Tratto dall'ultimo album dei POLICE, "Synchronicity", pubblicato come singolo nel maggio del 1983, vendette milioni di copie raggiungendo il primo posto in un gran numero di nazioni.
Composto da Sting (anche se ci fu una lunga diatriba con Andy Summers sui diritti d'autore che, nonostante la parte di chitarra, molto caratteristica, fosse farina del suo sacco, non ricevette nessuna quota), pare sia il brano che gli abbia reso, da solo, un terzo di tutti i diritti d'autore della sua carriera.
Il tutto fu completato da una tensione sempre più alta e aspra tra Copeland e Sting in studio che sembrò, a un certo punto, distruggere la band durante le registrazioni.
Il primo incise la batteria pezzo per pezzo in più sessioni.
La particolarità del brano è che è sempre stato prevalentemente considerato una dolce ballata d'amore, quando invece nasconde (nemmeno tanto) una visione minacciosa e sinistra di uno stalker che vuole controllare tutto, perfino il respiro della persona a cui fa riferimento ma che configura, come ha ammesso Sting, anche il concetto più ampio da "Grande Fratello" che sorveglia ogni mossa.
https://www.youtube.com/watch?v=OMOGaugKpzs
Every Breath You Take
Every breath you take
And every move you make
Every bond you break, every step you take
I'll be watchin' you
Every single day
And every word you say
Every game you play, every night you stay
I'll be watchin' you
Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
And every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watchin' you
Since you've gone I've been lost without a trace
I dream at night, I can only see your face
I look around but it's you I can't replace
I feel so cold and I long for your embrace
I keep cryin', "Baby, baby, please"
Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
And every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watchin' you
Every move you make, every step you take
I'll be watchin' you
I'll be watchin' you
Every breath you take, every move you make
Every bond you break (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every move you make, every vow you break
Every smile you fake (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every breath you take, every move you make
Every bond you break (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every move you make, every vow you break
Every smile you fake (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
venerdì, luglio 18, 2025
giovedì, luglio 17, 2025
La lunga estate degli anni Sessanta

Da un vecchio numero della rivista "Musica 80" (primissimi anni Ottanta) un interessante scritto di EDOARDO VIANELLO (si ! Quello de "I Watussi" e "Abbronzatissima"...) con una visione del periodo da chi operava in un contesto commerciale, leggero e lontano, almeno artisticamente, dalle "rivoluzioni" in atto.
La lunga estate degli anni 60.
Con questo slogan una nota casa discografica italiana ha riproposto recentemente i vecchi successi italiani degli anni 60 che costituiscono ancora oggi il momento più magico e più prolifico della canzone italiana moderna.
Gli anni 60 sono stati gli anni dei cantautori italiani che dopo la dittatura dei regimi "monarchici” dei Claudio Villa e delle Nilla Pizzi, comunque mai andati in esilio o sommariamente giustiziati come si addice ai veri monarchi dopo una rivoluzione, hanno preso il potere, amministrandolo saggiamente, nonostante le mode, le evoluzioni, la disco-music e il rock, al punto che oggi potrebbero indire libere elezioni e contare ancora in una schiacciante vittoria.
Analizziamo il motivo per cui la canzone italiana, marcata anni 60, oggi sta interessando anche le nuove generazioni.
In ogni forma d’arte (perdonatemi se intendo accostare la canzone alle espressioni artistiche ma considero arte tutto ciò che arriva ad una grande massa) ci sono dei caposcuola ai quali si rifanno dei gruppi, nei quali, a loro volta, ognuno trova poi una propria strada ed una propria personalità.
Il nostro caposcuola è stato Domenico Modugno che, alla fine degli anni 50, presentandosi sul palco di SanRemo con una canzone così straordinariamente diversa dagli schemi stantii del bel canto italico, riusciva in soli tre minuti, con quella sua grinta, con quel suo entusiasmo, con quella sua “zazzera” che, all’epoca, fece accapponare la pelle ai nostri genitori, a dare l’avvio alla grande rivoluzione della canzone italiana.
Senza dubbio a Modugno dobbiamo il fatto che possano essere nati i cantautori, autori di canzoni che non si sarebbero mai azzardati a cantarsele da soli se non fosse avventura questa rottura: il così detto bel canto lasciava il posto all’interpretazione.
Infatti il cantautore è soprattutto un interprete che riesce a coinvolgersi senza preoccuparsi se l’intonazione, la limpidezza della voce, la modulazione delle note siano perfette.
E allora hanno potuto cantare tutti, tutti coloro i quali avevamo la necessità di dire delle cose.
E sono arrivati Umberto Bindi, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Bruno Lauzi che con poca voce, ma con tanta personalità, sono riusciti ad imporre il loro stile e i loro brani.
Il movimento si è poi arricchito di interpreti straordinari che hanno incominciato ad apprezzare la canzone d’autore come Mina, Ornella Vanoni e di altri interpreti anch’essi a volte autori che in epoche precedenti non avrebbero certamente fatto centro.
Anch’io nasco nello stesso periodo benchè il mio repertorio si discosti nettamente dalle canzoni un po’ impegnate dei primi cantautori.
Ma il mio inserimento avviene a colpi di successi discografici. Divento il cantante dell’estate per antonomasia, proprio perché d’estate riesco a piazzare uno o più successi: “Il capello” nel 61, “I Watussi” e “Abbronzantissima” nel 63, “Guarda come dondolo” e “Pinna fucile ed occhiali” nel 62, “O mio signore” e “Tremarella” nel 64, “Da molto lontano” e “Il peperone” nel 65, scrivendo anche per la Pavone “La partita di pallone” che la porterà al successo nel 63.
Ma ricordo che a quei tempi ero guardato un po’ male dai colleghi che mi consideravano la pecora nera di questo “rinascimento “ per il contenuto spensierato delle mie canzoni.
Infatti solo col passare degli anni il mio repertorio ha preso consistenza, rimanendo il simbolo delle estati degli anni 60.
Poi la musica è cambiata.
I Beatles sono saliti in cattedra e ci hanno insegnato a scrivere, suonare e a cantare in un altro modo.
In Italia sono spuntati i complessi.
Il gusto del pubblico ha cominciato gradualmente a cambiare: si è evoluto, come ci hanno spiegato i giornali specializzati.
E i cantautori si sono messi da parte, trovando altre strade: nei night Paoli, il teatro Gaber, i Vianella il sottoscritto, il cabaret Lauzi.
L’oblìo gli altri, ma seguendo con attenzione questa evoluzione, che alla fine è diventata talmente esasperata , ai nostri giorni, da risultare incomprensibile ai molti e riservata a quella piccola elite che , per apprezzarla in pieno, deve ricorrere spesso a “stimoli” più o meno pesanti…
Finchè il pubblico, improvvisamente, ha sentito la necessità di riscoprire, per i giovani di conoscere, i testi di Paoli, Tenco, Lauzi, le melodie di Endrigo, di Bindi, la matematica ingenuità delle mie canzoni, la linearità, la semplicità e la poesia della lunga estate degli anni 60.
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Di cosa parliamo quando parliamo di musica
mercoledì, luglio 16, 2025
Ella Fitzgerald - Ella
A fine anni Sessanta molti artisti jazz e soul cercarono di svecchiare la loro immagine accostandosi alle novità musicali in circolazione.
Ella Fitzgerald era una delle migliori voci jazz e gospel in circolazione, aveva passato i 50 anni ma si mise in gioco quando cui affrontò brani rock, rivisitati per la sua voce e il suo stile.
Già "Sunshine Of Your Love" del 1968, registrato live a San Francisco con una band ovviamente super, con il fido Tommy Flanagan (già con Charlie Parker, Miles Davis, Sonny Rollins) al piano e Ed Thigpen dell'Oscar Peterson Trio alla batteria, introduceva due cover, splendide, di "Hey Jude" dei Beatles e nientemeno che "Sunshine Of Your Love" dei Cream.
Ma è con "ELLA" (1969) che allarga il suo amore per il rock con due strepitose interpretazioni di "Get Ready" dei Temptations e "Knock On Wood" di Eddie Floyd a cui affianca l'insolita cover di "Savoy Truffle", brano del "White Album" dei Beatles fimrato da George Harrison, accentuando l'impronta soul dell'originale con una grande sezione fiati, cori femminili in stile gospel da brividi e un taglio jazzato.
Capolavoro.
Più prevedibile "Got To Get You Into My Life" sempre dei Beatles più vicina all'originale ma con un arrangiamento vocale sinuoso swingante godibilissimo.
Molto bella anche la "Yellow man" di Randy Newman.
Su tutto la voce pazzesca di Ella.
Ella Fitzgerald era una delle migliori voci jazz e gospel in circolazione, aveva passato i 50 anni ma si mise in gioco quando cui affrontò brani rock, rivisitati per la sua voce e il suo stile.
Già "Sunshine Of Your Love" del 1968, registrato live a San Francisco con una band ovviamente super, con il fido Tommy Flanagan (già con Charlie Parker, Miles Davis, Sonny Rollins) al piano e Ed Thigpen dell'Oscar Peterson Trio alla batteria, introduceva due cover, splendide, di "Hey Jude" dei Beatles e nientemeno che "Sunshine Of Your Love" dei Cream.
Ma è con "ELLA" (1969) che allarga il suo amore per il rock con due strepitose interpretazioni di "Get Ready" dei Temptations e "Knock On Wood" di Eddie Floyd a cui affianca l'insolita cover di "Savoy Truffle", brano del "White Album" dei Beatles fimrato da George Harrison, accentuando l'impronta soul dell'originale con una grande sezione fiati, cori femminili in stile gospel da brividi e un taglio jazzato.
Capolavoro.
Più prevedibile "Got To Get You Into My Life" sempre dei Beatles più vicina all'originale ma con un arrangiamento vocale sinuoso swingante godibilissimo.
Molto bella anche la "Yellow man" di Randy Newman.
Su tutto la voce pazzesca di Ella.
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Dischi
martedì, luglio 15, 2025
Roberto Calabrò - Eighties Colours. Garage beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta
Originariamente pubblicate nel 2010 in confezione lussuosa e curatissima per Coniglio Editore, le 1.200 copie di "Eighties Colours" andarono velocemente esaurite, anche grazie a una serie di presentazioni ed eventi affollatissimi e di prestigio.
Un libro che parla(va) con dovizia di particolari e stupende foto, dell'esplosione di colori garage/beat/psichedelici nell'Italia di metà anni Ottanta.
Da allora è praticamente irreperibile se non a prezzi sostenuti.
Ben venga dunque la ristampa, seppure in formato più "povero" ed essenziale, con l'aggiunta di un prezioso capitolo che rendiconta ciò che è successo a molti dei gruppi protagonisti nel nuovo secolo, molti dei quali hanno ripreso vita con lo stesso marchio di fabbrica o con nuove iniziative.
E infine la discografia aggiornata.
Per chi ha amato Not Moving, Sick Rose, Party Kidz, Out Of Time, Effervescent Elephants, Avvoltoi, Sciacalli, Ugly Things ma anche Statuto, Four By Art, Peter Sellers & the Hollywood Party, Allison Run, Technicolour Dream etc e non ha in libreria la prima edizione, un acquisto fondamentale e necessario.
Roberto Calabrò
Eighties Colours. Garage beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta
Odoya Edizioni
416 pagine
28 euro
Un libro che parla(va) con dovizia di particolari e stupende foto, dell'esplosione di colori garage/beat/psichedelici nell'Italia di metà anni Ottanta.
Da allora è praticamente irreperibile se non a prezzi sostenuti.
Ben venga dunque la ristampa, seppure in formato più "povero" ed essenziale, con l'aggiunta di un prezioso capitolo che rendiconta ciò che è successo a molti dei gruppi protagonisti nel nuovo secolo, molti dei quali hanno ripreso vita con lo stesso marchio di fabbrica o con nuove iniziative.
E infine la discografia aggiornata.
Per chi ha amato Not Moving, Sick Rose, Party Kidz, Out Of Time, Effervescent Elephants, Avvoltoi, Sciacalli, Ugly Things ma anche Statuto, Four By Art, Peter Sellers & the Hollywood Party, Allison Run, Technicolour Dream etc e non ha in libreria la prima edizione, un acquisto fondamentale e necessario.
Roberto Calabrò
Eighties Colours. Garage beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta
Odoya Edizioni
416 pagine
28 euro
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Libri
lunedì, luglio 14, 2025
Aldo Pedron / Angelo De Negri - LIVE AID. Il juke-box globale compie 40 anni
A quarant'anni dal mitico evento, questo libro ne traccia con maniacale precisione tutti gli aspetti.
Molto interessante la contestualizzazione del periodo storico, sociale, artistico e il riassunto a tutti i precedenti grandi festival.
Poi è un profluvio di dettagli, aspetti poco conosciuti, l'azzardo di Bob Gedolf quando annuncia una serie di nomi partecipanti senza nemmeno averli contattati, paul Mccartney che da tempo non suona, dopo la morte di John, accetta solo per la pressione dei figli, il lancio che aveva dato il singolo collettivo "Do They Know It's Christmas Time", seguito da "Usa for Africa" e da una lunga serie di altri brani, al fine di raccogliere fondi per la carestia nel Corno d'Africa.
L'evento si svolse in alternanza tra Londra a Wembley e lo stadio JFK a Philadelphia, in mondovisione.
Infine il dettaglio di tutte le esibizioni, con scaletta, commenti, dichiarazioni dei protagonisti.
Nomi, tra i tanti, come David Bowie, U2, Style Council, Queen, Dire Straits, Who (riuniti per l'occasione), Elton John, Paul McCartney (con solo "Let it be") accompagnato alla voce da Pete Townshend, David Bowie, Bob Gedolf, Alison Moyet.
Dagli States rispondono con Run DMC, Black Sabbath, Joan Baez, Crosby, Stills and Nash, Beach Boys, Pretenders, Simple Minds, Santana, Madonna, Neil Young, Eric Clapton, Phil Collins (Dieci ore dopo essersi esibito al Wembley Stadium di Londra, arriva negli Stati Uniti con l’aereo supersonico Concorde si esibisce al JFK Stadium di Filadelfia, lo stesso giorno), Plant, Page, Jones con Phil Collins (in un'esibizione imbarazzante), Crosby, Stills, Nash & Young (dopo essersi già esibiti separatamente), Mick Jagger solo e con Tina Turner, Bob Dylan con Keith Richards e Ron Wood.
Il libro si completa con una lunga serie di ulteriori approfondimenti, aneddoti, dati e date.
Difficile trovare qualcosa di più esaustivo.
Aldo Pedron / Angelo De Negri
LIVE AID. Il juke-box globale compie 40 anni
Arcana Edizioni
552 pagine
25 euro >
Molto interessante la contestualizzazione del periodo storico, sociale, artistico e il riassunto a tutti i precedenti grandi festival.
Poi è un profluvio di dettagli, aspetti poco conosciuti, l'azzardo di Bob Gedolf quando annuncia una serie di nomi partecipanti senza nemmeno averli contattati, paul Mccartney che da tempo non suona, dopo la morte di John, accetta solo per la pressione dei figli, il lancio che aveva dato il singolo collettivo "Do They Know It's Christmas Time", seguito da "Usa for Africa" e da una lunga serie di altri brani, al fine di raccogliere fondi per la carestia nel Corno d'Africa.
L'evento si svolse in alternanza tra Londra a Wembley e lo stadio JFK a Philadelphia, in mondovisione.
Infine il dettaglio di tutte le esibizioni, con scaletta, commenti, dichiarazioni dei protagonisti.
Nomi, tra i tanti, come David Bowie, U2, Style Council, Queen, Dire Straits, Who (riuniti per l'occasione), Elton John, Paul McCartney (con solo "Let it be") accompagnato alla voce da Pete Townshend, David Bowie, Bob Gedolf, Alison Moyet.
Dagli States rispondono con Run DMC, Black Sabbath, Joan Baez, Crosby, Stills and Nash, Beach Boys, Pretenders, Simple Minds, Santana, Madonna, Neil Young, Eric Clapton, Phil Collins (Dieci ore dopo essersi esibito al Wembley Stadium di Londra, arriva negli Stati Uniti con l’aereo supersonico Concorde si esibisce al JFK Stadium di Filadelfia, lo stesso giorno), Plant, Page, Jones con Phil Collins (in un'esibizione imbarazzante), Crosby, Stills, Nash & Young (dopo essersi già esibiti separatamente), Mick Jagger solo e con Tina Turner, Bob Dylan con Keith Richards e Ron Wood.
Il libro si completa con una lunga serie di ulteriori approfondimenti, aneddoti, dati e date.
Difficile trovare qualcosa di più esaustivo.
Aldo Pedron / Angelo De Negri
LIVE AID. Il juke-box globale compie 40 anni
Arcana Edizioni
552 pagine
25 euro >
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Libri
venerdì, luglio 11, 2025
Kneecapp. More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara
Con l'amico MICHELE SAVINI, il nostro inviato i nquel di Dublino, stiamo seguendo le funamboliche vicende dei KNEECAPP, costantemente al centro delle cronache con vicende musicali e socio/ politiche. Si aggiungono nuovi capitoli che Michele ci rendiconta in dettaglio nella sua rubrica.
I precedenti capitoli su varie storie irlandesi" sono qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda
Un furgoncino con montato un maxischermo staziona davanti alla Corte di Westminster, nel cuore di Londra. Sullo schermo, a caratteri cubitali, campeggia il motto: “More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara”.
È il 18 giugno e sta per aprirsi il primo capitolo del processo ai Kneecap, il trio rap nordirlandese finito sotto accusa per incitamento alla violenza e al terrorismo. Quella frase, provocatoria e potente, richiama e ribalta uno degli slogan più infami del razzismo britannico del dopoguerra: “No Blacks, No Dogs, No Irish”, che un tempo appariva sulle vetrine di negozi e pub nel Regno Unito.
Simbolo di esclusione e discriminazione, quel cartello è diventato col tempo un’icona della memoria razziale e dell’oppressione subita da intere comunità migranti, in particolare quella caraibica e quella irlandese.
Nel 2016, nel sud di Londra, una giovane coppia (lei di origini giamaicane, lui irlandese) decide di ribaltare quel messaggio discriminatorio. Stampano una maglietta con la scritta “More Blacks, More Dogs, More Irish”, rivendicando con orgoglio l’unione tra oppressi. Il rifiuto diventa così una risposta ironica e provocatoria, con l’obiettivo di capovolgere il pregiudizio storico e trasformare un divieto in un invito: più neri, più cani, più irlandesi...
Il “Mo Chara” aggiunto dai Kneecap in Gaelico significa “amico mio” ed è anche il nome d’arte di Liam Óg Ó Annaidh, membro del trio accusato di incitamento alla violenza e terrorismo a causa di un video risalente ad un concerto del novembre del 2023, in cui veniva filmato mentre incitava alla morte di parlamentari britannici e raccoglieva una bandiera di Hezbollah lanciata su palco, e gridava “Up Hamas, Up Hezbollah”.
Qui di seguito la puntata precedente con tutti i dettagli di quello che era successo:
https://tonyface.blogspot.com/2025/05/kneecapp-il-peso-delle-parole.html
Centinaia di sostenitori, fan e attivisti pro Palestina si sono radunati fin dalle prime ore del mattino davanti al tribunale di Londra per sostenere i Kneecap.
Un’ondata di bandiere irlandesi e palestinesi ha colorato la scena, mentre risuonavano con forza gli slogan “Free Mo Chara” e “Free Palestine”.
Balli, tamburi, fumogeni e performance improvvisate di numerosi artisti accorsi sul posto hanno trasformato la protesta in una vibrante dimostrazione di solidarietà e resistenza.
Tra la folla, tante facce familiari, incluso questo “ragazzo”, presente con sua figlia Leah, che ancora una volta non ha esitato a mostrare con orgoglio da che parte sta. L’arrivo dei Kneecap in tribunale ha lo stesso tono delle loro performance dal vivo: sfacciato, teatrale, carico di sicurezza e provocazione.
Kefiah palestinese sulle spalle, sorriso stampato in faccia e una spavalderia degna del miglior Liam Gallagher.
Il boato della folla presente dimostra ancora una volta l’enorme interesse mediatico che il trio riesce sempre a suscitare. Quasi da far pensare che davanti a Westminster fossero arrivati i Rolling Stones invece che due ventenni in tracksuit e un tipo con un passamontagna in testa.
Dentro e fuori in poco più di 30 minuti. Quello che sia successo veramente all’interno del tribunale è ovviamente noto solo a pochi presenti, ma le indiscrezioni che circolano sembrano ancora una volta spingere l’ago della bilancia dalla parte dei Kneecap, e non solo dal punto di vista giudiziario.
È importante evidenziare che la battaglia legale ruota intorno a competenze giuridiche e punti di diritto, più che al fondamento politico dell’accusa.
Sebbene il pubblico ministero Michael Bisgrove abbia chiarito che il processo non verte sulle opinioni politiche del rapper, legittime espressioni di solidarietà verso i palestinesi, ma insiste sul gesto legato all’organizzazione terrorista, la difesa si è dimostrata preparata e con un sorprendente asso nella manica.
Il team di avvocati dei Kneecap è stato più volte definito un vero e proprio “Dream Team” (sembra che uno dei componenti sia uno degli avvocati di Julian Assange), prova che, nonostante le date annullate, le vendite del merchandising vanno piuttosto bene.
La difesa, sotto la guida di Brenda Campbell, ha presentato una mozione per chiedere l’archiviazione del procedimento, sostenendo che i fatti contestati siano avvenuti oltre il termine di sei mesi previsto dalla legge per l’avvio delle indagini. L’accusa, da parte sua, si oppone alla richiesta e un’udienza è stata fissata per il 20 agosto per discutere la questione.
Nel frattempo, Mo Chara è stato “rilasciato su cauzione” e se la mozione verrà respinta dovrà scegliere se dichiararsi colpevole o, come già sostenuto precedentemente, dichiararsi innocente e intraprendere la battaglia giudiziaria.
Ed è proprio a questo punto che inizia il vero “spettacolo”.
Come se non fosse già abbastanza esilarante pensare che, dopo la sonora batosta presa nei loro stessi tribunali lo scorso novembre quando la band ha vinto la causa sui fondi non stanziati, il Governo Britannico rischi ora un altro scivolone epico con la questione della prescrizione, ecco che i Kneecap tornano a mettere in scena il loro solito show, una provocazione studiata per ridicolizzare l’accusatore e ribaltare le carte in tavola.
Mo Chara infatti, dopo aver confermato il suo nome, ha fatto sapere tramite il suo team di avvocati di aver bisogno di un interprete di irlandese per il processo.
Sorprendentemente, il magistrato ha dichiarato di non essere riuscito a trovarne uno disponibile e, tra le risate generali, ha chiesto se per caso ce ne fosse uno presente in sala.
Le risate sono esplose in un boato quando dal finale dell’aula è arrivata la proposta – evidentemente ironica – di usare DJ Próvai come traduttore, mentre i membri della band se la ridevano sotto i baffi.
Dico sorprendentemente per quelli che non hanno visto il film dei Kneecap e non sanno che (spoiler) quello che è successo in tribunale è la falsa riga del chiacchieratissimo biopic della band, dove appunto il personaggio interpretato da Mo Chara si rifiuta di rispondere ad un interrogatorio in inglese e il traduttore (DJ Provaj) corre in suo aiuto traducendo un po’ quello che gli pare e lo toglie dai guai.
Insomma, una mossa prevedibile come la pioggia in Irlanda, con Westminster che si lascia sorprendere, cadendo dritto nella trappola dell’ironia, l’arma più affilata e collaudata nell’arsenale dei Kneecap. Bene ma non benissimo.
Il magistrato si è impegnato a trovare un interprete di Gaelico per la seguente udienza.
Seguiranno aggiornamenti dopo il 20 agosto.
Nel frattempo la band ha tenuto la chiacchieratissima performance a Glastonbury, che fino all’ultimo è sembrata sul punto di essere annullata ma che alla fine è andata regolarmente in scena.
O più o meno. Anche qui infatti la tempistica nel complicare le cose a proprio sfavore da parte della BBC risulta a tratti esilarante.
Al processo dei Kneecap infatti è seguito un serratissimo tentativo da parte dell’establishment per tentare di cancellare la loro esibizione al famoso festival nella Worthy Farm, con il primo ministro inglese Keir Starmer e una serie di grossi nomi (non ben identificabili) del music business del Regno unito che avevano fatto di tutto perché questo non avvenisse, esercitando forti pressioni sull’organizzazione del festival. Questo ha ovviamente portato ulteriore attenzione mediatica intorno alla performance, prevista al West Holts stage alle 16:00 di sabato pomeriggio, che oltretutto era trasmessa in diretta sul Iplayer della BBC e quindi visibile in tutto il regno unito. Alle 16:00 in punto, proprio qualche minuto prima che i Kneecap salissero sul palco.
La BBC ha interrotto il live streaming senza dare troppe spiegazioni e annunciando che una registrazione della performance sarebbe stata poi disponibile in serata (come prevedibile, prontamente editata e censurata in più parti con cura istituzionale).
Quello che forse non avevano calcolato era che prima dei Kneecap, sullo stesso palco si esibiva Bob Vylan, un altro che non le manda certo a dire. Perciò tutti coloro che erano già collegati in attesa della performance della band irlandese, hanno assistito al finale di quella del duo punk rap inglese, farcita di slogan pro Palestina e pesanti insulti contro l’IDF, le Forze di Difesa Israeliane. Quando i Kneecap fanno il loro ingresso sul palco, l’atmosfera al West Holts Stage è elettrica.
La folla è talmente numerosa che, già mezz’ora prima dell’inizio, l’organizzazione si vede costretta a chiudere l’accesso all’arena per superamento della capienza. La loro esibizione è, come sempre, travolgente e coinvolge tutti i circa 30.000 spettatori presenti, con il palco a malapena visibile tra una marea di bandiere, per lo più palestinesi e irlandesi. Il trio ha proposto un set rumoroso, caotico, altamente teatrale, distribuendo frecciatine un po’ a tutti: dal primo ministro inglese Keir Starmer fino a Rod Stewart, che la settimana precedente aveva dichiarato ai media britannici che il Regno Unito dovrebbe “dare una possibilità a Nigel Farage". Un’energia che ti arriva dritta in faccia, senza filtri né scuse, senza chiedere il permesso e senza nemmeno fingere un briciolo di sobrietà, cosa che, del resto, nessuno ormai si aspetta più dal polemico trio di Belfast.
Eroina dalla giornata e ulteriore grattacapo per la BBC, la quarantaquattrenne gallese Helen Wilson presente tra la folla ,che ha deciso di trasmettere via Tik Tok la diretta streaming dell’ intera esibizione dei Kneecap, regalando a migliaia di spettatori da casa ( circa un milione e mezzo) un’ ora di performance selvaggia, hackerando la censura con stile e guadagnandosi i ringraziamenti diretti della band.
Ah, dimenticavo…
Mentre l’establishment cerca di capire se i Kneecap siano più pericolosi con un microfono in mano o dentro un’aula di tribunale, loro fanno quello che sanno fare meglio: macinare beat e provocazioni. L’ultimo colpo? Una nuova canzone, RECAP, frutto della produzione con il produttore britannico Mozey.
La traccia è una furiosa esplosione sonora, con un drum & bass pesante e frenetico unito a elementi di post punk e a un testo potentissimo che, alternando come sempre versi in gaelico e in inglese, “dissano” neanche troppo velatamente Kemi Badenoch, la politica conservatrice che lo scorso anno aveva tentato di bloccare i fondi destinati alla band (poi smentita dal tribunale) definendola una “Wally” (stupida) e auspicando il declino della sua carriera politica.
Di seguito, il video e la traduzione di alcuni passaggi del brano giusto per rendere l’idea del tono e dei contenuti:
VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=nXFM81b-gBk&list=RDnXFM81b-gBk&start_radio=1
“Facciamoci un giro in banca, datemi i soldi di Kemi e portatele i miei ringraziamenti
Chiamalo risarcimento, Badenoch sei una “wank”
Hai cercato di rubare i miei soldi ma sono tornato a riprendermeli indietro.
Na na na, Sparisci per sempre
Ecco il Riepilogo dei Kneecap da West Belfast.
Na na na, Sparisci per sempre
Dicono DJ Próvaí, Móglaí Bap e Mo Chara”
E ancora:
“Non sei come la “Iron Lady”, la tua carriere marcirà… Maggie dorme ancora nella sua scatola
Belfast e Derry gridano “FUCK BADENOCH”
E l’immancabile finale, che suona più o meno cosi:
“Ci hai provato, Kemi.
Peccato per le elezioni.
Non ti abbattere eh, si va avanti
Free Palestine”
Non so se sarà realmente la fine della carriera politica della povera Kemi, ma se aveva già pochi amici nella West Belfast, ora li ha definitivamente persi.
Continua ….
I precedenti capitoli su varie storie irlandesi" sono qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda
Un furgoncino con montato un maxischermo staziona davanti alla Corte di Westminster, nel cuore di Londra. Sullo schermo, a caratteri cubitali, campeggia il motto: “More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara”.
È il 18 giugno e sta per aprirsi il primo capitolo del processo ai Kneecap, il trio rap nordirlandese finito sotto accusa per incitamento alla violenza e al terrorismo. Quella frase, provocatoria e potente, richiama e ribalta uno degli slogan più infami del razzismo britannico del dopoguerra: “No Blacks, No Dogs, No Irish”, che un tempo appariva sulle vetrine di negozi e pub nel Regno Unito.
Simbolo di esclusione e discriminazione, quel cartello è diventato col tempo un’icona della memoria razziale e dell’oppressione subita da intere comunità migranti, in particolare quella caraibica e quella irlandese.
Nel 2016, nel sud di Londra, una giovane coppia (lei di origini giamaicane, lui irlandese) decide di ribaltare quel messaggio discriminatorio. Stampano una maglietta con la scritta “More Blacks, More Dogs, More Irish”, rivendicando con orgoglio l’unione tra oppressi. Il rifiuto diventa così una risposta ironica e provocatoria, con l’obiettivo di capovolgere il pregiudizio storico e trasformare un divieto in un invito: più neri, più cani, più irlandesi...
Il “Mo Chara” aggiunto dai Kneecap in Gaelico significa “amico mio” ed è anche il nome d’arte di Liam Óg Ó Annaidh, membro del trio accusato di incitamento alla violenza e terrorismo a causa di un video risalente ad un concerto del novembre del 2023, in cui veniva filmato mentre incitava alla morte di parlamentari britannici e raccoglieva una bandiera di Hezbollah lanciata su palco, e gridava “Up Hamas, Up Hezbollah”.
Qui di seguito la puntata precedente con tutti i dettagli di quello che era successo:
https://tonyface.blogspot.com/2025/05/kneecapp-il-peso-delle-parole.html
Centinaia di sostenitori, fan e attivisti pro Palestina si sono radunati fin dalle prime ore del mattino davanti al tribunale di Londra per sostenere i Kneecap.
Un’ondata di bandiere irlandesi e palestinesi ha colorato la scena, mentre risuonavano con forza gli slogan “Free Mo Chara” e “Free Palestine”.
Balli, tamburi, fumogeni e performance improvvisate di numerosi artisti accorsi sul posto hanno trasformato la protesta in una vibrante dimostrazione di solidarietà e resistenza.
Tra la folla, tante facce familiari, incluso questo “ragazzo”, presente con sua figlia Leah, che ancora una volta non ha esitato a mostrare con orgoglio da che parte sta. L’arrivo dei Kneecap in tribunale ha lo stesso tono delle loro performance dal vivo: sfacciato, teatrale, carico di sicurezza e provocazione.
Kefiah palestinese sulle spalle, sorriso stampato in faccia e una spavalderia degna del miglior Liam Gallagher.
Il boato della folla presente dimostra ancora una volta l’enorme interesse mediatico che il trio riesce sempre a suscitare. Quasi da far pensare che davanti a Westminster fossero arrivati i Rolling Stones invece che due ventenni in tracksuit e un tipo con un passamontagna in testa.
Dentro e fuori in poco più di 30 minuti. Quello che sia successo veramente all’interno del tribunale è ovviamente noto solo a pochi presenti, ma le indiscrezioni che circolano sembrano ancora una volta spingere l’ago della bilancia dalla parte dei Kneecap, e non solo dal punto di vista giudiziario.
È importante evidenziare che la battaglia legale ruota intorno a competenze giuridiche e punti di diritto, più che al fondamento politico dell’accusa.
Sebbene il pubblico ministero Michael Bisgrove abbia chiarito che il processo non verte sulle opinioni politiche del rapper, legittime espressioni di solidarietà verso i palestinesi, ma insiste sul gesto legato all’organizzazione terrorista, la difesa si è dimostrata preparata e con un sorprendente asso nella manica.
Il team di avvocati dei Kneecap è stato più volte definito un vero e proprio “Dream Team” (sembra che uno dei componenti sia uno degli avvocati di Julian Assange), prova che, nonostante le date annullate, le vendite del merchandising vanno piuttosto bene.
La difesa, sotto la guida di Brenda Campbell, ha presentato una mozione per chiedere l’archiviazione del procedimento, sostenendo che i fatti contestati siano avvenuti oltre il termine di sei mesi previsto dalla legge per l’avvio delle indagini. L’accusa, da parte sua, si oppone alla richiesta e un’udienza è stata fissata per il 20 agosto per discutere la questione.
Nel frattempo, Mo Chara è stato “rilasciato su cauzione” e se la mozione verrà respinta dovrà scegliere se dichiararsi colpevole o, come già sostenuto precedentemente, dichiararsi innocente e intraprendere la battaglia giudiziaria.
Ed è proprio a questo punto che inizia il vero “spettacolo”.
Come se non fosse già abbastanza esilarante pensare che, dopo la sonora batosta presa nei loro stessi tribunali lo scorso novembre quando la band ha vinto la causa sui fondi non stanziati, il Governo Britannico rischi ora un altro scivolone epico con la questione della prescrizione, ecco che i Kneecap tornano a mettere in scena il loro solito show, una provocazione studiata per ridicolizzare l’accusatore e ribaltare le carte in tavola.
Mo Chara infatti, dopo aver confermato il suo nome, ha fatto sapere tramite il suo team di avvocati di aver bisogno di un interprete di irlandese per il processo.
Sorprendentemente, il magistrato ha dichiarato di non essere riuscito a trovarne uno disponibile e, tra le risate generali, ha chiesto se per caso ce ne fosse uno presente in sala.
Le risate sono esplose in un boato quando dal finale dell’aula è arrivata la proposta – evidentemente ironica – di usare DJ Próvai come traduttore, mentre i membri della band se la ridevano sotto i baffi.
Dico sorprendentemente per quelli che non hanno visto il film dei Kneecap e non sanno che (spoiler) quello che è successo in tribunale è la falsa riga del chiacchieratissimo biopic della band, dove appunto il personaggio interpretato da Mo Chara si rifiuta di rispondere ad un interrogatorio in inglese e il traduttore (DJ Provaj) corre in suo aiuto traducendo un po’ quello che gli pare e lo toglie dai guai.
Insomma, una mossa prevedibile come la pioggia in Irlanda, con Westminster che si lascia sorprendere, cadendo dritto nella trappola dell’ironia, l’arma più affilata e collaudata nell’arsenale dei Kneecap. Bene ma non benissimo.
Il magistrato si è impegnato a trovare un interprete di Gaelico per la seguente udienza.
Seguiranno aggiornamenti dopo il 20 agosto.
Nel frattempo la band ha tenuto la chiacchieratissima performance a Glastonbury, che fino all’ultimo è sembrata sul punto di essere annullata ma che alla fine è andata regolarmente in scena.
O più o meno. Anche qui infatti la tempistica nel complicare le cose a proprio sfavore da parte della BBC risulta a tratti esilarante.
Al processo dei Kneecap infatti è seguito un serratissimo tentativo da parte dell’establishment per tentare di cancellare la loro esibizione al famoso festival nella Worthy Farm, con il primo ministro inglese Keir Starmer e una serie di grossi nomi (non ben identificabili) del music business del Regno unito che avevano fatto di tutto perché questo non avvenisse, esercitando forti pressioni sull’organizzazione del festival. Questo ha ovviamente portato ulteriore attenzione mediatica intorno alla performance, prevista al West Holts stage alle 16:00 di sabato pomeriggio, che oltretutto era trasmessa in diretta sul Iplayer della BBC e quindi visibile in tutto il regno unito. Alle 16:00 in punto, proprio qualche minuto prima che i Kneecap salissero sul palco.
La BBC ha interrotto il live streaming senza dare troppe spiegazioni e annunciando che una registrazione della performance sarebbe stata poi disponibile in serata (come prevedibile, prontamente editata e censurata in più parti con cura istituzionale).
Quello che forse non avevano calcolato era che prima dei Kneecap, sullo stesso palco si esibiva Bob Vylan, un altro che non le manda certo a dire. Perciò tutti coloro che erano già collegati in attesa della performance della band irlandese, hanno assistito al finale di quella del duo punk rap inglese, farcita di slogan pro Palestina e pesanti insulti contro l’IDF, le Forze di Difesa Israeliane. Quando i Kneecap fanno il loro ingresso sul palco, l’atmosfera al West Holts Stage è elettrica.
La folla è talmente numerosa che, già mezz’ora prima dell’inizio, l’organizzazione si vede costretta a chiudere l’accesso all’arena per superamento della capienza. La loro esibizione è, come sempre, travolgente e coinvolge tutti i circa 30.000 spettatori presenti, con il palco a malapena visibile tra una marea di bandiere, per lo più palestinesi e irlandesi. Il trio ha proposto un set rumoroso, caotico, altamente teatrale, distribuendo frecciatine un po’ a tutti: dal primo ministro inglese Keir Starmer fino a Rod Stewart, che la settimana precedente aveva dichiarato ai media britannici che il Regno Unito dovrebbe “dare una possibilità a Nigel Farage". Un’energia che ti arriva dritta in faccia, senza filtri né scuse, senza chiedere il permesso e senza nemmeno fingere un briciolo di sobrietà, cosa che, del resto, nessuno ormai si aspetta più dal polemico trio di Belfast.
Eroina dalla giornata e ulteriore grattacapo per la BBC, la quarantaquattrenne gallese Helen Wilson presente tra la folla ,che ha deciso di trasmettere via Tik Tok la diretta streaming dell’ intera esibizione dei Kneecap, regalando a migliaia di spettatori da casa ( circa un milione e mezzo) un’ ora di performance selvaggia, hackerando la censura con stile e guadagnandosi i ringraziamenti diretti della band.
Ah, dimenticavo…
Mentre l’establishment cerca di capire se i Kneecap siano più pericolosi con un microfono in mano o dentro un’aula di tribunale, loro fanno quello che sanno fare meglio: macinare beat e provocazioni. L’ultimo colpo? Una nuova canzone, RECAP, frutto della produzione con il produttore britannico Mozey.
La traccia è una furiosa esplosione sonora, con un drum & bass pesante e frenetico unito a elementi di post punk e a un testo potentissimo che, alternando come sempre versi in gaelico e in inglese, “dissano” neanche troppo velatamente Kemi Badenoch, la politica conservatrice che lo scorso anno aveva tentato di bloccare i fondi destinati alla band (poi smentita dal tribunale) definendola una “Wally” (stupida) e auspicando il declino della sua carriera politica.
Di seguito, il video e la traduzione di alcuni passaggi del brano giusto per rendere l’idea del tono e dei contenuti:
VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=nXFM81b-gBk&list=RDnXFM81b-gBk&start_radio=1
“Facciamoci un giro in banca, datemi i soldi di Kemi e portatele i miei ringraziamenti
Chiamalo risarcimento, Badenoch sei una “wank”
Hai cercato di rubare i miei soldi ma sono tornato a riprendermeli indietro.
Na na na, Sparisci per sempre
Ecco il Riepilogo dei Kneecap da West Belfast.
Na na na, Sparisci per sempre
Dicono DJ Próvaí, Móglaí Bap e Mo Chara”
E ancora:
“Non sei come la “Iron Lady”, la tua carriere marcirà… Maggie dorme ancora nella sua scatola
Belfast e Derry gridano “FUCK BADENOCH”
E l’immancabile finale, che suona più o meno cosi:
“Ci hai provato, Kemi.
Peccato per le elezioni.
Non ti abbattere eh, si va avanti
Free Palestine”
Non so se sarà realmente la fine della carriera politica della povera Kemi, ma se aveva già pochi amici nella West Belfast, ora li ha definitivamente persi.
Continua ….
giovedì, luglio 10, 2025
Gli album più venduti in Italia nel primo semestre 2025
Classifiche dominate dalla musica italiana nel primo semestre del 2025.
Tra gli Album (fisico + download + streaming free & premium) in testa Olly con Tutta vita, seguito da Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva. Terzo Bad Bunny con Debí tirar más fotos, unico titolo straniero nelle prime 25 posizioni.
Lucio Corsi al ventesimo posto, Brunori Sas trentanovesimo, Billie Eilish 42°, Kendrick lamar 50°, Pink Floyd "Live at Pompei" 79° posto, "AM" degli Arctic Monkeys 91°.
Il resto è musica leggera, trap e affini.
Sempre Olly primo tra i Singoli (download + streaming free & premium + video streaming), dominata da Balorda nostalgia, seconda Giorgia con La cura per me e terzo Achille Lauro con Incoscienti giovani.
Tra Vinili, Cd e Musicassette, al primo posto Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva, Ranch di Salmo al secondo posto ed È finita la pace di Marracash in terza posizione. "Live at Pompei" dei Pink Floyd è ottavo.
Vendite guidate dallo streaming (+7,1%), crescono i volumi del segmento premium del 15% e che sfiora la cifra record dei 50 miliardi di stream (free + premium) totalizzati. In linea con il dato annuale del 2024, è molto lieve invece la flessione del fisico, che segna -2% ma che vede crescere il vinile del 10%.
Tra gli Album (fisico + download + streaming free & premium) in testa Olly con Tutta vita, seguito da Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva. Terzo Bad Bunny con Debí tirar más fotos, unico titolo straniero nelle prime 25 posizioni.
Lucio Corsi al ventesimo posto, Brunori Sas trentanovesimo, Billie Eilish 42°, Kendrick lamar 50°, Pink Floyd "Live at Pompei" 79° posto, "AM" degli Arctic Monkeys 91°.
Il resto è musica leggera, trap e affini.
Sempre Olly primo tra i Singoli (download + streaming free & premium + video streaming), dominata da Balorda nostalgia, seconda Giorgia con La cura per me e terzo Achille Lauro con Incoscienti giovani.
Tra Vinili, Cd e Musicassette, al primo posto Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva, Ranch di Salmo al secondo posto ed È finita la pace di Marracash in terza posizione. "Live at Pompei" dei Pink Floyd è ottavo.
Vendite guidate dallo streaming (+7,1%), crescono i volumi del segmento premium del 15% e che sfiora la cifra record dei 50 miliardi di stream (free + premium) totalizzati. In linea con il dato annuale del 2024, è molto lieve invece la flessione del fisico, che segna -2% ma che vede crescere il vinile del 10%.
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Di cosa parliamo quando parliamo di musica
mercoledì, luglio 09, 2025
Enrico Ruggeri live a Castelsangiovanni (Piacenza) 8 luglio 2025
In una fredda sera d'estate ENRICO RUGGERI ha entusiasmato il folto pubblico della piazza principale di Castelsangiovanni (Piacenza), all'interno del ValTidone Festival.
Il repertorio non gli manca, lui stesso parla di una quarantina di album. Nemmeno una lunga serie di brani di primissima qualità assurti a classici della canzone d'autore italiana.
Nell'attesa del concerto un'ottima scelta musicale in sottofondo (da David Bowie a Elvis Costello).
Band solida, rodata, precisa e ricca d'intesa, anche quando si lascia andare a improvvisazioni varie.
Ruggeri con voce roca ma sempre all'altezza, nelle quasi due ore di concerto.
Passano veloci "Il portiere di notte", "Il poeta", "Primavera a Sarajevo", "Quello che le donne non dicono", il capolavoro "Il mare d'inverno", aperto dall'intro di "Firth of Fifth" dei Genesis.
C'è anche un breve cenno a "Space Oddity".
Gran finale con un bis aperto dalla nuova, bellissima "Il cielo di Milano" dal nuovo, egregio, "La caverna di Platone" a cui segue una pompatisisma "Mistero" e una versione di "Contessa" in chiave Balkan/ska/(ba)rock, molto divertente.
Ruggeri parla molto, sottolineando, un po' troppo spesso, la sua "diversità" dal resto dei colleghi, la sua continuamente ribadita alterità ma va bene lo stesso.
Il repertorio non gli manca, lui stesso parla di una quarantina di album. Nemmeno una lunga serie di brani di primissima qualità assurti a classici della canzone d'autore italiana.
Nell'attesa del concerto un'ottima scelta musicale in sottofondo (da David Bowie a Elvis Costello).
Band solida, rodata, precisa e ricca d'intesa, anche quando si lascia andare a improvvisazioni varie.
Ruggeri con voce roca ma sempre all'altezza, nelle quasi due ore di concerto.
Passano veloci "Il portiere di notte", "Il poeta", "Primavera a Sarajevo", "Quello che le donne non dicono", il capolavoro "Il mare d'inverno", aperto dall'intro di "Firth of Fifth" dei Genesis.
C'è anche un breve cenno a "Space Oddity".
Gran finale con un bis aperto dalla nuova, bellissima "Il cielo di Milano" dal nuovo, egregio, "La caverna di Platone" a cui segue una pompatisisma "Mistero" e una versione di "Contessa" in chiave Balkan/ska/(ba)rock, molto divertente.
Ruggeri parla molto, sottolineando, un po' troppo spesso, la sua "diversità" dal resto dei colleghi, la sua continuamente ribadita alterità ma va bene lo stesso.
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Concerti
martedì, luglio 08, 2025
I primi tag








Appaiono, nel 1968, sui muri di New York i primi "tag" (firme a graffiti) ad opera di Julio 204, Taki 183 e Thor191.
Fino ad allora le scritte erano di carattere osceno, politico, religioso, ironico o rappresentavano i limiti territoriali delle varie gang (o il famoso BIRD LIVES comparso nel 1955 dopo la morte di Charlie Parker).
I primi tag invece sono una sorta di definizione di un'identita' personale e singola.
JULIO 204 era un membro della gang portoricana/afroamericana dei Savage Skulls che osteggiava alla fine dei 60's, con ogni mezzo necessario, gli spacciatori di droga nella zona di Hunts Point nel Bronx e ingaggiava scontri con i rivali Seven Immortals, Savage Nomads e Dirty Dozen.
TAKI 183 era la contrazione del nome Dimitrios, diventato Dimitrakis mentre il 183 era il numero civico del suo indirizzo, 183rd Street in Washington Heights. Compare nei primi 70 in un articolo del "New York Times".
THOR 191 scrive la O del suo pseudonimo con l'emblema del simbolo pacifista. Ma si segnalano anche, pur se successivi, CAY 161, FRANK 207, TREE 127, JUNIOR 161, EDDIE 181
lunedì, luglio 07, 2025
Sharp Class + Temponauts live al Festival Beat, Salsomaggiore (Parma) 05/7/2025
Foto di Andrea Amadasi
Il Festival Beat è da ormai molto tempo essenzialmente il pretesto per ritrovare persone con cui abitualmente non si conversa faccia a faccia da almeno un anno.
Così è stato, almeno personalmente, anche questa volta.
La discussa modalità di due serate a disposizione in contemporanea ha comportato una scelta "dolorosa" ma per la quale avevo pochi dubbi: Sharp Class + Temponauts.
Più che una nota dolente, una constatazione ormai ricorrente da anni è che l'età media dei partecipanti è ormai più che alta ed è difficile scorgere tra il pubblico qualcuno/a sotto i 50 anni.
Aprono i TEMPONAUTS con il loro collaudato jingle jangle sound alla Byrds (di cui rifanno "Eight Miles High") con qualche asperità chitarristica in più.
Ospite l'amico Matt Purcell per alcuni brani, applausi e apprezzamenti.
Gli SHARP CLASS sono giovanissimi, freschi, arrembanti.
Con i primi Jam a fare da diretta ispirazione (ma abbracciando anche power pop, rock 'n' roll, soul, i primi Joe Jackson e Elvis Costello e i mai dimenticati Ordinary Boys), sparano un'ora tiratissima, precisi, conivolgenti, lasciando spazio anche a momenti di improvvisazione e una riuscitissima versione di "Gimme Some Lovin" arrangiata benissimo.
Ottimi musicisti, la voce del chitarrista Oliver Orton potente ed espressiva, il basso di Billy Woodfield metronomico, la batteria di Declan Mills esplosiva.
Perfetto mod look con gran finale con una "My Generation" travolgente.
Niente di nuovo?
E chi se ne importa?
Avercene 10, 100, 1000 di band così!
Nel nuovo numero di "Gimme Danger" una mia intervista alla band.
Degli Sharp Class avevo già parlato in passato:
SHARP CLASS - Welcome To The Matinee Show (Of The End Of The World)
E' sempre più raro trovare una band che si definisca chiaramente Mod, tanto più se è di giovane età.
Gli Sharp Class firmano il secondo album e ci riportano nel più classico mondo dei primi Jam, quelli più aggressivi e scarni.
Le canzoni sono fatte molto bene, l'energia non manca di certo, il sound è quello giusto.
Revivalismo?
Può darsi.
Personalmente lo trovo un disco freschissimo, pulsante, elettrico, nervoso, semplicemente bello da ascoltare per gli amanti di certe cose.
Si astengano gli altri.
SHARP CLASS - Tales of a teenage mind
Arrivano da Nottingham e sono giovani, freschi, sinceri, innamorati (e tanto) dei Jam e del classico 79 sound (Chords, Purple Hearts, Jolt).
L'album d'esordio è urgente, diretto, dichiaratamente devoto a quei suoni, senza compromessi.
Cool, clean and hard.
Il Festival Beat è da ormai molto tempo essenzialmente il pretesto per ritrovare persone con cui abitualmente non si conversa faccia a faccia da almeno un anno.
Così è stato, almeno personalmente, anche questa volta.
La discussa modalità di due serate a disposizione in contemporanea ha comportato una scelta "dolorosa" ma per la quale avevo pochi dubbi: Sharp Class + Temponauts.
Più che una nota dolente, una constatazione ormai ricorrente da anni è che l'età media dei partecipanti è ormai più che alta ed è difficile scorgere tra il pubblico qualcuno/a sotto i 50 anni.
Aprono i TEMPONAUTS con il loro collaudato jingle jangle sound alla Byrds (di cui rifanno "Eight Miles High") con qualche asperità chitarristica in più.
Ospite l'amico Matt Purcell per alcuni brani, applausi e apprezzamenti.
Gli SHARP CLASS sono giovanissimi, freschi, arrembanti.
Con i primi Jam a fare da diretta ispirazione (ma abbracciando anche power pop, rock 'n' roll, soul, i primi Joe Jackson e Elvis Costello e i mai dimenticati Ordinary Boys), sparano un'ora tiratissima, precisi, conivolgenti, lasciando spazio anche a momenti di improvvisazione e una riuscitissima versione di "Gimme Some Lovin" arrangiata benissimo.
Ottimi musicisti, la voce del chitarrista Oliver Orton potente ed espressiva, il basso di Billy Woodfield metronomico, la batteria di Declan Mills esplosiva.
Perfetto mod look con gran finale con una "My Generation" travolgente.
Niente di nuovo?
E chi se ne importa?
Avercene 10, 100, 1000 di band così!
Nel nuovo numero di "Gimme Danger" una mia intervista alla band.
Degli Sharp Class avevo già parlato in passato:
SHARP CLASS - Welcome To The Matinee Show (Of The End Of The World)
E' sempre più raro trovare una band che si definisca chiaramente Mod, tanto più se è di giovane età.
Gli Sharp Class firmano il secondo album e ci riportano nel più classico mondo dei primi Jam, quelli più aggressivi e scarni.
Le canzoni sono fatte molto bene, l'energia non manca di certo, il sound è quello giusto.
Revivalismo?
Può darsi.
Personalmente lo trovo un disco freschissimo, pulsante, elettrico, nervoso, semplicemente bello da ascoltare per gli amanti di certe cose.
Si astengano gli altri.
SHARP CLASS - Tales of a teenage mind
Arrivano da Nottingham e sono giovani, freschi, sinceri, innamorati (e tanto) dei Jam e del classico 79 sound (Chords, Purple Hearts, Jolt).
L'album d'esordio è urgente, diretto, dichiaratamente devoto a quei suoni, senza compromessi.
Cool, clean and hard.
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