Un prezioso e interessantissimo contributo dell'amico ANTONIO ROMANO (collaboratore del blog in questa rubrica: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Antonio%20Romano) relativamente a una canzone dei 4 SKINS, una delle prime band della nuova scena skinhead inglese dei primi anni Ottanta.
https://www.youtube.com/watch?v=_Fas4wFgAVU
Nel 1981, nel cuore del thatcherismo, tra disoccupazione di massa, tagli al welfare e rivolte urbane, i 4-Skins pubblicarono “One Law for Them”, divenuto uno degli anthem della musica Oi!.
Il titolo sembra esprimere con chiarezza un sentimento largamente diffuso nei quartieri popolari inglesi: esistono due pesi e due misure, una legge per “loro” – le élite, i politici, la polizia – e un’altra per “noi” - gli esclusi, i giovani cresciuti tra austerity, violenza e sfiducia.
Anche se in vita mia l’ho ascoltato e cantato centinaia di volte, analizzarne oggi il testo e il contesto con uno sguardo più maturo mi costringe a fare i conti con una confusione di fondo che un tempo ignoravo, ma che ora, da giovane adulto e convinto socialista, riconosco, pur comprendendo la rabbia che la muove.
Il brano si apre con una strofa fortemente ambigua.
Da un lato c’è l’immagine del “noi”: i giovani bianchi della classe operaia, che vanno allo stadio, si lasciano andare a forme episodiche e tutto sommato lievi di vandalismo, come lanciare un mattone, e vengono puniti con durezza.
Dall’altro, “loro”: i giovani immigrati che abitano nei ghetti urbani, descritti come autori di rivolte e saccheggi, ma secondo il testo lasciati liberi di agire nel crimine. Il messaggio implicito è chiaro e disturbante: “noi” perseguitati per ogni gesto, “loro” impuniti anche nella violenza.
È il racconto di una doppia morale che però oppone implicitamente due categorie sociali e razziali. La strofa evoca i quartieri afro-caraibici e asiatici di Londra e Liverpool, che nel 1981 furono teatro di rivolte esplose per cause che non esito a definire legittime: abusi polizieschi, discriminazione sistemica, esclusione sociale.
È una narrazione pericolosa perché, in sostanza, alimenta la guerra tra poveri, spostando il bersaglio della rabbia dal potere a chi, come noi, subisce la stessa oppressione.
Più pesante ancora è il riferimento, appena velato ma evidente, all’infame discorso di Enoch Powell del 1968, passato alla storia come “Rivers of Blood”.
Powell, deputato conservatore, tuonò contro l’immigrazione con toni apocalittici, prevedendo fiumi di sangue e guerre civili.
Fu un discorso profondamente razzista, che legittimò l’odio verso gli immigrati e fornì argomenti all’estrema destra inglese per decenni, fino ai giorni nostri.
Nella canzone, i 4-Skins dicono: “Siamo stati avvertiti dei fiumi di sangue, ora vediamo il rivolo prima dell’alluvione”.
Il discorso di Powell viene inequivocabilmente citato, senza contestarlo, senza parodiarlo né denunciarlo. Si limitano a evocarlo, lasciandone sospeso il senso e libera l’interpretazione.
Per una scena come quella Oi! dei primi 80s, già frequentata da skinhead apertamente nazionalisti ed infiltrata dai partiti neonazisti, questo riferimento era un segnale inquietante, che contribuì a far percepire la band come vicina a certe pulsioni reazionarie.
Non solo: il 4 luglio 1981, i 4-Skins, insieme a The Business e Last Resort, si trovarono coinvolti nei tristemente celebri scontri di Southall, dove suonarono in un pub situato in un quartiere a maggioranza asiatica.
La presenza massiccia di skinhead portò a violenze, scontri con la comunità locale, intervento della polizia, decine di feriti e l’incendio del locale.
Questo episodio segnò un punto di rottura: la scena Oi! fu etichettata definitivamente come pericolosa e razzista, e molte band vennero bandite dai locali.
Anche se i 4-Skins non furono gli artefici diretti della violenza, la loro immagine fu associata all’episodio e delegittimata, assieme a quella di tutto il movimento skinhead.
Dopo la strofa iniziale, il testo si concentra sull’esperienza quotidiana della working class, tra disoccupazione, alienazione, povertà.
Dato che non voglio ergermi a giudice di nulla, dico anche che l’ambiguità della parte di testo che ho approfondito va letta anche alla luce dell’età e dell’ambiente dei componenti del gruppo.
Nel 1981, il bassista e leader Hoxton Tom McCourt e il cantante Gary Hodges avevano appena 20 anni.
Provenivano entrambi da quartieri operai dell’East London, con esperienze dirette di marginalità e repressione.
La loro musica era un urlo istintivo di una generazione senza prospettive. Ma proprio questa spontaneità, priva di una riflessione politica matura, li rendeva vulnerabili al rischio di riprodurre, anche inconsapevolmente, le retoriche utilizzate dall’estrema destra, dandole inoltre in pasto alla stampa sensazionalista.
I 4-Skins, indubbiamente tra i migliori gruppi della prima generazione dell’Oi!, furono anche tra i più impulsivi, più grezzi e, probabilmente, meno politicamente consapevoli.
La loro rabbia era autentica, ma, come nel caso delle strofe che sto commentando, mal indirizzata. “One Law for Them” è una canzone che colpisce duro, ma lo fa anche contro bersagli sbagliati.
È un documento della frustrazione operaia dell’epoca, ma anche, direi ora, un monito:
la protesta, se non guidata da una visione e da autentica coscienza di classe, può restare rumore e tornare persino utile al potere. Perché “una legge per loro, un’altra per noi” è uno slogan potente, ma se non capiamo chi sono davvero “loro”, rischiamo di colpire chi è già a terra accanto a noi.
Per concludere, e solo per fare un rapido paragone con la stessa scena Oi! di poco precedente e di poco successiva, esisteva un’altra strada, che altri gruppi seppero percorrere con più lucidità e coraggio.
Gli Sham 69, ad esempio, furono pionieri nel costruire un messaggio apertamente antirazzista e unitario. Pensiamo solo che “If the Kids Are United” è stata pubblicata nel 1978, quando Jimmy Pursey aveva 23 anni, e conteneva un messaggio semplicissimo quanto radicale: se i giovani sono uniti, nessuno potrà dividerli. Nessun nemico etnico, nessuna competizione tra poveri, solo solidarietà.
Allo stesso modo, gli Angelic Upstarts, provenienti dal Nord-Est minerario dell’Inghilterra, furono sempre più esplicitamente antifascisti, socialisti e militanti. La loro immortale “Solidarity”, pubblicata nel 1983, è un inno alla fratellanza tra oppressi, ispirato al movimento sindacale polacco ma applicabile ovunque vi siano sfruttamento e ingiustizia.
A onor del vero, si tratta di un brano successivo agli esordi dell’Oi!: il frontman Mensi aveva 27 anni, e la sua scrittura mostrava ormai una consapevolezza politica affinata e matura.
Quello che voglio sottolineare è che, per gli Upstarts, il “noi” non coincideva con la sola gioventù bianca, ma con l’intera classe lavoratrice, indipendentemente da razza, provenienza o condizione: neri, bianchi, asiatici, disoccupati, sfruttati.
Uniti non dall’identità etnica, ma dalla comune esperienza dell’oppressione.
lunedì, luglio 21, 2025
ONE LAW FOR THEM dei 4 Skins - Chi sono “loro”?
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venerdì, luglio 18, 2025
Police - Every Breath You Take
Tratto dall'ultimo album dei POLICE, "Synchronicity", pubblicato come singolo nel maggio del 1983, vendette milioni di copie raggiungendo il primo posto in un gran numero di nazioni.
Composto da Sting (anche se ci fu una lunga diatriba con Andy Summers sui diritti d'autore che, nonostante la parte di chitarra, molto caratteristica, fosse farina del suo sacco, non ricevette nessuna quota), pare sia il brano che gli abbia reso, da solo, un terzo di tutti i diritti d'autore della sua carriera.
Il tutto fu completato da una tensione sempre più alta e aspra tra Copeland e Sting in studio che sembrò, a un certo punto, distruggere la band durante le registrazioni.
Il primo incise la batteria pezzo per pezzo in più sessioni.
La particolarità del brano è che è sempre stato prevalentemente considerato una dolce ballata d'amore, quando invece nasconde (nemmeno tanto) una visione minacciosa e sinistra di uno stalker che vuole controllare tutto, perfino il respiro della persona a cui fa riferimento ma che configura, come ha ammesso Sting, anche il concetto più ampio da "Grande Fratello" che sorveglia ogni mossa.
https://www.youtube.com/watch?v=OMOGaugKpzs
Every Breath You Take
Every breath you take
And every move you make
Every bond you break, every step you take
I'll be watchin' you
Every single day
And every word you say
Every game you play, every night you stay
I'll be watchin' you
Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
And every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watchin' you
Since you've gone I've been lost without a trace
I dream at night, I can only see your face
I look around but it's you I can't replace
I feel so cold and I long for your embrace
I keep cryin', "Baby, baby, please"
Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
And every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watchin' you
Every move you make, every step you take
I'll be watchin' you
I'll be watchin' you
Every breath you take, every move you make
Every bond you break (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every move you make, every vow you break
Every smile you fake (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every breath you take, every move you make
Every bond you break (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every move you make, every vow you break
Every smile you fake (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Composto da Sting (anche se ci fu una lunga diatriba con Andy Summers sui diritti d'autore che, nonostante la parte di chitarra, molto caratteristica, fosse farina del suo sacco, non ricevette nessuna quota), pare sia il brano che gli abbia reso, da solo, un terzo di tutti i diritti d'autore della sua carriera.
Il tutto fu completato da una tensione sempre più alta e aspra tra Copeland e Sting in studio che sembrò, a un certo punto, distruggere la band durante le registrazioni.
Il primo incise la batteria pezzo per pezzo in più sessioni.
La particolarità del brano è che è sempre stato prevalentemente considerato una dolce ballata d'amore, quando invece nasconde (nemmeno tanto) una visione minacciosa e sinistra di uno stalker che vuole controllare tutto, perfino il respiro della persona a cui fa riferimento ma che configura, come ha ammesso Sting, anche il concetto più ampio da "Grande Fratello" che sorveglia ogni mossa.
https://www.youtube.com/watch?v=OMOGaugKpzs
Every Breath You Take
Every breath you take
And every move you make
Every bond you break, every step you take
I'll be watchin' you
Every single day
And every word you say
Every game you play, every night you stay
I'll be watchin' you
Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
And every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watchin' you
Since you've gone I've been lost without a trace
I dream at night, I can only see your face
I look around but it's you I can't replace
I feel so cold and I long for your embrace
I keep cryin', "Baby, baby, please"
Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
And every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watchin' you
Every move you make, every step you take
I'll be watchin' you
I'll be watchin' you
Every breath you take, every move you make
Every bond you break (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every move you make, every vow you break
Every smile you fake (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every breath you take, every move you make
Every bond you break (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
Every move you make, every vow you break
Every smile you fake (I'll be watchin' you)
Every single day, every word you say
Every game you play (I'll be watchin' you)
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giovedì, luglio 17, 2025
La lunga estate degli anni Sessanta

Da un vecchio numero della rivista "Musica 80" (primissimi anni Ottanta) un interessante scritto di EDOARDO VIANELLO (si ! Quello de "I Watussi" e "Abbronzatissima"...) con una visione del periodo da chi operava in un contesto commerciale, leggero e lontano, almeno artisticamente, dalle "rivoluzioni" in atto.
La lunga estate degli anni 60.
Con questo slogan una nota casa discografica italiana ha riproposto recentemente i vecchi successi italiani degli anni 60 che costituiscono ancora oggi il momento più magico e più prolifico della canzone italiana moderna.
Gli anni 60 sono stati gli anni dei cantautori italiani che dopo la dittatura dei regimi "monarchici” dei Claudio Villa e delle Nilla Pizzi, comunque mai andati in esilio o sommariamente giustiziati come si addice ai veri monarchi dopo una rivoluzione, hanno preso il potere, amministrandolo saggiamente, nonostante le mode, le evoluzioni, la disco-music e il rock, al punto che oggi potrebbero indire libere elezioni e contare ancora in una schiacciante vittoria.
Analizziamo il motivo per cui la canzone italiana, marcata anni 60, oggi sta interessando anche le nuove generazioni.
In ogni forma d’arte (perdonatemi se intendo accostare la canzone alle espressioni artistiche ma considero arte tutto ciò che arriva ad una grande massa) ci sono dei caposcuola ai quali si rifanno dei gruppi, nei quali, a loro volta, ognuno trova poi una propria strada ed una propria personalità.
Il nostro caposcuola è stato Domenico Modugno che, alla fine degli anni 50, presentandosi sul palco di SanRemo con una canzone così straordinariamente diversa dagli schemi stantii del bel canto italico, riusciva in soli tre minuti, con quella sua grinta, con quel suo entusiasmo, con quella sua “zazzera” che, all’epoca, fece accapponare la pelle ai nostri genitori, a dare l’avvio alla grande rivoluzione della canzone italiana.
Senza dubbio a Modugno dobbiamo il fatto che possano essere nati i cantautori, autori di canzoni che non si sarebbero mai azzardati a cantarsele da soli se non fosse avventura questa rottura: il così detto bel canto lasciava il posto all’interpretazione.
Infatti il cantautore è soprattutto un interprete che riesce a coinvolgersi senza preoccuparsi se l’intonazione, la limpidezza della voce, la modulazione delle note siano perfette.
E allora hanno potuto cantare tutti, tutti coloro i quali avevamo la necessità di dire delle cose.
E sono arrivati Umberto Bindi, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Bruno Lauzi che con poca voce, ma con tanta personalità, sono riusciti ad imporre il loro stile e i loro brani.
Il movimento si è poi arricchito di interpreti straordinari che hanno incominciato ad apprezzare la canzone d’autore come Mina, Ornella Vanoni e di altri interpreti anch’essi a volte autori che in epoche precedenti non avrebbero certamente fatto centro.
Anch’io nasco nello stesso periodo benchè il mio repertorio si discosti nettamente dalle canzoni un po’ impegnate dei primi cantautori.
Ma il mio inserimento avviene a colpi di successi discografici. Divento il cantante dell’estate per antonomasia, proprio perché d’estate riesco a piazzare uno o più successi: “Il capello” nel 61, “I Watussi” e “Abbronzantissima” nel 63, “Guarda come dondolo” e “Pinna fucile ed occhiali” nel 62, “O mio signore” e “Tremarella” nel 64, “Da molto lontano” e “Il peperone” nel 65, scrivendo anche per la Pavone “La partita di pallone” che la porterà al successo nel 63.
Ma ricordo che a quei tempi ero guardato un po’ male dai colleghi che mi consideravano la pecora nera di questo “rinascimento “ per il contenuto spensierato delle mie canzoni.
Infatti solo col passare degli anni il mio repertorio ha preso consistenza, rimanendo il simbolo delle estati degli anni 60.
Poi la musica è cambiata.
I Beatles sono saliti in cattedra e ci hanno insegnato a scrivere, suonare e a cantare in un altro modo.
In Italia sono spuntati i complessi.
Il gusto del pubblico ha cominciato gradualmente a cambiare: si è evoluto, come ci hanno spiegato i giornali specializzati.
E i cantautori si sono messi da parte, trovando altre strade: nei night Paoli, il teatro Gaber, i Vianella il sottoscritto, il cabaret Lauzi.
L’oblìo gli altri, ma seguendo con attenzione questa evoluzione, che alla fine è diventata talmente esasperata , ai nostri giorni, da risultare incomprensibile ai molti e riservata a quella piccola elite che , per apprezzarla in pieno, deve ricorrere spesso a “stimoli” più o meno pesanti…
Finchè il pubblico, improvvisamente, ha sentito la necessità di riscoprire, per i giovani di conoscere, i testi di Paoli, Tenco, Lauzi, le melodie di Endrigo, di Bindi, la matematica ingenuità delle mie canzoni, la linearità, la semplicità e la poesia della lunga estate degli anni 60.
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Di cosa parliamo quando parliamo di musica
mercoledì, luglio 16, 2025
Ella Fitzgerald - Ella
A fine anni Sessanta molti artisti jazz e soul cercarono di svecchiare la loro immagine accostandosi alle novità musicali in circolazione.
Ella Fitzgerald era una delle migliori voci jazz e gospel in circolazione, aveva passato i 50 anni ma si mise in gioco quando cui affrontò brani rock, rivisitati per la sua voce e il suo stile.
Già "Sunshine Of Your Love" del 1968, registrato live a San Francisco con una band ovviamente super, con il fido Tommy Flanagan (già con Charlie Parker, Miles Davis, Sonny Rollins) al piano e Ed Thigpen dell'Oscar Peterson Trio alla batteria, introduceva due cover, splendide, di "Hey Jude" dei Beatles e nientemeno che "Sunshine Of Your Love" dei Cream.
Ma è con "ELLA" (1969) che allarga il suo amore per il rock con due strepitose interpretazioni di "Get Ready" dei Temptations e "Knock On Wood" di Eddie Floyd a cui affianca l'insolita cover di "Savoy Truffle", brano del "White Album" dei Beatles fimrato da George Harrison, accentuando l'impronta soul dell'originale con una grande sezione fiati, cori femminili in stile gospel da brividi e un taglio jazzato.
Capolavoro.
Più prevedibile "Got To Get You Into My Life" sempre dei Beatles più vicina all'originale ma con un arrangiamento vocale sinuoso swingante godibilissimo.
Molto bella anche la "Yellow man" di Randy Newman.
Su tutto la voce pazzesca di Ella.
Ella Fitzgerald era una delle migliori voci jazz e gospel in circolazione, aveva passato i 50 anni ma si mise in gioco quando cui affrontò brani rock, rivisitati per la sua voce e il suo stile.
Già "Sunshine Of Your Love" del 1968, registrato live a San Francisco con una band ovviamente super, con il fido Tommy Flanagan (già con Charlie Parker, Miles Davis, Sonny Rollins) al piano e Ed Thigpen dell'Oscar Peterson Trio alla batteria, introduceva due cover, splendide, di "Hey Jude" dei Beatles e nientemeno che "Sunshine Of Your Love" dei Cream.
Ma è con "ELLA" (1969) che allarga il suo amore per il rock con due strepitose interpretazioni di "Get Ready" dei Temptations e "Knock On Wood" di Eddie Floyd a cui affianca l'insolita cover di "Savoy Truffle", brano del "White Album" dei Beatles fimrato da George Harrison, accentuando l'impronta soul dell'originale con una grande sezione fiati, cori femminili in stile gospel da brividi e un taglio jazzato.
Capolavoro.
Più prevedibile "Got To Get You Into My Life" sempre dei Beatles più vicina all'originale ma con un arrangiamento vocale sinuoso swingante godibilissimo.
Molto bella anche la "Yellow man" di Randy Newman.
Su tutto la voce pazzesca di Ella.
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Dischi
martedì, luglio 15, 2025
Roberto Calabrò - Eighties Colours. Garage beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta
Originariamente pubblicate nel 2010 in confezione lussuosa e curatissima per Coniglio Editore, le 1.200 copie di "Eighties Colours" andarono velocemente esaurite, anche grazie a una serie di presentazioni ed eventi affollatissimi e di prestigio.
Un libro che parla(va) con dovizia di particolari e stupende foto, dell'esplosione di colori garage/beat/psichedelici nell'Italia di metà anni Ottanta.
Da allora è praticamente irreperibile se non a prezzi sostenuti.
Ben venga dunque la ristampa, seppure in formato più "povero" ed essenziale, con l'aggiunta di un prezioso capitolo che rendiconta ciò che è successo a molti dei gruppi protagonisti nel nuovo secolo, molti dei quali hanno ripreso vita con lo stesso marchio di fabbrica o con nuove iniziative.
E infine la discografia aggiornata.
Per chi ha amato Not Moving, Sick Rose, Party Kidz, Out Of Time, Effervescent Elephants, Avvoltoi, Sciacalli, Ugly Things ma anche Statuto, Four By Art, Peter Sellers & the Hollywood Party, Allison Run, Technicolour Dream etc e non ha in libreria la prima edizione, un acquisto fondamentale e necessario.
Roberto Calabrò
Eighties Colours. Garage beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta
Odoya Edizioni
416 pagine
28 euro
Un libro che parla(va) con dovizia di particolari e stupende foto, dell'esplosione di colori garage/beat/psichedelici nell'Italia di metà anni Ottanta.
Da allora è praticamente irreperibile se non a prezzi sostenuti.
Ben venga dunque la ristampa, seppure in formato più "povero" ed essenziale, con l'aggiunta di un prezioso capitolo che rendiconta ciò che è successo a molti dei gruppi protagonisti nel nuovo secolo, molti dei quali hanno ripreso vita con lo stesso marchio di fabbrica o con nuove iniziative.
E infine la discografia aggiornata.
Per chi ha amato Not Moving, Sick Rose, Party Kidz, Out Of Time, Effervescent Elephants, Avvoltoi, Sciacalli, Ugly Things ma anche Statuto, Four By Art, Peter Sellers & the Hollywood Party, Allison Run, Technicolour Dream etc e non ha in libreria la prima edizione, un acquisto fondamentale e necessario.
Roberto Calabrò
Eighties Colours. Garage beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta
Odoya Edizioni
416 pagine
28 euro
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lunedì, luglio 14, 2025
Aldo Pedron / Angelo De Negri - LIVE AID. Il juke-box globale compie 40 anni
A quarant'anni dal mitico evento, questo libro ne traccia con maniacale precisione tutti gli aspetti.
Molto interessante la contestualizzazione del periodo storico, sociale, artistico e il riassunto a tutti i precedenti grandi festival.
Poi è un profluvio di dettagli, aspetti poco conosciuti, l'azzardo di Bob Gedolf quando annuncia una serie di nomi partecipanti senza nemmeno averli contattati, paul Mccartney che da tempo non suona, dopo la morte di John, accetta solo per la pressione dei figli, il lancio che aveva dato il singolo collettivo "Do They Know It's Christmas Time", seguito da "Usa for Africa" e da una lunga serie di altri brani, al fine di raccogliere fondi per la carestia nel Corno d'Africa.
L'evento si svolse in alternanza tra Londra a Wembley e lo stadio JFK a Philadelphia, in mondovisione.
Infine il dettaglio di tutte le esibizioni, con scaletta, commenti, dichiarazioni dei protagonisti.
Nomi, tra i tanti, come David Bowie, U2, Style Council, Queen, Dire Straits, Who (riuniti per l'occasione), Elton John, Paul McCartney (con solo "Let it be") accompagnato alla voce da Pete Townshend, David Bowie, Bob Gedolf, Alison Moyet.
Dagli States rispondono con Run DMC, Black Sabbath, Joan Baez, Crosby, Stills and Nash, Beach Boys, Pretenders, Simple Minds, Santana, Madonna, Neil Young, Eric Clapton, Phil Collins (Dieci ore dopo essersi esibito al Wembley Stadium di Londra, arriva negli Stati Uniti con l’aereo supersonico Concorde si esibisce al JFK Stadium di Filadelfia, lo stesso giorno), Plant, Page, Jones con Phil Collins (in un'esibizione imbarazzante), Crosby, Stills, Nash & Young (dopo essersi già esibiti separatamente), Mick Jagger solo e con Tina Turner, Bob Dylan con Keith Richards e Ron Wood.
Il libro si completa con una lunga serie di ulteriori approfondimenti, aneddoti, dati e date.
Difficile trovare qualcosa di più esaustivo.
Aldo Pedron / Angelo De Negri
LIVE AID. Il juke-box globale compie 40 anni
Arcana Edizioni
552 pagine
25 euro >
Molto interessante la contestualizzazione del periodo storico, sociale, artistico e il riassunto a tutti i precedenti grandi festival.
Poi è un profluvio di dettagli, aspetti poco conosciuti, l'azzardo di Bob Gedolf quando annuncia una serie di nomi partecipanti senza nemmeno averli contattati, paul Mccartney che da tempo non suona, dopo la morte di John, accetta solo per la pressione dei figli, il lancio che aveva dato il singolo collettivo "Do They Know It's Christmas Time", seguito da "Usa for Africa" e da una lunga serie di altri brani, al fine di raccogliere fondi per la carestia nel Corno d'Africa.
L'evento si svolse in alternanza tra Londra a Wembley e lo stadio JFK a Philadelphia, in mondovisione.
Infine il dettaglio di tutte le esibizioni, con scaletta, commenti, dichiarazioni dei protagonisti.
Nomi, tra i tanti, come David Bowie, U2, Style Council, Queen, Dire Straits, Who (riuniti per l'occasione), Elton John, Paul McCartney (con solo "Let it be") accompagnato alla voce da Pete Townshend, David Bowie, Bob Gedolf, Alison Moyet.
Dagli States rispondono con Run DMC, Black Sabbath, Joan Baez, Crosby, Stills and Nash, Beach Boys, Pretenders, Simple Minds, Santana, Madonna, Neil Young, Eric Clapton, Phil Collins (Dieci ore dopo essersi esibito al Wembley Stadium di Londra, arriva negli Stati Uniti con l’aereo supersonico Concorde si esibisce al JFK Stadium di Filadelfia, lo stesso giorno), Plant, Page, Jones con Phil Collins (in un'esibizione imbarazzante), Crosby, Stills, Nash & Young (dopo essersi già esibiti separatamente), Mick Jagger solo e con Tina Turner, Bob Dylan con Keith Richards e Ron Wood.
Il libro si completa con una lunga serie di ulteriori approfondimenti, aneddoti, dati e date.
Difficile trovare qualcosa di più esaustivo.
Aldo Pedron / Angelo De Negri
LIVE AID. Il juke-box globale compie 40 anni
Arcana Edizioni
552 pagine
25 euro >
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venerdì, luglio 11, 2025
Kneecapp. More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara
Con l'amico MICHELE SAVINI, il nostro inviato i nquel di Dublino, stiamo seguendo le funamboliche vicende dei KNEECAPP, costantemente al centro delle cronache con vicende musicali e socio/ politiche. Si aggiungono nuovi capitoli che Michele ci rendiconta in dettaglio nella sua rubrica.
I precedenti capitoli su varie storie irlandesi" sono qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda
Un furgoncino con montato un maxischermo staziona davanti alla Corte di Westminster, nel cuore di Londra. Sullo schermo, a caratteri cubitali, campeggia il motto: “More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara”.
È il 18 giugno e sta per aprirsi il primo capitolo del processo ai Kneecap, il trio rap nordirlandese finito sotto accusa per incitamento alla violenza e al terrorismo. Quella frase, provocatoria e potente, richiama e ribalta uno degli slogan più infami del razzismo britannico del dopoguerra: “No Blacks, No Dogs, No Irish”, che un tempo appariva sulle vetrine di negozi e pub nel Regno Unito.
Simbolo di esclusione e discriminazione, quel cartello è diventato col tempo un’icona della memoria razziale e dell’oppressione subita da intere comunità migranti, in particolare quella caraibica e quella irlandese.
Nel 2016, nel sud di Londra, una giovane coppia (lei di origini giamaicane, lui irlandese) decide di ribaltare quel messaggio discriminatorio. Stampano una maglietta con la scritta “More Blacks, More Dogs, More Irish”, rivendicando con orgoglio l’unione tra oppressi. Il rifiuto diventa così una risposta ironica e provocatoria, con l’obiettivo di capovolgere il pregiudizio storico e trasformare un divieto in un invito: più neri, più cani, più irlandesi...
Il “Mo Chara” aggiunto dai Kneecap in Gaelico significa “amico mio” ed è anche il nome d’arte di Liam Óg Ó Annaidh, membro del trio accusato di incitamento alla violenza e terrorismo a causa di un video risalente ad un concerto del novembre del 2023, in cui veniva filmato mentre incitava alla morte di parlamentari britannici e raccoglieva una bandiera di Hezbollah lanciata su palco, e gridava “Up Hamas, Up Hezbollah”.
Qui di seguito la puntata precedente con tutti i dettagli di quello che era successo:
https://tonyface.blogspot.com/2025/05/kneecapp-il-peso-delle-parole.html
Centinaia di sostenitori, fan e attivisti pro Palestina si sono radunati fin dalle prime ore del mattino davanti al tribunale di Londra per sostenere i Kneecap.
Un’ondata di bandiere irlandesi e palestinesi ha colorato la scena, mentre risuonavano con forza gli slogan “Free Mo Chara” e “Free Palestine”.
Balli, tamburi, fumogeni e performance improvvisate di numerosi artisti accorsi sul posto hanno trasformato la protesta in una vibrante dimostrazione di solidarietà e resistenza.
Tra la folla, tante facce familiari, incluso questo “ragazzo”, presente con sua figlia Leah, che ancora una volta non ha esitato a mostrare con orgoglio da che parte sta. L’arrivo dei Kneecap in tribunale ha lo stesso tono delle loro performance dal vivo: sfacciato, teatrale, carico di sicurezza e provocazione.
Kefiah palestinese sulle spalle, sorriso stampato in faccia e una spavalderia degna del miglior Liam Gallagher.
Il boato della folla presente dimostra ancora una volta l’enorme interesse mediatico che il trio riesce sempre a suscitare. Quasi da far pensare che davanti a Westminster fossero arrivati i Rolling Stones invece che due ventenni in tracksuit e un tipo con un passamontagna in testa.
Dentro e fuori in poco più di 30 minuti. Quello che sia successo veramente all’interno del tribunale è ovviamente noto solo a pochi presenti, ma le indiscrezioni che circolano sembrano ancora una volta spingere l’ago della bilancia dalla parte dei Kneecap, e non solo dal punto di vista giudiziario.
È importante evidenziare che la battaglia legale ruota intorno a competenze giuridiche e punti di diritto, più che al fondamento politico dell’accusa.
Sebbene il pubblico ministero Michael Bisgrove abbia chiarito che il processo non verte sulle opinioni politiche del rapper, legittime espressioni di solidarietà verso i palestinesi, ma insiste sul gesto legato all’organizzazione terrorista, la difesa si è dimostrata preparata e con un sorprendente asso nella manica.
Il team di avvocati dei Kneecap è stato più volte definito un vero e proprio “Dream Team” (sembra che uno dei componenti sia uno degli avvocati di Julian Assange), prova che, nonostante le date annullate, le vendite del merchandising vanno piuttosto bene.
La difesa, sotto la guida di Brenda Campbell, ha presentato una mozione per chiedere l’archiviazione del procedimento, sostenendo che i fatti contestati siano avvenuti oltre il termine di sei mesi previsto dalla legge per l’avvio delle indagini. L’accusa, da parte sua, si oppone alla richiesta e un’udienza è stata fissata per il 20 agosto per discutere la questione.
Nel frattempo, Mo Chara è stato “rilasciato su cauzione” e se la mozione verrà respinta dovrà scegliere se dichiararsi colpevole o, come già sostenuto precedentemente, dichiararsi innocente e intraprendere la battaglia giudiziaria.
Ed è proprio a questo punto che inizia il vero “spettacolo”.
Come se non fosse già abbastanza esilarante pensare che, dopo la sonora batosta presa nei loro stessi tribunali lo scorso novembre quando la band ha vinto la causa sui fondi non stanziati, il Governo Britannico rischi ora un altro scivolone epico con la questione della prescrizione, ecco che i Kneecap tornano a mettere in scena il loro solito show, una provocazione studiata per ridicolizzare l’accusatore e ribaltare le carte in tavola.
Mo Chara infatti, dopo aver confermato il suo nome, ha fatto sapere tramite il suo team di avvocati di aver bisogno di un interprete di irlandese per il processo.
Sorprendentemente, il magistrato ha dichiarato di non essere riuscito a trovarne uno disponibile e, tra le risate generali, ha chiesto se per caso ce ne fosse uno presente in sala.
Le risate sono esplose in un boato quando dal finale dell’aula è arrivata la proposta – evidentemente ironica – di usare DJ Próvai come traduttore, mentre i membri della band se la ridevano sotto i baffi.
Dico sorprendentemente per quelli che non hanno visto il film dei Kneecap e non sanno che (spoiler) quello che è successo in tribunale è la falsa riga del chiacchieratissimo biopic della band, dove appunto il personaggio interpretato da Mo Chara si rifiuta di rispondere ad un interrogatorio in inglese e il traduttore (DJ Provaj) corre in suo aiuto traducendo un po’ quello che gli pare e lo toglie dai guai.
Insomma, una mossa prevedibile come la pioggia in Irlanda, con Westminster che si lascia sorprendere, cadendo dritto nella trappola dell’ironia, l’arma più affilata e collaudata nell’arsenale dei Kneecap. Bene ma non benissimo.
Il magistrato si è impegnato a trovare un interprete di Gaelico per la seguente udienza.
Seguiranno aggiornamenti dopo il 20 agosto.
Nel frattempo la band ha tenuto la chiacchieratissima performance a Glastonbury, che fino all’ultimo è sembrata sul punto di essere annullata ma che alla fine è andata regolarmente in scena.
O più o meno. Anche qui infatti la tempistica nel complicare le cose a proprio sfavore da parte della BBC risulta a tratti esilarante.
Al processo dei Kneecap infatti è seguito un serratissimo tentativo da parte dell’establishment per tentare di cancellare la loro esibizione al famoso festival nella Worthy Farm, con il primo ministro inglese Keir Starmer e una serie di grossi nomi (non ben identificabili) del music business del Regno unito che avevano fatto di tutto perché questo non avvenisse, esercitando forti pressioni sull’organizzazione del festival. Questo ha ovviamente portato ulteriore attenzione mediatica intorno alla performance, prevista al West Holts stage alle 16:00 di sabato pomeriggio, che oltretutto era trasmessa in diretta sul Iplayer della BBC e quindi visibile in tutto il regno unito. Alle 16:00 in punto, proprio qualche minuto prima che i Kneecap salissero sul palco.
La BBC ha interrotto il live streaming senza dare troppe spiegazioni e annunciando che una registrazione della performance sarebbe stata poi disponibile in serata (come prevedibile, prontamente editata e censurata in più parti con cura istituzionale).
Quello che forse non avevano calcolato era che prima dei Kneecap, sullo stesso palco si esibiva Bob Vylan, un altro che non le manda certo a dire. Perciò tutti coloro che erano già collegati in attesa della performance della band irlandese, hanno assistito al finale di quella del duo punk rap inglese, farcita di slogan pro Palestina e pesanti insulti contro l’IDF, le Forze di Difesa Israeliane. Quando i Kneecap fanno il loro ingresso sul palco, l’atmosfera al West Holts Stage è elettrica.
La folla è talmente numerosa che, già mezz’ora prima dell’inizio, l’organizzazione si vede costretta a chiudere l’accesso all’arena per superamento della capienza. La loro esibizione è, come sempre, travolgente e coinvolge tutti i circa 30.000 spettatori presenti, con il palco a malapena visibile tra una marea di bandiere, per lo più palestinesi e irlandesi. Il trio ha proposto un set rumoroso, caotico, altamente teatrale, distribuendo frecciatine un po’ a tutti: dal primo ministro inglese Keir Starmer fino a Rod Stewart, che la settimana precedente aveva dichiarato ai media britannici che il Regno Unito dovrebbe “dare una possibilità a Nigel Farage". Un’energia che ti arriva dritta in faccia, senza filtri né scuse, senza chiedere il permesso e senza nemmeno fingere un briciolo di sobrietà, cosa che, del resto, nessuno ormai si aspetta più dal polemico trio di Belfast.
Eroina dalla giornata e ulteriore grattacapo per la BBC, la quarantaquattrenne gallese Helen Wilson presente tra la folla ,che ha deciso di trasmettere via Tik Tok la diretta streaming dell’ intera esibizione dei Kneecap, regalando a migliaia di spettatori da casa ( circa un milione e mezzo) un’ ora di performance selvaggia, hackerando la censura con stile e guadagnandosi i ringraziamenti diretti della band.
Ah, dimenticavo…
Mentre l’establishment cerca di capire se i Kneecap siano più pericolosi con un microfono in mano o dentro un’aula di tribunale, loro fanno quello che sanno fare meglio: macinare beat e provocazioni. L’ultimo colpo? Una nuova canzone, RECAP, frutto della produzione con il produttore britannico Mozey.
La traccia è una furiosa esplosione sonora, con un drum & bass pesante e frenetico unito a elementi di post punk e a un testo potentissimo che, alternando come sempre versi in gaelico e in inglese, “dissano” neanche troppo velatamente Kemi Badenoch, la politica conservatrice che lo scorso anno aveva tentato di bloccare i fondi destinati alla band (poi smentita dal tribunale) definendola una “Wally” (stupida) e auspicando il declino della sua carriera politica.
Di seguito, il video e la traduzione di alcuni passaggi del brano giusto per rendere l’idea del tono e dei contenuti:
VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=nXFM81b-gBk&list=RDnXFM81b-gBk&start_radio=1
“Facciamoci un giro in banca, datemi i soldi di Kemi e portatele i miei ringraziamenti
Chiamalo risarcimento, Badenoch sei una “wank”
Hai cercato di rubare i miei soldi ma sono tornato a riprendermeli indietro.
Na na na, Sparisci per sempre
Ecco il Riepilogo dei Kneecap da West Belfast.
Na na na, Sparisci per sempre
Dicono DJ Próvaí, Móglaí Bap e Mo Chara”
E ancora:
“Non sei come la “Iron Lady”, la tua carriere marcirà… Maggie dorme ancora nella sua scatola
Belfast e Derry gridano “FUCK BADENOCH”
E l’immancabile finale, che suona più o meno cosi:
“Ci hai provato, Kemi.
Peccato per le elezioni.
Non ti abbattere eh, si va avanti
Free Palestine”
Non so se sarà realmente la fine della carriera politica della povera Kemi, ma se aveva già pochi amici nella West Belfast, ora li ha definitivamente persi.
Continua ….
I precedenti capitoli su varie storie irlandesi" sono qua:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda
Un furgoncino con montato un maxischermo staziona davanti alla Corte di Westminster, nel cuore di Londra. Sullo schermo, a caratteri cubitali, campeggia il motto: “More Blacks, More Dogs, More Irish, Mo Chara”.
È il 18 giugno e sta per aprirsi il primo capitolo del processo ai Kneecap, il trio rap nordirlandese finito sotto accusa per incitamento alla violenza e al terrorismo. Quella frase, provocatoria e potente, richiama e ribalta uno degli slogan più infami del razzismo britannico del dopoguerra: “No Blacks, No Dogs, No Irish”, che un tempo appariva sulle vetrine di negozi e pub nel Regno Unito.
Simbolo di esclusione e discriminazione, quel cartello è diventato col tempo un’icona della memoria razziale e dell’oppressione subita da intere comunità migranti, in particolare quella caraibica e quella irlandese.
Nel 2016, nel sud di Londra, una giovane coppia (lei di origini giamaicane, lui irlandese) decide di ribaltare quel messaggio discriminatorio. Stampano una maglietta con la scritta “More Blacks, More Dogs, More Irish”, rivendicando con orgoglio l’unione tra oppressi. Il rifiuto diventa così una risposta ironica e provocatoria, con l’obiettivo di capovolgere il pregiudizio storico e trasformare un divieto in un invito: più neri, più cani, più irlandesi...
Il “Mo Chara” aggiunto dai Kneecap in Gaelico significa “amico mio” ed è anche il nome d’arte di Liam Óg Ó Annaidh, membro del trio accusato di incitamento alla violenza e terrorismo a causa di un video risalente ad un concerto del novembre del 2023, in cui veniva filmato mentre incitava alla morte di parlamentari britannici e raccoglieva una bandiera di Hezbollah lanciata su palco, e gridava “Up Hamas, Up Hezbollah”.
Qui di seguito la puntata precedente con tutti i dettagli di quello che era successo:
https://tonyface.blogspot.com/2025/05/kneecapp-il-peso-delle-parole.html
Centinaia di sostenitori, fan e attivisti pro Palestina si sono radunati fin dalle prime ore del mattino davanti al tribunale di Londra per sostenere i Kneecap.
Un’ondata di bandiere irlandesi e palestinesi ha colorato la scena, mentre risuonavano con forza gli slogan “Free Mo Chara” e “Free Palestine”.
Balli, tamburi, fumogeni e performance improvvisate di numerosi artisti accorsi sul posto hanno trasformato la protesta in una vibrante dimostrazione di solidarietà e resistenza.
Tra la folla, tante facce familiari, incluso questo “ragazzo”, presente con sua figlia Leah, che ancora una volta non ha esitato a mostrare con orgoglio da che parte sta. L’arrivo dei Kneecap in tribunale ha lo stesso tono delle loro performance dal vivo: sfacciato, teatrale, carico di sicurezza e provocazione.
Kefiah palestinese sulle spalle, sorriso stampato in faccia e una spavalderia degna del miglior Liam Gallagher.
Il boato della folla presente dimostra ancora una volta l’enorme interesse mediatico che il trio riesce sempre a suscitare. Quasi da far pensare che davanti a Westminster fossero arrivati i Rolling Stones invece che due ventenni in tracksuit e un tipo con un passamontagna in testa.
Dentro e fuori in poco più di 30 minuti. Quello che sia successo veramente all’interno del tribunale è ovviamente noto solo a pochi presenti, ma le indiscrezioni che circolano sembrano ancora una volta spingere l’ago della bilancia dalla parte dei Kneecap, e non solo dal punto di vista giudiziario.
È importante evidenziare che la battaglia legale ruota intorno a competenze giuridiche e punti di diritto, più che al fondamento politico dell’accusa.
Sebbene il pubblico ministero Michael Bisgrove abbia chiarito che il processo non verte sulle opinioni politiche del rapper, legittime espressioni di solidarietà verso i palestinesi, ma insiste sul gesto legato all’organizzazione terrorista, la difesa si è dimostrata preparata e con un sorprendente asso nella manica.
Il team di avvocati dei Kneecap è stato più volte definito un vero e proprio “Dream Team” (sembra che uno dei componenti sia uno degli avvocati di Julian Assange), prova che, nonostante le date annullate, le vendite del merchandising vanno piuttosto bene.
La difesa, sotto la guida di Brenda Campbell, ha presentato una mozione per chiedere l’archiviazione del procedimento, sostenendo che i fatti contestati siano avvenuti oltre il termine di sei mesi previsto dalla legge per l’avvio delle indagini. L’accusa, da parte sua, si oppone alla richiesta e un’udienza è stata fissata per il 20 agosto per discutere la questione.
Nel frattempo, Mo Chara è stato “rilasciato su cauzione” e se la mozione verrà respinta dovrà scegliere se dichiararsi colpevole o, come già sostenuto precedentemente, dichiararsi innocente e intraprendere la battaglia giudiziaria.
Ed è proprio a questo punto che inizia il vero “spettacolo”.
Come se non fosse già abbastanza esilarante pensare che, dopo la sonora batosta presa nei loro stessi tribunali lo scorso novembre quando la band ha vinto la causa sui fondi non stanziati, il Governo Britannico rischi ora un altro scivolone epico con la questione della prescrizione, ecco che i Kneecap tornano a mettere in scena il loro solito show, una provocazione studiata per ridicolizzare l’accusatore e ribaltare le carte in tavola.
Mo Chara infatti, dopo aver confermato il suo nome, ha fatto sapere tramite il suo team di avvocati di aver bisogno di un interprete di irlandese per il processo.
Sorprendentemente, il magistrato ha dichiarato di non essere riuscito a trovarne uno disponibile e, tra le risate generali, ha chiesto se per caso ce ne fosse uno presente in sala.
Le risate sono esplose in un boato quando dal finale dell’aula è arrivata la proposta – evidentemente ironica – di usare DJ Próvai come traduttore, mentre i membri della band se la ridevano sotto i baffi.
Dico sorprendentemente per quelli che non hanno visto il film dei Kneecap e non sanno che (spoiler) quello che è successo in tribunale è la falsa riga del chiacchieratissimo biopic della band, dove appunto il personaggio interpretato da Mo Chara si rifiuta di rispondere ad un interrogatorio in inglese e il traduttore (DJ Provaj) corre in suo aiuto traducendo un po’ quello che gli pare e lo toglie dai guai.
Insomma, una mossa prevedibile come la pioggia in Irlanda, con Westminster che si lascia sorprendere, cadendo dritto nella trappola dell’ironia, l’arma più affilata e collaudata nell’arsenale dei Kneecap. Bene ma non benissimo.
Il magistrato si è impegnato a trovare un interprete di Gaelico per la seguente udienza.
Seguiranno aggiornamenti dopo il 20 agosto.
Nel frattempo la band ha tenuto la chiacchieratissima performance a Glastonbury, che fino all’ultimo è sembrata sul punto di essere annullata ma che alla fine è andata regolarmente in scena.
O più o meno. Anche qui infatti la tempistica nel complicare le cose a proprio sfavore da parte della BBC risulta a tratti esilarante.
Al processo dei Kneecap infatti è seguito un serratissimo tentativo da parte dell’establishment per tentare di cancellare la loro esibizione al famoso festival nella Worthy Farm, con il primo ministro inglese Keir Starmer e una serie di grossi nomi (non ben identificabili) del music business del Regno unito che avevano fatto di tutto perché questo non avvenisse, esercitando forti pressioni sull’organizzazione del festival. Questo ha ovviamente portato ulteriore attenzione mediatica intorno alla performance, prevista al West Holts stage alle 16:00 di sabato pomeriggio, che oltretutto era trasmessa in diretta sul Iplayer della BBC e quindi visibile in tutto il regno unito. Alle 16:00 in punto, proprio qualche minuto prima che i Kneecap salissero sul palco.
La BBC ha interrotto il live streaming senza dare troppe spiegazioni e annunciando che una registrazione della performance sarebbe stata poi disponibile in serata (come prevedibile, prontamente editata e censurata in più parti con cura istituzionale).
Quello che forse non avevano calcolato era che prima dei Kneecap, sullo stesso palco si esibiva Bob Vylan, un altro che non le manda certo a dire. Perciò tutti coloro che erano già collegati in attesa della performance della band irlandese, hanno assistito al finale di quella del duo punk rap inglese, farcita di slogan pro Palestina e pesanti insulti contro l’IDF, le Forze di Difesa Israeliane. Quando i Kneecap fanno il loro ingresso sul palco, l’atmosfera al West Holts Stage è elettrica.
La folla è talmente numerosa che, già mezz’ora prima dell’inizio, l’organizzazione si vede costretta a chiudere l’accesso all’arena per superamento della capienza. La loro esibizione è, come sempre, travolgente e coinvolge tutti i circa 30.000 spettatori presenti, con il palco a malapena visibile tra una marea di bandiere, per lo più palestinesi e irlandesi. Il trio ha proposto un set rumoroso, caotico, altamente teatrale, distribuendo frecciatine un po’ a tutti: dal primo ministro inglese Keir Starmer fino a Rod Stewart, che la settimana precedente aveva dichiarato ai media britannici che il Regno Unito dovrebbe “dare una possibilità a Nigel Farage". Un’energia che ti arriva dritta in faccia, senza filtri né scuse, senza chiedere il permesso e senza nemmeno fingere un briciolo di sobrietà, cosa che, del resto, nessuno ormai si aspetta più dal polemico trio di Belfast.
Eroina dalla giornata e ulteriore grattacapo per la BBC, la quarantaquattrenne gallese Helen Wilson presente tra la folla ,che ha deciso di trasmettere via Tik Tok la diretta streaming dell’ intera esibizione dei Kneecap, regalando a migliaia di spettatori da casa ( circa un milione e mezzo) un’ ora di performance selvaggia, hackerando la censura con stile e guadagnandosi i ringraziamenti diretti della band.
Ah, dimenticavo…
Mentre l’establishment cerca di capire se i Kneecap siano più pericolosi con un microfono in mano o dentro un’aula di tribunale, loro fanno quello che sanno fare meglio: macinare beat e provocazioni. L’ultimo colpo? Una nuova canzone, RECAP, frutto della produzione con il produttore britannico Mozey.
La traccia è una furiosa esplosione sonora, con un drum & bass pesante e frenetico unito a elementi di post punk e a un testo potentissimo che, alternando come sempre versi in gaelico e in inglese, “dissano” neanche troppo velatamente Kemi Badenoch, la politica conservatrice che lo scorso anno aveva tentato di bloccare i fondi destinati alla band (poi smentita dal tribunale) definendola una “Wally” (stupida) e auspicando il declino della sua carriera politica.
Di seguito, il video e la traduzione di alcuni passaggi del brano giusto per rendere l’idea del tono e dei contenuti:
VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=nXFM81b-gBk&list=RDnXFM81b-gBk&start_radio=1
“Facciamoci un giro in banca, datemi i soldi di Kemi e portatele i miei ringraziamenti
Chiamalo risarcimento, Badenoch sei una “wank”
Hai cercato di rubare i miei soldi ma sono tornato a riprendermeli indietro.
Na na na, Sparisci per sempre
Ecco il Riepilogo dei Kneecap da West Belfast.
Na na na, Sparisci per sempre
Dicono DJ Próvaí, Móglaí Bap e Mo Chara”
E ancora:
“Non sei come la “Iron Lady”, la tua carriere marcirà… Maggie dorme ancora nella sua scatola
Belfast e Derry gridano “FUCK BADENOCH”
E l’immancabile finale, che suona più o meno cosi:
“Ci hai provato, Kemi.
Peccato per le elezioni.
Non ti abbattere eh, si va avanti
Free Palestine”
Non so se sarà realmente la fine della carriera politica della povera Kemi, ma se aveva già pochi amici nella West Belfast, ora li ha definitivamente persi.
Continua ….
giovedì, luglio 10, 2025
Gli album più venduti in Italia nel primo semestre 2025
Classifiche dominate dalla musica italiana nel primo semestre del 2025.
Tra gli Album (fisico + download + streaming free & premium) in testa Olly con Tutta vita, seguito da Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva. Terzo Bad Bunny con Debí tirar más fotos, unico titolo straniero nelle prime 25 posizioni.
Lucio Corsi al ventesimo posto, Brunori Sas trentanovesimo, Billie Eilish 42°, Kendrick lamar 50°, Pink Floyd "Live at Pompei" 79° posto, "AM" degli Arctic Monkeys 91°.
Il resto è musica leggera, trap e affini.
Sempre Olly primo tra i Singoli (download + streaming free & premium + video streaming), dominata da Balorda nostalgia, seconda Giorgia con La cura per me e terzo Achille Lauro con Incoscienti giovani.
Tra Vinili, Cd e Musicassette, al primo posto Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva, Ranch di Salmo al secondo posto ed È finita la pace di Marracash in terza posizione. "Live at Pompei" dei Pink Floyd è ottavo.
Vendite guidate dallo streaming (+7,1%), crescono i volumi del segmento premium del 15% e che sfiora la cifra record dei 50 miliardi di stream (free + premium) totalizzati. In linea con il dato annuale del 2024, è molto lieve invece la flessione del fisico, che segna -2% ma che vede crescere il vinile del 10%.
Tra gli Album (fisico + download + streaming free & premium) in testa Olly con Tutta vita, seguito da Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva. Terzo Bad Bunny con Debí tirar más fotos, unico titolo straniero nelle prime 25 posizioni.
Lucio Corsi al ventesimo posto, Brunori Sas trentanovesimo, Billie Eilish 42°, Kendrick lamar 50°, Pink Floyd "Live at Pompei" 79° posto, "AM" degli Arctic Monkeys 91°.
Il resto è musica leggera, trap e affini.
Sempre Olly primo tra i Singoli (download + streaming free & premium + video streaming), dominata da Balorda nostalgia, seconda Giorgia con La cura per me e terzo Achille Lauro con Incoscienti giovani.
Tra Vinili, Cd e Musicassette, al primo posto Santana Money Gang di Sfera Ebbasta & Shiva, Ranch di Salmo al secondo posto ed È finita la pace di Marracash in terza posizione. "Live at Pompei" dei Pink Floyd è ottavo.
Vendite guidate dallo streaming (+7,1%), crescono i volumi del segmento premium del 15% e che sfiora la cifra record dei 50 miliardi di stream (free + premium) totalizzati. In linea con il dato annuale del 2024, è molto lieve invece la flessione del fisico, che segna -2% ma che vede crescere il vinile del 10%.
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Di cosa parliamo quando parliamo di musica
mercoledì, luglio 09, 2025
Enrico Ruggeri live a Castelsangiovanni (Piacenza) 8 luglio 2025
In una fredda sera d'estate ENRICO RUGGERI ha entusiasmato il folto pubblico della piazza principale di Castelsangiovanni (Piacenza), all'interno del ValTidone Festival.
Il repertorio non gli manca, lui stesso parla di una quarantina di album. Nemmeno una lunga serie di brani di primissima qualità assurti a classici della canzone d'autore italiana.
Nell'attesa del concerto un'ottima scelta musicale in sottofondo (da David Bowie a Elvis Costello).
Band solida, rodata, precisa e ricca d'intesa, anche quando si lascia andare a improvvisazioni varie.
Ruggeri con voce roca ma sempre all'altezza, nelle quasi due ore di concerto.
Passano veloci "Il portiere di notte", "Il poeta", "Primavera a Sarajevo", "Quello che le donne non dicono", il capolavoro "Il mare d'inverno", aperto dall'intro di "Firth of Fifth" dei Genesis.
C'è anche un breve cenno a "Space Oddity".
Gran finale con un bis aperto dalla nuova, bellissima "Il cielo di Milano" dal nuovo, egregio, "La caverna di Platone" a cui segue una pompatisisma "Mistero" e una versione di "Contessa" in chiave Balkan/ska/(ba)rock, molto divertente.
Ruggeri parla molto, sottolineando, un po' troppo spesso, la sua "diversità" dal resto dei colleghi, la sua continuamente ribadita alterità ma va bene lo stesso.
Il repertorio non gli manca, lui stesso parla di una quarantina di album. Nemmeno una lunga serie di brani di primissima qualità assurti a classici della canzone d'autore italiana.
Nell'attesa del concerto un'ottima scelta musicale in sottofondo (da David Bowie a Elvis Costello).
Band solida, rodata, precisa e ricca d'intesa, anche quando si lascia andare a improvvisazioni varie.
Ruggeri con voce roca ma sempre all'altezza, nelle quasi due ore di concerto.
Passano veloci "Il portiere di notte", "Il poeta", "Primavera a Sarajevo", "Quello che le donne non dicono", il capolavoro "Il mare d'inverno", aperto dall'intro di "Firth of Fifth" dei Genesis.
C'è anche un breve cenno a "Space Oddity".
Gran finale con un bis aperto dalla nuova, bellissima "Il cielo di Milano" dal nuovo, egregio, "La caverna di Platone" a cui segue una pompatisisma "Mistero" e una versione di "Contessa" in chiave Balkan/ska/(ba)rock, molto divertente.
Ruggeri parla molto, sottolineando, un po' troppo spesso, la sua "diversità" dal resto dei colleghi, la sua continuamente ribadita alterità ma va bene lo stesso.
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Concerti
martedì, luglio 08, 2025
I primi tag








Appaiono, nel 1968, sui muri di New York i primi "tag" (firme a graffiti) ad opera di Julio 204, Taki 183 e Thor191.
Fino ad allora le scritte erano di carattere osceno, politico, religioso, ironico o rappresentavano i limiti territoriali delle varie gang (o il famoso BIRD LIVES comparso nel 1955 dopo la morte di Charlie Parker).
I primi tag invece sono una sorta di definizione di un'identita' personale e singola.
JULIO 204 era un membro della gang portoricana/afroamericana dei Savage Skulls che osteggiava alla fine dei 60's, con ogni mezzo necessario, gli spacciatori di droga nella zona di Hunts Point nel Bronx e ingaggiava scontri con i rivali Seven Immortals, Savage Nomads e Dirty Dozen.
TAKI 183 era la contrazione del nome Dimitrios, diventato Dimitrakis mentre il 183 era il numero civico del suo indirizzo, 183rd Street in Washington Heights. Compare nei primi 70 in un articolo del "New York Times".
THOR 191 scrive la O del suo pseudonimo con l'emblema del simbolo pacifista. Ma si segnalano anche, pur se successivi, CAY 161, FRANK 207, TREE 127, JUNIOR 161, EDDIE 181
lunedì, luglio 07, 2025
Sharp Class + Temponauts live al Festival Beat, Salsomaggiore (Parma) 05/7/2025
Foto di Andrea Amadasi
Il Festival Beat è da ormai molto tempo essenzialmente il pretesto per ritrovare persone con cui abitualmente non si conversa faccia a faccia da almeno un anno.
Così è stato, almeno personalmente, anche questa volta.
La discussa modalità di due serate a disposizione in contemporanea ha comportato una scelta "dolorosa" ma per la quale avevo pochi dubbi: Sharp Class + Temponauts.
Più che una nota dolente, una constatazione ormai ricorrente da anni è che l'età media dei partecipanti è ormai più che alta ed è difficile scorgere tra il pubblico qualcuno/a sotto i 50 anni.
Aprono i TEMPONAUTS con il loro collaudato jingle jangle sound alla Byrds (di cui rifanno "Eight Miles High") con qualche asperità chitarristica in più.
Ospite l'amico Matt Purcell per alcuni brani, applausi e apprezzamenti.
Gli SHARP CLASS sono giovanissimi, freschi, arrembanti.
Con i primi Jam a fare da diretta ispirazione (ma abbracciando anche power pop, rock 'n' roll, soul, i primi Joe Jackson e Elvis Costello e i mai dimenticati Ordinary Boys), sparano un'ora tiratissima, precisi, conivolgenti, lasciando spazio anche a momenti di improvvisazione e una riuscitissima versione di "Gimme Some Lovin" arrangiata benissimo.
Ottimi musicisti, la voce del chitarrista Oliver Orton potente ed espressiva, il basso di Billy Woodfield metronomico, la batteria di Declan Mills esplosiva.
Perfetto mod look con gran finale con una "My Generation" travolgente.
Niente di nuovo?
E chi se ne importa?
Avercene 10, 100, 1000 di band così!
Nel nuovo numero di "Gimme Danger" una mia intervista alla band.
Degli Sharp Class avevo già parlato in passato:
SHARP CLASS - Welcome To The Matinee Show (Of The End Of The World)
E' sempre più raro trovare una band che si definisca chiaramente Mod, tanto più se è di giovane età.
Gli Sharp Class firmano il secondo album e ci riportano nel più classico mondo dei primi Jam, quelli più aggressivi e scarni.
Le canzoni sono fatte molto bene, l'energia non manca di certo, il sound è quello giusto.
Revivalismo?
Può darsi.
Personalmente lo trovo un disco freschissimo, pulsante, elettrico, nervoso, semplicemente bello da ascoltare per gli amanti di certe cose.
Si astengano gli altri.
SHARP CLASS - Tales of a teenage mind
Arrivano da Nottingham e sono giovani, freschi, sinceri, innamorati (e tanto) dei Jam e del classico 79 sound (Chords, Purple Hearts, Jolt).
L'album d'esordio è urgente, diretto, dichiaratamente devoto a quei suoni, senza compromessi.
Cool, clean and hard.
Il Festival Beat è da ormai molto tempo essenzialmente il pretesto per ritrovare persone con cui abitualmente non si conversa faccia a faccia da almeno un anno.
Così è stato, almeno personalmente, anche questa volta.
La discussa modalità di due serate a disposizione in contemporanea ha comportato una scelta "dolorosa" ma per la quale avevo pochi dubbi: Sharp Class + Temponauts.
Più che una nota dolente, una constatazione ormai ricorrente da anni è che l'età media dei partecipanti è ormai più che alta ed è difficile scorgere tra il pubblico qualcuno/a sotto i 50 anni.
Aprono i TEMPONAUTS con il loro collaudato jingle jangle sound alla Byrds (di cui rifanno "Eight Miles High") con qualche asperità chitarristica in più.
Ospite l'amico Matt Purcell per alcuni brani, applausi e apprezzamenti.
Gli SHARP CLASS sono giovanissimi, freschi, arrembanti.
Con i primi Jam a fare da diretta ispirazione (ma abbracciando anche power pop, rock 'n' roll, soul, i primi Joe Jackson e Elvis Costello e i mai dimenticati Ordinary Boys), sparano un'ora tiratissima, precisi, conivolgenti, lasciando spazio anche a momenti di improvvisazione e una riuscitissima versione di "Gimme Some Lovin" arrangiata benissimo.
Ottimi musicisti, la voce del chitarrista Oliver Orton potente ed espressiva, il basso di Billy Woodfield metronomico, la batteria di Declan Mills esplosiva.
Perfetto mod look con gran finale con una "My Generation" travolgente.
Niente di nuovo?
E chi se ne importa?
Avercene 10, 100, 1000 di band così!
Nel nuovo numero di "Gimme Danger" una mia intervista alla band.
Degli Sharp Class avevo già parlato in passato:
SHARP CLASS - Welcome To The Matinee Show (Of The End Of The World)
E' sempre più raro trovare una band che si definisca chiaramente Mod, tanto più se è di giovane età.
Gli Sharp Class firmano il secondo album e ci riportano nel più classico mondo dei primi Jam, quelli più aggressivi e scarni.
Le canzoni sono fatte molto bene, l'energia non manca di certo, il sound è quello giusto.
Revivalismo?
Può darsi.
Personalmente lo trovo un disco freschissimo, pulsante, elettrico, nervoso, semplicemente bello da ascoltare per gli amanti di certe cose.
Si astengano gli altri.
SHARP CLASS - Tales of a teenage mind
Arrivano da Nottingham e sono giovani, freschi, sinceri, innamorati (e tanto) dei Jam e del classico 79 sound (Chords, Purple Hearts, Jolt).
L'album d'esordio è urgente, diretto, dichiaratamente devoto a quei suoni, senza compromessi.
Cool, clean and hard.
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Concerti
sabato, luglio 05, 2025
Raduno Mod Cattolica
Modcast with Eddie Piller & Friends
Mentre è in corso il Festival Beat a Salsomaggiore Terme (PR) (i dettagli qui: https://www.facebook.com/FestivalBeatSalsomaggioreTerme)
segnalo altri due appuntamenti:
ITALIAN MOD RALLY 2025
Cattolica (RN), Italy
Venerdì 26 – Sabato 27 Settembre / Friday 26 – Saturday 27 September
Two days of mods sharp style.
VENERDÌ 26 SETTEMBRE / FRIDAY 26 SEPTEMBER
Setting the tone with good tunes!
Dalle 18:00 / From 6:00 PM – Hotel Lugano
Welcome aperitif
Dalle 22:00 / From 10:00 PM – Hotel Lugano
1st Allnighter – All Mod Disco
Soul, R&B, beat, jazz, freakbeat.
SABATO 27 SETTEMBRE / SATURDAY 27 SEPTEMBER
The style, the sound. Saturday in full effect.
Dalle 15:00 / From 3:00 PM – Hotel Lugano
Scooter Run & Afternoon DJ Set
Dalle 19:30 alle 21:30/ From 7:30 to 9:30 PM – Levante
Mod Dinner
Prenotazione obbligatoria / Reservation required
Dalle 23:00 / From 11:00 PM – Levante
2nd Allnighter – All Mod Disco
Smart Mod Dress only
Prenotazione obbligatoria / Reservation required
...after-party at Hotel Lugano.
WEEKEND DJS SQUAD
Pure vinyl selections from across the Mod scene.
Dave Edwards (UK)
Sean Putney (UK)
Michael Wink (DE)
Filippo Liti (ITA)
Andrea Cumiana (ITA)
LOCATIONS
HOTEL LUGANO
Via Lungo Tavollo, 5 – 47841 Cattolica (RN)
Tel. +39 0541 961695
LEVANTE
Via del Porto, 55 – 61011 Gabicce Mare (PU)
Tel. +39 347 3892614
A weekend for those who know.
From the Mods to the Mods!
Style. Music. Movement
Modcast with Eddie Piller & Friends
https://www.facebook.com/TheModcast
2 lunghissimi mesi estivi........
per rendere gloriosa questa estate in RiViERA con gli amici di Londra...
Gabicce e Cattolica sembreranno un po' Brighton per il PRIMO VERO INTERNATIONAL MOD EXPO in Riviera, il format ufficiale è il MODCAST (London) che si immerge nella nostra Riviera Romagnola - Marchigiana, d'altra parte il fenomeno sottoculturale del Modernismo nasce da questa commistione:
Rivisitazione inglese dello stile italiano con Lambretta, film di Fellini e Antonioni, MODCAST GOES RiViERABEAT Quadrophenia in salsa Isola Delle Rose
Cattolica (RN), Italy
Venerdì 26 – Sabato 27 Settembre / Friday 26 – Saturday 27 September
Two days of mods sharp style.
VENERDÌ 26 SETTEMBRE / FRIDAY 26 SEPTEMBER
Setting the tone with good tunes!
Dalle 18:00 / From 6:00 PM – Hotel Lugano
Welcome aperitif
Dalle 22:00 / From 10:00 PM – Hotel Lugano
1st Allnighter – All Mod Disco
Soul, R&B, beat, jazz, freakbeat.
SABATO 27 SETTEMBRE / SATURDAY 27 SEPTEMBER
The style, the sound. Saturday in full effect.
Dalle 15:00 / From 3:00 PM – Hotel Lugano
Scooter Run & Afternoon DJ Set
Dalle 19:30 alle 21:30/ From 7:30 to 9:30 PM – Levante
Mod Dinner
Prenotazione obbligatoria / Reservation required
Dalle 23:00 / From 11:00 PM – Levante
2nd Allnighter – All Mod Disco
Smart Mod Dress only
Prenotazione obbligatoria / Reservation required
...after-party at Hotel Lugano.
WEEKEND DJS SQUAD
Pure vinyl selections from across the Mod scene.
Dave Edwards (UK)
Sean Putney (UK)
Michael Wink (DE)
Filippo Liti (ITA)
Andrea Cumiana (ITA)
LOCATIONS
HOTEL LUGANO
Via Lungo Tavollo, 5 – 47841 Cattolica (RN)
Tel. +39 0541 961695
LEVANTE
Via del Porto, 55 – 61011 Gabicce Mare (PU)
Tel. +39 347 3892614
A weekend for those who know.
From the Mods to the Mods!
Style. Music. Movement
Modcast with Eddie Piller & Friends
https://www.facebook.com/TheModcast
2 lunghissimi mesi estivi........
per rendere gloriosa questa estate in RiViERA con gli amici di Londra...
Gabicce e Cattolica sembreranno un po' Brighton per il PRIMO VERO INTERNATIONAL MOD EXPO in Riviera, il format ufficiale è il MODCAST (London) che si immerge nella nostra Riviera Romagnola - Marchigiana, d'altra parte il fenomeno sottoculturale del Modernismo nasce da questa commistione:
Rivisitazione inglese dello stile italiano con Lambretta, film di Fellini e Antonioni, MODCAST GOES RiViERABEAT Quadrophenia in salsa Isola Delle Rose
venerdì, luglio 04, 2025
Milano Sogna - Il Vodcast della Jungle Sound"
Un vodcast (ideato da Fabrizio Rioda - Lorenzo Rocchi ed Emanuele Concadoro) racconta gli anni 90 dell'underground milanese.
Si chiama Milano sogna ed è stato registrato nello studio A del Jungle, punto di riferimento focale di quella scena.
Nelle prime tre puntate di scena Manuel Agnelli, Alioscia Bisceglia dei Casino Royale e Omar Pedrini.
Prossimamente Morgan, Ferdinando Masi dei Bluebeaters, Omar Pedrini dei Timoria, Cesare Malfatti dei La Crus, Pino Scotto, David Moretti dei Karma, membri dei Ritmo Tribale e degli Scisma tra cui il compianto Paolo Benvegnù.
Estratti
https://www.youtube.com/watch?v=5Jhi-KPwTVU
Fabrizio Rioda con Manuel Agnelli
https://www.youtube.com/watch?v=lrRngXpDrwY&t=61s
Fabrizio Rioda con Alioscia Bisceglia
https://www.youtube.com/watch?v=eVVy1GNkWbg&t=158s Fabrizio Rioda con Omar Pedrini
https://www.youtube.com/watch?v=F_ytXW4L54Q
Si chiama Milano sogna ed è stato registrato nello studio A del Jungle, punto di riferimento focale di quella scena.
Nelle prime tre puntate di scena Manuel Agnelli, Alioscia Bisceglia dei Casino Royale e Omar Pedrini.
Prossimamente Morgan, Ferdinando Masi dei Bluebeaters, Omar Pedrini dei Timoria, Cesare Malfatti dei La Crus, Pino Scotto, David Moretti dei Karma, membri dei Ritmo Tribale e degli Scisma tra cui il compianto Paolo Benvegnù.
Estratti
https://www.youtube.com/watch?v=5Jhi-KPwTVU
Fabrizio Rioda con Manuel Agnelli
https://www.youtube.com/watch?v=lrRngXpDrwY&t=61s
Fabrizio Rioda con Alioscia Bisceglia
https://www.youtube.com/watch?v=eVVy1GNkWbg&t=158s Fabrizio Rioda con Omar Pedrini
https://www.youtube.com/watch?v=F_ytXW4L54Q
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Cultura 90's
giovedì, luglio 03, 2025
Lou Reed - Il mio Tai Chi
LOU REED è stato uno dei più grandi artisti del Novecento in ambito "pop/rock".
Ha sperimentato, osato, esplorato.
Dai Velvet Underground alla carriera solista ha lasciato un'ingente serie di capolavori e opere comunque abbondantemente al di sopra della media qualitativa.
Approfondire la sua figura è sempre interessante, anche quando si affronta un contesto poco noto della sua vita, come l'adesione alla pratica del TAI CHI, che lo ha aiutato fisicamente e spiritualmente, per molto tempo, fino agli ultimi istanti della sua vita.
Questo libro è curioso e particolare, entra nell'intimo del grande artista, sempre molto riservato e scontroso.
Che parte dall'idea di Lou di scrivere un libro sull'arte marziale, interrotta dalla malattia e dalla sua umiltà:
"Chi sono io per scrivere un libro sul Tai Chi"?
Ci sono decine di testimonianze.
Oltre alla moglie Laurie anderson, intervengono amici, collaboratori, Iggy Pop, Bob Ezrin, Anohni, i suoi maestri della disciplina, Mick Rock, la seconda moglie Sylvia Reed e tanti altri.
L'intervento più emozionante e inaspettato è di Jonathan Richman:
"Avrò visto i Velvet Underground tra le sessanta e le cento volte.
Avevo sedici anni e per me era una questione di vita o di morte.
Erano tutti gentili con me.
Dopo un po' Lou mi permise perfino di suonare le sue chitarre elettriche durante le prove e ascoltare i suoni.
Guardavo le loro mani. Li guardavo suonare la chitarra durante le prove. Li guardavo sul palco.
Ho imparato a improvvisare da loro.
Li guardavo comporre canzoni.
Li guardavo nei soundcheck. Nel 1968 fare un soundcheck significava che la band si assicurava che tutto funzionasse, più o meno."
Un testo che i fan di Lou Reed apprezzeranno per aggiungere un ulteriore tassello all'approfondimento dell'uomo, al di là dell'artista ma molt ogradevole anche per i lettori "occasionali".
E particolarmente propedeutico per indirizzare alla pratica del Tai Chi.
"Era sempre molto sincero e non si dava delle arie."
(Hsia-Jung Chan. Compagna di studi e pianista classica)
Lou Reed
Il mio Tai Chi
Jimenez Edizioni
280 pagine
22 euro
Ha sperimentato, osato, esplorato.
Dai Velvet Underground alla carriera solista ha lasciato un'ingente serie di capolavori e opere comunque abbondantemente al di sopra della media qualitativa.
Approfondire la sua figura è sempre interessante, anche quando si affronta un contesto poco noto della sua vita, come l'adesione alla pratica del TAI CHI, che lo ha aiutato fisicamente e spiritualmente, per molto tempo, fino agli ultimi istanti della sua vita.
Questo libro è curioso e particolare, entra nell'intimo del grande artista, sempre molto riservato e scontroso.
Che parte dall'idea di Lou di scrivere un libro sull'arte marziale, interrotta dalla malattia e dalla sua umiltà:
"Chi sono io per scrivere un libro sul Tai Chi"?
Ci sono decine di testimonianze.
Oltre alla moglie Laurie anderson, intervengono amici, collaboratori, Iggy Pop, Bob Ezrin, Anohni, i suoi maestri della disciplina, Mick Rock, la seconda moglie Sylvia Reed e tanti altri.
L'intervento più emozionante e inaspettato è di Jonathan Richman:
"Avrò visto i Velvet Underground tra le sessanta e le cento volte.
Avevo sedici anni e per me era una questione di vita o di morte.
Erano tutti gentili con me.
Dopo un po' Lou mi permise perfino di suonare le sue chitarre elettriche durante le prove e ascoltare i suoni.
Guardavo le loro mani. Li guardavo suonare la chitarra durante le prove. Li guardavo sul palco.
Ho imparato a improvvisare da loro.
Li guardavo comporre canzoni.
Li guardavo nei soundcheck. Nel 1968 fare un soundcheck significava che la band si assicurava che tutto funzionasse, più o meno."
Un testo che i fan di Lou Reed apprezzeranno per aggiungere un ulteriore tassello all'approfondimento dell'uomo, al di là dell'artista ma molt ogradevole anche per i lettori "occasionali".
E particolarmente propedeutico per indirizzare alla pratica del Tai Chi.
"Era sempre molto sincero e non si dava delle arie."
(Hsia-Jung Chan. Compagna di studi e pianista classica)
Lou Reed
Il mio Tai Chi
Jimenez Edizioni
280 pagine
22 euro
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Libri
mercoledì, luglio 02, 2025
Suonare in USA in epoca Trump
Riprendo l'articolo che ho scritto sabato per "Alias" de "Il Manifesto" e dedicato alle problematiche sorte pèer molti gruppi per suonare negli Stati uniti dopo l'avvento di Trumpo.
Si sono recentemente verificati alcuni casi, di varia natura, in cui alcuni gruppi musicali e artisti hanno dovuto annullare tour e concerti negli Stati Uniti per problematiche legate alla concessione dei visti.
Non è del tutto chiaro se l'avvento della sciagurata amministrazione Trump sia la causa principale.
Probabilmente il cambiamento di procedure e il taglio di posti nelle istituzioni incomincia a creare qualche disagio.
Un membro di una band italiana, a cui il tour è stato annullato, riferisce:
“Di base ci ha detto un avvocato di Brooklyn che ci sono molti ritardi e che sono nel caos. Ci hanno sconsigliato di rischedulare un tour a breve perché pare che i visti vengano gestiti da un unico ufficio (motivo dei ritardi)."
Qualcosa di simile è accaduto alla band inglese degli Uk Subs, tra le più rappresentative della scena punk della prima ora.
Il cantante Charlie Harper è riuscito a entrare senza troppi problemi, al contrario del resto della band che è stata rispedita al mittente, in modo piuttosto rozzo ed energico, dopo undici ore di viaggio in aereo. Il batterista Alvin Gibbs denuncia di essere stato lasciato seduto in una stanza di detenzione "per 25 ore senza dormire e con solo un piatto di noodle e un paio di tazze di tè a sostenermi".
Si è chiesto in un post pubblico se non fosse che le sue recenti dichiarazioni poco lusinghiere su Trump potessero essere una ragione, visto che nessuno gli ha dato spiegazioni.
Concludendo che il cantante è invece passato forse perché “ha sorpreso un agente dell'immigrazione alla fine del turno desideroso di tornare a casa alla svelta”.
Nel frattempo Neil Young ha rincarato la dose "Quando vado a suonare in Europa, se parlo male di Donald Trump, potrei essere uno di quelli che tornano in America e vengono banditi o messi in prigione a dormire su un pavimento di cemento con una coperta di alluminio. E se torno dall'Europa e vengo bandito, non posso fare il mio tour negli Stati Uniti e tutti quelli che hanno comprato i biglietti non potranno venire a un mio concerto."
Si stanno nel frattempo intensificando le voci di turisti o lavoratori europei a cui viene rifiutato l'ingresso o che addirittura subiscano periodi di detenzione.
Ma soprattutto aumentano i casi di artisti che preferiscono non rischiare di investire soldi e tempo in tour americani con il rischio che tutto vada in fumo, in questo clima di incertezza.
La band indie canadese Shred Kelly ha recentemente annullato il previsto tour negli States nonostante avesse ottenuto tutta la documentazione necessaria, inclusi i visti per le esibizioni e l'iscrizione al sindacato.
"Non eravamo sicuri di attraversare il confine", ha dichiarato il tastierista Sage McBride. "Non potevamo correre il rischio". Il gruppo aveva già investito oltre 5.000 dollari canadesi nell'elaborazione e nella documentazione dei visti.
L'organizzazione no profit Tamizdat, che supporta artisti internazionali, segnala che ordini esecutivi e cambiamenti nell'applicazione delle leggi potrebbero portare a esclusioni per vaghi e imprecisati motivi di sicurezza. Negli ultimi mesi, oltre trecento visti sarebbero stati revocati, alcuni dei quali legati all'espressione politica. Una band messicana è stata respinta al confine dopo aver fatto un riferimento politico durante un concerto. "È difficile dire che vada tutto bene, perché non è così", ha dichiarato al Los Angeles Times Matthew Covey, direttore esecutivo di Tamizdat.
"Hanno ragione di preoccuparsi. Si aggiunge a un clima di tournée già difficile, un ulteriore strato di paura politica. C'è il rischio che gli artisti guardino ad altri mercati invece che agli Stati Uniti."
In realtà il problema viene da più lontano.
Già nella primavera del 2024, l'amministrazione Biden aveva aumentato del 250% il costo del visto necessario ai musicisti, non solo europei, per tenere concerti e tour negli Stati Uniti, passando da 460 a oltre 1.615 dollari per ogni domanda.
La procedura di richiesta è inoltre macchinosa e coinvolge diverse agenzie e passaggi, dalla consultazione con i sindacati, ai colloqui di persona presso i consolati. Le decisioni definitive sull'ingresso spettano ai funzionari della Dogana e della Protezione delle Frontiere, rendendo i risultati imprevedibili. Come ha dichiarato un responsabile delle prenotazioni al Los Angeles Times: "È come lanciare una moneta".
I visti richiesti sono essenzialmente due:
il primo consente di rimanere per motivi professionali fino ad un anno mentre il secondo è riservato agli artisti che dimostrino di avere “capacità straordinarie” nel campo delle arti e ha una durata fino a tre anni.
Come riferiva un articolo di JazzItalia.it:
alla richiesta bisogna allegare un questionario di venti pagine con domande che passano dallo stato di salute, alle convinzioni politiche ed eventuali soggiorni in paesi ostili (pratica in uso da lungo tempo).
In più è necessario aggiungere una documentazione di articoli di giornale, elenco di concerti tenuti, video musicali, album pubblicati, indicando itinerari e concerti da tenere negli USA con copia dei relativi contratti stipulati, attestazione di discografici e produttori per dimostrare di essere “musicisti in carriera”.
Decine di pagine di materiale per il quale bisogna attendere fino a sei mesi per una risposta. A cui, è noto, bisogna unire la stipula di un'assicurazione sanitaria (dal costo variabile da 200 a 1000 dollari al mese) che paghi eventuali spese ospedaliere che in America non vengono minimamente coperte (un ricovero al Pronto Soccorso costa 1000 dollari, una degenza ospedaliera dai 2000 ai 3000 dollari al giorno). Non dimenticando poi le tasse sui proventi maturati nel tour, costi di trasferimento, alloggio, vitto, noleggi vari, imprevisti.
La reciprocità non è invece assolutamente equa, visto che per gli americani che vengono a suonare in Italia i costi sono infinitamente più abbordabili, se non trascurabili.
Personalmente ricordo due tour che feci come batterista dei Link Quartet nei primi anni Duemila in una decina di stati americani.
L'organizzatore ci esortò a non rivelare il nostro status di musicisti (nonostante un basso e una chitarra potessero indurre a qualche sospetto) per non incorrere in problematiche con le regole sindacali, molto restrittive.
Ci andò bene entrambe le volte e non trovammo nessun problema nella quindicina di date dal Wisconsin, al Colorado, California, Oregon.
Probabilmente perché eravamo un gruppo totalmente sconosciuto.
Ma invece qualche tempo dopo un gruppo di amici partì per una serie di date in California.
Arrivati a Los Angeles furono fatti accomodare in un ufficio, venne mostrata loro una serie di volantini e ritagli di giornali e addirittura fanzines con le date previste e fatti “confessare” di essere loro i protagonisti del tour.
A risposta affermativa vennero trasferiti in un'altra ala dell'aeroporto e imbarcati (a loro spese naturalmente) e rispediti immediatamente in Italia. Il problema dunque sussiste, a monte della Trumpizzazione americana.
Che sta però portando a un ulteriore aspetto ovvero la rinuncia da parte di molti gruppi di medio/basso calibro (ovviamente i grandi nomi non hanno nessuna necessità né economica né di permessi di entrata) oltre a qualche “militante”, alle esibizioni americane.
Soprattutto quelli impegnati nelle lotte Lgbtq+ che temono discriminazioni o vessazioni, oltre a esercitare una forma di protesta nei confronti delle politiche della nuova amministrazione.
Grande è il disordine sotto il cielo ma la situazione non è né eccellente né interessante.
Semplicemente desolante.
Si sono recentemente verificati alcuni casi, di varia natura, in cui alcuni gruppi musicali e artisti hanno dovuto annullare tour e concerti negli Stati Uniti per problematiche legate alla concessione dei visti.
Non è del tutto chiaro se l'avvento della sciagurata amministrazione Trump sia la causa principale.
Probabilmente il cambiamento di procedure e il taglio di posti nelle istituzioni incomincia a creare qualche disagio.
Un membro di una band italiana, a cui il tour è stato annullato, riferisce:
“Di base ci ha detto un avvocato di Brooklyn che ci sono molti ritardi e che sono nel caos. Ci hanno sconsigliato di rischedulare un tour a breve perché pare che i visti vengano gestiti da un unico ufficio (motivo dei ritardi)."
Qualcosa di simile è accaduto alla band inglese degli Uk Subs, tra le più rappresentative della scena punk della prima ora.
Il cantante Charlie Harper è riuscito a entrare senza troppi problemi, al contrario del resto della band che è stata rispedita al mittente, in modo piuttosto rozzo ed energico, dopo undici ore di viaggio in aereo. Il batterista Alvin Gibbs denuncia di essere stato lasciato seduto in una stanza di detenzione "per 25 ore senza dormire e con solo un piatto di noodle e un paio di tazze di tè a sostenermi".
Si è chiesto in un post pubblico se non fosse che le sue recenti dichiarazioni poco lusinghiere su Trump potessero essere una ragione, visto che nessuno gli ha dato spiegazioni.
Concludendo che il cantante è invece passato forse perché “ha sorpreso un agente dell'immigrazione alla fine del turno desideroso di tornare a casa alla svelta”.
Nel frattempo Neil Young ha rincarato la dose "Quando vado a suonare in Europa, se parlo male di Donald Trump, potrei essere uno di quelli che tornano in America e vengono banditi o messi in prigione a dormire su un pavimento di cemento con una coperta di alluminio. E se torno dall'Europa e vengo bandito, non posso fare il mio tour negli Stati Uniti e tutti quelli che hanno comprato i biglietti non potranno venire a un mio concerto."
Si stanno nel frattempo intensificando le voci di turisti o lavoratori europei a cui viene rifiutato l'ingresso o che addirittura subiscano periodi di detenzione.
Ma soprattutto aumentano i casi di artisti che preferiscono non rischiare di investire soldi e tempo in tour americani con il rischio che tutto vada in fumo, in questo clima di incertezza.
La band indie canadese Shred Kelly ha recentemente annullato il previsto tour negli States nonostante avesse ottenuto tutta la documentazione necessaria, inclusi i visti per le esibizioni e l'iscrizione al sindacato.
"Non eravamo sicuri di attraversare il confine", ha dichiarato il tastierista Sage McBride. "Non potevamo correre il rischio". Il gruppo aveva già investito oltre 5.000 dollari canadesi nell'elaborazione e nella documentazione dei visti.
L'organizzazione no profit Tamizdat, che supporta artisti internazionali, segnala che ordini esecutivi e cambiamenti nell'applicazione delle leggi potrebbero portare a esclusioni per vaghi e imprecisati motivi di sicurezza. Negli ultimi mesi, oltre trecento visti sarebbero stati revocati, alcuni dei quali legati all'espressione politica. Una band messicana è stata respinta al confine dopo aver fatto un riferimento politico durante un concerto. "È difficile dire che vada tutto bene, perché non è così", ha dichiarato al Los Angeles Times Matthew Covey, direttore esecutivo di Tamizdat.
"Hanno ragione di preoccuparsi. Si aggiunge a un clima di tournée già difficile, un ulteriore strato di paura politica. C'è il rischio che gli artisti guardino ad altri mercati invece che agli Stati Uniti."
In realtà il problema viene da più lontano.
Già nella primavera del 2024, l'amministrazione Biden aveva aumentato del 250% il costo del visto necessario ai musicisti, non solo europei, per tenere concerti e tour negli Stati Uniti, passando da 460 a oltre 1.615 dollari per ogni domanda.
La procedura di richiesta è inoltre macchinosa e coinvolge diverse agenzie e passaggi, dalla consultazione con i sindacati, ai colloqui di persona presso i consolati. Le decisioni definitive sull'ingresso spettano ai funzionari della Dogana e della Protezione delle Frontiere, rendendo i risultati imprevedibili. Come ha dichiarato un responsabile delle prenotazioni al Los Angeles Times: "È come lanciare una moneta".
I visti richiesti sono essenzialmente due:
il primo consente di rimanere per motivi professionali fino ad un anno mentre il secondo è riservato agli artisti che dimostrino di avere “capacità straordinarie” nel campo delle arti e ha una durata fino a tre anni.
Come riferiva un articolo di JazzItalia.it:
alla richiesta bisogna allegare un questionario di venti pagine con domande che passano dallo stato di salute, alle convinzioni politiche ed eventuali soggiorni in paesi ostili (pratica in uso da lungo tempo).
In più è necessario aggiungere una documentazione di articoli di giornale, elenco di concerti tenuti, video musicali, album pubblicati, indicando itinerari e concerti da tenere negli USA con copia dei relativi contratti stipulati, attestazione di discografici e produttori per dimostrare di essere “musicisti in carriera”.
Decine di pagine di materiale per il quale bisogna attendere fino a sei mesi per una risposta. A cui, è noto, bisogna unire la stipula di un'assicurazione sanitaria (dal costo variabile da 200 a 1000 dollari al mese) che paghi eventuali spese ospedaliere che in America non vengono minimamente coperte (un ricovero al Pronto Soccorso costa 1000 dollari, una degenza ospedaliera dai 2000 ai 3000 dollari al giorno). Non dimenticando poi le tasse sui proventi maturati nel tour, costi di trasferimento, alloggio, vitto, noleggi vari, imprevisti.
La reciprocità non è invece assolutamente equa, visto che per gli americani che vengono a suonare in Italia i costi sono infinitamente più abbordabili, se non trascurabili.
Personalmente ricordo due tour che feci come batterista dei Link Quartet nei primi anni Duemila in una decina di stati americani.
L'organizzatore ci esortò a non rivelare il nostro status di musicisti (nonostante un basso e una chitarra potessero indurre a qualche sospetto) per non incorrere in problematiche con le regole sindacali, molto restrittive.
Ci andò bene entrambe le volte e non trovammo nessun problema nella quindicina di date dal Wisconsin, al Colorado, California, Oregon.
Probabilmente perché eravamo un gruppo totalmente sconosciuto.
Ma invece qualche tempo dopo un gruppo di amici partì per una serie di date in California.
Arrivati a Los Angeles furono fatti accomodare in un ufficio, venne mostrata loro una serie di volantini e ritagli di giornali e addirittura fanzines con le date previste e fatti “confessare” di essere loro i protagonisti del tour.
A risposta affermativa vennero trasferiti in un'altra ala dell'aeroporto e imbarcati (a loro spese naturalmente) e rispediti immediatamente in Italia. Il problema dunque sussiste, a monte della Trumpizzazione americana.
Che sta però portando a un ulteriore aspetto ovvero la rinuncia da parte di molti gruppi di medio/basso calibro (ovviamente i grandi nomi non hanno nessuna necessità né economica né di permessi di entrata) oltre a qualche “militante”, alle esibizioni americane.
Soprattutto quelli impegnati nelle lotte Lgbtq+ che temono discriminazioni o vessazioni, oltre a esercitare una forma di protesta nei confronti delle politiche della nuova amministrazione.
Grande è il disordine sotto il cielo ma la situazione non è né eccellente né interessante.
Semplicemente desolante.
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Di cosa parliamo quando parliamo di musica
martedì, luglio 01, 2025
UK SUBS (19.062025) / BLACK FLAG (21.06.2025)
Castle & Falcon, Balsall Heath, Birmingham
Un altro prezioso regalo dal nostro inviato speciale in quel di BIRMINGHAM, il grandissimo RAMBLIN' ERIKK (che poco tempo fa già ci aveva deliziato con la recensione del concerto dei Cocksparrer: https://tonyface.blogspot.com/2025/06/cock-sparrer-live-o2-academy-islington.html .
Questa volta doppio appuntamento con Uk Subs e Black Flag (con tanto di foto di sua mano). Il pub Castle & Falcon di Balsall Heath a Birmingham rappresenta, da molti anni, un avamposto storico per il Punk e la musica indipendente in generale. Uno di quei locali che, visti i tempi che corrono e la gentrificazione galoppante, occorre tenersi ben stretti.
Entri, ed é come se il calendario si fosse fermato al 1983 : al tempo stesso, ci trovi anche ragazzi che a malapena hanno l' etá legale per ordinare una pinta al bancone, in un melting-pot generazionale, culturale e razziale inclusivo al massimo e dal fascino estremamente contagioso.
Questa settimana, due nomi eminenti nella storia del Punk hanno calcato il palco dell' iconico joint (peraltro, dotato di uno dei migliori impianti tecnici per la musica live in cittá):
i sempiterni UK Subs di Charlie Harper e gli iniziatori dell' Hardcore di marca Hermosa Beach, nientemeno che i Black Flag del Deus-ex-Machina Greg Ginn.
Weekend caldo, climaticamente e non solo e, poco ma sicuro, due appuntamenti che non mi sarei perso a nessun costo.
Si parte il Giovedí sera con i leggendari Subs, per quella che é stata promossa come la loro "ultima apparizione a Birmingham".
Da circa tre anni, il gruppo ha infatti annunciato un progressivo rallentamento delle attivitá: l' ottimo album "Reverse Engineering" del 2022 fu annunciato come loro ultimo atto in studio e, comparsate in festival e concerti occasionali a parte, la band avrebbe cessato di andare in tour.
Alla veneranda etá di 81 anni, Charlie Harper puó anche permettersi di iniziare a meditare la pensione, per quanto, la sensazione che ancora non abbia intenzione di appendere microfono e armonica al chiodo sia forte.
Come nel Wrestling, altra mia grande passione, é estremamente raro che artisti ormai abituati a una vita on-the-road scendano a piú miti consigli, abbandonando il richiamo irresistibile delle luci della ribalta.
E, basta dare un' occhiata a Charlie per capire che questa é la sua vita e non ha intenzione, né reale motivo di cambiarla troppo.
É al banco del merchandise, disponibilissimo e affabile come sempre, intercambiabile lattina di birra a portata di mano, ad accogliere fan di ogni etá e firmare autografi. Sembra felice e vorrei ben vedere!
Alla mia domanda se davvero questo sarebbe stato il loro ultimo show in assoluto nella "Second City", ha riso e risposto "A me lo chiedi? Era un' idea del promoter!".
Ok Chas, capita l' antifona.
Attivi da ormai quasi mezzo secolo, gli UK Sub(versive)s sono uno dei gruppi piú importanti e popolari partoriti dalla scena Punk Britannica. Approdati alla scena del Roxy nel tardo 1977, immediatamente dopo l' iniziale Big Bang del Punk Londinese, la band dell' allora giá attempato Charlie Harper (che giá vantava un solido background nella scena Rhythm 'N Blues locale dalla fine dei '60) ha approfittato dell' energia della "nuova" scena affermandosi in breve tempo come favoriti della cosiddetta "second wave", portavoci di un sound grezzo, veloce e imcompromissorio che nulla concedeva al lato piú artistoide del "Bromley Contingent" promuovendo invece un' attitidine piú stradaiola e schietta, in molti sensi anticipatrice di quello "Street-Punk" che, nel giro di pochi anni, sarebbe sfociato nel movimento "Oi".
I Subs che si presentano stasera, oltre al prim'attore Charlie, hanno in organico il bassista, co-autore storico e, a tutti gli effetti, direttore artistico Alvin Gibbs, con la band dal 1980, pur con numerosi intervalli, Stefan Häublein alla batteria e, vera sorpresa del concerto, il nuovo chitarrista Abe Inglis, una belva dal vivo che ricorda, sia nella tecnica che nelle prodezze atletiche, il suo illustre predecessore Nicky Garratt.
Partono subito in quarta con una versione assassina di "Rockers" dal primo LP " Another Kind Of Blues" (1979) ed é "instant chaos" in un locale sudatissimo e stipato oltre i legittimi limiti di capienza. Seguono, in rapida successione, "Kicks", "Police State" e "Emotional Blackmail", sparate come proiettili affilati da una band che é ormai un' entitá rodata e a prova di bomba.
Arriva anche la famosa "Down On The Farm", che tanto ha contribuito a ripinguare i conti in banca degli autori Gibbs/Harper grazie all' improbabile cover (con tanto di falso accento cockney) incisa dai Guns 'N Roses per il loro album "The Spaghetti Incident?" del 1993.
Nell' arco di 22 brani, bis completi, i Subs distillano la loro storia, veraci cartoline dal grande Pianeta Punk Britannico come la festaiola "Party In Paris", il loro primo singolo "Stranglehold", la brutale "Scum Of the Earth" ed episodi (relativamente) piú recenti come "Riot" e "Disease".
"Warhead" suona tristemente attuale, ora piú che mai, con l' America che ha appena dichiarato guerra all' Iran e una minaccia Atomica molto reale e tangibile.
E, per amaramente ironica coincidenza, gli UK Subs, a quanto pare, non sono tra i gruppi preferiti di Donald Trump, il pazzo criminale (o, in termini piú pragmatici, capitalista) artefice di questo inutile spargimento di sangue.
É infatti noto, anche a chi non frequenta il circuito Punk, che il 21 Marzo di quest' anno, a 3 quarti della band é stato negato l'accesso negli Stati Uniti (il solo Charlie Harper, grazie a chissá quale magheggio o, semplicemente, il suo innato potere persuasivo, é riuscito ad entrare e suonare a Los Angeles, come previsto, accompagnato da una band assemblata all' ultim' ora per l' occasione).
Alvin Gibbs ha descritto in dettaglio sulla sua pagina Facebook l' incubo Kafkiano di cui si é trovato protagonista (25 ore di detenzione e non una spiegazione ufficiale per il rifiuto al visto) disavventura che gli ha, comprensibilmente lasciato l' amaro in bocca inducendolo a sospettare che i suoi recenti commenti, per nulla favorevoli all' attuale presidente degli States, possano essere alle radici della debacle.
Mi sarebbe piaciuto poter scambiare una parola con Alvin in merito al fattaccio, ma non sono riuscito a incrociarlo.
In men che non si dica e con a malapena il tempo di riprendere fiato, siamo giá agli encores, "C.I.D.", "I Live In A Car", "You Don't Belong" e l' anthem "Endangered Species", ("Specie in via d' estinzione") titolo che ben esemplifica la vicenda di una band autentica, proletaria, di strada, che pur tra alti e bassi (nonché innumerevoli cambi di formazione) ha attraversato intere generazioni, portavoce del piú verace spirito Rock & Roll e tutt' oggi punto fermo e incrollabile.
In piú di un' occasione, mi preme rimarcarlo, precorrendo persino i tempi in forza di una musicianship sempre dinamica e musicisti piú raffinati di quanto non possa apparire, promuovendo un' attitudine aperta al cross-over, andando a lambire i territori piú disparati come Hardcore, Hard Rock, persino Metal, New Wave e sicuramente Rhythm N Blues, senza mai smentire il tradizionale marchio di fabbrica.
Un trionfo e uno dei migliori concerti dell' anno, fin' ora: lunga vita ai Subs!
Di altra pasta e provenienza, ma comunque accomunabile ad uno spirito affine, la proposta musicale prevista per Sabato sera. Nientemeno che la leggendaria sigla "Black Flag", come dicevo all' inizio, scomodata dal leader incontrastato, "padre-padrone" Greg Ginn per un estensivo tour di Europa e Inghilterra che presenta una formazione interamente nuova attorno al suddetto capoccia.
Notizia arrivata completamente a sorpresa, a tour giá annunciato (l' occasione sarebbe quella di celebrare l' iconica compilation "The First Four Years" uscita per la SST dello stesso Ginn nel 1983) quando chi giá aveva sborsato parte dei propri guadagni per un biglietto si aspettava l' ultima, rodatissima formazione con il rude Skater Mike Vallely alla voce.
Subito, sono scoppiate le polemiche, corroborate dalla diffusione su social media di una foto raffigurante l' ultimissima incarnazione della "Bandiera Nera" : tre imberbi pischelli che, occhio e croce, non arrivano ai Venti anni d' etá e, udite udite, una RAGAZZA nel ruolo di cantante e frontwoman.
Apriti cielo!!!
Frizzi e lazzi, laddove non proprio critiche pungenti e di dubbio gusto, da partedi uno zoccolo duro che, a ben vedere, contravviene al piú autentico spirito Punk, un genere e una mentalitá in teoria istigati da gente giovane e volti ad abbattere non solo la supremazia del piú pomposo Rock da stadio ma, anche di ogni qualsivoglia barriera pregiudiziale di sesso, razza e religione.
Senza, peraltro, aver ascoltato una singola nota di questo inedito ensemble e, puramente, giudicando un libro sulla mera base della copertina.
Insomma, volendo citare una fonte eccellente e a me molto cara, "A te il Punk non t' ha insegnato un cazzo"?
Personalmente, il mio innato "Bullshit Detector" mi ha subito indotto a presagire qualcosa di, se non altro, interessante, cosí ho deciso di approcciare il concerto a mente aperta.
Sia chiaro, volendo fare l' avvocato del Diavolo, viene naturale supporre che l' idea di ingaggiare musicisti giovanissimi e letteralmente alle prime armi fin troppo bene si adatti a un noto accentratore come Greg Ginn che, da sempre ha la documentata abitudine di allontanare collaboratori non al 100% in linea con le direttive da lui stabilite, specialmente una volta consolidato un certo cachet personale da parte di questi ultimi.
Ma, si tratta solo di considerazioni e, alla luce del giorno, come sono questi "nuovi" Black Flag?
Sinceramente, belli potenti e convincenti, pur rimanendo ancora un' entitá acerba e bisognosa di ulteriore amalgama e coesione, cose che arriveranno nel tempo, se l' avventura si evolverá.
Per il momento, ció che arriva dritto in faccia é il suono inconfondibile, distopico e allucinato della chitarra di Greg Ginn, immutato nei decenni e davvero pauroso da ascoltarsi dal vivo.
Zero distorsione e niente pedali o effetti, semplicemente tutto settato a 11! Devastante e ancora temibile, oggi come nel 1980.
Coadiuvato da una formazione francamente piú che convincente e sul pezzo, a partire da Max Zanelly, la giovanissima "Firebrand" che si rivela da subito credibilissima come interprete dei classici storici della band.
Due set, 24 pezzi in totale, non un' impresa da nulla per un manipolo di pivelli ma, a onor del vero, loro se la cavano alla grande e, con buona pace di chi si aspettava un frontman super-macho, sudato e a torso nudo sul modello di Rollins o anche Vallely, questi sono i Black Flag nel 2025, "take it or leave it".
E, a mio modesto parere, funzionano.
Non solo il vasto set pesca in "The First Four Years" (invero, non rappresentato nella sua totalitá) ma i quattro vanno a coprire l' intera discografia storica, riproponendo non solo il classico, primo LP "Damaged" per buona metá, ma anche pescando a piene mani tra i ben piú complessi arrangiamenti di "My War" e "Slip It In".
C'é veramente tutto, da un' allucinata, iniziale "Can't Decide" (preceduta da una lunga, nervosa intro per tre minuti buoni) seguita da una "Nervous Breakdown" ferale a sufficienza da non temere il confronto con l' originale del 1978 e, in rapidissima e brutale successione, "No Values", "Wasted" e "I've Had It".
Forse, stasera sono particolarmente di buon' umore, ma il feeling é lo stesso della prima volta in cui ascoltao questi brani su "The First Four Years" e, per assurdo, anche il pubblico reagisce in maniera piú "Americana" compattandosi in paurose sezioni che si spostano orizzontalmente in un oceano di slam-dance che ricorda molto da vicino le mitizzate immagini del film "Decline Of Western Civilization" di Penelope Spheeris (1980).
"Black Coffee", nervosa come suggerito dal titolo, introduce gli umori piú contaminati del LP "Slip It In" (1985) mentre "Forever Time", "The Swinging Man" e "Nothing Left Inside" documentano la svolta fangosa e Sabbathiana dell' album "My War" (1983).
"Six-Pack", per assurdo una satira dell' alto consumo alcolico dell' Americano medio, é accolta da un tripudio di mani che alzano pinte di birra mentre la tellurica "My War" apre il secondo set.
E, davvero nulla da dire: in tutta onestá, questa band rende perfettamente giustizia a un repertorio immortale e, per quanto mi riguarda, é bello averli in giro a suonare queste canzoni dal vivo, peraltro in una configurazione inedita e al di fuori di ogni aspettativa.
Vorrei ricordare che, fondamentalmente, ogni formazione dei Black Flag è sempre stata rappresentata da un cast mutevole attorno al leader Greg Ginn : da qui, traete voi le vostre conclusioni.
"Revenge", "Fix Me" e "Gimmie Gimmie Gimmie" sono cantate a gran voce da un pubblico accorato e incurante di ogni qualsivoglia gap generazionale, prima dello show-stopper di "Rise Above" e la sarcastica versione di "Louie Louie".
É tutto e il gruppo si ritira: non c'é un banco dove poter acquistare t-shirt, CD, LP o nient' altro o strappare un autografo e un saluto rapido alla band.
Nessun bis o concessione ulteriore a quanto giá abbondantemente dato : come nei primissimi anni '80, i Black Flag sono giá "In The Van", diretti alla prossima meta.
Per quanto mi riguarda, un' incarnazione che si é rivelata perfettamente in linea con la filosofia e il sound storici della band e che vi invito a controllare di prima persona, dovessero capitare dalle vostre parti.
Questa volta doppio appuntamento con Uk Subs e Black Flag (con tanto di foto di sua mano). Il pub Castle & Falcon di Balsall Heath a Birmingham rappresenta, da molti anni, un avamposto storico per il Punk e la musica indipendente in generale. Uno di quei locali che, visti i tempi che corrono e la gentrificazione galoppante, occorre tenersi ben stretti.
Entri, ed é come se il calendario si fosse fermato al 1983 : al tempo stesso, ci trovi anche ragazzi che a malapena hanno l' etá legale per ordinare una pinta al bancone, in un melting-pot generazionale, culturale e razziale inclusivo al massimo e dal fascino estremamente contagioso.
Questa settimana, due nomi eminenti nella storia del Punk hanno calcato il palco dell' iconico joint (peraltro, dotato di uno dei migliori impianti tecnici per la musica live in cittá):
i sempiterni UK Subs di Charlie Harper e gli iniziatori dell' Hardcore di marca Hermosa Beach, nientemeno che i Black Flag del Deus-ex-Machina Greg Ginn.
Weekend caldo, climaticamente e non solo e, poco ma sicuro, due appuntamenti che non mi sarei perso a nessun costo.
Si parte il Giovedí sera con i leggendari Subs, per quella che é stata promossa come la loro "ultima apparizione a Birmingham".
Da circa tre anni, il gruppo ha infatti annunciato un progressivo rallentamento delle attivitá: l' ottimo album "Reverse Engineering" del 2022 fu annunciato come loro ultimo atto in studio e, comparsate in festival e concerti occasionali a parte, la band avrebbe cessato di andare in tour.
Alla veneranda etá di 81 anni, Charlie Harper puó anche permettersi di iniziare a meditare la pensione, per quanto, la sensazione che ancora non abbia intenzione di appendere microfono e armonica al chiodo sia forte.
Come nel Wrestling, altra mia grande passione, é estremamente raro che artisti ormai abituati a una vita on-the-road scendano a piú miti consigli, abbandonando il richiamo irresistibile delle luci della ribalta.
E, basta dare un' occhiata a Charlie per capire che questa é la sua vita e non ha intenzione, né reale motivo di cambiarla troppo.
É al banco del merchandise, disponibilissimo e affabile come sempre, intercambiabile lattina di birra a portata di mano, ad accogliere fan di ogni etá e firmare autografi. Sembra felice e vorrei ben vedere!
Alla mia domanda se davvero questo sarebbe stato il loro ultimo show in assoluto nella "Second City", ha riso e risposto "A me lo chiedi? Era un' idea del promoter!".
Ok Chas, capita l' antifona.
Attivi da ormai quasi mezzo secolo, gli UK Sub(versive)s sono uno dei gruppi piú importanti e popolari partoriti dalla scena Punk Britannica. Approdati alla scena del Roxy nel tardo 1977, immediatamente dopo l' iniziale Big Bang del Punk Londinese, la band dell' allora giá attempato Charlie Harper (che giá vantava un solido background nella scena Rhythm 'N Blues locale dalla fine dei '60) ha approfittato dell' energia della "nuova" scena affermandosi in breve tempo come favoriti della cosiddetta "second wave", portavoci di un sound grezzo, veloce e imcompromissorio che nulla concedeva al lato piú artistoide del "Bromley Contingent" promuovendo invece un' attitidine piú stradaiola e schietta, in molti sensi anticipatrice di quello "Street-Punk" che, nel giro di pochi anni, sarebbe sfociato nel movimento "Oi".
I Subs che si presentano stasera, oltre al prim'attore Charlie, hanno in organico il bassista, co-autore storico e, a tutti gli effetti, direttore artistico Alvin Gibbs, con la band dal 1980, pur con numerosi intervalli, Stefan Häublein alla batteria e, vera sorpresa del concerto, il nuovo chitarrista Abe Inglis, una belva dal vivo che ricorda, sia nella tecnica che nelle prodezze atletiche, il suo illustre predecessore Nicky Garratt.
Partono subito in quarta con una versione assassina di "Rockers" dal primo LP " Another Kind Of Blues" (1979) ed é "instant chaos" in un locale sudatissimo e stipato oltre i legittimi limiti di capienza. Seguono, in rapida successione, "Kicks", "Police State" e "Emotional Blackmail", sparate come proiettili affilati da una band che é ormai un' entitá rodata e a prova di bomba.
Arriva anche la famosa "Down On The Farm", che tanto ha contribuito a ripinguare i conti in banca degli autori Gibbs/Harper grazie all' improbabile cover (con tanto di falso accento cockney) incisa dai Guns 'N Roses per il loro album "The Spaghetti Incident?" del 1993.
Nell' arco di 22 brani, bis completi, i Subs distillano la loro storia, veraci cartoline dal grande Pianeta Punk Britannico come la festaiola "Party In Paris", il loro primo singolo "Stranglehold", la brutale "Scum Of the Earth" ed episodi (relativamente) piú recenti come "Riot" e "Disease".
"Warhead" suona tristemente attuale, ora piú che mai, con l' America che ha appena dichiarato guerra all' Iran e una minaccia Atomica molto reale e tangibile.
E, per amaramente ironica coincidenza, gli UK Subs, a quanto pare, non sono tra i gruppi preferiti di Donald Trump, il pazzo criminale (o, in termini piú pragmatici, capitalista) artefice di questo inutile spargimento di sangue.
É infatti noto, anche a chi non frequenta il circuito Punk, che il 21 Marzo di quest' anno, a 3 quarti della band é stato negato l'accesso negli Stati Uniti (il solo Charlie Harper, grazie a chissá quale magheggio o, semplicemente, il suo innato potere persuasivo, é riuscito ad entrare e suonare a Los Angeles, come previsto, accompagnato da una band assemblata all' ultim' ora per l' occasione).
Alvin Gibbs ha descritto in dettaglio sulla sua pagina Facebook l' incubo Kafkiano di cui si é trovato protagonista (25 ore di detenzione e non una spiegazione ufficiale per il rifiuto al visto) disavventura che gli ha, comprensibilmente lasciato l' amaro in bocca inducendolo a sospettare che i suoi recenti commenti, per nulla favorevoli all' attuale presidente degli States, possano essere alle radici della debacle.
Mi sarebbe piaciuto poter scambiare una parola con Alvin in merito al fattaccio, ma non sono riuscito a incrociarlo.
In men che non si dica e con a malapena il tempo di riprendere fiato, siamo giá agli encores, "C.I.D.", "I Live In A Car", "You Don't Belong" e l' anthem "Endangered Species", ("Specie in via d' estinzione") titolo che ben esemplifica la vicenda di una band autentica, proletaria, di strada, che pur tra alti e bassi (nonché innumerevoli cambi di formazione) ha attraversato intere generazioni, portavoce del piú verace spirito Rock & Roll e tutt' oggi punto fermo e incrollabile.
In piú di un' occasione, mi preme rimarcarlo, precorrendo persino i tempi in forza di una musicianship sempre dinamica e musicisti piú raffinati di quanto non possa apparire, promuovendo un' attitudine aperta al cross-over, andando a lambire i territori piú disparati come Hardcore, Hard Rock, persino Metal, New Wave e sicuramente Rhythm N Blues, senza mai smentire il tradizionale marchio di fabbrica.
Un trionfo e uno dei migliori concerti dell' anno, fin' ora: lunga vita ai Subs!
Di altra pasta e provenienza, ma comunque accomunabile ad uno spirito affine, la proposta musicale prevista per Sabato sera. Nientemeno che la leggendaria sigla "Black Flag", come dicevo all' inizio, scomodata dal leader incontrastato, "padre-padrone" Greg Ginn per un estensivo tour di Europa e Inghilterra che presenta una formazione interamente nuova attorno al suddetto capoccia.
Notizia arrivata completamente a sorpresa, a tour giá annunciato (l' occasione sarebbe quella di celebrare l' iconica compilation "The First Four Years" uscita per la SST dello stesso Ginn nel 1983) quando chi giá aveva sborsato parte dei propri guadagni per un biglietto si aspettava l' ultima, rodatissima formazione con il rude Skater Mike Vallely alla voce.
Subito, sono scoppiate le polemiche, corroborate dalla diffusione su social media di una foto raffigurante l' ultimissima incarnazione della "Bandiera Nera" : tre imberbi pischelli che, occhio e croce, non arrivano ai Venti anni d' etá e, udite udite, una RAGAZZA nel ruolo di cantante e frontwoman.
Apriti cielo!!!
Frizzi e lazzi, laddove non proprio critiche pungenti e di dubbio gusto, da partedi uno zoccolo duro che, a ben vedere, contravviene al piú autentico spirito Punk, un genere e una mentalitá in teoria istigati da gente giovane e volti ad abbattere non solo la supremazia del piú pomposo Rock da stadio ma, anche di ogni qualsivoglia barriera pregiudiziale di sesso, razza e religione.
Senza, peraltro, aver ascoltato una singola nota di questo inedito ensemble e, puramente, giudicando un libro sulla mera base della copertina.
Insomma, volendo citare una fonte eccellente e a me molto cara, "A te il Punk non t' ha insegnato un cazzo"?
Personalmente, il mio innato "Bullshit Detector" mi ha subito indotto a presagire qualcosa di, se non altro, interessante, cosí ho deciso di approcciare il concerto a mente aperta.
Sia chiaro, volendo fare l' avvocato del Diavolo, viene naturale supporre che l' idea di ingaggiare musicisti giovanissimi e letteralmente alle prime armi fin troppo bene si adatti a un noto accentratore come Greg Ginn che, da sempre ha la documentata abitudine di allontanare collaboratori non al 100% in linea con le direttive da lui stabilite, specialmente una volta consolidato un certo cachet personale da parte di questi ultimi.
Ma, si tratta solo di considerazioni e, alla luce del giorno, come sono questi "nuovi" Black Flag?
Sinceramente, belli potenti e convincenti, pur rimanendo ancora un' entitá acerba e bisognosa di ulteriore amalgama e coesione, cose che arriveranno nel tempo, se l' avventura si evolverá.
Per il momento, ció che arriva dritto in faccia é il suono inconfondibile, distopico e allucinato della chitarra di Greg Ginn, immutato nei decenni e davvero pauroso da ascoltarsi dal vivo.
Zero distorsione e niente pedali o effetti, semplicemente tutto settato a 11! Devastante e ancora temibile, oggi come nel 1980.
Coadiuvato da una formazione francamente piú che convincente e sul pezzo, a partire da Max Zanelly, la giovanissima "Firebrand" che si rivela da subito credibilissima come interprete dei classici storici della band.
Due set, 24 pezzi in totale, non un' impresa da nulla per un manipolo di pivelli ma, a onor del vero, loro se la cavano alla grande e, con buona pace di chi si aspettava un frontman super-macho, sudato e a torso nudo sul modello di Rollins o anche Vallely, questi sono i Black Flag nel 2025, "take it or leave it".
E, a mio modesto parere, funzionano.
Non solo il vasto set pesca in "The First Four Years" (invero, non rappresentato nella sua totalitá) ma i quattro vanno a coprire l' intera discografia storica, riproponendo non solo il classico, primo LP "Damaged" per buona metá, ma anche pescando a piene mani tra i ben piú complessi arrangiamenti di "My War" e "Slip It In".
C'é veramente tutto, da un' allucinata, iniziale "Can't Decide" (preceduta da una lunga, nervosa intro per tre minuti buoni) seguita da una "Nervous Breakdown" ferale a sufficienza da non temere il confronto con l' originale del 1978 e, in rapidissima e brutale successione, "No Values", "Wasted" e "I've Had It".
Forse, stasera sono particolarmente di buon' umore, ma il feeling é lo stesso della prima volta in cui ascoltao questi brani su "The First Four Years" e, per assurdo, anche il pubblico reagisce in maniera piú "Americana" compattandosi in paurose sezioni che si spostano orizzontalmente in un oceano di slam-dance che ricorda molto da vicino le mitizzate immagini del film "Decline Of Western Civilization" di Penelope Spheeris (1980).
"Black Coffee", nervosa come suggerito dal titolo, introduce gli umori piú contaminati del LP "Slip It In" (1985) mentre "Forever Time", "The Swinging Man" e "Nothing Left Inside" documentano la svolta fangosa e Sabbathiana dell' album "My War" (1983).
"Six-Pack", per assurdo una satira dell' alto consumo alcolico dell' Americano medio, é accolta da un tripudio di mani che alzano pinte di birra mentre la tellurica "My War" apre il secondo set.
E, davvero nulla da dire: in tutta onestá, questa band rende perfettamente giustizia a un repertorio immortale e, per quanto mi riguarda, é bello averli in giro a suonare queste canzoni dal vivo, peraltro in una configurazione inedita e al di fuori di ogni aspettativa.
Vorrei ricordare che, fondamentalmente, ogni formazione dei Black Flag è sempre stata rappresentata da un cast mutevole attorno al leader Greg Ginn : da qui, traete voi le vostre conclusioni.
"Revenge", "Fix Me" e "Gimmie Gimmie Gimmie" sono cantate a gran voce da un pubblico accorato e incurante di ogni qualsivoglia gap generazionale, prima dello show-stopper di "Rise Above" e la sarcastica versione di "Louie Louie".
É tutto e il gruppo si ritira: non c'é un banco dove poter acquistare t-shirt, CD, LP o nient' altro o strappare un autografo e un saluto rapido alla band.
Nessun bis o concessione ulteriore a quanto giá abbondantemente dato : come nei primissimi anni '80, i Black Flag sono giá "In The Van", diretti alla prossima meta.
Per quanto mi riguarda, un' incarnazione che si é rivelata perfettamente in linea con la filosofia e il sound storici della band e che vi invito a controllare di prima persona, dovessero capitare dalle vostre parti.
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Concerti
lunedì, giugno 30, 2025
Giugno 2025. Il meglio
Ridendo e scherzando eccoci esattamente a metà del 2025: tra i migliori album quelli di Little Simz, Bob Mould, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins.
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LITTLE SIMZ - Lotus
Il valore della rapper inglese è fin dagli esordi indiscutibile.
"Lotus" è il sesto album e ne conferma la costante evoluzione/contaminazione, tra funk, elettronica, hip hop, la stupenda, epica, drum and bass funk orchestrale della title track , jazz, spoken word.
Ogni brano è una scoperta, pieno di sorprese, suggestioni, riferimenti ma soprattutto denota una personalità unica e difficilmente eguagliabile.
Grande album.
TY SEGALL - Possession
Non mi aveva mai appassionato più di tanto. Il nuovo album è invece sorprendente con tutte quelle volute psichedeliche, proto prog, garage, Beatles, freakbeat, Marc Bolan, blues, senza mai risultare accademicamente revivalista. Una sorta di Beck più immerso in quelle radici, meno propenso (solo apparentemente) all'innovazione. Il risultato è eccellente, il disco passa tranquillamente in decine di riascolto senza mai stancare, anzi, dando ogni volta il senso di scoperta di cose nuove.
KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD - Phantom Island
Questo è il 27° album in 15 anni (è sempre la prima cosa che si scrive della band australiana). Hanno esplorato un po' tutto lo scibile sonoro e sempre in modo creativo, stimolante, divertente, innovativo. Talvolta hanno fallito l'intento, altre volte (la maggior parte) hanno colpito nel segno. Anche in questo lavoro in cui si cimentano con un rock psichedelico dalle tinte country tra 60's e 70's, con tanto di fiati e orchestra. Come sempre molto bello da ascoltare e ben fatto.
OMAR - Brighter The Days
Un ottimo lavoro per il vocalist inglese, in costante crescita e maturazione. Il nuovo album si avvale di numerosi ospiti (tra cui Paul Weller nel brano più old soul del lotto). Un'ora e dieci di musica è forse eccessiva ma il contenuto è a base del migliore nu soul in circolazione con sguardi alla old school dei Sessanta/Settanta. Il tutto a base di ottime songs mid tempo, curatissime, eleganti, raffinate.
AA.VV. - Totally Wired – A New Collection From Acid Jazz
Torna la fortunata serie di compilation della Acid Jazz Records che nel 1988 pubblicò un album con un titolo molto simile. Qualche nome noto come i Brand New Heavies con un funk strumentale irresistibile, Chris Bangs o Matt Perry ma anche tanti nuovi, in particolare quello del fantomatico one man band Earth-o-Naut, con Steve White alla batteria e con una voce così simile a quella di Paul Weller (...) in un soul funk travolgente con una sezione fiati. Poi la BDQ band con "Beggin'", una serie di brani latin e gran finale con i Quiet Fire in chiave slow funk. Pregevole tutto.
RODINA - Good Company
La vocalist Aoife Hearty e il tastierista Joe Tatton dei New Mastersounds insieme per un ottimo album di funk, jazz, fusion, soul e puro groove Acid Jazz. Suonato bene, molto divertente e solare.
SIMONA NORATO - Enigmistica
Personalmente apprezzo molto quando (evento sempre più raro) l'ascolto di un nuovo disco mi spiazza, non mi lascia trovare riferimenti solidi, perché si sposta velocemente, ti abbaglia, per poi scomparire nel buio. Simona Norato ci ha abituati a questo modus operandi ma in Enigmistica giunge al suo apice creativo. Ora ci senti stralci di Billie Eilish, subito dopo di Little Simz, prima che appaia un voluto e chiaro debito con Bertold Brecht e Kurz Weill, per poi abbracciare la solennità di una Diamanda Galas. Il tutto giocato su severe note di pianoforte, un uso stridente dell'elettronica, per arrivare al capolavoro di From The air (nessun pilota), con un feroce, inquietante, ipnotico, teatrale, ironico e drammatico recitato mentre in sottofondo sembra ci siano i Morphine a suonare. Album eccellente, innovativo, avanguardistico nel suo provocatorio classicismo, tutto da scoprire e con cui costantemente stupirsi.
CALIBRO 35 - Discomania
Undici brani con tre originali e una serie di cover che spaziano da Lucio Dalla agli Azymuth a Herbie Hancock, registrati in presa diretta in studio con rare sovraincisioni. Raffinatezza jazz affiancata a un groove funk rock sempre potente e spontaneo. Il talento del quartetto milanese è da tempo noto e ammirato, il nuovo album ne è un'ennesima conferma.
BUDOS BAND - VII
Lasciano la Daptone per approdare alla loro etichetta appena costituita, portando avanti la loro collaudata formula strumentale che unisce funk, soul, jazz, ethio jazz, afrobeat. Non servono tante parole per ricordare la qualità del groove, del loro sound immediatamente distinguibile. Un marchio di fabbrica unico.
THE MIGHTY MOCAMBOS - A Higher Frequency
Registrato live in studio, il nuovo album dei nove soulmen di Amburgo è una conferma della loro classe, attraverso 10 brani funk soul, quasi tutti strumentali, arricchiti da pennellate psichedeliche o disco. I brani filano veloci, arrembanti, danzerecci, pieni di ritmo e buone vibrazioni.
GINA SADMAN - 1972
Gina Sadman compone, canta, arrangia, suona il basso e si fa aiutare da una band di primissima qualità. Si muove in un contesto abbastanza conosciuto e prevedibile, tra soul, funk e rhythm and blues, guardando spesso e volentier al passato degli anni Settanta. Album molto gradevole anche se un po' impersonale.
DURAND JONES and the INDICATIONS - Flower Moon
Raffinatezza, eleganza, Marvin Gaye, Isley Brothers e, non di rado, tanto gusto alla Style Council nel loro lato più sweet soul. L'album è molto leggero e mellifluo ma altrettanto godibile e di piacevole ascolto. Arrangiamenti perfetti, canzoni perfettamente costruite. Al quarto album, anche stavolta non hanno sbagliato il colpo.
WITCH - Sogolo
Vecchie glorie dello ZamRock, scena rock psichedelica nata tra i 60 e i 70 in Zambia, tornano con un album sorprendentemente attuale e fresco, in cui guardano ai suoni originari ma aggiungono una buona dose di afrobeat di primissima qualità. Produzione eccellente, groove e classe da vendere.
THEE WOPS - s/t
In una delle sue tante incarnazioni, Luca Re (Sick Rose, 99th Floor, Il Senato etc), approda ora al nuovo progetto con i Thee Wops, alla ricerca delle radici più pure del garage rock. Un pulsante ep con quattro brani è il primo atto di un'avventura che si preannuncia fin da subito travolgente e convincente (ma non avevamo dubbi). Due originali e due oscure cover (di Humans e It's All Meat) giocate tra garage beat di gusto Sixties, con un organo Farfisa a donare una peculiarità sonora ancora più distintiva. In 200 copie su vinile per Onde Italiane (info@ondeitaliane.it).
BACKDOOR SOCIETY - Backdoor City Blues b/w I Won't Love You
Non perde un colpo la band piacentina, costantemente alle prese con un feroce rhythm and blues, tinto di garage punk, veloce, torrido, potentissimo. Il nuovo singolo è un perfetto esempio di come approcciare un certo tipo di musica, buttandosi a capofitto nelle note selvagge, in ritmi forsennati, chitarre lancinanti, un'armonica penetrante, una voce perfetta per l'ambito. Per chi ama questi suoni e contesti, la perfezione.
BLOCK 33 - Promised land
La band inglese, dichiaratamente mod, spazia nell'ambito del "sound of 79", con chitarre distorte, energia a profusione, grande impatto ritmico, con numerosi riferimenti anche al Britpop e qualche aggancio al pub rock. Le dodici canzoni filano via veloci, la qualità compositiva è di alto livello, un buon lavoro.
VAN MORRISON - Remembering now
Van Morrison non ha bisogno di conferme né altro che già non sia stato detto.
Alle soglie degli 80 anni con "Remembering Now" ci regala un album di intenso soul blues, gradevolissimo all'ascolto, intenso, puro, diretto e sincero.
Come già sottolineato, poco altro da dire...(se non un cenno alla copertina. Non c'era proprio un altro grafico?).
ROSALBA GUASTELLA - Dharma
Prosegue il magico e lisergico cammino artistico della cantautrice torinese che, al terzo album, ci regala un nuovo esempio di maestria compositiva ed espressiva. Le atmosfere acustiche e psichedeliche di questo nuovo lavoro ci portano sui sentieri di Grace Slick, Sandy Denny, del folk ammantato di colori e umori cerebrali a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Ancora una volta un disco di pregio, personalità, a livelli di assoluta eccellenza.
‘O ROM – Radio Rom
Il terzo album del trio partenopeo prosegue il cammino nella sapiente fusione di ritmi e sapori balcanici, tzigani, mediterranei, napoletani, tempi in levare. Un’ alchimia più volte sperimentata (dai Negresses Vertes a Goran Bregovic o Gogol Bordello, tra i tanti) ma che in questa veste ha una marcia in più e non c’è nulla di scontato o prevedibile. Le canzoni viaggiano spedite (inclusa la riuscita versione in 9/8 di “Azzurro”), splendidamente arrangiate e prodotte, ricche di spunti, energia , soprattutto anima (una componente che se manca non si acquista da nessuna parte) e sincerità. L’irresistibile “Rumelaj” e “Zingari” (con l’elenco di personalità “zingare”), con la partecipazione di Daniele Sepe, sono la vetta di un album di altissimo livello.
TONY BORLOTTI E I SUOI FLAUERS – Killing Shake!
Festeggia il trentesimo compleanno la storica beat band di Salerno e ci/si regala un album nuovo di zecca che viaggia spedito nei meandri sonori da sempre amati. C’è il classico beat italiano (“Nel tuo giardino”), il rhythm and blues di “Amalia”, lo psychogarage in “Dove vai”, le atmosfere da colonna sonora di divertenti commedie all’italiana targate anni Sessanta (lo strumentale “Piccolo ma beat”), la riuscita versione in italiano (“Pazzo”) di “Psycho” dei Sonics, l’introduzione con la title track tra garage, beat e freakbeat. Come sempre una conferma di qualità, divertimento, freschezza, energia.
DEAD JACK AND HIS DRY BONES - Dead jack In The Box
Torna la demoniaca e temibile one-man-band di Jack Cortese, alle prese con il consueto calderone fumigante di primitivo rock 'n' roll, garage punk alla Sonics, abbondanti dosi di Cramps, Link Wray, blues malatissimo, country sgangherato, frat rock, swing traballante. Poco da dire, sono rari i dischi che suonano così genuini e urgenti. Gli amanti di questi anfratti sonori, pericolosi e sconsigliabili ci si tufferanno con grande soddisfazione.
THE DIRTIEST – Sooka
Dischi come questi non andrebbero nemmeno recensiti ma solo ascoltati, facendosi poi spalmare da un loro live sul pavimento di un sordido locale in un posto dimenticato da tutti. La band fiorentina suona velocissima, talvolta ai confini con l’hardcore (in questo senso ricordano certe band americane come i Dils, che precorsero il genere). E’ puro e semplice punk rock, con le chitarre mai distorte ma suonate con un impeto tale che le rende lame taglienti negli apparati uditivi di chi ascolta. Siamo in pieno 1977 ma con più rabbia, energia e voglia di travolgere. Super!
SINGOLI
SHARP CLASS - Ballad of nobody real
Nuovo singolo per il trio inglese, nuova stella del mod rock (in concerto il 5 luglio al Festival Beat). Un brano nel loro classico Jam style/mod rock '79. Sempre convincenti, freschi e potenti.
https://www.youtube.com/watch?v=Zwey0_TRyjE
THE MOLOTOVS - Today's Gonna Be Our Day B/W No Time To Talk
In attesa del primo album, previsto per gennaio 2026, il duo inglese torna con un arrembante singolo che guarda alla lezione dei primissimi Jam, con un tiro punk. Ottimo.
https://www.youtube.com/watch?v=rvAvoNYh34M
THE LEN PRICE 3 - Emily's Shop / I'm a Fake
Sanno incrociare alla perfezione Who, Kinks, freakbeat, fuzz e melodie 60's che riportano agli Action. Un singolo strepitoso!
CHESTERFIELD KINGS - Your Strange Love / It's only love
I C.K. di Andy Babiuk tornano con un singolo con una versione rimixata (ma sempre efficace e convincente) di un brano dal recente album e una calligrafica ripresa di "It's Only Love" dei Beatles.
SINOUJ - Hak Dellali
Da Madrid il colletivo afrospagnolo ci porta tra le montagne del Maghreb, in chiave modernissima e travolgente mentre nella versione remixata della Bside si va in un mondo incantato tra trance e psichedelia. Interessantissimo.
AFRODREAM - Afrotrip
Colletivo multiculturale italiano con un brano che prelude a un album in uscita a settembre. Afrofunk puro, dalle contaminazioni desert rock e psichedeliche, ritmi infuocati, melodie avvolgenti. Promettono benissimo.
SOUL SUGAR meets DUB SHEPERDS - Give Me Your Love (Love Song)
Il brano di Curtis Mayfield sottoposto a un trattamento reggae e dub che ne esalta la grazia e il groove. Versione riuscitissima.
RETI - Party People (Going Home) / My Home
In Estonia ci sanno fare con la black music, sono numerosi gli artistyi che si cimentano con l'ambito, sempre in maniera inattaccabile. Reti si divide tra un ballabilissimo soul disco e una struggente ballata soul.
JEB LOY NICHOLS - Step In
BRENDA - Take a Hint
Due brani avvolgenti e suadenti di vintage soul, gustosamente estivi.
ASCOLTATO ANCHE:
TURNSTILE (pop (pseudo) punk di bassa lega), ALDORANDE (grazioso album di soul funk fusion da sottofondo, suonato benissimo),
LETTO
Francesca Buscaglia - Etnografie Trap
Un illuminante saggio sul "fenomeno" TRAP, la marginalità dei suoi protagonisti, il costantemente voluto e cercato "folk devil" da demonizzare per la sua alterità rispetto alla normalità.
L'analisi prescinde dai contenuti musicali/artistici ma si concentra sulle "periferie urbane, spazi pieni di sconosciuti, spazi multiculturali dove l'appartenenza rappresenta una risorsa fondamentale."
"La musica trap oltre a prodotto musicale è la voce di una comunità immaginata, che offre alle comunità diasporiche dei giovani subalterni la possibilità di rispecchiarsi in un "noi" più moderno".
Interessante e perfettamente azzeccata la visione di come prima rap e poi trap siano diventati fenomeni globali e opportunità espressiva soprattutto di gruppi socialmente marginalizzati (per i quali il benessere esiste solo nelle pubblicità) che cercano (e talvolta trovano) nella musica un modo per uscire dall'anonimato e trovare fama, soldi e una modalità di scalata sociale. O imitandone movenze ed estetiche per sentirsi in qualche modo parte di "qualcosa".
In un mondo in cui "la geniale idea della governance neoliberale è stata riuscire a trasformare i diritti in qualcosa che si deve meritare" i giovani immigrati o di origine straniera si dibattono alla ricerca di un ruolo e di un'identità, sempre più pervicacemente negata e respinta.
La conclusione è propositiva, per quanto appaia utopica, alla luce del reale: "In questo momento è più che mai necessario...smettere i panni di meri osservatori e narratori di processi che riguardano "altri". Riprendere la voce: parlando, cantando, urlando se necessario. Proprio come stanno facendo, in modi e forme differenti, i giovani cosiddetti di prima e seconda generazione".
Il libro ha il profilo autorevole dell'autrice, educatrice di professione e antropologa, che lavora da anni nel sistema di accoglienza.
Ha intervistato i ragazzi, approfondendone con loro le problematiche quotidiane.
Ne esce una fotografia molto fedele, quanto drammatica dell'epoca attuale, convulsa, talvolta "illeggibile" e incomprensibile.
Un lavoro più che pregevole.
Giangiacomo Schiavi - Il Piccolo Maracanà
Dal 1962 ai primi anni 70 a Gragnano Trebbiense, provincia di Piacenza, si svolse un appassionante, mitico, pionieristico (peraltro uno dei primi in assoluto) torneo notturno di calcio.
Nell'afoso luglio padano si giocavano due partite a sera (che spesso finivano con risultati "rotondi"), sei contro sei, senza il fuorigioco, 16 squadre divise in quattro gironi, quarti, semifinali e finale.
Il tutto davanti a 2/3.000 persone a sera, fino a 5.000 (calcolate 200.000 in sei anni), assiepate in un campo dietro al Comune del paese, ribattezzato “Il Piccolo Maracanà”.
Si affrontavano abitualmente squadre di Gragnano, i “Ramarri” (il simbolo era una versione gragnanese del coccodrillo della Lacoste...), squadra per cui tenevo e che non vinse mai (come al solito!), il “Bar Veneroni”, il “Gatto Nero”, il “Baby Brazil” di Gragnanino, l’”Olubra” di Castelsangiovanni”, i “Papaveri” di Piacenza (con i giocatori del Piacenza allora in serie C) e varie altre dalla provincia e dintorni.
In particolare è da ricordare la "Rassa Grama" (La cattiva razza), nucleo anarchico che si affiliava di volta in volta a un nuovo sponsor, ricco di talento, genio e sregolatezza. Non vinsero mai m entrarono nel mito e nella leggenda.
Abitavo a 2 km di distanza a Casaliggio (dove sono tornato a vivere 20 anni dopo) e ne vidi a decine.
Ancora senza troppi vincoli contrattuali, giocarono Pierino Prati, Pietro Anastasi, Osvaldo Bagnoli, Marchioro, Magistrelli, Ferrario, Poletti (nazionale nel 1970 nella semifinale con la Germania 4 a 3) e nomi ormai dimenticati come Bicicli dell’Inter, Ambrogio Pelagalli (campione d’Italia con il Milan), Da Pozzo (portiere di Inter e Genoa), Magistrelli.
Dopo qualche anno le società proibirono ai giocatori di fare partite al di fuori dai doveri contrattuali e allora, in cambio di soldi sottobanco sempre più consistenti (e in nero), giocavano in molti sotto falso nome.
Il calcio divenne sempre più affare professionale, i vincoli della federazione sempre più stretti e il torneo finì.
"Il piccolo Maracanà. Un campo, un paese, una leggenda", di Giangiacomo Schiavi, documenta al meglio il tutto ed è la ristampa di una precedente edizione introvabile, ora edita da La Valle Dei Libri (https://www.facebook.com/profile.php?id=61572005579050).
Leggere la sua stupenda prosa mi ha riportato incredibilmente a quei tempi, quei colori, quegli odori, quella "magia irripetibile", in un tuffo nostalgico, immensamente nostalgico, per tempi che, alla fine, rimpiango tanto, soprattutto leggendo una serie di nomi che facevano parte della mia quotidianità.
Le foto, stupende (e numerose), sono di Prospero Cravedi, l'introduzione di Simone Inzaghi (che con Pippo viveva e giocava a una manciata di kilomentri di distanza a San Nicolò).
Vincenzo Greco - Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters
Un lavoro molto affine a un saggio, in cui l'autore ci conduce, attraverso una serie di profonde riflessioni personalei, condotte come un dialogo immaginario con quattro artisti, tanto diversi, quanto legati da un filo conduttore comune le cui canzoni aprono a uno sguardo alle storture del tempo moderno.
Ne risulta un libro ai limiti del "filosofico", ricco di spunti molto interessanti e stimolanti.
Non occorre essere fan o seguaci di Ferretti, De André, Battiato, Waters.
Il testo, interessante e scritto molto bene, offre tanto altro, partendo dalle loro liriche, per spaziare in una visione universale dello stato attuale delle cose.
Gli strumenti informatici si sono fatti carico del compito di ricordare per noi e con capacità infinitamente superiori a quelle umane.
Il fatto di avere affidato la memoria a uno strumento e agli algoritmi che lo gestiscono, ci ha privati del governo della memoria stessa, e soprattutto della selezione gerarchica delle cose da ricordare.
Lo fa l'algoritmo per noi.
Ma con il rischio che vengano eliminati, per mano di chi gestisce tali programmi di selezione, eventi e moniti importanti per l'uomo. Abbiamo in definitiva rinunciato al dovere della memoria.
Crash Box - Storie e ricordi sul muro
Marco Maniglia è stato tra le principali anime (e cuore) della scena punk hardcore italiana degli anni Ottanta.
Sia a livello personale/partecipativo/organizzativo (che era la caratteristica di quasi ognuno del giro: esserci, sentire l'attitudine, organizzare (il più delle volte con modalità avventurose/disastrose).
E' stato anche il motore propulsivo dei CRASH BOX, tra i principali esponenti dell'epoca.
Ora raccoglie una serie di volantini di concerti dell'epoca con commenti e ricordi di quegli eventi.
Un libro/rivista (con bella intervista finale) che ci restituisce alla perfezione il "sentire" di quei momenti tanto caotici, quanto rivoltosi e gioiosi.
Tutto questo per del rock 'n' roll del cazzo che non fa forse crescere ma mi/ci ha fatto sopravvivere. (Marco Maniglia)
Per contatti e riceverlo: emmemarco63@gmail.com (niente social, raga...)
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
NOT MOVING, unica data estiva. FESTIVAL BEAT a Salsomaggiore Terme (Parma)
https://www.facebook.com/events/996698245971556
Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella.
LITTLE SIMZ - Lotus
Il valore della rapper inglese è fin dagli esordi indiscutibile.
"Lotus" è il sesto album e ne conferma la costante evoluzione/contaminazione, tra funk, elettronica, hip hop, la stupenda, epica, drum and bass funk orchestrale della title track , jazz, spoken word.
Ogni brano è una scoperta, pieno di sorprese, suggestioni, riferimenti ma soprattutto denota una personalità unica e difficilmente eguagliabile.
Grande album.
TY SEGALL - Possession
Non mi aveva mai appassionato più di tanto. Il nuovo album è invece sorprendente con tutte quelle volute psichedeliche, proto prog, garage, Beatles, freakbeat, Marc Bolan, blues, senza mai risultare accademicamente revivalista. Una sorta di Beck più immerso in quelle radici, meno propenso (solo apparentemente) all'innovazione. Il risultato è eccellente, il disco passa tranquillamente in decine di riascolto senza mai stancare, anzi, dando ogni volta il senso di scoperta di cose nuove.
KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD - Phantom Island
Questo è il 27° album in 15 anni (è sempre la prima cosa che si scrive della band australiana). Hanno esplorato un po' tutto lo scibile sonoro e sempre in modo creativo, stimolante, divertente, innovativo. Talvolta hanno fallito l'intento, altre volte (la maggior parte) hanno colpito nel segno. Anche in questo lavoro in cui si cimentano con un rock psichedelico dalle tinte country tra 60's e 70's, con tanto di fiati e orchestra. Come sempre molto bello da ascoltare e ben fatto.
OMAR - Brighter The Days
Un ottimo lavoro per il vocalist inglese, in costante crescita e maturazione. Il nuovo album si avvale di numerosi ospiti (tra cui Paul Weller nel brano più old soul del lotto). Un'ora e dieci di musica è forse eccessiva ma il contenuto è a base del migliore nu soul in circolazione con sguardi alla old school dei Sessanta/Settanta. Il tutto a base di ottime songs mid tempo, curatissime, eleganti, raffinate.
AA.VV. - Totally Wired – A New Collection From Acid Jazz
Torna la fortunata serie di compilation della Acid Jazz Records che nel 1988 pubblicò un album con un titolo molto simile. Qualche nome noto come i Brand New Heavies con un funk strumentale irresistibile, Chris Bangs o Matt Perry ma anche tanti nuovi, in particolare quello del fantomatico one man band Earth-o-Naut, con Steve White alla batteria e con una voce così simile a quella di Paul Weller (...) in un soul funk travolgente con una sezione fiati. Poi la BDQ band con "Beggin'", una serie di brani latin e gran finale con i Quiet Fire in chiave slow funk. Pregevole tutto.
RODINA - Good Company
La vocalist Aoife Hearty e il tastierista Joe Tatton dei New Mastersounds insieme per un ottimo album di funk, jazz, fusion, soul e puro groove Acid Jazz. Suonato bene, molto divertente e solare.
SIMONA NORATO - Enigmistica
Personalmente apprezzo molto quando (evento sempre più raro) l'ascolto di un nuovo disco mi spiazza, non mi lascia trovare riferimenti solidi, perché si sposta velocemente, ti abbaglia, per poi scomparire nel buio. Simona Norato ci ha abituati a questo modus operandi ma in Enigmistica giunge al suo apice creativo. Ora ci senti stralci di Billie Eilish, subito dopo di Little Simz, prima che appaia un voluto e chiaro debito con Bertold Brecht e Kurz Weill, per poi abbracciare la solennità di una Diamanda Galas. Il tutto giocato su severe note di pianoforte, un uso stridente dell'elettronica, per arrivare al capolavoro di From The air (nessun pilota), con un feroce, inquietante, ipnotico, teatrale, ironico e drammatico recitato mentre in sottofondo sembra ci siano i Morphine a suonare. Album eccellente, innovativo, avanguardistico nel suo provocatorio classicismo, tutto da scoprire e con cui costantemente stupirsi.
CALIBRO 35 - Discomania
Undici brani con tre originali e una serie di cover che spaziano da Lucio Dalla agli Azymuth a Herbie Hancock, registrati in presa diretta in studio con rare sovraincisioni. Raffinatezza jazz affiancata a un groove funk rock sempre potente e spontaneo. Il talento del quartetto milanese è da tempo noto e ammirato, il nuovo album ne è un'ennesima conferma.
BUDOS BAND - VII
Lasciano la Daptone per approdare alla loro etichetta appena costituita, portando avanti la loro collaudata formula strumentale che unisce funk, soul, jazz, ethio jazz, afrobeat. Non servono tante parole per ricordare la qualità del groove, del loro sound immediatamente distinguibile. Un marchio di fabbrica unico.
THE MIGHTY MOCAMBOS - A Higher Frequency
Registrato live in studio, il nuovo album dei nove soulmen di Amburgo è una conferma della loro classe, attraverso 10 brani funk soul, quasi tutti strumentali, arricchiti da pennellate psichedeliche o disco. I brani filano veloci, arrembanti, danzerecci, pieni di ritmo e buone vibrazioni.
GINA SADMAN - 1972
Gina Sadman compone, canta, arrangia, suona il basso e si fa aiutare da una band di primissima qualità. Si muove in un contesto abbastanza conosciuto e prevedibile, tra soul, funk e rhythm and blues, guardando spesso e volentier al passato degli anni Settanta. Album molto gradevole anche se un po' impersonale.
DURAND JONES and the INDICATIONS - Flower Moon
Raffinatezza, eleganza, Marvin Gaye, Isley Brothers e, non di rado, tanto gusto alla Style Council nel loro lato più sweet soul. L'album è molto leggero e mellifluo ma altrettanto godibile e di piacevole ascolto. Arrangiamenti perfetti, canzoni perfettamente costruite. Al quarto album, anche stavolta non hanno sbagliato il colpo.
WITCH - Sogolo
Vecchie glorie dello ZamRock, scena rock psichedelica nata tra i 60 e i 70 in Zambia, tornano con un album sorprendentemente attuale e fresco, in cui guardano ai suoni originari ma aggiungono una buona dose di afrobeat di primissima qualità. Produzione eccellente, groove e classe da vendere.
THEE WOPS - s/t
In una delle sue tante incarnazioni, Luca Re (Sick Rose, 99th Floor, Il Senato etc), approda ora al nuovo progetto con i Thee Wops, alla ricerca delle radici più pure del garage rock. Un pulsante ep con quattro brani è il primo atto di un'avventura che si preannuncia fin da subito travolgente e convincente (ma non avevamo dubbi). Due originali e due oscure cover (di Humans e It's All Meat) giocate tra garage beat di gusto Sixties, con un organo Farfisa a donare una peculiarità sonora ancora più distintiva. In 200 copie su vinile per Onde Italiane (info@ondeitaliane.it).
BACKDOOR SOCIETY - Backdoor City Blues b/w I Won't Love You
Non perde un colpo la band piacentina, costantemente alle prese con un feroce rhythm and blues, tinto di garage punk, veloce, torrido, potentissimo. Il nuovo singolo è un perfetto esempio di come approcciare un certo tipo di musica, buttandosi a capofitto nelle note selvagge, in ritmi forsennati, chitarre lancinanti, un'armonica penetrante, una voce perfetta per l'ambito. Per chi ama questi suoni e contesti, la perfezione.
BLOCK 33 - Promised land
La band inglese, dichiaratamente mod, spazia nell'ambito del "sound of 79", con chitarre distorte, energia a profusione, grande impatto ritmico, con numerosi riferimenti anche al Britpop e qualche aggancio al pub rock. Le dodici canzoni filano via veloci, la qualità compositiva è di alto livello, un buon lavoro.
VAN MORRISON - Remembering now
Van Morrison non ha bisogno di conferme né altro che già non sia stato detto.
Alle soglie degli 80 anni con "Remembering Now" ci regala un album di intenso soul blues, gradevolissimo all'ascolto, intenso, puro, diretto e sincero.
Come già sottolineato, poco altro da dire...(se non un cenno alla copertina. Non c'era proprio un altro grafico?).
ROSALBA GUASTELLA - Dharma
Prosegue il magico e lisergico cammino artistico della cantautrice torinese che, al terzo album, ci regala un nuovo esempio di maestria compositiva ed espressiva. Le atmosfere acustiche e psichedeliche di questo nuovo lavoro ci portano sui sentieri di Grace Slick, Sandy Denny, del folk ammantato di colori e umori cerebrali a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Ancora una volta un disco di pregio, personalità, a livelli di assoluta eccellenza.
‘O ROM – Radio Rom
Il terzo album del trio partenopeo prosegue il cammino nella sapiente fusione di ritmi e sapori balcanici, tzigani, mediterranei, napoletani, tempi in levare. Un’ alchimia più volte sperimentata (dai Negresses Vertes a Goran Bregovic o Gogol Bordello, tra i tanti) ma che in questa veste ha una marcia in più e non c’è nulla di scontato o prevedibile. Le canzoni viaggiano spedite (inclusa la riuscita versione in 9/8 di “Azzurro”), splendidamente arrangiate e prodotte, ricche di spunti, energia , soprattutto anima (una componente che se manca non si acquista da nessuna parte) e sincerità. L’irresistibile “Rumelaj” e “Zingari” (con l’elenco di personalità “zingare”), con la partecipazione di Daniele Sepe, sono la vetta di un album di altissimo livello.
TONY BORLOTTI E I SUOI FLAUERS – Killing Shake!
Festeggia il trentesimo compleanno la storica beat band di Salerno e ci/si regala un album nuovo di zecca che viaggia spedito nei meandri sonori da sempre amati. C’è il classico beat italiano (“Nel tuo giardino”), il rhythm and blues di “Amalia”, lo psychogarage in “Dove vai”, le atmosfere da colonna sonora di divertenti commedie all’italiana targate anni Sessanta (lo strumentale “Piccolo ma beat”), la riuscita versione in italiano (“Pazzo”) di “Psycho” dei Sonics, l’introduzione con la title track tra garage, beat e freakbeat. Come sempre una conferma di qualità, divertimento, freschezza, energia.
DEAD JACK AND HIS DRY BONES - Dead jack In The Box
Torna la demoniaca e temibile one-man-band di Jack Cortese, alle prese con il consueto calderone fumigante di primitivo rock 'n' roll, garage punk alla Sonics, abbondanti dosi di Cramps, Link Wray, blues malatissimo, country sgangherato, frat rock, swing traballante. Poco da dire, sono rari i dischi che suonano così genuini e urgenti. Gli amanti di questi anfratti sonori, pericolosi e sconsigliabili ci si tufferanno con grande soddisfazione.
THE DIRTIEST – Sooka
Dischi come questi non andrebbero nemmeno recensiti ma solo ascoltati, facendosi poi spalmare da un loro live sul pavimento di un sordido locale in un posto dimenticato da tutti. La band fiorentina suona velocissima, talvolta ai confini con l’hardcore (in questo senso ricordano certe band americane come i Dils, che precorsero il genere). E’ puro e semplice punk rock, con le chitarre mai distorte ma suonate con un impeto tale che le rende lame taglienti negli apparati uditivi di chi ascolta. Siamo in pieno 1977 ma con più rabbia, energia e voglia di travolgere. Super!
SINGOLI
SHARP CLASS - Ballad of nobody real
Nuovo singolo per il trio inglese, nuova stella del mod rock (in concerto il 5 luglio al Festival Beat). Un brano nel loro classico Jam style/mod rock '79. Sempre convincenti, freschi e potenti.
https://www.youtube.com/watch?v=Zwey0_TRyjE
THE MOLOTOVS - Today's Gonna Be Our Day B/W No Time To Talk
In attesa del primo album, previsto per gennaio 2026, il duo inglese torna con un arrembante singolo che guarda alla lezione dei primissimi Jam, con un tiro punk. Ottimo.
https://www.youtube.com/watch?v=rvAvoNYh34M
THE LEN PRICE 3 - Emily's Shop / I'm a Fake
Sanno incrociare alla perfezione Who, Kinks, freakbeat, fuzz e melodie 60's che riportano agli Action. Un singolo strepitoso!
CHESTERFIELD KINGS - Your Strange Love / It's only love
I C.K. di Andy Babiuk tornano con un singolo con una versione rimixata (ma sempre efficace e convincente) di un brano dal recente album e una calligrafica ripresa di "It's Only Love" dei Beatles.
SINOUJ - Hak Dellali
Da Madrid il colletivo afrospagnolo ci porta tra le montagne del Maghreb, in chiave modernissima e travolgente mentre nella versione remixata della Bside si va in un mondo incantato tra trance e psichedelia. Interessantissimo.
AFRODREAM - Afrotrip
Colletivo multiculturale italiano con un brano che prelude a un album in uscita a settembre. Afrofunk puro, dalle contaminazioni desert rock e psichedeliche, ritmi infuocati, melodie avvolgenti. Promettono benissimo.
SOUL SUGAR meets DUB SHEPERDS - Give Me Your Love (Love Song)
Il brano di Curtis Mayfield sottoposto a un trattamento reggae e dub che ne esalta la grazia e il groove. Versione riuscitissima.
RETI - Party People (Going Home) / My Home
In Estonia ci sanno fare con la black music, sono numerosi gli artistyi che si cimentano con l'ambito, sempre in maniera inattaccabile. Reti si divide tra un ballabilissimo soul disco e una struggente ballata soul.
JEB LOY NICHOLS - Step In
BRENDA - Take a Hint
Due brani avvolgenti e suadenti di vintage soul, gustosamente estivi.
ASCOLTATO ANCHE:
TURNSTILE (pop (pseudo) punk di bassa lega), ALDORANDE (grazioso album di soul funk fusion da sottofondo, suonato benissimo),
LETTO
Francesca Buscaglia - Etnografie Trap
Un illuminante saggio sul "fenomeno" TRAP, la marginalità dei suoi protagonisti, il costantemente voluto e cercato "folk devil" da demonizzare per la sua alterità rispetto alla normalità.
L'analisi prescinde dai contenuti musicali/artistici ma si concentra sulle "periferie urbane, spazi pieni di sconosciuti, spazi multiculturali dove l'appartenenza rappresenta una risorsa fondamentale."
"La musica trap oltre a prodotto musicale è la voce di una comunità immaginata, che offre alle comunità diasporiche dei giovani subalterni la possibilità di rispecchiarsi in un "noi" più moderno".
Interessante e perfettamente azzeccata la visione di come prima rap e poi trap siano diventati fenomeni globali e opportunità espressiva soprattutto di gruppi socialmente marginalizzati (per i quali il benessere esiste solo nelle pubblicità) che cercano (e talvolta trovano) nella musica un modo per uscire dall'anonimato e trovare fama, soldi e una modalità di scalata sociale. O imitandone movenze ed estetiche per sentirsi in qualche modo parte di "qualcosa".
In un mondo in cui "la geniale idea della governance neoliberale è stata riuscire a trasformare i diritti in qualcosa che si deve meritare" i giovani immigrati o di origine straniera si dibattono alla ricerca di un ruolo e di un'identità, sempre più pervicacemente negata e respinta.
La conclusione è propositiva, per quanto appaia utopica, alla luce del reale: "In questo momento è più che mai necessario...smettere i panni di meri osservatori e narratori di processi che riguardano "altri". Riprendere la voce: parlando, cantando, urlando se necessario. Proprio come stanno facendo, in modi e forme differenti, i giovani cosiddetti di prima e seconda generazione".
Il libro ha il profilo autorevole dell'autrice, educatrice di professione e antropologa, che lavora da anni nel sistema di accoglienza.
Ha intervistato i ragazzi, approfondendone con loro le problematiche quotidiane.
Ne esce una fotografia molto fedele, quanto drammatica dell'epoca attuale, convulsa, talvolta "illeggibile" e incomprensibile.
Un lavoro più che pregevole.
Giangiacomo Schiavi - Il Piccolo Maracanà
Dal 1962 ai primi anni 70 a Gragnano Trebbiense, provincia di Piacenza, si svolse un appassionante, mitico, pionieristico (peraltro uno dei primi in assoluto) torneo notturno di calcio.
Nell'afoso luglio padano si giocavano due partite a sera (che spesso finivano con risultati "rotondi"), sei contro sei, senza il fuorigioco, 16 squadre divise in quattro gironi, quarti, semifinali e finale.
Il tutto davanti a 2/3.000 persone a sera, fino a 5.000 (calcolate 200.000 in sei anni), assiepate in un campo dietro al Comune del paese, ribattezzato “Il Piccolo Maracanà”.
Si affrontavano abitualmente squadre di Gragnano, i “Ramarri” (il simbolo era una versione gragnanese del coccodrillo della Lacoste...), squadra per cui tenevo e che non vinse mai (come al solito!), il “Bar Veneroni”, il “Gatto Nero”, il “Baby Brazil” di Gragnanino, l’”Olubra” di Castelsangiovanni”, i “Papaveri” di Piacenza (con i giocatori del Piacenza allora in serie C) e varie altre dalla provincia e dintorni.
In particolare è da ricordare la "Rassa Grama" (La cattiva razza), nucleo anarchico che si affiliava di volta in volta a un nuovo sponsor, ricco di talento, genio e sregolatezza. Non vinsero mai m entrarono nel mito e nella leggenda.
Abitavo a 2 km di distanza a Casaliggio (dove sono tornato a vivere 20 anni dopo) e ne vidi a decine.
Ancora senza troppi vincoli contrattuali, giocarono Pierino Prati, Pietro Anastasi, Osvaldo Bagnoli, Marchioro, Magistrelli, Ferrario, Poletti (nazionale nel 1970 nella semifinale con la Germania 4 a 3) e nomi ormai dimenticati come Bicicli dell’Inter, Ambrogio Pelagalli (campione d’Italia con il Milan), Da Pozzo (portiere di Inter e Genoa), Magistrelli.
Dopo qualche anno le società proibirono ai giocatori di fare partite al di fuori dai doveri contrattuali e allora, in cambio di soldi sottobanco sempre più consistenti (e in nero), giocavano in molti sotto falso nome.
Il calcio divenne sempre più affare professionale, i vincoli della federazione sempre più stretti e il torneo finì.
"Il piccolo Maracanà. Un campo, un paese, una leggenda", di Giangiacomo Schiavi, documenta al meglio il tutto ed è la ristampa di una precedente edizione introvabile, ora edita da La Valle Dei Libri (https://www.facebook.com/profile.php?id=61572005579050).
Leggere la sua stupenda prosa mi ha riportato incredibilmente a quei tempi, quei colori, quegli odori, quella "magia irripetibile", in un tuffo nostalgico, immensamente nostalgico, per tempi che, alla fine, rimpiango tanto, soprattutto leggendo una serie di nomi che facevano parte della mia quotidianità.
Le foto, stupende (e numerose), sono di Prospero Cravedi, l'introduzione di Simone Inzaghi (che con Pippo viveva e giocava a una manciata di kilomentri di distanza a San Nicolò).
Vincenzo Greco - Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters
Un lavoro molto affine a un saggio, in cui l'autore ci conduce, attraverso una serie di profonde riflessioni personalei, condotte come un dialogo immaginario con quattro artisti, tanto diversi, quanto legati da un filo conduttore comune le cui canzoni aprono a uno sguardo alle storture del tempo moderno.
Ne risulta un libro ai limiti del "filosofico", ricco di spunti molto interessanti e stimolanti.
Non occorre essere fan o seguaci di Ferretti, De André, Battiato, Waters.
Il testo, interessante e scritto molto bene, offre tanto altro, partendo dalle loro liriche, per spaziare in una visione universale dello stato attuale delle cose.
Gli strumenti informatici si sono fatti carico del compito di ricordare per noi e con capacità infinitamente superiori a quelle umane.
Il fatto di avere affidato la memoria a uno strumento e agli algoritmi che lo gestiscono, ci ha privati del governo della memoria stessa, e soprattutto della selezione gerarchica delle cose da ricordare.
Lo fa l'algoritmo per noi.
Ma con il rischio che vengano eliminati, per mano di chi gestisce tali programmi di selezione, eventi e moniti importanti per l'uomo. Abbiamo in definitiva rinunciato al dovere della memoria.
Crash Box - Storie e ricordi sul muro
Marco Maniglia è stato tra le principali anime (e cuore) della scena punk hardcore italiana degli anni Ottanta.
Sia a livello personale/partecipativo/organizzativo (che era la caratteristica di quasi ognuno del giro: esserci, sentire l'attitudine, organizzare (il più delle volte con modalità avventurose/disastrose).
E' stato anche il motore propulsivo dei CRASH BOX, tra i principali esponenti dell'epoca.
Ora raccoglie una serie di volantini di concerti dell'epoca con commenti e ricordi di quegli eventi.
Un libro/rivista (con bella intervista finale) che ci restituisce alla perfezione il "sentire" di quei momenti tanto caotici, quanto rivoltosi e gioiosi.
Tutto questo per del rock 'n' roll del cazzo che non fa forse crescere ma mi/ci ha fatto sopravvivere. (Marco Maniglia)
Per contatti e riceverlo: emmemarco63@gmail.com (niente social, raga...)
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
NOT MOVING, unica data estiva. FESTIVAL BEAT a Salsomaggiore Terme (Parma)
https://www.facebook.com/events/996698245971556
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