinatissimo, sua è la “You Bring Me Joy” portata al successo da Anita Baker, Lasley inizierà suonando nei Rosie, proponendo un r’n’b declinato nella disco. Il suo primo album solista è un piccolo gioiello di scrittura YR pop, cantato con la sua caratteristica voce in falsetto.
Disco consigliato:
“Missin’ Twenty Grand” - (1982, EMI America)
David Roberts
Altro “beautiful loser” ricordato per un solo album, che non riscosse successo ma è molto ricercato dagli amanti dello YR, grazie a buone ballad dal sapore westcoastiano. Personalmente, mi ha sempre lasciato interdetto: sebbene le ballad e i brani mid-tempo siano notevoli, i pezzi più energici sembrano stonare con il resto dell’album; per fortuna, sono solo due. Tuttavia, merita un ascolto, anzi, anche due.
Disco consigliato:
“All Dressed Up” - (1982, Elektra)
Far Cry
Phil Galdston e Peter Thom conosciuti negli anni 70 come il duo Galdston&Thom, pubblicarono un solo album nel 1980 sotto il nome di Far Cry, realizzando un piccolo gioiello. L’album ricorda molto il sound degli Steely Dan ma con un tocco più pop e rilassato. Una curiosità: Donald Fagen collaborò come backing vocals.
Disco consigliato:
“The More Things Change” - (1980, Columbia)
Faragher Bros.
Quattro fratelli, Danny, Jimmy, Tommy e Davey Faragher votati alla causa del soul bianco, o blue-eyed-soul, ovvero musica nera cantata da bianchi, una delle basi su cui si svilupperà lo YR. Quattro album pubblicati, di cui l’esordio fece gridare al miracolo. Le loro armonizzazioni vocali rasentano la perfezione.
Dischi consigliati:
“Faragher Bros.” - (1976, ABC)
“Family Ties” - (1977,ABC)
Finis Henderson
Originario di Chicago, inizia a cantare da adolescente e si trasferisce successivamente a Los Angeles, dove riesce a pubblicare l’unico album della sua carriera con la Motown. Il suo stile è un soul pop bianco, arricchito da una sensibilità YR, con ottimi brani mid-tempo e ballad. Degno di nota è il roster di musicisti che partecipano al disco.
Disco consigliato:
“Finis” - (1983, Motown)
Greg Guidry
Nel 1979, Guidry attirò l’attenzione come autore grazie a canzoni interpretate da England Dan & John Ford Coley e dalla Climax Blues Band. Il suo album di debutto mette in evidenza una voce autentica, ispirata al soul e all’R’n’B degli anni ’70, priva di artifici. Il suo stile fonde pop e un tocco di malinconia, rendendolo particolarmente affascinante e unico.
Disco consigliato:
“Over The Line” - (1982, Columbia)
Ian Matthews
Membro fondatore dei Fairport Convention, che lascia nel 1970 per dedicarsi al country-folk-rock di ispirazione americana, inizia la carriera solista nel 1971, ma è nel 1978 che abbraccia sonorità westcoastiane. Il suo stile, in alcune canzoni, ricorda James Taylor, e ottiene successo con una cover di Terence Boylan, “Shake It”.
Album consigliato:
“Stealin’ Home” - (1978, Rockburgh)
Jerry Corbetta
Membro dei Sugarleaf fino allo scioglimento della band, nel 1978 realizza il suo unico album solista, un lavoro discreto in cui si destreggia abilmente tra pop, soul e soft rock, mettendo in evidenza le sue notevoli capacità compositive.
Album consigliato:
“Jerry Corbetta” - (1978, Warner Bros.)
Jess Roden
Inglese di nascita, Roden inizia la sua carriera nei primi anni ’70 suonando in band come The Alan Bown Set, Bronco e Butts Band. Debutta come solista nel 1974, per poi trasferirsi negli Stati Uniti, dove nel 1980 abbraccia sonorità YR con un album di soul/pop, caratterizzato da ottime ballad e arrangiamenti di qualità.
Album consigliato:
“Stonechaser” - (1980, Island)
Jimmy Messina
Insieme a Kenny Loggins, sono stati il duo per eccellenza del country-rock, vendendo milioni di copie. Dopo la separazione, Messina decise di realizzare un album ispirato alle sue passioni musicali. Così nacque “Oasis”, un disco semplicemente perfetto, che unisce pop, soul, jazz e musica latina. Strumentalmente eccelso, con canzoni che lasciano il segno, l’album non ricevette però l’adeguata promozione da parte della casa discografica, spingendo Messina a tornare al country-rock.
Disco consigliato:
“Oasis” - (1979 - Columbia)
Jimmy Webb
Mi auguro che Jimmy Webb non abbia bisogno di presentazioni, ma forse pochi sanno del suo album pubblicato nel 1982, “Angel Heart”, un must per ogni fan YR. Il disco vanta la partecipazone di Jeff Porcaro, David Foster, Steve Lukather, David Paich e Victor Feldam. Disco dalla tecnica sopraffina e con grandi composizioni.
Album consigliato:
“Angel Heart” - (1982, Columbia)
John Farey Group
Vi confesso che ho scoperto questo album quasi per caso. Si trova pochissimo su di lui, poi scopro che ha suonato con Sly Stone, Van Morrison, John Cipollina, e ha una vasta esperienza nella musica orchestrale, così come nel jazz e nel R&B. Il disco, l’unico pubblicato, è un solido lavoro YR, tra soul e pop, con richiami agli Steely Dan e agli Hall&Oates.
Insomma, una fottuta sorpresa.
Disco consigliato:
“Lost At Sea” - (1986, Suite P Records)
Kenny Loggins
Dimenticatevi il Kenny Loggins plasticoso di “Footloose” e andate in cerca del primo disco pubblicato dopo lo scioglimento del sodalizio con Jim Messina. “Celebrate Me Home” è un gioiellino di westcoast che abbraccia il pop ed il jazz sebbene ancora lontano dal canone YR così come sarà conosciuto negli anni a venire. Bello.
Dischi consigliati:
“Celebrate Me Home” - (1977, Columbia)
“Keep The Fire” - (1979, Columbia)
Larsen-Feiten Band
Amici sin dagli anni ’60, il chitarrista Buzzy Feiten e il tastierista Neil Larsen formarono la Larsen-Feiten Band alla fine degli anni ‘70. Il duo realizzò due album caratterizzati da atmosfere soul/funk nei brani cantati e da pezzi strumentali in stile fusion. Raggiunsero un buon successo con “Who’ll Be the Fool Tonight”, che arrivò al numero 29 della Billboard Hot 100.
Dischi consigliati:
“Larsen-Feiten Band” - (1980, Warner Bros)
“Full Moon” - (1982, Warner Bros)
Leslie Smith
Non sono molti gli artisti black che si sono cimentati con il West Coast sound, ma Leslie Smith è uno di questi. Ex vocalist dei Crackin’, Leslie abbandonò le sonorità funk che caratterizzavano la band per dedicarsi a un raffinato pop-soul, più in linea con la sua vocalità. Un disco di qualità, consigliato a chi apprezza il mellow-soul.
Disco consigliato:
“Heartache” - (1982, Elektra)
Mark Winkler
L’album di esordio di Winkler rimane il più vicino al Westcoast Pop rispetto agli altri da lui pubblicati, un disco che si colloca nel pop sofisticato con influenze jazz, un morbido crossover di stili che spaziano dalla canzone confidenziale alla bossa nova, fino a toccare il puro YR. La qualità del songwriting di Winkler è superba, rendendo questo album uno dei segreti meglio custoditi del genere.
Disco consigliato:
“Jazz Life” - (1982, MIM)
Mark-Almond
Sarebbe quasi riduttivo inserire il duo composto dal cantante e chitarrista John Mark e dal sassofonista Johnny Almond nello Yacht Rock. Tuttavia, è bastato l’album “Other People’s Rooms” per conquistare il cuore degli appassionati del genere. Un disco di straordinaria classe e atmosfera, in linea con le opere di Michael Franks, a cui rendono omaggio con la cover di “Vivaldi’s Song”.
Disco consigliato:
“Other People’s Room” - (1978, A&M)
Marty Balin
Insieme a Paul Kantner, Marty Balin è stato il fondatore dei Jefferson Airplane e ha fatto parte anche dei Jefferson Starship. Il suo esordio solista, nel 1981, ha dato vita a un album in cui spiccano splendide canzoni mid-tempo, affiancate da brani più orientati verso il rock tipico delle FM americane. Un disco di qualità, senza dubbio.
Disco consigliato:
“Balin” - (1981, EMI America)
Maxus
Prodotti da Michael Omartian, i Maxus sono una band composta da Robbie Buchanan, Michael Landau, Mark Leonard, Doane Perry e Jay Gruska, che ha realizzato un unico album, molto vicino al pop/rock nello stile dei Toto. Il gruppo si distingue per l’elevata perizia tecnica e precisione. Da segnalare il brano dal sapore funk “Your Imagination”, ma anche il rock da FM è di qualità e tutt’altro che banale.
Disco consigliato:
“Maxus” - (1981, Warner Bros)
Michael Sembello
Dimenticate il Sembello di “Maniac”, grande successo all’epoca, e concentratevi sul resto delle canzoni di “Bossa Nova Hotel”. Nella sua tarda adolescenza, Sembello ha lavorato come chitarrista in studio per artisti del calibro di Stevie Wonder, Michael Jackson, Sergio Mendes, Diana Ross, Barbra Streisand, Chaka Khan e Donna Summer. Il suo album d’esordio offre un pop californiano molto piacevole.
Disco consigliato:
“Bossa Nova Hotel” - (1983, Warner Bros.)
Nick DeCaro
Produttore, compositore e soprattutto arrangiatore per i più grandi cantanti americani, tra cui segnalo l’arrangiamento degli archi in “Pirates” di Rickie Lee Jones. Ha prodotto quattro album solisti, il primo dei quali si distingue per la sua particolare raffinatezza, grazie alla capacità di fondere il pop californiano con il jazz. L’aura di sofisticatezza che pervade il disco ha contribuito a farlo diventare, nel tempo, un autentico feticcio per i fan del genere.
Disco consigliato:
“Italian Graffiti” - (1974, Blue Thumb)
Nielsen & Pearson
Il duo pubblicherà tre album che negli anni diventeranno dei classici del sound YR più orientato verso le sonorità rock FM; tra questi, il migliore è sicuramente il terzo. È in questo album che troviamo brani che non esito a definire tra i più belli scritti nel pop soul, con una menzione speciale per “Sentimental”, che richiama il sound dei Doobie Brothers. Anche le armonizzazioni vocali sono molto riuscite.
Disco consigliato:
“Blind Luck” - (1983, Capitol)
Pages
Quando si parla di Yacht Rock, il nome dei Pages è tra i più rappresentativi. Richard Page e Steve George pubblicarono tre album: i primi due con un’impronta funk/soul, mentre il terzo rappresenta una fusione di questi stili con l’aggiunta del pop, creando uno degli album più apprezzati del genere. In seguito, lavorarono come session vocalist, fino a formare nel 1983 i Mr. Mister, ottenendo il successo che avevano mancato con lo Yacht Rock.
Disco consigliato:
“Pages” - (1981, Capitol)
Paul Davis
Se lo YR ha un inno questo è dovuto a Paul Davis con la sua canzone “Cool Night”, un vero e proprio manifesto del genere. E pensare che prima di allora Davis era conosciuto come cantante pop country dal buon successo, ma che raggiungerà la gloria nel paradiso YR quasi esclusivamente con questa canzone. Molto bello anche l’album da cui è tratta.
Disco consigliato:
“Cool Night” - (1981, Arista)
Peter Allen
Australiano di nascita, Peter Allen è stato una vera superstar prima nel suo paese e poi negli States, anche come autore. Nel 1981 sarà la produzione di David Foster a produrgli quel cazzo di fottuto capolavoro che fu “Bi-Coastal”, suonato dalla crem de la crem dei turnisti californiani, un disco mai più ripetuto dal nostro. Dieci canzoni in cui si fa veramente fatica a trovarne una che sia scadente.
Disco consigliato.
“Bi-Coastal” - (1980, A&M)
Paul Anka
Si, proprio Paul Anka.
Mi chiederete cosa c’entra con lo YR. C’entra eccome. In primis sono le canzoni del suo album “Walk A Fine Line”, nove capolavori di pop californiano che ricordano lo stile di Michael McDonald, dove la voce di Anka non sarà mai più così bella e poi i musicisti che vi suonarono. Un disco da custodire gelosamente.
Disco consigliato:
“Walk A Fine Line” - (1983, Columbia)
Player
Conosciuti principalmente per la presenza del bassista Ron Moss, futuro divo della serie TV “Beautiful”, i Player sono passati alla storia per quello stracazzo di tormentone capolavoro del singolo “Baby Come Back”. Anche le altre canzoni del loro primo album non sono male e si ispirano ai Doobie Brothers, offrendo un piacevole west coast pop. Disco consigliato:
“Player” - (1977, RSO)
Randy Goodrum
Autore di musica pop per altri artisti fin dagli anni ’70, ha avviato la sua carriera solista nel 1982 con un album pubblicato esclusivamente in Giappone. Lo stile distintivo di Goodrum si orienta verso ballad e brani mid-tempo, offrendo un pop raffinato che combina delicatezza e intelligenza, con influenze jazz.
Disco consigliato:
“Fool’s Paradise” - (1982, Polydor)
Robert Kraft
Cantante, musicista, pianista e compositore, Robert Kraft è considerato un’occasione mancata dello YR. Autore di grande raffinatezza, mai banale, ha realizzato quattro album in cui il tratto distintivo è un pop influenzato dal jazz, con sfumature che a tratti ricordano gli Steely Dan, ma arricchito da un inconfondibile tocco YR.
Dischi cosigliati:
“Ready To Bounce” - (1981, RSO)
“Retro Aktive” - (1982, RCA)
Robert Byrne
Robert Byrne ha all’attivo un solo album come solista, ma è considerato uno dei migliori dell’intero panorama YR. Il brano d’apertura, caratterizzato da una ritmica funk, segna l’inizio di un disco che si sviluppa in un’apoteosi di ballad e mid-tempo, rappresentando il pop californiano nella sua accezione più elegante. La vocalità di Byrne sembra essere stata creata appositamente per interpretare questo genere.
Disco consigliato:
“Blame It On The Night” - (1979, Mercury)
Robbie Dupree
A un primo ascolto, Dupree potrebbe sembrare una copia dei Doobie Brothers; tuttavia, nonostante le affinità, è riuscito a distinguersi grazie a melodie leggere e testi romantici, fondendo con maestria soul, pop e rock. Grazie alle sue hit “Hot Rod Hearts” e “Steal Away”, Dupree ha ottenuto un successo effimero, ma rimane un artista imprescindibile del genere. Potrà sembrare strano, ma ascoltando oggi i brani del primo album, avverto una certa nostalgia per quel periodo a cavallo tra due decenni, quando ancora non eravamo consapevoli della merda (in tutti gli ambiti) che sarebbe seguita.
Dischi consigliati:
“Robbie Dupree” - (1980, Elektra)
“Street Corner Heroes” - (1981, Elektra)
Roby Duke
Lo YR ha avuto anche una sorta di variante gospel, conosciuta come CCM, ovvero Christian Contemporary Music, in cui il tipico tappeto sonoro YR funge da base per testi a carattere religioso. L’artista più rinomato di questo sottogenere è stato Roby Duke, il cui primo album sorprende per la selezione di raffinato pop californiano. La voce di Duke è bella e gli arrangiamenti sono di alta qualità.
Disco consigliato:
“Not The Same” - (1982, MCA-Songbird)
Roger Vouduris
Musicista raffinato, abile nel muoversi tra lo YR e un soft-rock più ricercato, è stato una delle tante “next big thing” con un effimero momento di gloria nelle classifiche USA grazie a “Get To Used To You”. Dei suoi primi due album, entrambi prodotti da Michael Omartian, consiglio il secondo, che vede la partecipazione dei fratelli Brecker ai fiati e di Jay Graydon alla chitarra.
Dischi consigliati:
“Radio Dream” - (1979, Warner Bros.)
“On The Heels Of Love” - (1981, Boardwalk)
Sanford & Townsend
Il duo di tastieristi e compositori Sanford & Townsend raggiunse il numero 9 delle classifiche americane con “Smoke From A Distant Fire”, vivendo un successo effimero, come molti altri artisti YR. Autori di un blue-eyed soul ben equilibrato con le sonorità west coast, il loro stile ricorda quello degli Hall & Oates dell’era Atlantic.
Disco consigliato:
“Smoke From A Distante Fire” - (1976, Warner Bros)
Sneaker
Band californiana nata nel 1973, autrice di due album, di cui il primo si apre con un brano inedito di Fagen/Becker. Le sonorità, influenzate anche dal sound dei Doobie Brothers, rappresentano il tratto distintivo del gruppo. Purtroppo, il secondo album non è riuscito a eguagliare l’esordio, e di loro rimane soprattutto il ricordo tra i fan dello YR.
Disco consigliato:
“Sneaker” - (1981, Handshake)
Steve Kipner
Uno dei miei idoli dello YR, autore di un solo disco che rivela il suo valore dopo ripetuti ascolti. Una volta assimilato, diventa imprescindibile. Meglio conosciuto come autore per artisti della musica westcoast, ha collaborato anche con Alan Sorrenti. L’album, prodotto da Jay Graydon, che vi suona anche la chitarra, presenta un sound che farà da apripista a tutti coloro che si cimenteranno con lo YR.
Disco consigliato:
“Knock The Walls Down” - (1979, Elektra)
Terence Boylan
Uno dei più grandi compositori dello YR, nonché eccellente cantante. Ha all’attivo tre album, di cui il secondo, “Terence Boylan”, è considerato un vero capolavoro, con tutte le canzoni scritte da lui stesso. I suoi brani si distinguono per un’eleganza estrema, senza mai risultare banali o sdolcinati. Se cercate un esempio di autentico cantautorato YR, questo è il punto di riferimento ideale.
Dischi consigliati:
“Terence Boyland” - (1977, Asylum)
“Suzy” - (1980, Asylum)
The Joe Chemay Band
Joe Chemay era noto nel panorama YR come produttore, vocalist e autore per altri artisti. Quando decise di pubblicare un album a suo nome, il suo unico lavoro, realizzò un autentico capolavoro che rimase sconosciuto ai più fino alla ristampa giapponese del 2002. Questo album esplora con maestria le chimere del soul, pop e jazz, mantenendo un livello di qualità costante e senza cedimenti. E potete crederci.
Disco consigliato:
“The Reaper The Finer” - (1981, Unicorn Records)
Tony Sciuto
Di origini italo-americane, Tony Sciuto è un vero idolo in Giappone, dove il suo album d’esordio è venerato quasi come un’istituzione. Il primo disco, per il quale è maggiormente ricordato, si distingue per la sua sensibilità rock FM, ma contiene un piccolo gioiello: “Cafè L.A.”, un brano che rappresenta al meglio il sound YR nella sua forma più pura.
Disco consigliato:
“Island Night” - (1980, Epic)
Wilson Brothers
I fratelli Steve e Kelly Wilson hanno pubblicato un solo album, ma è uno dei più amati dagli appassionati di Yacht Rock. Un disco che sfiora la perfezione, caratterizzato da un pop venato di soul bianco, ottimi brani rock FM, e arricchito tra gli altri, da un memorabile assolo di chitarra di Steve Lukather e un assolo di sax di Ernie Watts. Tra le perle del disco, una cover di “Can We Still Be Friends” di Todd Rundgren e la title track, un brano degli Hollies del 1975. Insomma, cosa si può desiderare di più? Album consigliato:
“Another Night” - (1979, ATCO)
Eccoli, i “beautiful losers” dello Yacht Rock:
autori noti e meno noti, che hanno realizzato uno o due album, anche per le major, per poi scomparire dalle scene, nell'illusione di un successo che non è mai arrivato o se è arrivato è stato come un’effimera fiammata.
Solo grazie alle ristampe giapponesi (grandi appassionati del genere) e al potere della rete, queste opere sono arrivate fino a noi.
Qui troverete molti grandi dischi dimenticati, che meritano un ascolto attento e approfondito. La selezione degli artisti è pensata in modo che i loro dischi possano essere ascoltati sia in streaming che in formato fisico.
Alcuni di questi sono disponibili in streaming esclusivamente su YouTube.
Adrian Gurvitz
Sì, proprio quel Gurvitz, noto per essere stato membro dei Gun e della Baker Gurvitz Army, famoso da noi per quella melensaggine di “Classic”. Ma scordatevi di quel Gurvitz e ascoltate “Sweet Vendetta”, un album che ha creato un piccolo culto intorno all’artista tra i fan dello YR. È un bel disco piacevole, senza pretese trascendentali, che offre un soul pop a tratti influenzato dalla disco di buona fattura. Le melodie e gli arrangiamenti sono particolarmente ben curati. Disco consigliato:
“Sweet Vendetta” - (1979, Jet)
Airplay
I deus ex machina dello YR, ovvero, Jay Graydon e David Foster, rispettivamente chitarrista e pianista, nonché produttori. A loro si deve la costruzione di questo genere. In quest’opera unica, i due, uniti in duo, mettono in mostra tutta la loro arte, con brani pop-soul e rock in stile FM americana, oltre a pezzi mid-tempo che saranno ripresi, tra gli altri, dai Manhattan Transfer e dagli Earth, Wind & Fire. Un vero must.
Disco consigliato:
“Airplay” - (1980, RCA)
Attitudes
Gli Attitudes sono stati la prima band in cui ha suonato David Foster, futuro produttore e uno degli “inventori” del sound West Coast. Oltre a lui, il gruppo era composto da Danny Kortchmar, Paul Stallworth e Jim Keltner.
La band ha pubblicato due album, entrambi caratterizzati da un buon mix di pop, soul e funk. Personalmente preferisco il secondo, arricchito dalla partecipazione dei Tower of Power in alcuni brani, di Ringo Starr in uno, e del sempre presente Jay Graydon alle chitarre.
Dischi consigliati:
“Attitudes” - (1976, Dark Horse)
“Good News” - (1977, Dark Horse)
Average White Band
Nel 1980, la band più “nera” di Scozia fece il suo ingresso nello Yacht Rock con l’album “Shine”, prodotto da David Foster. Il risultato fu un disco fresco, con alcuni brani che richiamano lo stile degli Earth, Wind & Fire. L’album include uno dei classici della band, “Let’s Go Round Again”, e dimostra l’autorevolezza di Alan Gorrie e Hamish Stuart anche nel contesto YR.
Disco consigliato:
“Shine” - (1980, Arista/RCA)
Bruce Roberts
Conosciuto come compositore per artisti del calibro di Bette Midler, Helen Reddy, Donna Summer e Dionne Warwick, Roberts si distingue per uno stile che ricorda molto quello di Stephen Bishop: brani pop leggeri e orecchiabili, perfetti per i romantici. Archi a go-go.
Dischi consigliati:
“Bruce Roberts” - (1977, Elektra)
“Cool Fool” - (1980, Elektra)
Bill Champlin
Tra i membri fondatori dei Sons of Champlin, attivi dal 1969 al 1977, il musicista fa il suo esordio da solista nel 1978 con "Single", seguito nel 1981 da "Runaway", entrambi considerati dei capisaldi dello Yacht Rock. Questi album mescolano sapientemente soul, funk e soft rock di altissima qualità. Non avendo ottenuto il successo sperato, nel 1992 si unirà ai Chicago.
Dischi consigliati:
“Single” - (1978, Full Moon)
“Runaway” - (1981, Elektra)
Bugatti & Musker
Il duo di musicisti inglesi, noto per aver scritto canzoni per artisti di spicco nel panorama musicale, realizzò un solo album a loro nome, prodotto da Arif Mardin. “The Dukes” è un vero gioiello del genere, dove prevale il blue-eyed soul, arricchito da momenti dance mai eccessivi. “Mystery Girl” è il mid-tempo perfetto, un manifesto dello Yacht Rock che tutti avrebbero voluto scrivere. Anche il roster dei musicisti coinvolti è impressionante.
Disco consigliato:
“The Dukes” - (1982, Atlantic)
China
Tra i numerosi artisti che si sono ispirati ai Doobie Brothers nel corso della loro carriera, va ricordato anche il trio dei China. Questo gruppo ha pubblicato un solo album nel 1981, caratterizzato da eccellenti brani pop-soul e da notevoli armonizzazioni vocali.
Disco consigliato:
“China” - (1981, Epic)
Cory Wells
L’ex cantante dei Three Dog Night esordì con un album che vide la partecipazione di artisti come David Foster al pianoforte, Jay Graydon e Steve Lukather alle chitarre, e Bill Champlin, Jennifer Warnes e Rita Coolidge ai cori. “Touch Me” è un disco dal marcato stile pop-soul californiano, con influenze funk e le consuete ballad di grande qualità, fortemente caratterizzato dal contributo di Foster e Graydon. Nonostante le premesse, l’album non avrà successo commerciale. Wells registrerà un secondo album nello stesso anno, che però verrà pubblicato solo nel 2002.
Disco consigliato:
“Touch Me” - (1978, A&M)
Crackin’
Band interrazziale composta da ottimi musicisti, i Crackin’ negli ultimi due album pubblicati, grazie anche alla produzione di Michael Omartian trasformeranno il soul/funk r’n’b di inizio carriera in uno stile più morbido, in pieno mood YR.
Due dischi molto belli, in particolare “Special Touch”.
Dischi consigliati:
“Crackin’” - (1977, Warner Bros)
“Special Touch” - (1978, Warner Bros)
Dane Donohue
Uno dei più grandi misteri dello YR; Donohue pubblica il suo primo album nel 1978 poi sparisce, salvo tornare con un disco nuovo nel 2024. L’esordio di Dane Donohue è passato alla storia come uno dei migliori album del genere. Le sonorità westcoast della prima parte dell’album si stemperano in pezzi dal sapore funk nella seconda. Indispensabile.
Dischi consigliati:
“Dane Donohue” - (1978, Columbia)
“L.A. Rainbow” - (2024, P-Vine Records)
Danny O’Keefe
Danny O’Keefe è conosciuto per essere l’autore di “The Road” portata al successo da Jackson Browne. I suoi album sul finire degli anni 70 sono quelli che più si avvicinano allo YR, mantenendo una struttura che mixa country, pop, e folk. Belli e mai banali.
Dischi consigliati
“American Roulette” - (1977, Atlantic)
“The Global Blues” - (1979, Warner Bros)
David Lasley
Autore raffinatissimo, sua è la “You Bring Me Joy” portata al successo da Anita Baker, Lasley inizierà suonando nei Rosie, proponendo un r’n’b declinato nella disco. Il suo primo album solista è un piccolo gioiello di scrittura YR pop, cantato con la sua caratteristica voce in falsetto.
Disco consigliato:
“Missin’ Twenty Grand” - (1982, EMI America)
David Roberts
Altro “beautiful loser” ricordato per un solo album, che non riscosse successo ma è molto ricercato dagli amanti dello YR, grazie a buone ballad dal sapore westcoastiano. Personalmente, mi ha sempre lasciato interdetto: sebbene le ballad e i brani mid-tempo siano notevoli, i pezzi più energici sembrano stonare con il resto dell’album; per fortuna, sono solo due. Tuttavia, merita un ascolto, anzi, anche due.
Disco consigliato:
“All Dressed Up” - (1982, Elektra)
Far Cry
Phil Galdston e Peter Thom conosciuti negli anni 70 come il duo Galdston&Thom, pubblicarono un solo album nel 1980 sotto il nome di Far Cry, realizzando un piccolo gioiello. L’album ricorda molto il sound degli Steely Dan ma con un tocco più pop e rilassato. Una curiosità: Donald Fagen collaborò come backing vocals.
Disco consigliato:
“The More Things Change” - (1980, Columbia)
Faragher Bros.
Quattro fratelli, Danny, Jimmy, Tommy e Davey Faragher votati alla causa del soul bianco, o blue-eyed-soul, ovvero musica nera cantata da bianchi, una delle basi su cui si svilupperà lo YR. Quattro album pubblicati, di cui l’esordio fece gridare al miracolo. Le loro armonizzazioni vocali rasentano la perfezione.
Dischi consigliati:
“Faragher Bros.” - (1976, ABC)
“Family Ties” - (1977,ABC)
Finis Henderson
Originario di Chicago, inizia a cantare da adolescente e si trasferisce successivamente a Los Angeles, dove riesce a pubblicare l’unico album della sua carriera con la Motown. Il suo stile è un soul pop bianco, arricchito da una sensibilità YR, con ottimi brani mid-tempo e ballad. Degno di nota è il roster di musicisti che partecipano al disco.
Disco consigliato:
“Finis” - (1983, Motown)
Greg Guidry
Nel 1979, Guidry attirò l’attenzione come autore grazie a canzoni interpretate da England Dan & John Ford Coley e dalla Climax Blues Band. Il suo album di debutto mette in evidenza una voce autentica, ispirata al soul e all’R’n’B degli anni ’70, priva di artifici. Il suo stile fonde pop e un tocco di malinconia, rendendolo particolarmente affascinante e unico.
Disco consigliato:
“Over The Line” - (1982, Columbia)
Ian Matthews
Membro fondatore dei Fairport Convention, che lascia nel 1970 per dedicarsi al country-folk-rock di ispirazione americana, inizia la carriera solista nel 1971, ma è nel 1978 che abbraccia sonorità westcoastiane. Il suo stile, in alcune canzoni, ricorda James Taylor, e ottiene successo con una cover di Terence Boylan, “Shake It”.
Album consigliato:
“Stealin’ Home” - (1978, Rockburgh)
Jerry Corbetta
Membro dei Sugarleaf fino allo scioglimento della band, nel 1978 realizza il suo unico album solista, un lavoro discreto in cui si destreggia abilmente tra pop, soul e soft rock, mettendo in evidenza le sue notevoli capacità compositive.
Album consigliato:
“Jerry Corbetta” - (1978, Warner Bros.)
Jess Roden
Inglese di nascita, Roden inizia la sua carriera nei primi anni ’70 suonando in band come The Alan Bown Set, Bronco e Butts Band. Debutta come solista nel 1974, per poi trasferirsi negli Stati Uniti, dove nel 1980 abbraccia sonorità YR con un album di soul/pop, caratterizzato da ottime ballad e arrangiamenti di qualità.
Album consigliato:
“Stonechaser” - (1980, Island)
Jimmy Messina
Insieme a Kenny Loggins, sono stati il duo per eccellenza del country-rock, vendendo milioni di copie. Dopo la separazione, Messina decise di realizzare un album ispirato alle sue passioni musicali. Così nacque “Oasis”, un disco semplicemente perfetto, che unisce pop, soul, jazz e musica latina. Strumentalmente eccelso, con canzoni che lasciano il segno, l’album non ricevette però l’adeguata promozione da parte della casa discografica, spingendo Messina a tornare al country-rock.
Disco consigliato:
“Oasis” - (1979 - Columbia)
Jimmy Webb
Mi auguro che Jimmy Webb non abbia bisogno di presentazioni, ma forse pochi sanno del suo album pubblicato nel 1982, “Angel Heart”, un must per ogni fan YR. Il disco vanta la partecipazone di Jeff Porcaro, David Foster, Steve Lukather, David Paich e Victor Feldam. Disco dalla tecnica sopraffina e con grandi composizioni.
Album consigliato:
“Angel Heart” - (1982, Columbia)
John Farey Group
Vi confesso che ho scoperto questo album quasi per caso. Si trova pochissimo su di lui, poi scopro che ha suonato con Sly Stone, Van Morrison, John Cipollina, e ha una vasta esperienza nella musica orchestrale, così come nel jazz e nel R&B. Il disco, l’unico pubblicato, è un solido lavoro YR, tra soul e pop, con richiami agli Steely Dan e agli Hall&Oates.
Insomma, una fottuta sorpresa.
Disco consigliato:
“Lost At Sea” - (1986, Suite P Records)
Kenny Loggins
Dimenticatevi il Kenny Loggins plasticoso di “Footloose” e andate in cerca del primo disco pubblicato dopo lo scioglimento del sodalizio con Jim Messina. “Celebrate Me Home” è un gioiellino di westcoast che abbraccia il pop ed il jazz sebbene ancora lontano dal canone YR così come sarà conosciuto negli anni a venire. Bello.
Dischi consigliati:
“Celebrate Me Home” - (1977, Columbia)
“Keep The Fire” - (1979, Columbia)
Larsen-Feiten Band
Amici sin dagli anni ’60, il chitarrista Buzzy Feiten e il tastierista Neil Larsen formarono la Larsen-Feiten Band alla fine degli anni ‘70. Il duo realizzò due album caratterizzati da atmosfere soul/funk nei brani cantati e da pezzi strumentali in stile fusion. Raggiunsero un buon successo con “Who’ll Be the Fool Tonight”, che arrivò al numero 29 della Billboard Hot 100.
Dischi consigliati:
“Larsen-Feiten Band” - (1980, Warner Bros)
“Full Moon” - (1982, Warner Bros)
Leslie Smith
Non sono molti gli artisti black che si sono cimentati con il West Coast sound, ma Leslie Smith è uno di questi. Ex vocalist dei Crackin’, Leslie abbandonò le sonorità funk che caratterizzavano la band per dedicarsi a un raffinato pop-soul, più in linea con la sua vocalità. Un disco di qualità, consigliato a chi apprezza il mellow-soul.
Disco consigliato:
“Heartache” - (1982, Elektra)
Mark Winkler
L’album di esordio di Winkler rimane il più vicino al Westcoast Pop rispetto agli altri da lui pubblicati, un disco che si colloca nel pop sofisticato con influenze jazz, un morbido crossover di stili che spaziano dalla canzone confidenziale alla bossa nova, fino a toccare il puro YR. La qualità del songwriting di Winkler è superba, rendendo questo album uno dei segreti meglio custoditi del genere.
Disco consigliato:
“Jazz Life” - (1982, MIM)
Mark-Almond
Sarebbe quasi riduttivo inserire il duo composto dal cantante e chitarrista John Mark e dal sassofonista Johnny Almond nello Yacht Rock. Tuttavia, è bastato l’album “Other People’s Rooms” per conquistare il cuore degli appassionati del genere. Un disco di straordinaria classe e atmosfera, in linea con le opere di Michael Franks, a cui rendono omaggio con la cover di “Vivaldi’s Song”.
Disco consigliato:
“Other People’s Room” - (1978, A&M)
Marty Balin
Insieme a Paul Kantner, Marty Balin è stato il fondatore dei Jefferson Airplane e ha fatto parte anche dei Jefferson Starship. Il suo esordio solista, nel 1981, ha dato vita a un album in cui spiccano splendide canzoni mid-tempo, affiancate da brani più orientati verso il rock tipico delle FM americane. Un disco di qualità, senza dubbio.
Disco consigliato:
“Balin” - (1981, EMI America)
Maxus
Prodotti da Michael Omartian, i Maxus sono una band composta da Robbie Buchanan, Michael Landau, Mark Leonard, Doane Perry e Jay Gruska, che ha realizzato un unico album, molto vicino al pop/rock nello stile dei Toto. Il gruppo si distingue per l’elevata perizia tecnica e precisione. Da segnalare il brano dal sapore funk “Your Imagination”, ma anche il rock da FM è di qualità e tutt’altro che banale.
Disco consigliato:
“Maxus” - (1981, Warner Bros)
Michael Sembello
Dimenticate il Sembello di “Maniac”, grande successo all’epoca, e concentratevi sul resto delle canzoni di “Bossa Nova Hotel”. Nella sua tarda adolescenza, Sembello ha lavorato come chitarrista in studio per artisti del calibro di Stevie Wonder, Michael Jackson, Sergio Mendes, Diana Ross, Barbra Streisand, Chaka Khan e Donna Summer. Il suo album d’esordio offre un pop californiano molto piacevole.
Disco consigliato:
“Bossa Nova Hotel” - (1983, Warner Bros.)
Nick DeCaro
Produttore, compositore e soprattutto arrangiatore per i più grandi cantanti americani, tra cui segnalo l’arrangiamento degli archi in “Pirates” di Rickie Lee Jones. Ha prodotto quattro album solisti, il primo dei quali si distingue per la sua particolare raffinatezza, grazie alla capacità di fondere il pop californiano con il jazz. L’aura di sofisticatezza che pervade il disco ha contribuito a farlo diventare, nel tempo, un autentico feticcio per i fan del genere.
Disco consigliato:
“Italian Graffiti” - (1974, Blue Thumb)
Nielsen & Pearson
Il duo pubblicherà tre album che negli anni diventeranno dei classici del sound YR più orientato verso le sonorità rock FM; tra questi, il migliore è sicuramente il terzo. È in questo album che troviamo brani che non esito a definire tra i più belli scritti nel pop soul, con una menzione speciale per “Sentimental”, che richiama il sound dei Doobie Brothers. Anche le armonizzazioni vocali sono molto riuscite.
Disco consigliato:
“Blind Luck” - (1983, Capitol)
Pages
Quando si parla di Yacht Rock, il nome dei Pages è tra i più rappresentativi. Richard Page e Steve George pubblicarono tre album: i primi due con un’impronta funk/soul, mentre il terzo rappresenta una fusione di questi stili con l’aggiunta del pop, creando uno degli album più apprezzati del genere. In seguito, lavorarono come session vocalist, fino a formare nel 1983 i Mr. Mister, ottenendo il successo che avevano mancato con lo Yacht Rock.
Disco consigliato:
“Pages” - (1981, Capitol)
Paul Davis
Se lo YR ha un inno questo è dovuto a Paul Davis con la sua canzone “Cool Night”, un vero e proprio manifesto del genere. E pensare che prima di allora Davis era conosciuto come cantante pop country dal buon successo, ma che raggiungerà la gloria nel paradiso YR quasi esclusivamente con questa canzone. Molto bello anche l’album da cui è tratta.
Disco consigliato:
“Cool Night” - (1981, Arista)
Peter Allen
Australiano di nascita, Peter Allen è stato una vera superstar prima nel suo paese e poi negli States, anche come autore. Nel 1981 sarà la produzione di David Foster a produrgli quel cazzo di fottuto capolavoro che fu “Bi-Coastal”, suonato dalla crem de la crem dei turnisti californiani, un disco mai più ripetuto dal nostro. Dieci canzoni in cui si fa veramente fatica a trovarne una che sia scadente.
Disco consigliato.
“Bi-Coastal” - (1980, A&M)
Paul Anka
Si, proprio Paul Anka.
Mi chiederete cosa c’entra con lo YR. C’entra eccome. In primis sono le canzoni del suo album “Walk A Fine Line”, nove capolavori di pop californiano che ricordano lo stile di Michael McDonald, dove la voce di Anka non sarà mai più così bella e poi i musicisti che vi suonarono. Un disco da custodire gelosamente.
Disco consigliato:
“Walk A Fine Line” - (1983, Columbia)
Player
Conosciuti principalmente per la presenza del bassista Ron Moss, futuro divo della serie TV “Beautiful”, i Player sono passati alla storia per quello stracazzo di tormentone capolavoro del singolo “Baby Come Back”. Anche le altre canzoni del loro primo album non sono male e si ispirano ai Doobie Brothers, offrendo un piacevole west coast pop. Disco consigliato:
“Player” - (1977, RSO)
Randy Goodrum
Autore di musica pop per altri artisti fin dagli anni ’70, ha avviato la sua carriera solista nel 1982 con un album pubblicato esclusivamente in Giappone. Lo stile distintivo di Goodrum si orienta verso ballad e brani mid-tempo, offrendo un pop raffinato che combina delicatezza e intelligenza, con influenze jazz.
Disco consigliato:
“Fool’s Paradise” - (1982, Polydor)
Robert Kraft
Cantante, musicista, pianista e compositore, Robert Kraft è considerato un’occasione mancata dello YR. Autore di grande raffinatezza, mai banale, ha realizzato quattro album in cui il tratto distintivo è un pop influenzato dal jazz, con sfumature che a tratti ricordano gli Steely Dan, ma arricchito da un inconfondibile tocco YR.
Dischi cosigliati:
“Ready To Bounce” - (1981, RSO)
“Retro Aktive” - (1982, RCA)
Robert Byrne
Robert Byrne ha all’attivo un solo album come solista, ma è considerato uno dei migliori dell’intero panorama YR. Il brano d’apertura, caratterizzato da una ritmica funk, segna l’inizio di un disco che si sviluppa in un’apoteosi di ballad e mid-tempo, rappresentando il pop californiano nella sua accezione più elegante. La vocalità di Byrne sembra essere stata creata appositamente per interpretare questo genere.
Disco consigliato:
“Blame It On The Night” - (1979, Mercury)
Robbie Dupree
A un primo ascolto, Dupree potrebbe sembrare una copia dei Doobie Brothers; tuttavia, nonostante le affinità, è riuscito a distinguersi grazie a melodie leggere e testi romantici, fondendo con maestria soul, pop e rock. Grazie alle sue hit “Hot Rod Hearts” e “Steal Away”, Dupree ha ottenuto un successo effimero, ma rimane un artista imprescindibile del genere. Potrà sembrare strano, ma ascoltando oggi i brani del primo album, avverto una certa nostalgia per quel periodo a cavallo tra due decenni, quando ancora non eravamo consapevoli della merda (in tutti gli ambiti) che sarebbe seguita.
Dischi consigliati:
“Robbie Dupree” - (1980, Elektra)
“Street Corner Heroes” - (1981, Elektra)
Roby Duke
Lo YR ha avuto anche una sorta di variante gospel, conosciuta come CCM, ovvero Christian Contemporary Music, in cui il tipico tappeto sonoro YR funge da base per testi a carattere religioso. L’artista più rinomato di questo sottogenere è stato Roby Duke, il cui primo album sorprende per la selezione di raffinato pop californiano. La voce di Duke è bella e gli arrangiamenti sono di alta qualità.
Disco consigliato:
“Not The Same” - (1982, MCA-Songbird)
Roger Vouduris
Musicista raffinato, abile nel muoversi tra lo YR e un soft-rock più ricercato, è stato una delle tante “next big thing” con un effimero momento di gloria nelle classifiche USA grazie a “Get To Used To You”. Dei suoi primi due album, entrambi prodotti da Michael Omartian, consiglio il secondo, che vede la partecipazione dei fratelli Brecker ai fiati e di Jay Graydon alla chitarra.
Dischi consigliati:
“Radio Dream” - (1979, Warner Bros.)
“On The Heels Of Love” - (1981, Boardwalk)
Sanford & Townsend
Il duo di tastieristi e compositori Sanford & Townsend raggiunse il numero 9 delle classifiche americane con “Smoke From A Distant Fire”, vivendo un successo effimero, come molti altri artisti YR. Autori di un blue-eyed soul ben equilibrato con le sonorità west coast, il loro stile ricorda quello degli Hall & Oates dell’era Atlantic.
Disco consigliato:
“Smoke From A Distante Fire” - (1976, Warner Bros)
Sneaker
Band californiana nata nel 1973, autrice di due album, di cui il primo si apre con un brano inedito di Fagen/Becker. Le sonorità, influenzate anche dal sound dei Doobie Brothers, rappresentano il tratto distintivo del gruppo. Purtroppo, il secondo album non è riuscito a eguagliare l’esordio, e di loro rimane soprattutto il ricordo tra i fan dello YR.
Disco consigliato:
“Sneaker” - (1981, Handshake)
Steve Kipner
Uno dei miei idoli dello YR, autore di un solo disco che rivela il suo valore dopo ripetuti ascolti. Una volta assimilato, diventa imprescindibile. Meglio conosciuto come autore per artisti della musica westcoast, ha collaborato anche con Alan Sorrenti. L’album, prodotto da Jay Graydon, che vi suona anche la chitarra, presenta un sound che farà da apripista a tutti coloro che si cimenteranno con lo YR.
Disco consigliato:
“Knock The Walls Down” - (1979, Elektra)
Terence Boylan
Uno dei più grandi compositori dello YR, nonché eccellente cantante. Ha all’attivo tre album, di cui il secondo, “Terence Boylan”, è considerato un vero capolavoro, con tutte le canzoni scritte da lui stesso. I suoi brani si distinguono per un’eleganza estrema, senza mai risultare banali o sdolcinati. Se cercate un esempio di autentico cantautorato YR, questo è il punto di riferimento ideale.
Dischi consigliati:
“Terence Boyland” - (1977, Asylum)
“Suzy” - (1980, Asylum)
The Joe Chemay Band
Joe Chemay era noto nel panorama YR come produttore, vocalist e autore per altri artisti. Quando decise di pubblicare un album a suo nome, il suo unico lavoro, realizzò un autentico capolavoro che rimase sconosciuto ai più fino alla ristampa giapponese del 2002. Questo album esplora con maestria le chimere del soul, pop e jazz, mantenendo un livello di qualità costante e senza cedimenti. E potete crederci.
Disco consigliato:
“The Reaper The Finer” - (1981, Unicorn Records)
Tony Sciuto
Di origini italo-americane, Tony Sciuto è un vero idolo in Giappone, dove il suo album d’esordio è venerato quasi come un’istituzione. Il primo disco, per il quale è maggiormente ricordato, si distingue per la sua sensibilità rock FM, ma contiene un piccolo gioiello: “Cafè L.A.”, un brano che rappresenta al meglio il sound YR nella sua forma più pura.
Disco consigliato:
“Island Night” - (1980, Epic)
Wilson Brothers
I fratelli Steve e Kelly Wilson hanno pubblicato un solo album, ma è uno dei più amati dagli appassionati di Yacht Rock. Un disco che sfiora la perfezione, caratterizzato da un pop venato di soul bianco, ottimi brani rock FM, e arricchito tra gli altri, da un memorabile assolo di chitarra di Steve Lukather e un assolo di sax di Ernie Watts. Tra le perle del disco, una cover di “Can We Still Be Friends” di Todd Rundgren e la title track, un brano degli Hollies del 1975. Insomma, cosa si può desiderare di più? Album consigliato:
“Another Night” - (1979, ATCO)
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lunedì, novembre 04, 2024
Dapper Dan
Riprendo un mio articolo apparso nelle pagine di "Alis" de "Il Manifesto" sabato 26 ottobre, dedicato allo stilista Dapper Dan.
Non è stato mai sufficientemente sottolineato quanto le sottoculture (e relativa espressione artistico/musicale) siano andate di pari passo con l’estetica dei loro esponenti e riferimenti sonori, influenzandosi a vicenda. Valgano per tutti l’esempio dell’eleganza (sotto cui covava l’aggressività adolescenziale) dei mod (il “rabbia e stile”, slogan dei nostrani Statuto, ne è una perfetta sintesi) o dei punk (difficile scindere l’estetica estrema di Sex Pistols o Clash dalla loro musica arrembante).
Dapper Dan è in qualche modo un corrispettivo nell’ambito hip hop (contesto molto ampio, variegato e difficile da inquadrare) che dimostra come talvolta il fenomeno sottoculturale sia inspiegabilmente e inconsapevolmente, pur con mille diversità, collegato, da una parte all’altra del mondo.
Nato ad Harlem, New York, nel 1944, con il nome di Daniel R. Ray (il soprannome “dapper” è un mix di elegante, azzimato e raffinato).
Una vita, come spesso accadeva da quelle parti in quegli anni, complessa. A tredici anni diventa giocatore d'azzardo nella "Mecca della moda e della musica nera" come ha spesso definito il suo quartiere. Una vita di strada che presto gli diventa stretta. Malcolm X è la giusta guida con il suo motto: "Se vuoi capire il fiore, studia il seme".
Dan frequenta la Countee Cullen Library, lavora come giornalista, cerca uno spiraglio come scrittore, cambia stile di vita, diventa vegetariano, compie un lungo giro in Africa, alla ricerca del “seme” indicato da Malcolm X.
Torna a New York nel 1974, si dedica alla moda e alla sartoria (inizialmente rivendendo dal cofano della sua auto, per finanziarsi, oggetti rubati in strada), raccogliendo fondi per la sua Dapper Dan's Boutique, sulla 125th Street, tra Madison e Fifth Avenue, nel 1982, talvolta aperta 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana.
Non è una scelta bizzarra ma la semplice necessità di servire chi vive soprattutto di notte e senza orari: boss della droga e spacciatori, gangster, pugili e rapper.
La vita di strada ne fa un attento osservatore di ciò che succede e si muove intorno a lui, ne coglie gli aspetti più urgenti, immediati e amati dai potenziali fruitori.
Il passato da giocatore d’azzardo lo fa osare senza paura, affinandone l’esplosiva miscela di creativo e uomo d'affari.
Le difficoltà, soprattutto a causa di questioni razziali (difficile trovare chi si fidasse di un nero di Harlem, a quei tempi, per fare affari) per procurarsi stoffe e materiale per il lavoro, vengono in qualche modo superate grazie alle sue abilità di faccendiere.
“Avevo cominciato comprando i capi dei marchi più desiderati di allora, ma a me non volevano vendere, perché all'epoca non volevano fare affari con i neri”.
Dapper Dan mette a frutto le sue radici nella “malavita” e le coniuga con l’innata creatività, incominciando a produrre vestiti dal taglio personale, “arricchiti” dai marchi più famosi, da Gucci ad Armani, aggiunti ad hoc.
Un modo per essere cool e alla moda, anzi, ancora più avanti del trend ufficiale, con pochi soldi. Sostanzialmente quello che facevano, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i giovani mod in Inghilterra.
In questo caso l’operazione è ancora più rivoluzionaria. Dove abitualmente il “sistema” attinge dal suo laboratorio gratuito, ovvero la strada, e dalla creatività che arriva dai giovani antagonisti, per poi industrializzare le loro nuove idee e guadagnarci, Dapper Dan, “ruba” dalla moda ufficiale per metterle a disposizione dei giovani meno abbienti.
"Ho decostruito i marchi fino all'essenza del loro potere, che era lo stemma del logo, e ho ricostruito quel potere in un nuovo contesto. I nomi e gli stemmi significavano ricchezza, rispetto e prestigio. I miei clienti volevano acquisire quel potere, ed era quello che offrivo. Quella era l'era dei pantaloni a zampa d'elefante e delle scarpe con la zeppa, e quando li mescolavo con i vestiti esotici che avevo portato con me dall'Africa, era uno spettacolo da vedere. I miei outfit entusiasmavano le persone dei campus più rinomati tanto quanto chi viveva nelle strade di Harlem”.
Dapper Dan acquista stock di borse Gucci, Fendi e Vuitton, ne ritaglia i loghi trasferendoli su giacche, pantaloni, cappelli e scarpe (è diventata famosa la New Balance con le G di Gucci). Il suo stile unico, attraverso la modalità di inventare nuovi capi, “appropriandosi” dei marchi famosi, lo rende popolare tra i rapper ma anche nel mondo malavitoso.
Tra i suoi primi clienti ci sono Alpo Martinez e Aize Faison, grandi boss della droga che volevano un’estetica la più ricca, appariscente e chiassosa possibile, in perfetta linea con lo stile gangster.
Ma sono soprattutto i nuovi riferimenti musicali della neo nata scena hip hop a catalizzare l’attenzione verso il lavoro di Dapper Dan.
Da lui si servono LL Cool J, Public Enemy, Run DMC, Bobby Brown, Big Daddy Kane, Salt'n'Pepa.
Eric B. & Rakim per l’album “Follow the leader” si fanno confezionare dallo stilista due giubbotti di pelle con i rispettivi nomi in lettere dorate sulle spalle e il logo di Gucci.
Da un punto di vista strettamente legale, l’operazione rimane in bilico tra il lecito e l’illegalità.
Non vende infatti un capo spacciandolo per il marchio riportato, che usa solo in funzione estetica ma che è “firmato” da lui. E’ una ardita, fresca, “piratesca” forma di creatività, non lontana dal “Do It Yourself” dei primi punk che personalizzavano i propri vestiti (su originale indicazione di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren) con scritte, cerniere, strappi, spille da balìa o i mod che facevano lo stesso con i propri scooter trasformandoli in nuovi mezzi con l’aggiunta di specchietti e altri accessori. La creatività dal basso, dalla strada, che spiazza e disorienta l’apparato rigido delle estetiche prefabbricate.
Probabilmente il cliente più famoso è Mike Tyson che si fa confezionare un giubbotto con il titolo della canzone dei Public Enemy “Don’t Believe The Hype” sul retro.
A questo punto Dapper Dan diventa una piccola celebrità, il suo nome non è più solo pertinenza della strada e del quartiere. E incominciano i guai. Le grandi case di moda si accorgono dei “furti” e partono lettere degli avvocati e minacce penali.
Nel 1992 è costretto a chiudere per evitare serie conseguenze. Continua a lavorare in maniera più discreta senza più “disturbare” i grandi nomi.
Quando nel 2017 Gucci “ruba” a Dapper Dan l’idea di una giacca, originariamente da lui creata per la campionessa olimpionica Diane Dixon, senza dargliene credito, scoppia una diatriba che riporta il nome dello stilista in primo piano. Il designer di Gucci, Alessandro Michele, si difende dicendo che era un voluto omaggio.
In segno di pace chiama Dapper Dan a collaborare con la casa e nel 2018 aprono insieme, ad Harlem, il negozio Dapper Dan Of Harlem.
Da allora è un susseguirsi di riconoscimenti ufficiali, di suoi capi esposti al MOMA, facendo entrare la sua arte antagonista in un contesto più mainstream ma senza diluirne lo spessore artistico originario.
La sua figura ricorre in decine di brani hip hop da LL Cool J in “Hip Hop” a Tyler The Creator in “Odd Toddlers”, Lil Wayne in “Ain’t Got Time”, Ol’Dirty Bastard in “Back in the air”.
L’incipit del suo libro di memorie, recentemente uscito, riassume al meglio, in poche righe, la sua incredibile vita:
“Ho avuto difficoltà a cucire insieme la mia vita, quindi Dio mi ha reso un sarto. Poi è nato il sogno di diventare designer. Non ho permesso a niente e nessuno di strapparmi via quel sogno.
Ora, dagli angoli di Harlem alle passerelle d’Europa, passando per l’Africa, sto vivendo quel sogno.”
Non è stato mai sufficientemente sottolineato quanto le sottoculture (e relativa espressione artistico/musicale) siano andate di pari passo con l’estetica dei loro esponenti e riferimenti sonori, influenzandosi a vicenda. Valgano per tutti l’esempio dell’eleganza (sotto cui covava l’aggressività adolescenziale) dei mod (il “rabbia e stile”, slogan dei nostrani Statuto, ne è una perfetta sintesi) o dei punk (difficile scindere l’estetica estrema di Sex Pistols o Clash dalla loro musica arrembante).
Dapper Dan è in qualche modo un corrispettivo nell’ambito hip hop (contesto molto ampio, variegato e difficile da inquadrare) che dimostra come talvolta il fenomeno sottoculturale sia inspiegabilmente e inconsapevolmente, pur con mille diversità, collegato, da una parte all’altra del mondo.
Nato ad Harlem, New York, nel 1944, con il nome di Daniel R. Ray (il soprannome “dapper” è un mix di elegante, azzimato e raffinato).
Una vita, come spesso accadeva da quelle parti in quegli anni, complessa. A tredici anni diventa giocatore d'azzardo nella "Mecca della moda e della musica nera" come ha spesso definito il suo quartiere. Una vita di strada che presto gli diventa stretta. Malcolm X è la giusta guida con il suo motto: "Se vuoi capire il fiore, studia il seme".
Dan frequenta la Countee Cullen Library, lavora come giornalista, cerca uno spiraglio come scrittore, cambia stile di vita, diventa vegetariano, compie un lungo giro in Africa, alla ricerca del “seme” indicato da Malcolm X.
Torna a New York nel 1974, si dedica alla moda e alla sartoria (inizialmente rivendendo dal cofano della sua auto, per finanziarsi, oggetti rubati in strada), raccogliendo fondi per la sua Dapper Dan's Boutique, sulla 125th Street, tra Madison e Fifth Avenue, nel 1982, talvolta aperta 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana.
Non è una scelta bizzarra ma la semplice necessità di servire chi vive soprattutto di notte e senza orari: boss della droga e spacciatori, gangster, pugili e rapper.
La vita di strada ne fa un attento osservatore di ciò che succede e si muove intorno a lui, ne coglie gli aspetti più urgenti, immediati e amati dai potenziali fruitori.
Il passato da giocatore d’azzardo lo fa osare senza paura, affinandone l’esplosiva miscela di creativo e uomo d'affari.
Le difficoltà, soprattutto a causa di questioni razziali (difficile trovare chi si fidasse di un nero di Harlem, a quei tempi, per fare affari) per procurarsi stoffe e materiale per il lavoro, vengono in qualche modo superate grazie alle sue abilità di faccendiere.
“Avevo cominciato comprando i capi dei marchi più desiderati di allora, ma a me non volevano vendere, perché all'epoca non volevano fare affari con i neri”.
Dapper Dan mette a frutto le sue radici nella “malavita” e le coniuga con l’innata creatività, incominciando a produrre vestiti dal taglio personale, “arricchiti” dai marchi più famosi, da Gucci ad Armani, aggiunti ad hoc.
Un modo per essere cool e alla moda, anzi, ancora più avanti del trend ufficiale, con pochi soldi. Sostanzialmente quello che facevano, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i giovani mod in Inghilterra.
In questo caso l’operazione è ancora più rivoluzionaria. Dove abitualmente il “sistema” attinge dal suo laboratorio gratuito, ovvero la strada, e dalla creatività che arriva dai giovani antagonisti, per poi industrializzare le loro nuove idee e guadagnarci, Dapper Dan, “ruba” dalla moda ufficiale per metterle a disposizione dei giovani meno abbienti.
"Ho decostruito i marchi fino all'essenza del loro potere, che era lo stemma del logo, e ho ricostruito quel potere in un nuovo contesto. I nomi e gli stemmi significavano ricchezza, rispetto e prestigio. I miei clienti volevano acquisire quel potere, ed era quello che offrivo. Quella era l'era dei pantaloni a zampa d'elefante e delle scarpe con la zeppa, e quando li mescolavo con i vestiti esotici che avevo portato con me dall'Africa, era uno spettacolo da vedere. I miei outfit entusiasmavano le persone dei campus più rinomati tanto quanto chi viveva nelle strade di Harlem”.
Dapper Dan acquista stock di borse Gucci, Fendi e Vuitton, ne ritaglia i loghi trasferendoli su giacche, pantaloni, cappelli e scarpe (è diventata famosa la New Balance con le G di Gucci). Il suo stile unico, attraverso la modalità di inventare nuovi capi, “appropriandosi” dei marchi famosi, lo rende popolare tra i rapper ma anche nel mondo malavitoso.
Tra i suoi primi clienti ci sono Alpo Martinez e Aize Faison, grandi boss della droga che volevano un’estetica la più ricca, appariscente e chiassosa possibile, in perfetta linea con lo stile gangster.
Ma sono soprattutto i nuovi riferimenti musicali della neo nata scena hip hop a catalizzare l’attenzione verso il lavoro di Dapper Dan.
Da lui si servono LL Cool J, Public Enemy, Run DMC, Bobby Brown, Big Daddy Kane, Salt'n'Pepa.
Eric B. & Rakim per l’album “Follow the leader” si fanno confezionare dallo stilista due giubbotti di pelle con i rispettivi nomi in lettere dorate sulle spalle e il logo di Gucci.
Da un punto di vista strettamente legale, l’operazione rimane in bilico tra il lecito e l’illegalità.
Non vende infatti un capo spacciandolo per il marchio riportato, che usa solo in funzione estetica ma che è “firmato” da lui. E’ una ardita, fresca, “piratesca” forma di creatività, non lontana dal “Do It Yourself” dei primi punk che personalizzavano i propri vestiti (su originale indicazione di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren) con scritte, cerniere, strappi, spille da balìa o i mod che facevano lo stesso con i propri scooter trasformandoli in nuovi mezzi con l’aggiunta di specchietti e altri accessori. La creatività dal basso, dalla strada, che spiazza e disorienta l’apparato rigido delle estetiche prefabbricate.
Probabilmente il cliente più famoso è Mike Tyson che si fa confezionare un giubbotto con il titolo della canzone dei Public Enemy “Don’t Believe The Hype” sul retro.
A questo punto Dapper Dan diventa una piccola celebrità, il suo nome non è più solo pertinenza della strada e del quartiere. E incominciano i guai. Le grandi case di moda si accorgono dei “furti” e partono lettere degli avvocati e minacce penali.
Nel 1992 è costretto a chiudere per evitare serie conseguenze. Continua a lavorare in maniera più discreta senza più “disturbare” i grandi nomi.
Quando nel 2017 Gucci “ruba” a Dapper Dan l’idea di una giacca, originariamente da lui creata per la campionessa olimpionica Diane Dixon, senza dargliene credito, scoppia una diatriba che riporta il nome dello stilista in primo piano. Il designer di Gucci, Alessandro Michele, si difende dicendo che era un voluto omaggio.
In segno di pace chiama Dapper Dan a collaborare con la casa e nel 2018 aprono insieme, ad Harlem, il negozio Dapper Dan Of Harlem.
Da allora è un susseguirsi di riconoscimenti ufficiali, di suoi capi esposti al MOMA, facendo entrare la sua arte antagonista in un contesto più mainstream ma senza diluirne lo spessore artistico originario.
La sua figura ricorre in decine di brani hip hop da LL Cool J in “Hip Hop” a Tyler The Creator in “Odd Toddlers”, Lil Wayne in “Ain’t Got Time”, Ol’Dirty Bastard in “Back in the air”.
L’incipit del suo libro di memorie, recentemente uscito, riassume al meglio, in poche righe, la sua incredibile vita:
“Ho avuto difficoltà a cucire insieme la mia vita, quindi Dio mi ha reso un sarto. Poi è nato il sogno di diventare designer. Non ho permesso a niente e nessuno di strapparmi via quel sogno.
Ora, dagli angoli di Harlem alle passerelle d’Europa, passando per l’Africa, sto vivendo quel sogno.”
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venerdì, novembre 01, 2024
Soul a Reggio Emilia
Sabato 2 novembre alle 19 con Carlo Babando allo Spazio Gerra Piazza 25 Aprile, 2 Reggio Emilia parliamo di SOUL e affini e del suo libro "Miss Black America".
(qui la rece del blog: https://tonyface.blogspot.com/2024/06/carlo-babando-miss-black-america.html)
(qui la rece del blog: https://tonyface.blogspot.com/2024/06/carlo-babando-miss-black-america.html)
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I me mine
giovedì, ottobre 31, 2024
mercoledì, ottobre 30, 2024
Ottobre 2024. Il meglio
A 3/4 dell'anno l'elenco di ottime uscite da segnalare si allunga ancora di più.
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, the X, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Jack White, The Heavy Heavy, Les Amazones d'Afrique, Sahra Halgan, Boulevards, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Sharp Class, Mourning (A)Blkstar, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Clairo, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, Krypton Bulb, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7, Fontaines DC e Popincourt, The Tambles, Grace Browers & the Hodege Plodge, Lady Blackbird.
Tra gli italiani Ossa di Cane, Peawees, The mads, Statuto, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Klasse Kriminale, Statuto, The Mads, Cesare Basile, Organ Squad, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce, Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick, Newglads.
FANTASTIC NEGRITO - Son Of A Broken Man
L'artista californiano, al sesto album, si conferma di nuovo come una delle realtà più interessanti, vitali , propositive in circolazione. Innanzitutto in virtù di una personalità e di un sound immediatamente riconoscibili e per la capacità di miscelare ingredienti diversissimi alla perfezione. Blues, funk e soul sono alla base della pietanza ma non esita a infilarci Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Sly Stone. Non si tratta di revivalismo perché il tutto è moderno, fresco, eccitante. Un album di pura eccellenza. Come sempre.
STATUTO - Statuto Football Club
E' nota la vicinanza tra la storia degli STATUTO e la passione calcistica.
Dall'amore per la maglia granata del Torino (nel 1998 al videoclip del loro brano “Un Posto al Sole”, partecipò tutta la rosa della squadra, nel 2005 nel video di “Facci un goal” fu ospite Paolo Pulici, nel 2006 l'album "Toro" raccoglieva brani dedicati alla squadra del cuore, tra cui "Cuore Toro", inno ufficiale del Torino), a canzoni a tema calcistico meno specifiche.
Furono i primi nel 1988 a firmare un testo, “Ragazzo ultrà”, che descrive la tematica delle tifoserie organizzate, successivamente con Enrico Ruggeri hanno scritto nel 2010 il brano “Controcalcio”, omaggio al calcio d’altri tempi.
Inoltre oSKAr, è membro della Nazionale Italiana Cantanti dal 2017 con il ruolo di difensore.
Gli otto brani di "Statuto Football Club" alternano canzoni dedicate al calcio come "Notte magiche", "Una vita da mediano", "La leva calcistica del '68" e "La partita di pallone" a strumentali, sigle storiche televisive e radiofoniche di “Tutto il calcio minuto per minuto”, “Novantesimo Minuto”, “Domenica Sprint”,“Domenica Sportiva", come "A taste of honey" di Herb Alpert and Tijuana Brass o "Stadium" di Oscar Prudente con il baritonale coro "Viva viva il goleador".
Le versioni sono ovviamente caratteristiche dello stile degli Statuto tra ska, soul, rocksteady, soul funk, modern latin jazz (vedi "Pancho" di Jack Trobey che fu sigla di "90° minuto").
L'idea è vincente, l'album arrangiato e suonato benissimo oltre che decisamente originale e godibilissimo.
La storia continua.
THE MADS - Time By Time
I milanesi Mads, tra i primissimi in Italia ad abbracciare suoni ed estetica mod vissero poco tempo, dal 1979 al 1984, per incidere qualcosa, pur lasciando un fervido ricordo con travolgenti esibizioni dal vivo. Rinati nel 2012 con l'ottimo "The Orange Plane", bissano ora con il secondo splendido album, in cui converge tutto il meglio del mod sound, dai Jam, ai Chords, power pop, soul, ska, una splenmdida cover degli Action "Never Ever". Abbiamo dovuto aspettare tanto tempo ma l'attesa è stata felicemente ripagata da una band nel pieno dell'espressività e maturità artistica. Disco eccellente.
SHARP CLASS - Welcome To The Matinee Show (Of The End Of The World)
E' sempre più raro trovare una band che si definisca chiaramente Mod, tanto più se è di giovane età.
Gli Sharp Class firmano il secondo album e ci riportano nel più classico mondo dei primi Jam, quelli più aggressivi e scarni.
Le canzoni sono fatte molto bene, l'energia non manca di certo, il sound è quello giusto.
Revivalismo?
Può darsi.
Personalmente lo trovo un disco freschissimo, pulsante, elettrico, nervoso, semplicemente bello da ascoltare per gli amanti di certe cose.
Si astengano gli altri.
PAUL WELLER - Supplement 66
Nuovo ep con 4 inediti di grande classe, di stampo folk jazz che riporta immediatamente agli Style Council, in particolare in "That's What She Said" e "Change What You Can" con un ottimo lavoro della sezione fiati. Un pizzico di funk soul per "Earth In Your Feet", puro folk acustico dalle tinte jazzy nella conclusiva "So Quietly" con la voce della cantautrice Kathryn Williams. Ulteriori ospiti Max Beesley al vibrafono, Danny Thompson al contrabbasso e Steve Brookes alla chitarra.
Disco molto piacevole, autunnale, rilassato, che nella sua concisione trova il tratto più apprezzabile.
THE WINSTONS - Third
L'aspetto prevalente del mondo Winstons è il gusto continuo per il cambiamento, la sorpresa, la capacità di spaziare in mezzo a suoni di ogni tipo che possono essere facilmente collegabili a "generi" e ambiti sonori precisi, da cui però il trio rifugge subito, contestualizzandoli ad altri profili artistici.
Il terzo album della felice carriera cammina su sentieri riconducibili al primo prog a cavallo dei Sessanta e Settanta, ancora profondamente contaminato dalla psichedelia e da echi Beatlesiani. Ma in mezzo c'è un altro universo di riferimenti e influenze (dalla musica classica al rock, sperimentazione e pop) che rendono il loro sound immediatamente riconoscibile. Band di altissimo spessore internazionale, splendidi musicisti, compositori unici ed eccelsi.
AMYL AND THE SNIFFERS - Cartoon Darkness
Terzo capitolo per Amy Taylor e soci, formula consolidata di punk rock e hard tipicamente australiano (Ac/Dc e Rose Tattoo su tutti). E' sempre un buon sentire, divertente e coinvolgente. I testi si fanno socio politici tra cambiamento climatico e attivismo digitale.
SEUN KUTI & EGYPT 80 - Heavier Yet (Lays The Crownless Head)
Il figlio più giovane di Fela Kuti ne ha raccolto l'eredità musicale e sociale, portando avanti il progetto Egypt 80.
Al quinto album approda alla nostra Record Kicks con sei brani di afrobeat, soul, funk.
Prodotto da Lenny Kravitz, con ospiti del calibro di Damian Marley e Sampa The Great, sfodera un album di grandissima potenza emotiva e comunicativa, con testi che invitano al cambiamento sociale e all'emancipazione della sua gente. Sound perfetto, ritmi contagiosi, canzoni eccellenti.
EZRA COLLECTIVE - Dance, No One’s Watching
Il terzo album di una delle band di spicco della scena del nuovo British Jazz ne conferma le qualità esecutive e compositive, oltre all'innata propensione alla contaminazione e sperimentazione. A una concezione moderna di jazz si uniscono fusion, afrobeat, highlife, soul, funk, dub e tanto altro. La formula é stimolante e intrigante anche se incomincia a mostrare la corda, diventando nella sua (passata) innovazione ormai prevedibile.
KOKO-JEAN AND THE TONICS - Love Child
L'ex funambolica voce degli Excitements firma il secondo album con i suoi Tonics ed è l'esplosione di un grande soul e rhythm & blues party a base della gustosa pietanza che ben conosciamo.
Novella Tina Turner dei 60's inanella il classico e prevedibile repertorio tra ritmi infuocati e languide ballate.
Certo, non rivoluzionerà la storia della musica ma se quello che chiedete a un disco è divertimento, sudore, ritmo, intensità, non rimarrete insoddisfatti.
MYLES SANKO - Let It Unfold
Il cantante e musicista inglese è una garanzia di qualità.
Il nuovo lavoro ce lo conferma alle prese con un mix di soul, funk, retaggi afro, marcate influenze jazz, qualche cenno di hip hop.
Produzione eccelsa, Curtis Mayfield spesso in agguato.
Album di grande pregio, ricchissimo di groove e canzoni eccellenti.
THEE SACRED SOULS - Got A Story To Tell
Al secondo album la band di San Diego ribadisce l'amore per il vintage soul anni Sessanta, sia nei suoni che nella composizione.
I ritmi sono costantemente bassi, mellow, soft, bluesy, con un uso elegante di archi e fiati, tra Percy Sledge e il Marvin Gaye più dolciastro.
Per gli amanti di questo mood, un ascolto perfetto.
LEON BRIDGES - Leon
All'eleganza del pluri premiato soul man texano siamo abituati e il nuovo album ne è una felice conferma.
Tredici brani di soul melodico, caldo, raramente up tempo ("Panther City" è una bellissima eccezione), con tinte gospel blues e jazz.
Alla lunga i toni sono ripetitivi e il lavoro perde mordente ma l'ascolto rimane gradevole.
MT JONES - s/t
Ep d'esordio autoprodotto per il cantante inglese. Quattro ottimi brani mid-tempo intrisi di care buone vecchie influenze soul 60/70. Ottima voce e interpretazione di gran gusto. Da tenere d'occhio.
BOOM YEH - Near-Earth Objects
La band londinese arriva dal giro Jamiroquai, Brand New Heavies, Incognito e si cala in un gustoso e classico mix di soul, funk e jazz in chiave strumentale. Tanto ritmo e groove, una discreta dose di fusion e brani costruiti con classe, raffinatezza e tanta voglia e piacere di suonarli.
GALLIANO - Halfway somewhere
Dopo 30 anni di silenzio tornano i grandi esponenti della scena Acid Jazz inglese con un album di un'ora e 19 brani in cui convergono le loro classiche sonorità, soul, funk, hip hop, elettronica, dance, fusion, jazz. Un signor album, moderno, vario, ricchissimo di spunti e influenze, compositivamente di altissimo livello, con arrangiamenti e suoni perfetti.
LES HOMMES - Si, così
Tornano dopo sette anni di silenzio con undici brani lounge jazz dal consueto forte sapore cinematografico, un po' di elettronica distribuita con parsimonia e precisione, il consueto groove soft funk a condire la ritmica. Perfetto sottofondo per un cocktail.
FACES - At the BBC
Una delle band più particolari nella storia del rock, misto di blues, glam, rock 'n' roll, "black", folk inglese, country.
Ascoltare i Facesè semplicemente rilassante, corroborante, un piccolo lusso che ci si permette ogni tanto, prima di tornare alle "cose serie".
Lo conferma questo box che raccoglie tutte le esibizioni live alla BBC, le Peel Sessions etc. tra il 1970 e il 1973.
Quasi un centinaio di brani in otto CD (e un 150 euro più o meno di spesa) con tanto di libretto di 48 pagine.
Sgangherati al punto giusto ma musicisti pazzeschi, con la voce di Rod Stewart al top.
STEVE CROPPER -. Friendlytown
Steve Cropper sta per compiere 83 anni.
Ha composto "(Sittin on the) Dock of the bay", "In the midnight hour", "Knock on wood", è stato il chitarrista degli imperatori del groove, Booker T. and the Mg's, ha inciso non si sa quanti dischi per gli artisti della Stax Records, suonato con i Blues Brothers (partecipando anche al film), con Ringo e John, Jeff Beck, Neil Young, Elton John etc etc.
Il suo nuovo album è un energico mix di rock blues, rhythm and blues, soul rock, con l'aiuto di un po' di amici, da Steve Gibbons degli ZZ Top a Brian May a Roger C. Reale.
Non entrerà nella storia ma è un piacere ascoltarlo.
MC5 - Heavy Lifting
Un po'imbarazzante vedere accostato quel nome immortale a un disco super pompato di hard rock tamarro (con tanto di Tom Morello, Slash e Vernon Reid a impestare di assoli). Della mitica band c'è il solo Wayne Kramer e in un paio di brani Dennis Thompson (pace all'anima loro). Distruggono anche la bellissima "Twenty Five Miles" di Edwyn Starr.
Sacrilego tutto.
MOTORPSYCHO - Neigh!!
Siamo ormai a una trentina di album (esclusi live, compilation, singoli, collaborazioni etc) e non sempre è tutto perfettamente a fuoco. Il nuovo lavoro soffre di luci e ombre e alla fine passa senza colpo ferire, pur essendo sempre di buon livello.
KARATE - Make It Fit
Torna dopo 20 anni di silenzio la band di Geoff Farina, passata musicalmente tra post rock, sperimentazione, slow core, post punk. Il nuovo album sorprende spesso con una serie di brani punk rock 77, tra Clash, Jam, Boys, a cui affiancano momenti più jazz core e altri episodi più affini alla consuetudine (se così si può dire) a cui ci avevano abituati.
OKMONIKIS - Party fever
La band di Tucson non va praticamente mai oltre i due minuti per ognuno dei nove brani. Puro e semplice garage beat punk, tirato e nervoso. Bravi!
GOPHER & THE DEADLOCKS - Tropical riot
Spettacolare album che accosta con disinvoltura brani reggae (vedi la splendida "Cenere" in coppia con Neffa) e dub a furiosi punk rock, spesso sconfinanti nell'hardcore, una cover punk di "Concrete Jungle" degli Specials, non disdegnando intermezzi hip hop. Un mix intrigante ed eccitante di Clash, Rancid, Beastie Boys, Ruts, 2Tone Records. Il tutto eseguito (e composto) con un'energia travolgente e uno spirito rivoltoso e combattivo. Notevole.
https://gdeadlox.bandcamp.com/album/tropical-rio
CARNIVAL OF FOOLS – Complete discography 1989-1993
Una delle band più rappresentative della scena underground italiana a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, con una discografia mai ristampata nella sua completezza, trova ora il dovuto riconoscimento in due CD che includono i due album Religious Folk e Towards the Lighted Town, i singoli, brani sparsi su compilation e due live. Trentuno canzoni intrise di blues, punk, violenza, sofferenza, intimismo, “malattia”. Era il mondo del gruppo di Mauro Ermanno Giovanardi che dopo lo scioglimento, nel 1994, intraprese altre strade, sia soliste che con l’originalissima e unica avventura dei La Crus. Un capitolo essenziale per conoscere la scena italiana di quegli anni.
CUT - Annihilation Road
La Go Down Records ristampa (in vinile, da lungo tempo irreperibile) il quinto album della band bolognese pubblicato nel 2010, registrato a New York e prodotto da Matt Verta-Ray (già al lavoro con Ronnie Spector, Oblivians, Dirtbombs, Jon Spencer Blues Explosion). Il marchio di fabbrica è da tempo già definito e inciso a fuoco sulla carne dei loro adepti: garage, punk, rock 'n' roll, rhythm and blues malatissimo, elettricità, nervosismo quasi nevrotico, violenza sonora. Uno dei tanti gioielli dei Cut da riscoprire.
MASTICA - (12) Treize cigarettes
In occasione del ventennale della prima pubblicazione, rivive in vinile l'eccellente album della band veneta, ristampato e rimasterizzato da Go Down Record. Splendida miscela di hard rock, rock blues, garage punk, proto prog, psichedelia, cantata in italiano, suonata a livelli di pura eccellenza e suoni perfettamente confacenti alle origini del sound.
COSMIC ROOM 99 - s/t
La band trevigiana, attiva da un paio di anni, firma un ottimo esordio a base di una miscela sonora dai retaggi "antichi" e nobili: dai Velvet Underground alle sognanti e psichedeliche visioni di Syd Barrett, fino alle più recenti esperienze di Jesus and Mary Chain, della scena shoegaze (Swervedriver in particolare, senza trascurare le melodie alla Teenage Fanclub) e un gusto new wave a corredare il tutto. Ottimi i suoni, gli arrangiamenti e la produzione, molto azzeccate le composizioni. Un piccolo gioiello, dal respiro internazionale.
RIP OFF – 1982…non voglio polizia
I bolognesi Rip Off sono stati tra i primi interpreti di un violento e rauco Oi! Street Punk nei primi anni Ottanta. Incisero una cassetta insieme ai mitici Nabat (massimi interpreti di quell’ambito) uscita nel marzo 1982. L’anno successivo pubblicarono un’ulteriore cassetta. HellNation ristampa su vinile formato LP, in tiratura limitata, le canzoni della prima tape, con allegato un libretto di quattro pagine con interviste, foto, testi, ritagli, fanzine. I sei brani sono una cruda testimonianza di quell’epoca pionieristica, con tutte le ingenuità ma soprattutto la spontaneità, irruenza e urgenza di una giovanisisma band, mantenendo l’immediatezza dell’approccio e dell’attitudine. Un recupero più che benvenuto per i cultori di un certo suono.
ASCOLTATO ANCHE:
SOUL ASYLUM (per chi ama il "rock robusto" tipicamente americano, questo è un buon album), LINDA LINDAS (pop punk rock molto carino ma di consistenza altrettanto scarsa), ASHLEY HENRY (soul jazz raffinato di alto livello), DINNER PARTY (jazz, hip hop, nu soul, funk. Un mix molto sofisticato), MAXIMO PARK (pop rock piuttsoto anonimo e incolore), OFFSPRING (fatto benissimo, ovviamente, prevedibilissomo, altrettanto ovviamente, pop hardcore senza anima)
LETTO
Ron Bailey - Squatter. La vera storia degli occupanti di case di Londra
La Camera ha approvato gli emendamenti al DDL Sicurezza, con l’introduzione di una nuova fattispecie di reato nel Codice Penale per chi occupa abusivamente case private.
L’articolo 634-bis andrà infatti a punire chi si macchia di occupazione abusiva di un immobile destinato al domicilio altrui, prevedendo dai 2 ai 7 anni di reclusione.
Ultimo tassello di una sempre più feroce guerra contro i poveri e i deboli (immigrati in particolare ma italiani soprattutto)di cui questo governo è il portabandiera.
Interessante andarsi a leggere il libro "Squatter" di Ron Bailey che racconta le lotte di chi aveva perso la casa, nell'Inghilterra di fine anni Sessanta che non era solo Beatles, psichedelia e minigonne ma celava una realtà aspra in cui i " ricchi avevano improvvisamente investito nell’edilizia, demolendo i quartieri storici e scacciando dalle abitazioni migliaia di famiglie operaie, pensionati, giovani coppie e immigrati giamaicani di prima generazione."
Le lotte per le occupazioni di case sfitte e inutilizzate furono terribili, con scontri, dolore, repressione ma anche con tante vittorie.
Ron Bailey, coordinatore della London Squatters’ Campaign rivive quei periodi con una prosa cruda ma anche spesso divertente e (auto) ironica.
"L'azione di massa da parte della gente comune (i milioni che soffrono per la carenza di case) non era solo una tattica rivoluzionaria che peroravo ma il solo modo per queste persone di sperare di avere abitazioni decenti".
"I membri del gruppo di squatter cambiavano di continuo. Da un certo punto di vista era positivo, dall'altro una continua fonte di difficoltà. Era positivo perché evitava che si formasse una elite che si autoperpetuasse. Era fonte di difficoltà perché, nel caso in oggetto, la discrezione e la segretezza erano fondamentali e più persone nuove apparivano sulla scena più il problema della sicurezza si aggravava".
Include anche:
2 interviste a Ken Loach sulla necessità delle occupazioni oggi;
“Lotta Continua” e Lea Melandri: Milano 1971. L’occupazione di via Tibaldi;
Roma 2001-2016: Action per le occupazioni
Alessandro Gandino - Il bancone è oggettivo. Storie inutili da bar
Per chi vive o ha vissuto la provincia, le storie da bar sono una componente essenziale della quotidianità.
Purtroppo la triste stagione dei social ha deviato altrove l'inventiva spontanea, grezza, crudele, in cui il cosiddetto politically correct non ha mai avuto casa, sostituendola con la malsana fantasia e le ossessioni del web.
I banconi del bar hanno sono stati testimoni di milioni di questi racconti.
Come dice l'autore: raccogliere questi racconti, se sai riconoscere la lingua dei banconi, è fondamentale.
Aggiunge: tutte le storie sono frutto di fantasia. O forse no. Ma è così importante?
No, non è importante perché è molto facile riconoscersi in questi racconti, molto "emiliani" (ma non solo).
Ognuno dei quali con un titolo di una canzone ben identificativa del contenuto.
Alcuni agghiaccianti ("All you fascists" Billy Bragg/Wilco non mi ha fatto dormire la notte), altri molto divertenti, altri ancora malinconici e commoventi, tutti decisamente realisti.
La scrittura è ironica, "ruspante" e schietta, esattamente come un racconto da bancone da bar.
VISTO
Nel nostro cielo un rombo di tuono di Riccardo Milani
Un racconto commovente e appassionato, dall'infanzia drammatica alla vecchiaia solitaria, della roboante carriera di GIGI RIVA, che riuscì ad andare oltre la figura del calciatore, diventando simbolo (eterno) e riscatto sociale per la "sua" Sardegna, grazie allo scudetto del Cagliari del 1969/70.
Una carriera sfortunata, funestata da tre terribili incidenti di gioco, l'ultimo dei quali, nel febbraio del 1976, sancì l'addio al calcio giocato.
Oltre due ore di filmati, interviste, ricostruzioni, intermezzi, testimonianze (forse eccessive e talvolta troppo enfatiche) a descrivere un personaggio anomalo e unico nelle abituali modalità del mondo calcistico.
Gigi Riva realizzò 156 gol in 289 presenze in Serie e 35 reti in 42 gare disputate con la maglia azzurra (media realizzativa di 0,83 gol per partita), restando tutt'ora il capocannoniere della Nazionale.
Il tratto dominante del docu film è la costante vena malinconica che ha permeato la sua vita, il suo sguardo, la storia recente della Sardegna, costantemente sfruttata e dimenticata.
Un documento esaustivo sul calciatore più affascinante della storia sportiva italiana.
La ragazza del punk innamorato (How to Talk to Girls at Parties) di John Cameron Mitchell
Uno dei film più bizzarri che abbia mai visto, a metà tra un viaggio super psichedelico/techno/punk, un'opera musical rock anni 70 e una fesseria incomprensibile, con punk nel 1977 (finalmente non caricaturizzati ma più che realisti), alieni, viaggi lisergici.
Ma alla fine davvero divertente, ironico, originale, particolare.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Sabato 2 novembre
Reggio Emilia - Spazio Gerra via XXV Aprile
Modero la presentazione di "Miss Black America" di Carlo Babando, ore 19
Sabato 17 novembre
Firenze
Circolo Culturale Il Girone via Aretina 24, Girone Fiesole - Firenze
Presentazione del libro "Quadrophenia" (edito da Interno4 Edizioni)
Sabato 23 novembre
Modena
Kanalino Settantotto, via Canalino 78.
Modero la presentazione del libro "Too Much Too Young" di Daniel Rachel.
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, the X, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Jack White, The Heavy Heavy, Les Amazones d'Afrique, Sahra Halgan, Boulevards, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Sharp Class, Mourning (A)Blkstar, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Clairo, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, Krypton Bulb, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7, Fontaines DC e Popincourt, The Tambles, Grace Browers & the Hodege Plodge, Lady Blackbird.
Tra gli italiani Ossa di Cane, Peawees, The mads, Statuto, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Klasse Kriminale, Statuto, The Mads, Cesare Basile, Organ Squad, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce, Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick, Newglads.
FANTASTIC NEGRITO - Son Of A Broken Man
L'artista californiano, al sesto album, si conferma di nuovo come una delle realtà più interessanti, vitali , propositive in circolazione. Innanzitutto in virtù di una personalità e di un sound immediatamente riconoscibili e per la capacità di miscelare ingredienti diversissimi alla perfezione. Blues, funk e soul sono alla base della pietanza ma non esita a infilarci Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Sly Stone. Non si tratta di revivalismo perché il tutto è moderno, fresco, eccitante. Un album di pura eccellenza. Come sempre.
STATUTO - Statuto Football Club
E' nota la vicinanza tra la storia degli STATUTO e la passione calcistica.
Dall'amore per la maglia granata del Torino (nel 1998 al videoclip del loro brano “Un Posto al Sole”, partecipò tutta la rosa della squadra, nel 2005 nel video di “Facci un goal” fu ospite Paolo Pulici, nel 2006 l'album "Toro" raccoglieva brani dedicati alla squadra del cuore, tra cui "Cuore Toro", inno ufficiale del Torino), a canzoni a tema calcistico meno specifiche.
Furono i primi nel 1988 a firmare un testo, “Ragazzo ultrà”, che descrive la tematica delle tifoserie organizzate, successivamente con Enrico Ruggeri hanno scritto nel 2010 il brano “Controcalcio”, omaggio al calcio d’altri tempi.
Inoltre oSKAr, è membro della Nazionale Italiana Cantanti dal 2017 con il ruolo di difensore.
Gli otto brani di "Statuto Football Club" alternano canzoni dedicate al calcio come "Notte magiche", "Una vita da mediano", "La leva calcistica del '68" e "La partita di pallone" a strumentali, sigle storiche televisive e radiofoniche di “Tutto il calcio minuto per minuto”, “Novantesimo Minuto”, “Domenica Sprint”,“Domenica Sportiva", come "A taste of honey" di Herb Alpert and Tijuana Brass o "Stadium" di Oscar Prudente con il baritonale coro "Viva viva il goleador".
Le versioni sono ovviamente caratteristiche dello stile degli Statuto tra ska, soul, rocksteady, soul funk, modern latin jazz (vedi "Pancho" di Jack Trobey che fu sigla di "90° minuto").
L'idea è vincente, l'album arrangiato e suonato benissimo oltre che decisamente originale e godibilissimo.
La storia continua.
THE MADS - Time By Time
I milanesi Mads, tra i primissimi in Italia ad abbracciare suoni ed estetica mod vissero poco tempo, dal 1979 al 1984, per incidere qualcosa, pur lasciando un fervido ricordo con travolgenti esibizioni dal vivo. Rinati nel 2012 con l'ottimo "The Orange Plane", bissano ora con il secondo splendido album, in cui converge tutto il meglio del mod sound, dai Jam, ai Chords, power pop, soul, ska, una splenmdida cover degli Action "Never Ever". Abbiamo dovuto aspettare tanto tempo ma l'attesa è stata felicemente ripagata da una band nel pieno dell'espressività e maturità artistica. Disco eccellente.
SHARP CLASS - Welcome To The Matinee Show (Of The End Of The World)
E' sempre più raro trovare una band che si definisca chiaramente Mod, tanto più se è di giovane età.
Gli Sharp Class firmano il secondo album e ci riportano nel più classico mondo dei primi Jam, quelli più aggressivi e scarni.
Le canzoni sono fatte molto bene, l'energia non manca di certo, il sound è quello giusto.
Revivalismo?
Può darsi.
Personalmente lo trovo un disco freschissimo, pulsante, elettrico, nervoso, semplicemente bello da ascoltare per gli amanti di certe cose.
Si astengano gli altri.
PAUL WELLER - Supplement 66
Nuovo ep con 4 inediti di grande classe, di stampo folk jazz che riporta immediatamente agli Style Council, in particolare in "That's What She Said" e "Change What You Can" con un ottimo lavoro della sezione fiati. Un pizzico di funk soul per "Earth In Your Feet", puro folk acustico dalle tinte jazzy nella conclusiva "So Quietly" con la voce della cantautrice Kathryn Williams. Ulteriori ospiti Max Beesley al vibrafono, Danny Thompson al contrabbasso e Steve Brookes alla chitarra.
Disco molto piacevole, autunnale, rilassato, che nella sua concisione trova il tratto più apprezzabile.
THE WINSTONS - Third
L'aspetto prevalente del mondo Winstons è il gusto continuo per il cambiamento, la sorpresa, la capacità di spaziare in mezzo a suoni di ogni tipo che possono essere facilmente collegabili a "generi" e ambiti sonori precisi, da cui però il trio rifugge subito, contestualizzandoli ad altri profili artistici.
Il terzo album della felice carriera cammina su sentieri riconducibili al primo prog a cavallo dei Sessanta e Settanta, ancora profondamente contaminato dalla psichedelia e da echi Beatlesiani. Ma in mezzo c'è un altro universo di riferimenti e influenze (dalla musica classica al rock, sperimentazione e pop) che rendono il loro sound immediatamente riconoscibile. Band di altissimo spessore internazionale, splendidi musicisti, compositori unici ed eccelsi.
AMYL AND THE SNIFFERS - Cartoon Darkness
Terzo capitolo per Amy Taylor e soci, formula consolidata di punk rock e hard tipicamente australiano (Ac/Dc e Rose Tattoo su tutti). E' sempre un buon sentire, divertente e coinvolgente. I testi si fanno socio politici tra cambiamento climatico e attivismo digitale.
SEUN KUTI & EGYPT 80 - Heavier Yet (Lays The Crownless Head)
Il figlio più giovane di Fela Kuti ne ha raccolto l'eredità musicale e sociale, portando avanti il progetto Egypt 80.
Al quinto album approda alla nostra Record Kicks con sei brani di afrobeat, soul, funk.
Prodotto da Lenny Kravitz, con ospiti del calibro di Damian Marley e Sampa The Great, sfodera un album di grandissima potenza emotiva e comunicativa, con testi che invitano al cambiamento sociale e all'emancipazione della sua gente. Sound perfetto, ritmi contagiosi, canzoni eccellenti.
EZRA COLLECTIVE - Dance, No One’s Watching
Il terzo album di una delle band di spicco della scena del nuovo British Jazz ne conferma le qualità esecutive e compositive, oltre all'innata propensione alla contaminazione e sperimentazione. A una concezione moderna di jazz si uniscono fusion, afrobeat, highlife, soul, funk, dub e tanto altro. La formula é stimolante e intrigante anche se incomincia a mostrare la corda, diventando nella sua (passata) innovazione ormai prevedibile.
KOKO-JEAN AND THE TONICS - Love Child
L'ex funambolica voce degli Excitements firma il secondo album con i suoi Tonics ed è l'esplosione di un grande soul e rhythm & blues party a base della gustosa pietanza che ben conosciamo.
Novella Tina Turner dei 60's inanella il classico e prevedibile repertorio tra ritmi infuocati e languide ballate.
Certo, non rivoluzionerà la storia della musica ma se quello che chiedete a un disco è divertimento, sudore, ritmo, intensità, non rimarrete insoddisfatti.
MYLES SANKO - Let It Unfold
Il cantante e musicista inglese è una garanzia di qualità.
Il nuovo lavoro ce lo conferma alle prese con un mix di soul, funk, retaggi afro, marcate influenze jazz, qualche cenno di hip hop.
Produzione eccelsa, Curtis Mayfield spesso in agguato.
Album di grande pregio, ricchissimo di groove e canzoni eccellenti.
THEE SACRED SOULS - Got A Story To Tell
Al secondo album la band di San Diego ribadisce l'amore per il vintage soul anni Sessanta, sia nei suoni che nella composizione.
I ritmi sono costantemente bassi, mellow, soft, bluesy, con un uso elegante di archi e fiati, tra Percy Sledge e il Marvin Gaye più dolciastro.
Per gli amanti di questo mood, un ascolto perfetto.
LEON BRIDGES - Leon
All'eleganza del pluri premiato soul man texano siamo abituati e il nuovo album ne è una felice conferma.
Tredici brani di soul melodico, caldo, raramente up tempo ("Panther City" è una bellissima eccezione), con tinte gospel blues e jazz.
Alla lunga i toni sono ripetitivi e il lavoro perde mordente ma l'ascolto rimane gradevole.
MT JONES - s/t
Ep d'esordio autoprodotto per il cantante inglese. Quattro ottimi brani mid-tempo intrisi di care buone vecchie influenze soul 60/70. Ottima voce e interpretazione di gran gusto. Da tenere d'occhio.
BOOM YEH - Near-Earth Objects
La band londinese arriva dal giro Jamiroquai, Brand New Heavies, Incognito e si cala in un gustoso e classico mix di soul, funk e jazz in chiave strumentale. Tanto ritmo e groove, una discreta dose di fusion e brani costruiti con classe, raffinatezza e tanta voglia e piacere di suonarli.
GALLIANO - Halfway somewhere
Dopo 30 anni di silenzio tornano i grandi esponenti della scena Acid Jazz inglese con un album di un'ora e 19 brani in cui convergono le loro classiche sonorità, soul, funk, hip hop, elettronica, dance, fusion, jazz. Un signor album, moderno, vario, ricchissimo di spunti e influenze, compositivamente di altissimo livello, con arrangiamenti e suoni perfetti.
LES HOMMES - Si, così
Tornano dopo sette anni di silenzio con undici brani lounge jazz dal consueto forte sapore cinematografico, un po' di elettronica distribuita con parsimonia e precisione, il consueto groove soft funk a condire la ritmica. Perfetto sottofondo per un cocktail.
FACES - At the BBC
Una delle band più particolari nella storia del rock, misto di blues, glam, rock 'n' roll, "black", folk inglese, country.
Ascoltare i Facesè semplicemente rilassante, corroborante, un piccolo lusso che ci si permette ogni tanto, prima di tornare alle "cose serie".
Lo conferma questo box che raccoglie tutte le esibizioni live alla BBC, le Peel Sessions etc. tra il 1970 e il 1973.
Quasi un centinaio di brani in otto CD (e un 150 euro più o meno di spesa) con tanto di libretto di 48 pagine.
Sgangherati al punto giusto ma musicisti pazzeschi, con la voce di Rod Stewart al top.
STEVE CROPPER -. Friendlytown
Steve Cropper sta per compiere 83 anni.
Ha composto "(Sittin on the) Dock of the bay", "In the midnight hour", "Knock on wood", è stato il chitarrista degli imperatori del groove, Booker T. and the Mg's, ha inciso non si sa quanti dischi per gli artisti della Stax Records, suonato con i Blues Brothers (partecipando anche al film), con Ringo e John, Jeff Beck, Neil Young, Elton John etc etc.
Il suo nuovo album è un energico mix di rock blues, rhythm and blues, soul rock, con l'aiuto di un po' di amici, da Steve Gibbons degli ZZ Top a Brian May a Roger C. Reale.
Non entrerà nella storia ma è un piacere ascoltarlo.
MC5 - Heavy Lifting
Un po'imbarazzante vedere accostato quel nome immortale a un disco super pompato di hard rock tamarro (con tanto di Tom Morello, Slash e Vernon Reid a impestare di assoli). Della mitica band c'è il solo Wayne Kramer e in un paio di brani Dennis Thompson (pace all'anima loro). Distruggono anche la bellissima "Twenty Five Miles" di Edwyn Starr.
Sacrilego tutto.
MOTORPSYCHO - Neigh!!
Siamo ormai a una trentina di album (esclusi live, compilation, singoli, collaborazioni etc) e non sempre è tutto perfettamente a fuoco. Il nuovo lavoro soffre di luci e ombre e alla fine passa senza colpo ferire, pur essendo sempre di buon livello.
KARATE - Make It Fit
Torna dopo 20 anni di silenzio la band di Geoff Farina, passata musicalmente tra post rock, sperimentazione, slow core, post punk. Il nuovo album sorprende spesso con una serie di brani punk rock 77, tra Clash, Jam, Boys, a cui affiancano momenti più jazz core e altri episodi più affini alla consuetudine (se così si può dire) a cui ci avevano abituati.
OKMONIKIS - Party fever
La band di Tucson non va praticamente mai oltre i due minuti per ognuno dei nove brani. Puro e semplice garage beat punk, tirato e nervoso. Bravi!
GOPHER & THE DEADLOCKS - Tropical riot
Spettacolare album che accosta con disinvoltura brani reggae (vedi la splendida "Cenere" in coppia con Neffa) e dub a furiosi punk rock, spesso sconfinanti nell'hardcore, una cover punk di "Concrete Jungle" degli Specials, non disdegnando intermezzi hip hop. Un mix intrigante ed eccitante di Clash, Rancid, Beastie Boys, Ruts, 2Tone Records. Il tutto eseguito (e composto) con un'energia travolgente e uno spirito rivoltoso e combattivo. Notevole.
https://gdeadlox.bandcamp.com/album/tropical-rio
CARNIVAL OF FOOLS – Complete discography 1989-1993
Una delle band più rappresentative della scena underground italiana a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, con una discografia mai ristampata nella sua completezza, trova ora il dovuto riconoscimento in due CD che includono i due album Religious Folk e Towards the Lighted Town, i singoli, brani sparsi su compilation e due live. Trentuno canzoni intrise di blues, punk, violenza, sofferenza, intimismo, “malattia”. Era il mondo del gruppo di Mauro Ermanno Giovanardi che dopo lo scioglimento, nel 1994, intraprese altre strade, sia soliste che con l’originalissima e unica avventura dei La Crus. Un capitolo essenziale per conoscere la scena italiana di quegli anni.
CUT - Annihilation Road
La Go Down Records ristampa (in vinile, da lungo tempo irreperibile) il quinto album della band bolognese pubblicato nel 2010, registrato a New York e prodotto da Matt Verta-Ray (già al lavoro con Ronnie Spector, Oblivians, Dirtbombs, Jon Spencer Blues Explosion). Il marchio di fabbrica è da tempo già definito e inciso a fuoco sulla carne dei loro adepti: garage, punk, rock 'n' roll, rhythm and blues malatissimo, elettricità, nervosismo quasi nevrotico, violenza sonora. Uno dei tanti gioielli dei Cut da riscoprire.
MASTICA - (12) Treize cigarettes
In occasione del ventennale della prima pubblicazione, rivive in vinile l'eccellente album della band veneta, ristampato e rimasterizzato da Go Down Record. Splendida miscela di hard rock, rock blues, garage punk, proto prog, psichedelia, cantata in italiano, suonata a livelli di pura eccellenza e suoni perfettamente confacenti alle origini del sound.
COSMIC ROOM 99 - s/t
La band trevigiana, attiva da un paio di anni, firma un ottimo esordio a base di una miscela sonora dai retaggi "antichi" e nobili: dai Velvet Underground alle sognanti e psichedeliche visioni di Syd Barrett, fino alle più recenti esperienze di Jesus and Mary Chain, della scena shoegaze (Swervedriver in particolare, senza trascurare le melodie alla Teenage Fanclub) e un gusto new wave a corredare il tutto. Ottimi i suoni, gli arrangiamenti e la produzione, molto azzeccate le composizioni. Un piccolo gioiello, dal respiro internazionale.
RIP OFF – 1982…non voglio polizia
I bolognesi Rip Off sono stati tra i primi interpreti di un violento e rauco Oi! Street Punk nei primi anni Ottanta. Incisero una cassetta insieme ai mitici Nabat (massimi interpreti di quell’ambito) uscita nel marzo 1982. L’anno successivo pubblicarono un’ulteriore cassetta. HellNation ristampa su vinile formato LP, in tiratura limitata, le canzoni della prima tape, con allegato un libretto di quattro pagine con interviste, foto, testi, ritagli, fanzine. I sei brani sono una cruda testimonianza di quell’epoca pionieristica, con tutte le ingenuità ma soprattutto la spontaneità, irruenza e urgenza di una giovanisisma band, mantenendo l’immediatezza dell’approccio e dell’attitudine. Un recupero più che benvenuto per i cultori di un certo suono.
ASCOLTATO ANCHE:
SOUL ASYLUM (per chi ama il "rock robusto" tipicamente americano, questo è un buon album), LINDA LINDAS (pop punk rock molto carino ma di consistenza altrettanto scarsa), ASHLEY HENRY (soul jazz raffinato di alto livello), DINNER PARTY (jazz, hip hop, nu soul, funk. Un mix molto sofisticato), MAXIMO PARK (pop rock piuttsoto anonimo e incolore), OFFSPRING (fatto benissimo, ovviamente, prevedibilissomo, altrettanto ovviamente, pop hardcore senza anima)
LETTO
Ron Bailey - Squatter. La vera storia degli occupanti di case di Londra
La Camera ha approvato gli emendamenti al DDL Sicurezza, con l’introduzione di una nuova fattispecie di reato nel Codice Penale per chi occupa abusivamente case private.
L’articolo 634-bis andrà infatti a punire chi si macchia di occupazione abusiva di un immobile destinato al domicilio altrui, prevedendo dai 2 ai 7 anni di reclusione.
Ultimo tassello di una sempre più feroce guerra contro i poveri e i deboli (immigrati in particolare ma italiani soprattutto)di cui questo governo è il portabandiera.
Interessante andarsi a leggere il libro "Squatter" di Ron Bailey che racconta le lotte di chi aveva perso la casa, nell'Inghilterra di fine anni Sessanta che non era solo Beatles, psichedelia e minigonne ma celava una realtà aspra in cui i " ricchi avevano improvvisamente investito nell’edilizia, demolendo i quartieri storici e scacciando dalle abitazioni migliaia di famiglie operaie, pensionati, giovani coppie e immigrati giamaicani di prima generazione."
Le lotte per le occupazioni di case sfitte e inutilizzate furono terribili, con scontri, dolore, repressione ma anche con tante vittorie.
Ron Bailey, coordinatore della London Squatters’ Campaign rivive quei periodi con una prosa cruda ma anche spesso divertente e (auto) ironica.
"L'azione di massa da parte della gente comune (i milioni che soffrono per la carenza di case) non era solo una tattica rivoluzionaria che peroravo ma il solo modo per queste persone di sperare di avere abitazioni decenti".
"I membri del gruppo di squatter cambiavano di continuo. Da un certo punto di vista era positivo, dall'altro una continua fonte di difficoltà. Era positivo perché evitava che si formasse una elite che si autoperpetuasse. Era fonte di difficoltà perché, nel caso in oggetto, la discrezione e la segretezza erano fondamentali e più persone nuove apparivano sulla scena più il problema della sicurezza si aggravava".
Include anche:
2 interviste a Ken Loach sulla necessità delle occupazioni oggi;
“Lotta Continua” e Lea Melandri: Milano 1971. L’occupazione di via Tibaldi;
Roma 2001-2016: Action per le occupazioni
Alessandro Gandino - Il bancone è oggettivo. Storie inutili da bar
Per chi vive o ha vissuto la provincia, le storie da bar sono una componente essenziale della quotidianità.
Purtroppo la triste stagione dei social ha deviato altrove l'inventiva spontanea, grezza, crudele, in cui il cosiddetto politically correct non ha mai avuto casa, sostituendola con la malsana fantasia e le ossessioni del web.
I banconi del bar hanno sono stati testimoni di milioni di questi racconti.
Come dice l'autore: raccogliere questi racconti, se sai riconoscere la lingua dei banconi, è fondamentale.
Aggiunge: tutte le storie sono frutto di fantasia. O forse no. Ma è così importante?
No, non è importante perché è molto facile riconoscersi in questi racconti, molto "emiliani" (ma non solo).
Ognuno dei quali con un titolo di una canzone ben identificativa del contenuto.
Alcuni agghiaccianti ("All you fascists" Billy Bragg/Wilco non mi ha fatto dormire la notte), altri molto divertenti, altri ancora malinconici e commoventi, tutti decisamente realisti.
La scrittura è ironica, "ruspante" e schietta, esattamente come un racconto da bancone da bar.
VISTO
Nel nostro cielo un rombo di tuono di Riccardo Milani
Un racconto commovente e appassionato, dall'infanzia drammatica alla vecchiaia solitaria, della roboante carriera di GIGI RIVA, che riuscì ad andare oltre la figura del calciatore, diventando simbolo (eterno) e riscatto sociale per la "sua" Sardegna, grazie allo scudetto del Cagliari del 1969/70.
Una carriera sfortunata, funestata da tre terribili incidenti di gioco, l'ultimo dei quali, nel febbraio del 1976, sancì l'addio al calcio giocato.
Oltre due ore di filmati, interviste, ricostruzioni, intermezzi, testimonianze (forse eccessive e talvolta troppo enfatiche) a descrivere un personaggio anomalo e unico nelle abituali modalità del mondo calcistico.
Gigi Riva realizzò 156 gol in 289 presenze in Serie e 35 reti in 42 gare disputate con la maglia azzurra (media realizzativa di 0,83 gol per partita), restando tutt'ora il capocannoniere della Nazionale.
Il tratto dominante del docu film è la costante vena malinconica che ha permeato la sua vita, il suo sguardo, la storia recente della Sardegna, costantemente sfruttata e dimenticata.
Un documento esaustivo sul calciatore più affascinante della storia sportiva italiana.
La ragazza del punk innamorato (How to Talk to Girls at Parties) di John Cameron Mitchell
Uno dei film più bizzarri che abbia mai visto, a metà tra un viaggio super psichedelico/techno/punk, un'opera musical rock anni 70 e una fesseria incomprensibile, con punk nel 1977 (finalmente non caricaturizzati ma più che realisti), alieni, viaggi lisergici.
Ma alla fine davvero divertente, ironico, originale, particolare.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Sabato 2 novembre
Reggio Emilia - Spazio Gerra via XXV Aprile
Modero la presentazione di "Miss Black America" di Carlo Babando, ore 19
Sabato 17 novembre
Firenze
Circolo Culturale Il Girone via Aretina 24, Girone Fiesole - Firenze
Presentazione del libro "Quadrophenia" (edito da Interno4 Edizioni)
Sabato 23 novembre
Modena
Kanalino Settantotto, via Canalino 78.
Modero la presentazione del libro "Too Much Too Young" di Daniel Rachel.
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Il meglio del mese
martedì, ottobre 29, 2024
Alessandro Gandino - Il bancone è oggettivo. Storie inutili da bar
Per chi vive o ha vissuto la provincia, le storie da bar sono una componente essenziale della quotidianità.
Purtroppo la triste stagione dei social ha deviato altrove l'inventiva spontanea, grezza, crudele, in cui il cosiddetto politically correct non ha mai avuto casa, sostituendola con la malsana fantasia e le ossessioni del web.
I banconi del bar hanno sono stati testimoni di milioni di questi racconti.
Come dice l'autore: raccogliere questi racconti, se sai riconoscere la lingua dei banconi, è fondamentale.
Aggiunge: tutte le storie sono frutto di fantasia. O forse no. Ma è così importante?
No, non è importante perché è molto facile riconoscersi in questi racconti, molto "emiliani" (ma non solo).
Ognuno dei quali con un titolo di una canzone ben identificativa del contenuto.
Alcuni agghiaccianti ("All you fascists" Billy Bragg/Wilco non mi ha fatto dormire la notte), altri molto divertenti, altri ancora malinconici e commoventi, tutti decisamente realisti.
La scrittura è ironica, "ruspante" e schietta, esattamente come un racconto da bancone da bar.
Alessandro Gandino
Il bancone è oggettivo. Storie inutili da bar
Autoprodotto
114 pagine
euro 10.40
https://www.facebook.com/alessandro.gandino
Purtroppo la triste stagione dei social ha deviato altrove l'inventiva spontanea, grezza, crudele, in cui il cosiddetto politically correct non ha mai avuto casa, sostituendola con la malsana fantasia e le ossessioni del web.
I banconi del bar hanno sono stati testimoni di milioni di questi racconti.
Come dice l'autore: raccogliere questi racconti, se sai riconoscere la lingua dei banconi, è fondamentale.
Aggiunge: tutte le storie sono frutto di fantasia. O forse no. Ma è così importante?
No, non è importante perché è molto facile riconoscersi in questi racconti, molto "emiliani" (ma non solo).
Ognuno dei quali con un titolo di una canzone ben identificativa del contenuto.
Alcuni agghiaccianti ("All you fascists" Billy Bragg/Wilco non mi ha fatto dormire la notte), altri molto divertenti, altri ancora malinconici e commoventi, tutti decisamente realisti.
La scrittura è ironica, "ruspante" e schietta, esattamente come un racconto da bancone da bar.
Alessandro Gandino
Il bancone è oggettivo. Storie inutili da bar
Autoprodotto
114 pagine
euro 10.40
https://www.facebook.com/alessandro.gandino
lunedì, ottobre 28, 2024
The Untouchables
La recente scomparsa dell'unico membro originale rimasto nella band, il cantante Jerry Miller, ha riportato i riflettori sugli UNTOUCHABLES, band californiana molto amata dalla scena mod locale.
Erroneamente sempre inserita nella scena ska quando in realtà all'ambito dedicarono solo pochi brani (inizialmente a parte), spaziando invece tra soul, funk, reggae, pop e addirittura rap.
Ottennero un discreto successo con "Free Yourself" e la cover di "I spy for the FBI" di Jamo Thomas nel 1985, contenuti nel primo album "Wild Thing" dello stesso anno.
Tornarono nelle retrovie successivamente, incidendo altri tre album e continuando l'attività live (fino ai nostri giorni), cambiando circa 40 membri della band. Wild Child (1985)
Tanto soul, tra la title track, "Free Yourself" e "I spy for the FBI" ma anche il sorprendente rap funk di "Freak in the streets", il reggae di "What's gone wrong" e "Lasershow", il disco funk di "Piece of your love" e "Soul together", lo ska di "Mandingo", il pop rock di "Lovers again", il garage beat della conclusiva "City Gent".
Un album estremamente composito, dalle mille influenze, lontano da facili etichette.
Molto americano.
Agent 00 Soul (1988)
Tre anni dopo il precedente lavoro, la band si sposta verso atmosfere più fruibili, funk, easy soul, quasi disco in certi momenti.
Nella versione di "Under the boardwalk" dei Drifters vanno invece di un irresistibile groove ska mentre nella successiva "Cold city" il ritmo in levare è tinto di soul.
"Shama Lama" è swing soul.
Parentesi finale puramente reggae in "Sudden attack" e "Education". A decade of dance Live (1990)
del concerto Ottimo live con il meglio della loro discografia.
Suonano da paura, precisi, diretti, eleganti.
Gran finale con "Steppin' stone" dei Monkees. Greatest & Latest: Ghetto Stout (2000)
Album pregevole in cui una delle tante line up della band riprende vecchie canzoni, riarrangiate con classe e raffinatezza.
Aggiunge tre nuove composizioni, privilegiando il mondo ska e reggae.
Non mancano funk e momenti più rock ma il groove prevalente è quello in levare e colorato in "black".
Sarà ristampato con il titolo "Free Yourself - Ska Hits".
Erroneamente sempre inserita nella scena ska quando in realtà all'ambito dedicarono solo pochi brani (inizialmente a parte), spaziando invece tra soul, funk, reggae, pop e addirittura rap.
Ottennero un discreto successo con "Free Yourself" e la cover di "I spy for the FBI" di Jamo Thomas nel 1985, contenuti nel primo album "Wild Thing" dello stesso anno.
Tornarono nelle retrovie successivamente, incidendo altri tre album e continuando l'attività live (fino ai nostri giorni), cambiando circa 40 membri della band. Wild Child (1985)
Tanto soul, tra la title track, "Free Yourself" e "I spy for the FBI" ma anche il sorprendente rap funk di "Freak in the streets", il reggae di "What's gone wrong" e "Lasershow", il disco funk di "Piece of your love" e "Soul together", lo ska di "Mandingo", il pop rock di "Lovers again", il garage beat della conclusiva "City Gent".
Un album estremamente composito, dalle mille influenze, lontano da facili etichette.
Molto americano.
Agent 00 Soul (1988)
Tre anni dopo il precedente lavoro, la band si sposta verso atmosfere più fruibili, funk, easy soul, quasi disco in certi momenti.
Nella versione di "Under the boardwalk" dei Drifters vanno invece di un irresistibile groove ska mentre nella successiva "Cold city" il ritmo in levare è tinto di soul.
"Shama Lama" è swing soul.
Parentesi finale puramente reggae in "Sudden attack" e "Education". A decade of dance Live (1990)
del concerto Ottimo live con il meglio della loro discografia.
Suonano da paura, precisi, diretti, eleganti.
Gran finale con "Steppin' stone" dei Monkees. Greatest & Latest: Ghetto Stout (2000)
Album pregevole in cui una delle tante line up della band riprende vecchie canzoni, riarrangiate con classe e raffinatezza.
Aggiunge tre nuove composizioni, privilegiando il mondo ska e reggae.
Non mancano funk e momenti più rock ma il groove prevalente è quello in levare e colorato in "black".
Sarà ristampato con il titolo "Free Yourself - Ska Hits".
Etichette:
Get Back
venerdì, ottobre 25, 2024
Jean Jacques Burnel - Euroman Cometh
Esordio solista (aprile 1979) del bassista degli Stranglers , registrato nelle pause delle session di registrazione del loro terzo lavoro "Black And White".
"Euroman cometh" è un album molto trascurato e non di rado stroncato.
Burnel lavora su ritmiche elettroniche, mutuate dall'amore per i Kraftwerk e i Can e atmosfere ipnotiche e ripetitive, groove alla Moroder, su cui ovviamente il suo basso (non così imperioso come nella band madre) è protagonista.
Fa eccezione la versione punk di "Pretty face" dei Beat Merchants ("L'ho fatta perché mi piaeva il pezzo ma non c'entra niente con l'album").
Talvolta è evidente il tratto un po' approssimativo, minimale ed elementare a livello compositivo ma nel suo complesso è un disco così anomalo, personale e originale da meritare ascolto e apprezzamento.
In particolare un brano come "Do the European" poteva avere chances di successo.
Ad aiutarlo Peter Howells dei Drones, Brian James dei Damned (guitar), Lew Lewis e Carey Fortune dei Chelsea.
L'album è un concept sull'Europa Unita vista in un'ottica un po' confusa ma che prelude a tematiche che di lì a poco diventeranno attuali.
All'interno della copertina la scritta:
"Un' Europa intrisa di valori americani e sovversione sovietica è una vecchia prostituta adulatrice e malata: un' Europa forte, unita e indipendente è figlia del futuro".
"È stato un esperimento e un modo per passare il tempo di notte (in quel periodo Jean Jacques non aveva casa e approfittava dello studio per dormire e lavorare al suo progetto). Era anche un po' un manifesto.
Ero un grande fan del concetto di un'Europa unita. Penso ancora che sia una delle grandi idee dei nostri tempi, ma sono diffidente nei confronti della burocrazia e dei suoi elementi negativi, ma come concetto puro è un grande concetto". (2015)
Do the European
https://www.youtube.com/watch?v=Va3D0SfX47k
Nel 2008 facemmo una cover di "Pretty Face" con Lilith and the Sinnersaints nell'album "The Black Lady And The Sinner Saints (The Crusade Of The Lost Souls)".
Le altre puntate de I (dischi) sottovalutati qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Sottovalutati
"Euroman cometh" è un album molto trascurato e non di rado stroncato.
Burnel lavora su ritmiche elettroniche, mutuate dall'amore per i Kraftwerk e i Can e atmosfere ipnotiche e ripetitive, groove alla Moroder, su cui ovviamente il suo basso (non così imperioso come nella band madre) è protagonista.
Fa eccezione la versione punk di "Pretty face" dei Beat Merchants ("L'ho fatta perché mi piaeva il pezzo ma non c'entra niente con l'album").
Talvolta è evidente il tratto un po' approssimativo, minimale ed elementare a livello compositivo ma nel suo complesso è un disco così anomalo, personale e originale da meritare ascolto e apprezzamento.
In particolare un brano come "Do the European" poteva avere chances di successo.
Ad aiutarlo Peter Howells dei Drones, Brian James dei Damned (guitar), Lew Lewis e Carey Fortune dei Chelsea.
L'album è un concept sull'Europa Unita vista in un'ottica un po' confusa ma che prelude a tematiche che di lì a poco diventeranno attuali.
All'interno della copertina la scritta:
"Un' Europa intrisa di valori americani e sovversione sovietica è una vecchia prostituta adulatrice e malata: un' Europa forte, unita e indipendente è figlia del futuro".
"È stato un esperimento e un modo per passare il tempo di notte (in quel periodo Jean Jacques non aveva casa e approfittava dello studio per dormire e lavorare al suo progetto). Era anche un po' un manifesto.
Ero un grande fan del concetto di un'Europa unita. Penso ancora che sia una delle grandi idee dei nostri tempi, ma sono diffidente nei confronti della burocrazia e dei suoi elementi negativi, ma come concetto puro è un grande concetto". (2015)
Do the European
https://www.youtube.com/watch?v=Va3D0SfX47k
Nel 2008 facemmo una cover di "Pretty Face" con Lilith and the Sinnersaints nell'album "The Black Lady And The Sinner Saints (The Crusade Of The Lost Souls)".
Le altre puntate de I (dischi) sottovalutati qui:
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giovedì, ottobre 24, 2024
Nel nostro cielo un rombo di tuono di Riccardo Milani
Un racconto commovente e appassionato, dall'infanzia drammatica alla vecchiaia solitaria, della roboante carriera di GIGI RIVA, che riuscì ad andare oltre la figura del calciatore, diventando simbolo (eterno) e riscatto sociale per la "sua" Sardegna, grazie allo scudetto del Cagliari del 1969/70.
Una carriera sfortunata, funestata da tre terribili incidenti di gioco, l'ultimo dei quali, nel febbraio del 1976, sancì l'addio al calcio giocato.
Oltre due ore di filmati, interviste, ricostruzioni, intermezzi, testimonianze (forse eccessive e talvolta troppo enfatiche) a descrivere un personaggio anomalo e unico nelle abituali modalità del mondo calcistico.
Gigi Riva realizzò 156 gol in 289 presenze in Serie e 35 reti in 42 gare disputate con la maglia azzurra (media realizzativa di 0,83 gol per partita), restando tutt'ora il capocannoniere della Nazionale.
Il tratto dominante del docu film è la costante vena malinconica che ha permeato la sua vita, il suo sguardo, la storia recente della Sardegna, costantemente sfruttata e dimenticata.
Un documento esaustivo sul calciatore più affascinante della storia sportiva italiana.
Disponibile su Netflix.
Una carriera sfortunata, funestata da tre terribili incidenti di gioco, l'ultimo dei quali, nel febbraio del 1976, sancì l'addio al calcio giocato.
Oltre due ore di filmati, interviste, ricostruzioni, intermezzi, testimonianze (forse eccessive e talvolta troppo enfatiche) a descrivere un personaggio anomalo e unico nelle abituali modalità del mondo calcistico.
Gigi Riva realizzò 156 gol in 289 presenze in Serie e 35 reti in 42 gare disputate con la maglia azzurra (media realizzativa di 0,83 gol per partita), restando tutt'ora il capocannoniere della Nazionale.
Il tratto dominante del docu film è la costante vena malinconica che ha permeato la sua vita, il suo sguardo, la storia recente della Sardegna, costantemente sfruttata e dimenticata.
Un documento esaustivo sul calciatore più affascinante della storia sportiva italiana.
Disponibile su Netflix.
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