lunedì, giugno 30, 2025

Giugno 2025. Il meglio

Ridendo e scherzando eccoci esattamente a metà del 2025: tra i migliori album quelli di Little Simz, Bob Mould, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins.
Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella.


LITTLE SIMZ - Lotus
Il valore della rapper inglese è fin dagli esordi indiscutibile.
"Lotus" è il sesto album e ne conferma la costante evoluzione/contaminazione, tra funk, elettronica, hip hop, la stupenda, epica, drum and bass funk orchestrale della title track , jazz, spoken word.
Ogni brano è una scoperta, pieno di sorprese, suggestioni, riferimenti ma soprattutto denota una personalità unica e difficilmente eguagliabile.
Grande album.

TY SEGALL - Possession
Non mi aveva mai appassionato più di tanto. Il nuovo album è invece sorprendente con tutte quelle volute psichedeliche, proto prog, garage, Beatles, freakbeat, Marc Bolan, blues, senza mai risultare accademicamente revivalista. Una sorta di Beck più immerso in quelle radici, meno propenso (solo apparentemente) all'innovazione. Il risultato è eccellente, il disco passa tranquillamente in decine di riascolto senza mai stancare, anzi, dando ogni volta il senso di scoperta di cose nuove.

KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD - Phantom Island
Questo è il 27° album in 15 anni (è sempre la prima cosa che si scrive della band australiana). Hanno esplorato un po' tutto lo scibile sonoro e sempre in modo creativo, stimolante, divertente, innovativo. Talvolta hanno fallito l'intento, altre volte (la maggior parte) hanno colpito nel segno. Anche in questo lavoro in cui si cimentano con un rock psichedelico dalle tinte country tra 60's e 70's, con tanto di fiati e orchestra. Come sempre molto bello da ascoltare e ben fatto.

OMAR - Brighter The Days
Un ottimo lavoro per il vocalist inglese, in costante crescita e maturazione. Il nuovo album si avvale di numerosi ospiti (tra cui Paul Weller nel brano più old soul del lotto). Un'ora e dieci di musica è forse eccessiva ma il contenuto è a base del migliore nu soul in circolazione con sguardi alla old school dei Sessanta/Settanta. Il tutto a base di ottime songs mid tempo, curatissime, eleganti, raffinate.

AA.VV. - Totally Wired – A New Collection From Acid Jazz
Torna la fortunata serie di compilation della Acid Jazz Records che nel 1988 pubblicò un album con un titolo molto simile. Qualche nome noto come i Brand New Heavies con un funk strumentale irresistibile, Chris Bangs o Matt Perry ma anche tanti nuovi, in particolare quello del fantomatico one man band Earth-o-Naut, con Steve White alla batteria e con una voce così simile a quella di Paul Weller (...) in un soul funk travolgente con una sezione fiati. Poi la BDQ band con "Beggin'", una serie di brani latin e gran finale con i Quiet Fire in chiave slow funk. Pregevole tutto.

RODINA - Good Company
La vocalist Aoife Hearty e il tastierista Joe Tatton dei New Mastersounds insieme per un ottimo album di funk, jazz, fusion, soul e puro groove Acid Jazz. Suonato bene, molto divertente e solare.

SIMONA NORATO - Enigmistica
Personalmente apprezzo molto quando (evento sempre più raro) l'ascolto di un nuovo disco mi spiazza, non mi lascia trovare riferimenti solidi, perché si sposta velocemente, ti abbaglia, per poi scomparire nel buio. Simona Norato ci ha abituati a questo modus operandi ma in Enigmistica giunge al suo apice creativo. Ora ci senti stralci di Billie Eilish, subito dopo di Little Simz, prima che appaia un voluto e chiaro debito con Bertold Brecht e Kurz Weill, per poi abbracciare la solennità di una Diamanda Galas. Il tutto giocato su severe note di pianoforte, un uso stridente dell'elettronica, per arrivare al capolavoro di From The air (nessun pilota), con un feroce, inquietante, ipnotico, teatrale, ironico e drammatico recitato mentre in sottofondo sembra ci siano i Morphine a suonare. Album eccellente, innovativo, avanguardistico nel suo provocatorio classicismo, tutto da scoprire e con cui costantemente stupirsi.

CALIBRO 35 - Discomania
Undici brani con tre originali e una serie di cover che spaziano da Lucio Dalla agli Azymuth a Herbie Hancock, registrati in presa diretta in studio con rare sovraincisioni. Raffinatezza jazz affiancata a un groove funk rock sempre potente e spontaneo. Il talento del quartetto milanese è da tempo noto e ammirato, il nuovo album ne è un'ennesima conferma.

BUDOS BAND - VII
Lasciano la Daptone per approdare alla loro etichetta appena costituita, portando avanti la loro collaudata formula strumentale che unisce funk, soul, jazz, ethio jazz, afrobeat. Non servono tante parole per ricordare la qualità del groove, del loro sound immediatamente distinguibile. Un marchio di fabbrica unico.

THE MIGHTY MOCAMBOS - A Higher Frequency
Registrato live in studio, il nuovo album dei nove soulmen di Amburgo è una conferma della loro classe, attraverso 10 brani funk soul, quasi tutti strumentali, arricchiti da pennellate psichedeliche o disco. I brani filano veloci, arrembanti, danzerecci, pieni di ritmo e buone vibrazioni.

GINA SADMAN - 1972
Gina Sadman compone, canta, arrangia, suona il basso e si fa aiutare da una band di primissima qualità. Si muove in un contesto abbastanza conosciuto e prevedibile, tra soul, funk e rhythm and blues, guardando spesso e volentier al passato degli anni Settanta. Album molto gradevole anche se un po' impersonale.

DURAND JONES and the INDICATIONS - Flower Moon
Raffinatezza, eleganza, Marvin Gaye, Isley Brothers e, non di rado, tanto gusto alla Style Council nel loro lato più sweet soul. L'album è molto leggero e mellifluo ma altrettanto godibile e di piacevole ascolto. Arrangiamenti perfetti, canzoni perfettamente costruite. Al quarto album, anche stavolta non hanno sbagliato il colpo.

WITCH - Sogolo
Vecchie glorie dello ZamRock, scena rock psichedelica nata tra i 60 e i 70 in Zambia, tornano con un album sorprendentemente attuale e fresco, in cui guardano ai suoni originari ma aggiungono una buona dose di afrobeat di primissima qualità. Produzione eccellente, groove e classe da vendere.

THEE WOPS - s/t
In una delle sue tante incarnazioni, Luca Re (Sick Rose, 99th Floor, Il Senato etc), approda ora al nuovo progetto con i Thee Wops, alla ricerca delle radici più pure del garage rock. Un pulsante ep con quattro brani è il primo atto di un'avventura che si preannuncia fin da subito travolgente e convincente (ma non avevamo dubbi). Due originali e due oscure cover (di Humans e It's All Meat) giocate tra garage beat di gusto Sixties, con un organo Farfisa a donare una peculiarità sonora ancora più distintiva. In 200 copie su vinile per Onde Italiane (info@ondeitaliane.it).

BACKDOOR SOCIETY - Backdoor City Blues b/w I Won't Love You
Non perde un colpo la band piacentina, costantemente alle prese con un feroce rhythm and blues, tinto di garage punk, veloce, torrido, potentissimo. Il nuovo singolo è un perfetto esempio di come approcciare un certo tipo di musica, buttandosi a capofitto nelle note selvagge, in ritmi forsennati, chitarre lancinanti, un'armonica penetrante, una voce perfetta per l'ambito. Per chi ama questi suoni e contesti, la perfezione.

BLOCK 33 - Promised land
La band inglese, dichiaratamente mod, spazia nell'ambito del "sound of 79", con chitarre distorte, energia a profusione, grande impatto ritmico, con numerosi riferimenti anche al Britpop e qualche aggancio al pub rock. Le dodici canzoni filano via veloci, la qualità compositiva è di alto livello, un buon lavoro.

VAN MORRISON - Remembering now
Van Morrison non ha bisogno di conferme né altro che già non sia stato detto.
Alle soglie degli 80 anni con "Remembering Now" ci regala un album di intenso soul blues, gradevolissimo all'ascolto, intenso, puro, diretto e sincero.
Come già sottolineato, poco altro da dire...(se non un cenno alla copertina. Non c'era proprio un altro grafico?).

ROSALBA GUASTELLA - Dharma
Prosegue il magico e lisergico cammino artistico della cantautrice torinese che, al terzo album, ci regala un nuovo esempio di maestria compositiva ed espressiva. Le atmosfere acustiche e psichedeliche di questo nuovo lavoro ci portano sui sentieri di Grace Slick, Sandy Denny, del folk ammantato di colori e umori cerebrali a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Ancora una volta un disco di pregio, personalità, a livelli di assoluta eccellenza.

‘O ROM – Radio Rom
Il terzo album del trio partenopeo prosegue il cammino nella sapiente fusione di ritmi e sapori balcanici, tzigani, mediterranei, napoletani, tempi in levare. Un’ alchimia più volte sperimentata (dai Negresses Vertes a Goran Bregovic o Gogol Bordello, tra i tanti) ma che in questa veste ha una marcia in più e non c’è nulla di scontato o prevedibile. Le canzoni viaggiano spedite (inclusa la riuscita versione in 9/8 di “Azzurro”), splendidamente arrangiate e prodotte, ricche di spunti, energia , soprattutto anima (una componente che se manca non si acquista da nessuna parte) e sincerità. L’irresistibile “Rumelaj” e “Zingari” (con l’elenco di personalità “zingare”), con la partecipazione di Daniele Sepe, sono la vetta di un album di altissimo livello.

TONY BORLOTTI E I SUOI FLAUERS – Killing Shake!
Festeggia il trentesimo compleanno la storica beat band di Salerno e ci/si regala un album nuovo di zecca che viaggia spedito nei meandri sonori da sempre amati. C’è il classico beat italiano (“Nel tuo giardino”), il rhythm and blues di “Amalia”, lo psychogarage in “Dove vai”, le atmosfere da colonna sonora di divertenti commedie all’italiana targate anni Sessanta (lo strumentale “Piccolo ma beat”), la riuscita versione in italiano (“Pazzo”) di “Psycho” dei Sonics, l’introduzione con la title track tra garage, beat e freakbeat. Come sempre una conferma di qualità, divertimento, freschezza, energia.

DEAD JACK AND HIS DRY BONES - Dead jack In The Box
Torna la demoniaca e temibile one-man-band di Jack Cortese, alle prese con il consueto calderone fumigante di primitivo rock 'n' roll, garage punk alla Sonics, abbondanti dosi di Cramps, Link Wray, blues malatissimo, country sgangherato, frat rock, swing traballante. Poco da dire, sono rari i dischi che suonano così genuini e urgenti. Gli amanti di questi anfratti sonori, pericolosi e sconsigliabili ci si tufferanno con grande soddisfazione.

THE DIRTIEST – Sooka
Dischi come questi non andrebbero nemmeno recensiti ma solo ascoltati, facendosi poi spalmare da un loro live sul pavimento di un sordido locale in un posto dimenticato da tutti. La band fiorentina suona velocissima, talvolta ai confini con l’hardcore (in questo senso ricordano certe band americane come i Dils, che precorsero il genere). E’ puro e semplice punk rock, con le chitarre mai distorte ma suonate con un impeto tale che le rende lame taglienti negli apparati uditivi di chi ascolta. Siamo in pieno 1977 ma con più rabbia, energia e voglia di travolgere. Super!

SINGOLI

SHARP CLASS - Ballad of nobody real
Nuovo singolo per il trio inglese, nuova stella del mod rock (in concerto il 5 luglio al Festival Beat). Un brano nel loro classico Jam style/mod rock '79. Sempre convincenti, freschi e potenti.

https://www.youtube.com/watch?v=Zwey0_TRyjE

THE MOLOTOVS - Today's Gonna Be Our Day B/W No Time To Talk
In attesa del primo album, previsto per gennaio 2026, il duo inglese torna con un arrembante singolo che guarda alla lezione dei primissimi Jam, con un tiro punk. Ottimo.

https://www.youtube.com/watch?v=rvAvoNYh34M

THE LEN PRICE 3 - Emily's Shop / I'm a Fake
Sanno incrociare alla perfezione Who, Kinks, freakbeat, fuzz e melodie 60's che riportano agli Action. Un singolo strepitoso!

CHESTERFIELD KINGS - Your Strange Love / It's only love
I C.K. di Andy Babiuk tornano con un singolo con una versione rimixata (ma sempre efficace e convincente) di un brano dal recente album e una calligrafica ripresa di "It's Only Love" dei Beatles.

SINOUJ - Hak Dellali
Da Madrid il colletivo afrospagnolo ci porta tra le montagne del Maghreb, in chiave modernissima e travolgente mentre nella versione remixata della Bside si va in un mondo incantato tra trance e psichedelia. Interessantissimo.

AFRODREAM - Afrotrip
Colletivo multiculturale italiano con un brano che prelude a un album in uscita a settembre. Afrofunk puro, dalle contaminazioni desert rock e psichedeliche, ritmi infuocati, melodie avvolgenti. Promettono benissimo.

SOUL SUGAR meets DUB SHEPERDS - Give Me Your Love (Love Song)
Il brano di Curtis Mayfield sottoposto a un trattamento reggae e dub che ne esalta la grazia e il groove. Versione riuscitissima.

RETI - Party People (Going Home) / My Home
In Estonia ci sanno fare con la black music, sono numerosi gli artistyi che si cimentano con l'ambito, sempre in maniera inattaccabile. Reti si divide tra un ballabilissimo soul disco e una struggente ballata soul.

JEB LOY NICHOLS - Step In
BRENDA - Take a Hint
Due brani avvolgenti e suadenti di vintage soul, gustosamente estivi.

ASCOLTATO ANCHE:
TURNSTILE (pop (pseudo) punk di bassa lega), ALDORANDE (grazioso album di soul funk fusion da sottofondo, suonato benissimo),

LETTO

Francesca Buscaglia - Etnografie Trap
Un illuminante saggio sul "fenomeno" TRAP, la marginalità dei suoi protagonisti, il costantemente voluto e cercato "folk devil" da demonizzare per la sua alterità rispetto alla normalità.
L'analisi prescinde dai contenuti musicali/artistici ma si concentra sulle "periferie urbane, spazi pieni di sconosciuti, spazi multiculturali dove l'appartenenza rappresenta una risorsa fondamentale."
"La musica trap oltre a prodotto musicale è la voce di una comunità immaginata, che offre alle comunità diasporiche dei giovani subalterni la possibilità di rispecchiarsi in un "noi" più moderno".
Interessante e perfettamente azzeccata la visione di come prima rap e poi trap siano diventati fenomeni globali e opportunità espressiva soprattutto di gruppi socialmente marginalizzati (per i quali il benessere esiste solo nelle pubblicità) che cercano (e talvolta trovano) nella musica un modo per uscire dall'anonimato e trovare fama, soldi e una modalità di scalata sociale. O imitandone movenze ed estetiche per sentirsi in qualche modo parte di "qualcosa".
In un mondo in cui "la geniale idea della governance neoliberale è stata riuscire a trasformare i diritti in qualcosa che si deve meritare" i giovani immigrati o di origine straniera si dibattono alla ricerca di un ruolo e di un'identità, sempre più pervicacemente negata e respinta.
La conclusione è propositiva, per quanto appaia utopica, alla luce del reale: "In questo momento è più che mai necessario...smettere i panni di meri osservatori e narratori di processi che riguardano "altri". Riprendere la voce: parlando, cantando, urlando se necessario. Proprio come stanno facendo, in modi e forme differenti, i giovani cosiddetti di prima e seconda generazione".
Il libro ha il profilo autorevole dell'autrice, educatrice di professione e antropologa, che lavora da anni nel sistema di accoglienza.
Ha intervistato i ragazzi, approfondendone con loro le problematiche quotidiane.
Ne esce una fotografia molto fedele, quanto drammatica dell'epoca attuale, convulsa, talvolta "illeggibile" e incomprensibile.
Un lavoro più che pregevole.

Giangiacomo Schiavi - Il Piccolo Maracanà
Dal 1962 ai primi anni 70 a Gragnano Trebbiense, provincia di Piacenza, si svolse un appassionante, mitico, pionieristico (peraltro uno dei primi in assoluto) torneo notturno di calcio.
Nell'afoso luglio padano si giocavano due partite a sera (che spesso finivano con risultati "rotondi"), sei contro sei, senza il fuorigioco, 16 squadre divise in quattro gironi, quarti, semifinali e finale.
Il tutto davanti a 2/3.000 persone a sera, fino a 5.000 (calcolate 200.000 in sei anni), assiepate in un campo dietro al Comune del paese, ribattezzato “Il Piccolo Maracanà”.
Si affrontavano abitualmente squadre di Gragnano, i “Ramarri” (il simbolo era una versione gragnanese del coccodrillo della Lacoste...), squadra per cui tenevo e che non vinse mai (come al solito!), il “Bar Veneroni”, il “Gatto Nero”, il “Baby Brazil” di Gragnanino, l’”Olubra” di Castelsangiovanni”, i “Papaveri” di Piacenza (con i giocatori del Piacenza allora in serie C) e varie altre dalla provincia e dintorni.
In particolare è da ricordare la "Rassa Grama" (La cattiva razza), nucleo anarchico che si affiliava di volta in volta a un nuovo sponsor, ricco di talento, genio e sregolatezza. Non vinsero mai m entrarono nel mito e nella leggenda.
Abitavo a 2 km di distanza a Casaliggio (dove sono tornato a vivere 20 anni dopo) e ne vidi a decine.
Ancora senza troppi vincoli contrattuali, giocarono Pierino Prati, Pietro Anastasi, Osvaldo Bagnoli, Marchioro, Magistrelli, Ferrario, Poletti (nazionale nel 1970 nella semifinale con la Germania 4 a 3) e nomi ormai dimenticati come Bicicli dell’Inter, Ambrogio Pelagalli (campione d’Italia con il Milan), Da Pozzo (portiere di Inter e Genoa), Magistrelli.
Dopo qualche anno le società proibirono ai giocatori di fare partite al di fuori dai doveri contrattuali e allora, in cambio di soldi sottobanco sempre più consistenti (e in nero), giocavano in molti sotto falso nome.
Il calcio divenne sempre più affare professionale, i vincoli della federazione sempre più stretti e il torneo finì.
"Il piccolo Maracanà. Un campo, un paese, una leggenda", di Giangiacomo Schiavi, documenta al meglio il tutto ed è la ristampa di una precedente edizione introvabile, ora edita da La Valle Dei Libri (https://www.facebook.com/profile.php?id=61572005579050).
Leggere la sua stupenda prosa mi ha riportato incredibilmente a quei tempi, quei colori, quegli odori, quella "magia irripetibile", in un tuffo nostalgico, immensamente nostalgico, per tempi che, alla fine, rimpiango tanto, soprattutto leggendo una serie di nomi che facevano parte della mia quotidianità.
Le foto, stupende (e numerose), sono di Prospero Cravedi, l'introduzione di Simone Inzaghi (che con Pippo viveva e giocava a una manciata di kilomentri di distanza a San Nicolò).

Vincenzo Greco - Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters
Un lavoro molto affine a un saggio, in cui l'autore ci conduce, attraverso una serie di profonde riflessioni personalei, condotte come un dialogo immaginario con quattro artisti, tanto diversi, quanto legati da un filo conduttore comune le cui canzoni aprono a uno sguardo alle storture del tempo moderno.
Ne risulta un libro ai limiti del "filosofico", ricco di spunti molto interessanti e stimolanti.
Non occorre essere fan o seguaci di Ferretti, De André, Battiato, Waters.
Il testo, interessante e scritto molto bene, offre tanto altro, partendo dalle loro liriche, per spaziare in una visione universale dello stato attuale delle cose.
Gli strumenti informatici si sono fatti carico del compito di ricordare per noi e con capacità infinitamente superiori a quelle umane.
Il fatto di avere affidato la memoria a uno strumento e agli algoritmi che lo gestiscono, ci ha privati del governo della memoria stessa, e soprattutto della selezione gerarchica delle cose da ricordare.
Lo fa l'algoritmo per noi.
Ma con il rischio che vengano eliminati, per mano di chi gestisce tali programmi di selezione, eventi e moniti importanti per l'uomo. Abbiamo in definitiva rinunciato al dovere della memoria.


Crash Box - Storie e ricordi sul muro
Marco Maniglia è stato tra le principali anime (e cuore) della scena punk hardcore italiana degli anni Ottanta.
Sia a livello personale/partecipativo/organizzativo (che era la caratteristica di quasi ognuno del giro: esserci, sentire l'attitudine, organizzare (il più delle volte con modalità avventurose/disastrose).
E' stato anche il motore propulsivo dei CRASH BOX, tra i principali esponenti dell'epoca.
Ora raccoglie una serie di volantini di concerti dell'epoca con commenti e ricordi di quegli eventi.
Un libro/rivista (con bella intervista finale) che ci restituisce alla perfezione il "sentire" di quei momenti tanto caotici, quanto rivoltosi e gioiosi.
Tutto questo per del rock 'n' roll del cazzo che non fa forse crescere ma mi/ci ha fatto sopravvivere. (Marco Maniglia)
Per contatti e riceverlo: emmemarco63@gmail.com (niente social, raga...)

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

NOT MOVING, unica data estiva.
FESTIVAL BEAT a Salsomaggiore Terme (Parma)

https://www.facebook.com/events/996698245971556

venerdì, giugno 27, 2025

The Go Go's

In piena esplosione della scena hardcore punk, l'arrivo delle Go Go's, fu una ventata di freschezza pop, ben accetta in quanto esse stesse arrivavano da quell'ambito.

Belinda Carlisle fu per breve tempo batterista dei Germs, con il nome di Dottie Danger e quando fondò la band nel 1978 con la chitarrista Jane Wiedlin, suonarono nello stesso circuito con X, Black Flag etc.
Anche l'altra chitarrista Charlotte Caffey arriva dalla scena, avendo suonato il basso con gli Eyes. La batterista Gina Shock suonò con gli Edie and the Eggs, entrando nel giro del regista John Waters.
La bassista Kathy Valentine suonò coni Violators e formò i Textones con Carla Olson.

Come Go Go's incisero 4 album ottenendo un grande successo con l'esordio e mantenendolo con quelli successivi, pur meno convincenti, con un sound molto gradevole e 60's oriented, con numerosi elementi power pop e un retaggio punk.
Dopo lo scioglimento a metà degli anni 80 hanno proseguito con diverse, saltuarie, reunion, denunce reciproche, cause legali, fino ad oggi, quando sono ricomparse nell'aprile 2025 al Coachella Festival.
Belinda Carlisle ha avuto una carriera solista di grande successo con un pop anonimo e incolore.

Beauty and the Beat (1981)
Il loro piccolo capolavoro con due stupende hit come "Our Lips Are Sealed" (scritto da Jane con Terry Hall degli Specials, dopo una breve relazione durante un tour di supporto alla band inglese) e "We Got The Beat" ma arricchito da altri nove brani autografi di alto livello, melodicamente irresistibili. Suonato molto bene, prodotto alla perfezione in perfetto equilibrio tra un sound diretto e spontaneo, quanto fruibile e danzereccio.

Vacation (1982)
Minate dalle dipendenze e da scontri di ego, riescono, esattamente un anno dopo, a replicare il successo dell'esordio. Si sono perse la sorpresa e anche un po' di freschezza e immediatezza ma il risultato è tuttavia buono e dignitoso. C'è anche una bruttina versione di "Cool Jerk" dei Capitols.

Talk Show (1984)
L'album d'addio prima dello scioglimento, tra mille polemiche. La band è erosa all'interno, la musica si sposta verso suoni più patinati e perde la gioiosa verve dei precedenti lavori. Ma ci sono un paio di brani strepitosi come "Head over Heels" e "I'm the only One" che innalazano parecchio la qualità dell'album.
Venderà meno degli altri, la band finisce, per lungo tempo, qui.

God Bless the Go-Go's (2001)
Dopo 17 anni di silenzio discografico tornano facendosi dare una mano composiutiva da Billie Joe Armstrong, Susanna Hoffs, Craig Ross (della band di Lenny Kravitz) e altri/e. Fuori tempo massimo, con materiale non particolarmente significativo, non riuscirà a rilanciare la carriera della band, nonostante non manchi qualche discreto spunto.

Our Lips Are Sealed (1981)
https://www.youtube.com/watch?v=r3kQlzOi27M

We Got The Beat (live 1982)
https://www.youtube.com/watch?v=NkHsUcG9YDw

Head Over Heels (1984)
https://www.youtube.com/watch?v=jQyazt4RDTM

I'm the Only One (1984)
https://www.youtube.com/watch?v=kmmlhhxpHKc

mercoledì, giugno 25, 2025

Crash Box - Storie e ricordi sul muro

Marco Maniglia è stato tra le principali anime (e cuore) della scena punk hardcore italiana degli anni Ottanta.
Sia a livello personale/partecipativo/organizzativo (che era la caratteristica di quasi ognuno del giro: esserci, sentire l'attitudine, organizzare (il più delle volte con modalità avventurose/disastrose).
E' stato anche il motore propulsivo dei CRASH BOX, tra i principali esponenti dell'epoca.

Ora raccoglie una serie di volantini di concerti dell'epoca con commenti e ricordi di quegli eventi.
Un libro/rivista (con bella intervista finale) che ci restituisce alla perfezione il "sentire" di quei momenti tanto caotici, quanto rivoltosi e gioiosi.

Tutto questo per del rock 'n' roll del cazzo che non fa forse crescere ma mi/ci ha fatto sopravvivere. (Marco Maniglia)

Per contatti e riceverlo: emmemarco63@gmail.com (niente social, raga...)

martedì, giugno 24, 2025

Monochrome Set - The Jet Set Junta

Uno dei brani più iconici (per quanto rimasto nella semi oscurità) degli anni 80 uscito su singolo nel 1983), per una brillante band che non ha purtroppo mai usufruito del giusto riconoscimento che le sarebbe spettato.

The Jet Set Junta è un brano unico che unisce impeto post punk a sonorità spaghetti western, un tocco di jazz e un cantato unico su un testo drammatico/ironico che stigmatizza l'iconografia e la triste realtà delle dittature sudamericane.
Un brano geniale.

Il video ufficiale:
https://www.youtube.com/watch?v=kIKle6gNjWE

Live nel 1990
https://www.youtube.com/watch?v=Oz4tpJL44Og

Tick, tock, go the death watch beetles in él presidente's swill
Pop, pop, goes the Cliquot magnum at the reading of the will
Hiss, hiss, goes the snakeskin wallet stuffed with Cruziero bills
Here we come, the jet set junta
Here we come, the jet set junta
Broom, broom, goes the armoured Cadillac through Montevideo
Rat-a-tat goes the sub-machine gun to restore the status quo
Snip, snip, go the tailor's scissors on the suit in Saville Row
Thud, thud, goes the rubber truncheon on the Indian peon's heel
Buzz, buzz, go the brass electrodes as the flesh begins to peel
Rattle, rattle, goes the bullet round and round the roulette wheel

lunedì, giugno 23, 2025

Vincenzo Greco - Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters

Un lavoro molto affine a un saggio, in cui l'autore ci conduce, attraverso una serie di profonde riflessioni personalei, condotte come un dialogo immaginario con quattro artisti, tanto diversi, quanto legati da un filo conduttore comune le cui canzoni aprono a uno sguardo alle storture del tempo moderno.
Ne risulta un libro ai limiti del "filosofico", ricco di spunti molto interessanti e stimolanti.

Non occorre essere fan o seguaci di Ferretti, De André, Battiato, Waters.
Il testo, interessante e scritto molto bene, offre tanto altro, partendo dalle loro liriche, per spaziare in una visione universale dello stato attuale delle cose.

Gli strumenti informatici si sono fatti carico del compito di ricordare per noi e con capacità infinitamente superiori a quelle umane.
Il fatto di avere affidato la memoria a uno strumento e agli algoritmi che lo gestiscono, ci ha privati del governo della memoria stessa, e soprattutto della selezione gerarchica delle cose da ricordare.
Lo fa l'algoritmo per noi.
Ma con il rischio che vengano eliminati, per mano di chi gestisce tali programmi di selezione, eventi e moniti importanti per l'uomo. Abbiamo in definitiva rinunciato al dovere della memoria.


Vincenzo Greco
Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters
Arcana Editrice
164 pagine
15.50

domenica, giugno 22, 2025

Classic Rock

Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK intervisto Robertò Gagliardi (Robertò Hellnation) a proposito del suo negozio di Bologna, Hellnation.

Interviste anche a Dubinski e Inspector Cluzo ( di cui recensisco anche l'ottimo nuovo album).
Poi parlo dei nuovi album di Casino Royale, Cesare Basile, Les Votives, M Ross Perkins, la ristampa di "Middle Class Revolt" dei Fall e di quella di "Il nostro è solo un mondo beat" de Gli Avvoltoi , oltre al box dei Vapors.

Non contento mi confronto con Federico Guglielmi nella rubrica "Opinioni" sull'opportunità di pubblicare ancora libri musicali.

sabato, giugno 21, 2025

Passaggi Festival 2025

PASSAGGI FESTIVAL 2025

https://www.passaggifestival.it/

Venerdì 27 giugno
Ore 18.15 - 19.15, Giardino Radicioni
Fano

ANTONIO BACCIOCCHI, “Ringo Starr, Batterista” (Edizioni Low)
Conversa con Paolo Molinelli (BeatleSenigallia)

venerdì, giugno 20, 2025

The Poets – Alone Am I / Locked in A Room (Target) 1968

L'amico MICHELE SAVINI prosegue la ricerca di elementi interessanti e particolari dell'Irlanda meno conosciuta.
Torniamo questa volta al 1968 e una band oscura che ha lasciato un solo 45 giri: The Poets.

Gli altri racconti sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

C’era una volta uno scantinato buio e umido, con dentro quattro ragazzi armati di strumenti e un’urgenza sonora che anticipava i tempi.
Non è un caso isolato: è la traiettoria condivisa da centinaia di band garage e beat, nate nell’esigenza creativa di un’epoca in fermento, mai esplose e rimaste ai margini della scena ma non della passione.
I loro nomi si persero nel rumore, ma dietro lasciarono dischi rari, registrazioni sbiadite, racconti tramandati solo da chi c’era. Sono storie minori, ma non per questo meno significative: frammenti dimenticati di un mosaico musicale che merita di essere ricomposto.
Tra queste storie sotterranee, ce n’è una che vale la pena riportare in superficie: quella dei The Poets, band di Irlandese attiva a metà degli anni ’60.

Il loro unico singolo pubblicato nel 1968 dall’etichetta Irlandese Target Records e la seguente pubblicazione nel Regno Unito per la più nota Pye Record, fu per anni erroneamente attribuito al celebre gruppo freakbeat scozzese con lo stesso nome, autore di "That's the Way It's Got to Be", uno dei classici del genere.
Il fatto che le due band condividessero lo stesso nome e fossero attive nello stesso periodo aveva alimentato l’equivoco: dopotutto, la band scozzese aveva pubblicato dischi con etichette come Decca e Immediate tra il 1964 e il 1971.
Non sembrava quindi assurdo pensare che avessero inciso anche per la Pye.
Tuttavia, la verità è un’altra: questi Poets erano una formazione completamente diversa, originaria di Dublino, e di loro si sa ancora oggi molto poco.

La storia dei Poets irlandesi inizia nel 1965, quando Pat Devine (chitarra), Gerry Martin (chitarra), Steve Gilchrist (basso) e Bob Murphy (sax) fondano un gruppo chiamato The Heartbeats. Nel 1967, il gruppo evolve in una showband semi-professionale con l’ingresso di Paul Conroy (organo), Charlie Herbert (chitarra solista, con Devine che passa al sax) e Gary Power (voce solista).

Le showband erano gruppi musicali molto popolari in Irlanda negli anni ’60, solitamente numerosissimi sul palco e delle vere e proprie macchine da intrattenimento. Attiravano grandi folle ogni sera, offrendo un repertorio eclettico fatto di pop, hit internazionali e a volte anche un po’ di cabaret, ma raramente proponevano materiale originale o alcun tipo di sperimentazione.

Power e Herbert iniziano a scrivere diversi brani originali, prevalentemente ballate lente, nella speranza di attirare l’attenzione del pubblico locale. Tuttavia, alla fine del 1967, Power lascia il gruppo per tentare la carriera solista, e probabilmente a seguito di questa uscita nasce ufficialmente la band The Poets.
Nonostante non sia chiara la formazione esatta che ha inciso il celebre singolo, entrambi i lati del disco sono accreditati al chitarrista Charles Herbert, il che suggerisce un suo ruolo chiave nella composizione e realizzazione dei due brani.

Il singolo in questione comprende due tracce.
E se sul lato A appare ‘Alone Am I’, una ballata malinconica, dominata da armonica e organo, con quel tipico tono natalizio che si addice a una showband irlandese, sul lato B, invece, come spesso accade, troviamo il vero gioiello: ‘Locked In A Room’.
Si tratta di un pezzo freakbeat di altissimo livello, energico e coinvolgente, caratterizzato da una chitarra solista marcata, un sax vibrante, armonie vocali raffinate e una batteria incalzante che spinge il brano con grande intensità.
v Il tema natalizio sul lato A fa pensare a un’uscita verso la fine del 1968, in linea con l’usanza, particolarmente diffusa negli anni ’60 e ’70, di pubblicare un singolo a tema festivo in prossimità del Natale, spesso con l’intento di ottenere maggiore visibilità o passaggi radiofonici durante quel periodo dell’anno.
Negli anni successivi, il 45 giri è diventato un piccolo oggetto di culto, sempre più ricercato dai collezionisti di rarità garage e beat, anche grazie alla qualità del suo lato B, spesso incluso in compilazioni di freakbeat e rock psichedelico, che lo rende un vero e proprio “Nuggets” irlandese.

Nel 1969, alcuni ex membri dei Poets e degli Heartbeats diedero vita alla soul-showband The Arrows, il cui secondo singolo, “One Step, Two Step”, fu ancora una volta firmato da Charlie Herbert, a dimostrazione di una vena compositiva che non si era ancora esaurita.
I The Arrows finiranno per diventare la nuova band di supporto di Dickie Rock, il famoso crooner irlandese che aveva abbandonato la sua storica formazione, la Miami Showband, per intraprendere la carriera solista.

Ma la vera eredità dei Poets rimane racchiusa in quei due brani dimenticati.
Due canzoni, un singolo, un nome condiviso con un’altra band.
E una storia che, come tante negli anni Sessanta, riaffiora oggi solo nei racconti degli appassionati e nei solchi consumati di un 45 giri introvabile.

Alone Am I:
https://www.youtube.com/watch?v=SXv5PgOkUS4&list=RDSXv5PgOkUS4&start_radio=1

Locked in A Room:
https://www.youtube.com/watch?v=dGTlkHoefaA&feature=youtu.be

giovedì, giugno 19, 2025

Rock 'n' Goal


Avevo conosciuto l'editore di VoloLibero, Claudio Fucci, grazie al giornalista Massimo Pirotta che me lo aveva presentato all'anniversario del Festival Pop di Zerbo.
Rimasi stupito ed entusiasta dalla sua immediata adesione alla mia proposta di pubblicare un (primo) libro su Gil Scott Heron, che uscì, con il titolo di "The bluesologist", nel 2012 (poi ampliato nel 2018, sempre per VoloLibero, con il titolo di "Gil Scott Heron. Il Bob Dylan nero").

Nel valutare un prosieguo della nostra collaborazione, fu Claudio a suggerirmi di approfondire un post che pubblicai il 16 marzo 2012, dedicato al rapporto tra musica e calcio:
https://tonyface.blogspot.com/2012/03/calcio-e-musica-i-dischi-dei-calciatori.html.

Ero molto scettico perché pensavo si potesse farne al massimo un ampio articolo.
Invece si aprì un mondo vastissimo di musicisti tifosi sfegatati, talvolta con un passato calcistico, canzoni dedicate a partite, squadre, calciatori e mille altre curiosità.
Chiamai a darmi una mano Alberto Galletti, super esperto di calcio (britannico in particolare) e il 27 marzo 2013 uscì Rock 'n Goal" firmato a quattro mani.
Sinceramente lo consideravo un libro di "transizione", destinato a un'onesta e breve vita.

Invece successe l'inimmaginabile.

Nello stesso giorno dell'uscita Vincenzo Mollica lo presentò al TG UNO delle 20 (https://www.youtube.com/watch?v=BldCITAyJ2E), il Corriere della Sera online lo mise in prima pagina, telefonarono per un'intervista RTL, Virgin Radio, Radio Montecarlo e tanti altri.

Uscirono decine di recensioni, la prima tiratura andò esaurita in un paio di giorni, la seconda uguale, mille copie in un paio di settimane.

Nei giorni successivi con Alberto ce ne andammo a Roma per essere ospiti di RaiSport2 a Saxa Rubra (che raggiungemmo prelevati da auto con autista) con Enrico Varriale e Max Gazzè, poi a RadioRai2 in Corso Sempione a Milano con Massimo De Luca per "Tutto il calcio minuto per minuto", al Salone del Libro di Torino, a Sky Sport.

Il tutto corredato da decine di presentazioni in mezza Italia (tra cui una rocambolesca dagli Ultrà del Livorno nella loro sede, nella libreria interna Kalashnikov, con enorme ritratto di Stalin).

"Rock 'n' Goal" ha venduto discretamente ma ci colse impreparati il successo immediato, che forse avrebbe potuto essere maggiormente sfruttato a livello commerciale.
Ma fu veramente una sorpresa per tutti.
Rimane il mio (nostro in questo caso) best seller insieme a "Northern Soul" con cui si batte sul filo delle copie vendute (altro evento inaspettato).

Il libro ebbe un seguito, dedicato allo sport, "Rock 'n' sport", molto meno fortunato e considerato.

martedì, giugno 17, 2025

Frank Sinatra - Waterfront

La fine degli anni Sessanta aveva cancellato FRANK SINATRA dal podio della popolarità.
Vendite in calo, attenzioni riservate a ben altro piuttosto che ad un ultra cinquantenne melodico.

Nel 1969 entra in studio per il suo lavoro più atipico (pubblicato nel 1970) che, forse per cercare di invertire l'infausta tendenza, cerca di guardare con più attenzione alle nuove sonorità.

Nulla di rock o psichedelico, per carità, ma affida a Bob Gaudio dei Four Seasons la scrittura, l'arrangiamento e la produzione del nuovo album e a Jake Holmes (autore di "Dazed and confused", portata alla notorietà dai Led Zeppelin, dopo essere stata ripresa dagli Yardbirds e co-accreditata dopo una causa legale con la band di Jimmy Page). Il concept verte su un uomo abbandonato dalla moglie (interpretato da Frank in veste di narratore) e costretto a crescere da solo i due figli piccoli. Un disco malinconico, struggente a tratti ma particolare, dove l'inarrivabile voce di Frankie viaggia, come sempre, cristallina su basi orchestrali non così zuccherose o allegramente swinganti come d'abitudine ma molto più complesse e particolari.
Il sound è orchestrale ma con una base più pop rock, la voce e l'interpretazione intensissime con Sinatra a perfetto agio con la "nuova" materia (nonostante sia l'unico album in cui cantò su basi orchestrali pre registrate).

Vendette pochissimo (non più di 30.000 copie, una nullità per lui e per i tempi) ma rimane un episodio interessante e unico con le potenzialità di diventare un classico senza tempo.

"For A While" fu ripresa in una bellissima versione da Nina Simone: https://www.youtube.com/watch?v=Qq12jRWlitQ

Francesca Buscaglia - Etnografie Trap

Un illuminante saggio sul "fenomeno" TRAP, la marginalità dei suoi protagonisti, il costantemente voluto e cercato "folk devil" da demonizzare per la sua alterità rispetto alla normalità.
L'analisi prescinde dai contenuti musicali/artistici ma si concentra sulle "periferie urbane, spazi pieni di sconosciuti, spazi multiculturali dove l'appartenenza rappresenta una risorsa fondamentale."

"La musica trap oltre a prodotto musicale è la voce di una comunità immaginata, che offre alle comunità diasporiche dei giovani subalterni la possibilità di rispecchiarsi in un "noi" più moderno".

Interessante e perfettamente azzeccata la visione di come prima rap e poi trap siano diventati fenomeni globali e opportunità espressiva soprattutto di gruppi socialmente marginalizzati (per i quali il benessere esiste solo nelle pubblicità) che cercano (e talvolta trovano) nella musica un modo per uscire dall'anonimato e trovare fama, soldi e una modalità di scalata sociale. O imitandone movenze ed estetiche per sentirsi in qualche modo parte di "qualcosa".

In un mondo in cui "la geniale idea della governance neoliberale è stata riuscire a trasformare i diritti in qualcosa che si deve meritare" i giovani immigrati o di origine straniera si dibattono alla ricerca di un ruolo e di un'identità, sempre più pervicacemente negata e respinta.

La conclusione è propositiva, per quanto appaia utopica, alla luce del reale: "In questo momento è più che mai necessario...smettere i panni di meri osservatori e narratori di processi che riguardano "altri". Riprendere la voce: parlando, cantando, urlando se necessario. Proprio come stanno facendo, in modi e forme differenti, i giovani cosiddetti di prima e seconda generazione".

Il libro ha il profilo autorevole dell'autrice, educatrice di professione e antropologa, che lavora da anni nel sistema di accoglienza.
Ha intervistato i ragazzi, approfondendone con loro le problematiche quotidiane.
Ne esce una fotografia molto fedele, quanto drammatica dell'epoca attuale, convulsa, talvolta "illeggibile" e incomprensibile.
Un lavoro più che pregevole.

Francesca Buscaglia
Etnografie Trap
Agenzia X
204 pagine
euro 16

sabato, giugno 14, 2025

Wp Store Pitti Uomo
Ringo a Passaggi Festival

Martedì 17-06-2025
@ WpStore Firenze -dalle 18.30
Via della Vigna Nuova, 75/R, 50123 Firenze
In consolle Fulci Dj
Guest at the party Antonio Bacciocchi
Pitti Uomo Firenze

PASSAGGI FESTIVAL 2025

https://www.passaggifestival.it/

Venerdì 27 giugno
Ore 18.15 - 19.15, Giardino Radicioni
Fano
ANTONIO BACCIOCCHI, “Ringo Starr, Batterista” (Edizioni Low)
Conversa con Paolo Molinelli (BeatleSenigallia)

venerdì, giugno 13, 2025

La Banda Bassotti e Fermin Muguruza a Roma. Un altro giorno d’amore.

A cura dell'amico Antonio Romano, già presente con una rubrica nel blog qui: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Antonio%20Romano

Torno a scrivere sulle colonne virtuali di questo blog dopo qualche anno.
Lo faccio perché certe serate ed emozioni vanno fermate, raccontate e condivise.
Sabato 7 giugno, a Roma, ho visto qualcosa che andava oltre il concerto: una festa vera, di amore e di lotta, fatta da gente vera.
Il ritrovo di una grande famiglia resistente.
Banda Bassotti e Fermin Muguruza sullo stesso palco.

Appartengo alla seconda generazione dei “figli” della Banda, quella nata a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, mentre uscivano “Figli della stessa rabbia” e “Balla e difendi”.
Personalmente li ho conosciuti col live “Un altro giorno d’amore” del 2001.
Avevo 13 anni.
Quel disco è stato un’esplosione, che non solo mi ha fatto scoprire anche Fermin Muguruza e i Negu Gorriak, ma che è stato l’accesso a una visione del mondo e della vita che non si studiava a scuola.
Una visione ed una strada che da solo, nella provincia di Lecce in cui sono cresciuto, difficilmente avrei maturato.

Il live inizia puntualissimo, alle 20, mentre il sole cala tra i palazzi popolari e le bandiere sventolano fiere attorno al palco.
La Banda Bassotti entra sulle note della “Marcia dei Soviet” suonata insieme ad una giovanissima sezione fiati ospite.
Mi sono commosso.
Non per nostalgia, ma per l’orgoglio che si respirava, per tutto ciò che quel momento rappresentava.
Avevo mio figlio di 4 anni sulle spalle e la mia compagna, incinta alla 39ª settimana, accanto a me.
E ho pensato al me stesso di 19 anni, quando prendevo il treno da Lecce di nascosto dai miei, per una birra al Sally Brown o per un festival oi! in qualche CSOA.
Dove, tra il pubblico o tra gli organizzatori, c’era sempre qualcuno della Banda e della loro crew ed io li guardavo con un quasi timore reverenziale, come si guardano gli eroi.
Angels with dirty faces, citando gli Sham 69.

E quella famiglia che vedevo allora, oggi è ancora lì.
Attorno a noi c’erano ragazzini e sessantenni, skin coi capelli bianchi, vecchi punk, coppie coi figli ormai cresciuti, e figli piccolissimi tenuti stretti al collo. Gente da tutta Italia, anche dall’estero.
La festa di una tribù.

Il set della Banda è stato tirato, diretto, potente.
Tutti i loro inni, uno dietro l’altro.
Qualche battuta di Picchio, con la sua ironia rude di borgata, l’energia di Sandokan, l’autorevolezza silenziosa di Scopa e poi tutti gli altri componenti, compresi gli ospiti, tra cui Kino degli Arpioni.
E c’era Sigaro.
Sempre lì, a ogni pezzo ti sembra che da un momento all’altro possa attaccare le sue parti e tornare a cantare le sue poesie.
Non c’è, ma c’è. Lo sappiamo tutti. Avanti uniti.

Dopo “L’Internazionale”, chiusura solenne del set e altra lacrima col pugno alzato, breve pausa e cambio palco.

Tocca all’ospite d’onore: Fermin Muguruza.
Con una nuova band, potentissima.
Fermin festeggia 40 anni di carriera, e ha scelto di celebrarli anche qui, nella sua seconda casa.
Due ore in cui ha portato tutto il suo mondo: Kortatu, Negu Gorriak, Clash, Specials, punk, reggae, dub, folk.
Una band rocciosa, calda, piena di groove. Davvero alto livello. Ritmo, lotta, sudore, orgoglio. Cuore working class che batte forte e che, ancora oggi, sa far innamorare.

Se questa musica, queste band, queste persone e le loro storie ci hanno insegnato qualcosa, è che non si deve smettere mai: di amare, di soffrire, di lottare, di cantare.

L’ho vissuto come un giorno importante, vero.
Senza nostalgia, senza passerelle, senza star. Un’occasione per ribadire il rispetto che dobbiamo alla Banda Bassotti, alla Gridalo Forte, a tutta la loro “vecchia crew”.
Perché hanno saputo unire rabbia e poesia, coscienza di classe e allegria, costruendo, e –senza esagerare- anche educando, una comunità che, nonostante tutto, resiste.
Con le Doc Martens rotte quando fischia il vento, ma sempre con la stessa fierezza.
Kids like me and you!

giovedì, giugno 12, 2025

Addio a Brian Wilson

Da sei mesi ho una rubrica fissa, ogni lunedì, nelle pagine di www.piacenzasera.it, intitolata "La musica che gira intorno".

Oggi ho scritto due righe di doveroso omaggio per la scomparsa di BRIAN WILSON.

https://www.piacenzasera.it/2025/06/addio-a-brian-wilson-i-suoi-facili-e-innocui-beach-boys-hanno-fatto-la-storia-del-rock/597831/

Giangiacomo Schiavi - Il Piccolo Maracanà

Dal 1962 ai primi anni 70 a Gragnano Trebbiense, provincia di Piacenza, si svolse un appassionante, mitico, pionieristico (peraltro uno dei primi in assoluto) torneo notturno di calcio.

Nell'afoso luglio padano si giocavano due partite a sera (che spesso finivano con risultati "rotondi"), sei contro sei, senza il fuorigioco, 16 squadre divise in quattro gironi, quarti, semifinali e finale.

Il tutto davanti a 2/3.000 persone a sera, fino a 5.000 (calcolate 200.000 in sei anni), assiepate in un campo dietro al Comune del paese, ribattezzato “Il Piccolo Maracanà” .

Si affrontavano abitualmente squadre di Gragnano, i “Ramarri” (il simbolo era una versione gragnanese del coccodrillo della Lacoste...), squadra per cui tenevo e che non vinse mai (come al solito!), il “Bar Veneroni”, il “Gatto Nero”, il “Baby Brazil” di Gragnanino, l’”Olubra” di Castelsangiovanni”, i “Papaveri” di Piacenza (con i giocatori del Piacenza allora in serie C) e varie altre dalla provincia e dintorni.
In particolare è da ricordare la "Rassa Grama" (La cattiva razza), nucleo anarchico che si affiliava di volta in volta a un nuovo sponsor, ricco di talento, genio e sregolatezza. Non vinsero mai m entrarono nel mito e nella leggenda.

Abitavo a 2 km di distanza a Casaliggio (dove sono tornato a vivere 20 anni dopo) e ne vidi a decine.

Ancora senza troppi vincoli contrattuali, giocarono Pierino Prati, Pietro Anastasi, Osvaldo Bagnoli, Marchioro, Magistrelli, Ferrario, Poletti (nazionale nel 1970 nella semifinale con la Germania 4 a 3) e nomi ormai dimenticati come Bicicli dell’Inter, Ambrogio Pelagalli (campione d’Italia con il Milan), Da Pozzo (portiere di Inter e Genoa), Magistrelli.

Dopo qualche anno le società proibirono ai giocatori di fare partite al di fuori dai doveri contrattuali e allora, in cambio di soldi sottobanco sempre più consistenti (e in nero), giocavano in molti sotto falso nome.

Il calcio divenne sempre più affare professionale, i vincoli della federazione sempre più stretti e il torneo finì.

"Il piccolo Maracanà. Un campo, un paese, una leggenda", di Giangiacomo Schiavi, documenta al meglio il tutto ed è la ristampa di una precedente edizione introvabile, ora edita da La Valle Dei Libri (https://www.facebook.com/profile.php?id=61572005579050).

Leggere la sua stupenda prosa mi ha riportato incredibilmente a quei tempi, quei colori, quegli odori, quella "magia irripetibile", in un tuffo nostalgico, immensamente nostalgico, per tempi che, alla fine, rimpiango tanto, soprattutto leggendo una serie di nomi che facevano parte della mia quotidianità.

Le foto, stupende (e numerose), sono di Prospero Cravedi, l'introduzione di Simone Inzaghi (che con Pippo viveva e giocava a una manciata di kilomentri di distanza a San Nicolò).

Il Piccolo Maracanà oggi.
Giangiacomo Schiavi
Il Piccolo Maracanà
La Valle dei Libri
150 pagine
20 euro

martedì, giugno 10, 2025

Cock Sparrer live a O2 Academy Islington, - 31 maggio 2025

L'amico Ramblin Erikk ci regala questa avvincnente recensione del concerto dei COCKSPARRER (e una serie di altre band, Ruts DC in primis) tenutosi da poco a Londra (sue anche le foto.)

La cupa linea di basso Dub di Segs continua a iniettare vibrazioni attraverso la nostra psiche collettiva, ancora diversi secondi dopo che, al termine di una tesa e nervosa versione dell' epocale "Babylon's Burning", lui, Dave Ruffy e Neil Heggarty, i Ruts DC, salutano il pubblico ansimante della 02 di Islington.
Ci troviamo nel cuore di Londra per festeggiare i 15 anni di "Vive Le Rock", il mensile piú autorevole in campo RnR e Punk in Inghilterra che, a occhio e croce, parecchi degli astanti seguono da quel primo, sperimentale numero con la buon'anima di Johnny Ramone in copertina.
Per tre lustri (e pur tra gli alti e bassi di una scrittura non sempre all' altezza della bontá ideale del progetto) la pubblicazione guidata da Eugene Butcher ha documentato le vicende del Rock piú sotterraneo e indipendente, con particolare attenzione al passato (specialmente 1977 e dintorni) pur mantenendosi sempre attentissima alle piú interessanti realtá contemporanee, locali e non, influenzando e fagocitando i gusti di un' intera generazione di lettori e ascoltatori, come ogni buona rivista musicale dovrebbe fare.

La nutrita line-up assemblata per l' occasione riflette da vicino questo spettro generazionale, a partire dagli emergenti Split Dogs e Knock-Off per proseguire con Desperate Measures, la band che vede alla voce lo stesso Butcher, Maid Of Ace e quegli enigmatici "Human Punks" annunciati sul cartellone e, infine, rivelatisi gli stessi Ruts che proprio con quello sferragliante classico chiudevano il loro seminale debutto "The Crack" nel 1979.
Indizio fin troppo palese e molti di noi avevano sgamato al volo, per quanto fosse lecito anche ipotizzare un' estemporanea formazione di "Vive Le Rockers" storici assemblati per l' occasione.

L' onore di chiudere e fare da testimoni alla serata spetta agli inossidabili padrini dello Street-Punk/Oi Cock Sparrer.

Beniamini locali, Londinesi dell' East End e attivi giá dal 1972, gli Sparrer godono di un' accoglienza calorosa da eroi, un ruolo che si sono guadagnati portando alta la bandiera di un Punk Rock grezzo, abrasivo ma sempre melodico e orecchiabile, figlio in egual misura del Glam dei primi '70, dei cori da stadio da cantare all' unisono e, soprattutto, di un' attitudine orgogliosamente Working-Class ritratta in maniera fedele dai loro pezzi, che raccontano storie di vita Inglese di tutti i giorni, tra lavoro, scazzi, pinte al pub nel weekend, tafferugli in curva e tutto il corollario di gioie e dolori che un andirivieni del genere comporta.

Amici dai tempi della scuola e arrivati alla grande esplosione Punk Britannica del '77 con giá cinque anni di solida carriera alle spalle, hanno, per modo di dire, approfittato di un' energia a loro vicina e a cui sentivano avrebbero potuto contribuire, in maniera non dissimile da quanto accadde a Stranglers, Ruts e gli stessi Clash.

Salgono sul palco sulle note di "Cum On Feel The Noize" degli Slade: Colin McFaull, Micky Beaufoy, Steve Burgess e Steve Bruce membri fondatori, lí dall' "Ora Zero", assieme al "Newboy" Daryl Smith, che si é unito al gruppo nell' ormai giá lontano 1992 rivelandosi da subito un innesto importantissimo.
A vederli, non fanno certo pensare allo stereotipo di Rockstar "elegantly wasted" e eternamente giovane e glamourous : i cinque mostrano tutti i loro anni, non fanno nulla per nascondere rughe o segni del dell' usura e assomigliano in tutto e per tutto al pubblico che si raduna ai loro concerti.

Attaccano, come consuetidine, con le sirene di "Riot Squad" seguita, in rapida successione, da "Watch Your Back" e "Workin" (tutte da "Shock Troops") un rituale che si ripete da quasi 40 anni, splendidamente immutabile come in uno show dei Ramones.

Arriva poi un trittico killer a rappresentare l' eccellente "Hand On Heart" dell' anno scorso : "With My Hand On My Heart", "Mind On Your Business" e "Here We Stand". Anthemiche, accorate e, a loro modo giá classiche, canzoni la cui apparente semplicitá tradisce in realtá una sottigliezza e un gusto compositivo non comuni, soprattutto in una band di area Street-Punk.

Il lavoro alla chitarra dell' asse Beaufoy/Smith é serrato ma ricco di ganci melodici, la sessione ritmica solida e metronomica mentre la voce tenorile del maestro di cerimonie Colin McFaull non perde un colpo, interpretando ogni strofa e storia con la consapevolezza di chi ha vissuto in prima persona e la maestria di un performer consumato, in grado di tenere platee di migliaia di persone nel palmo di una mano.
É un' esperienza, verrebbe da dire, religiosa nella sua carnale e, a tratti, brutale concretezza terrena : un rito colettivo che unisce etá, razze e denominazioni diverse, unite dal medesimo set di valori, stile di vita e amore per la musica.
Siamo galvanizzati dall' arrembante "One By One" e ritroviano noi stessi e molte delle persone che conosciamo nelle disavventure della protagonista di "Suicide Girls".

Questa é musica per la gente, fatta dalla gente: inni proletari che fotografano una realtá fatta di sbattimenti, piccole gioie, qualche colpo di culo ma sempre tanto orgoglio.

Per fortuna, in un' atmosfera non piú funestata dalle violenze gratuite ad opera di facinorosi destrorsi che spesso, tra i tardi anni '70 e primi '80, inquinavano concerti di questo tipo.
In pieno Thatcherismo, quando la destra in Inghilterra tentava una facile opera di proselitismo, facendo leva su malcontento e disoccupazione generali per tenere la classe operaia in silenzio e dalla parte loro. Quando gli skins del National Front si presentavano in prima fila ai concerti degli Sham 69, in cerca di grane : tempi cupi.
In barba agli anni che, visibilmente, avanzano, gli Sparrer suonano ancora perfettamente credibili quando intonano "What It's Like To Be Old" e "Because You're Young", sempre vibranti inni alla sfrontatezza giovanile e resta intatta anche la dolceamara disillusione nei confronti dello show-biz espressa in maniera così efficace in quadretti "kitchen-sink" come "Take 'Em All" e "Where Are They Now".

Hey, questi sono Cockneys dell' East End : sapevano dal principio che sarebbe stata tutta una grossa fregatura.
Leggenda vuole (e io ci voglio credere) che, quando nel 1977 Malcolm McLaren avvicinó la band con l' idea di metterla sotto la propria ala, i nostri gli diedero in breve il ben servito perché "non pagava mai il suo giro al Pub".
Pura "Stiff Upper Lip" Britannica.
"England Belongs To Me" risuona del coro unanime di 800 Punk, Skin, Mod e quant' altro presenti in sala: non un inno "Nazionalista" come gli osservatori piú miopi e faziosi l'hanno spesso erroneamente bollata, quanto piuttosto una sincera celebrazione di patriottismo proletario dedicato a chiunque, nativo o meno, faccia parte del paese che ha inventato la "Magna Carta", ben prima della Brexit e altre brutture per cui chissá per quanti anni ancora dovremo pagare il conto.

É chiaro, ad un ascoltatore attento, che l' Inghilterra di Colin McFaull e soci NON é certo quella della Brexit.
Con la promessa di "We're Coming Back" ("E non camminerete mai piú da soli") gli Sparrer si congedano, salutano e io mi rituffo nel network sterminato della Tube nella notte Londinese.
"A quanti concerti dei Cock Sparrer hai bisogno ancora di assistere?" mi hanno chiesto alcuni.

Semplice : il piú possibile!
Sensazioni di aggregazione e appartenenza come questa sono francamente impagabili.
E, come loro saranno sempre lí per noi ("Here We Stand") cosí noi accorreremo puntualmente ad ascoltarli ancora. Forever.
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