giovedì, marzo 06, 2025

Belfast Celtic

L'amico MICHELE SAVINI prosegue la ricerca di elementi interessanti e particolari dell'Irlanda meno conosciuta. Gli altri racconti sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

Irlanda del Nord.
Una terra che porta ancora con sé le cicatrici di un conflitto etnico-religioso mai risolto, che ha segnato in maniera indelebile la sua storia e che, talvolta, si intreccia perfino con il calcio.
Qui, nel cuore pulsante di Belfast, dove le strade raccontano storie di lotta e speranza, si erge la memoria di una squadra che ha lasciato un segno indelebile non solo nello sport, ma anche nell'anima di un'intera comunità.
All'incrocio tra la Falls Road, un'area residenziale prevalentemente cattolica e di ispirazione repubblicana, e la Donegal Road, sorgeva lo storico Celtic Park, sede del leggendario Belfast Celtic Football Club.
Fondato nel 1891, il club ha vissuto una storia ricca di successi, ma anche di sfide e controversie, riflettendo le tensioni politiche e sociali dell'Irlanda del Nord, caratterizzate nel corso dei decenni da crescenti divisioni dovute all’occupazione britannica.
Belfast si presentava come un microcosmo di conflitti etnici e religiosi, con una popolazione divisa tra unionisti, principalmente protestanti, che desideravano rimanere parte del Regno Unito, e nazionalisti, per lo più cattolici, che aspiravano a un'Irlanda unita e indipendente.

In questo contesto complesso, il Belfast Celtic si è affermato come un emblema di orgoglio per la comunità cattolica e nazionalista, diventando un punto di riferimento per gli immigrati e le famiglie della classe operaia, che cercavano un senso di appartenenza.
Le partite del club trascendevano il semplice ambito sportivo, trasformandosi in autentici eventi politici e culturali.
I tifosi si univano non solo per sostenere la squadra, ma anche per riaffermare la loro identità in una società che spesso li emarginava.
Emersa in un periodo in cui il calcio era un modo per le comunità di esprimere la propria identità ha vissuto nel corso della sua storia un cammino non privo di ostacoli, fino al suo scioglimento finale nel 1949.
I fondatori si erano ispirati al più noto Celtic Glasgow F.C., il club degli emigrati irlandesi in Scozia, adottandone gli stessi colori, le strisce orizzontali verdi e bianche e appunto ribattezzando il loro stadio nella Fall Road con lo stesso nome del più noto Celtic Park di Glasgow, dandogli addirittura lo stesso nomignolo, “The Paradise”.

Già negli anni '20 e '30, il club si trovò a dover affrontare non solo avversari sul campo, ma anche le crescenti tensioni politiche che avvolgevano l'Irlanda del Nord visto che la violenza settaria e le divisioni sociali che caratterizzavano il paese durante questo periodo e che influenzarono anche il mondo del calcio.
Dopo secoli di ostracismo nei confronti della cultura locale, gaelica e cattolica, nel 1921 il trattato anglo-irlandese divise l’Ulster: tre contee entrarono a far parte della Repubblica d’Irlanda, mentre le altre sei rimasero legate al Regno Unito formando l’Irlanda del Nord con capitale Belfast.

Con la proclamazione dello Stato Libero d’Irlanda anche il campionato venne diviso in due: “The Irish Football Association” al nord e la “Football Association of the Irish Free State” (oggi “Football Association of Ireland”) nel resto del paese.

Le frizioni tra la due fazioni aumentarono in maniera esponenziale e con essa gli episodi di violenza alle partite di calcio tra Club di diversa “ideologia”, spesso caratterizzati dall'uso di armi da fuoco, il che portò il Belfast Celtic nel 1921 ad abbandonare il campionato per diversi anni, a causa delle crescenti preoccupazioni riguardo la sicurezza dei propri giocatori e tifosi.
Questo non impedì al club di sopravvivere e di ritornare a competere nel campionato nord-irlandese nel 1924, quando la situazione sembrava essersi apparentemente calmata, riprendendo la striscia di vittorie interrotta qualche anno prima. Tra il 1925 e il 1948 i celtici di Belfast alzarono il titolo nazionale al cielo ben 11 volte e la coppa in 7 occasioni.
Tuttavia, un nuovo e definitivo capitolo della sua storia era ormai imminente.
Uno dei Murales che ricordano il Belfast Celtic

Le tensioni all’interno del paese erano tutt’altro che sopite, come dimostreranno i Troubles qualche anno dopo, e gli episodi di violenza continuarono all’interno del calcio nordirlandese, raggiungendo il culmine in occasione del Boxing Day del 1948, durante il derby tra i “Big Two”, i due club più importanti del paese. Da un lato appunto il Belfast Celtic, dall’altro la sua diretta antitesi, il Linfield FC.
Fondato nel 1886 da operai protestanti nella Sandy Row, un'area di Belfast notoriamente ostile ai cattolici, rappresenta la massima espressione della comunità anglicana e lealista.
All'interno del club esiste una sorta di regola non scritta che impedisce l'ingaggio di giocatori cattolici o comunque non protestanti e i suoi colori sociali, quel Blu che richiama ai Rangers di Glasgow, sembrano voler accentuare ancora di più la netta separazione dai cugini biancoverdi del Belfast Celtic.

La partita tra Belfast Celtic e Linfield F.C. del campionato 1948/1949 è ricordata come uno degli eventi più drammatici e controversi nella storia del calcio nordirlandese.
Quel pomeriggio del 27 dicembre 1948 il freddo e la pioggia avvolgono Windsor Par, stadio del Linfield FC.
Il cielo è plumbeo e gli ignari 30.000 spettatori seduti sulle tribune non hanno idea che, di lì a poco, saranno testimoni di un dramma che cambierà per sempre il corso della storia del calcio nordirlandese con ripercussioni che si sarebbero fatte sentire per decenni.
Il Linfield era in testa alla classifica, con 3 punti in più dei rivali cittadini e una vittoria del campionato mancava da troppo tempo a Windsor Park, in quella Belfast protestante e lealista, che negli ultimi anni aveva dovuto assistere in maniera impotente al dominio dei cugini cattolici dei Celtic.
L’attaccante del Belfast Celtic Jimmy Jones Tra le file dei Belfast Celtic, ovvero l’altro lato della “barricata” tutte le speranza erano riposte nel bomber Jimmy Jones.
La formidabile macchina da gol, alla sua seconda stagione con i bianco-verdi, aveva già annotato ben 27 centri in 19 partite, condite da 6 triplette.
Tanto che il club aveva anche respinto un’offerta di trasferimento di 16.000 sterline dal Newcastle United per trattenere il giocatore a Belfast.
Inoltre, Jones adorava giocare al Windsor Park contro i Blues e i suoi 6 gol nei precedenti tre incontri ne erano la prova.
A questo va aggiunto che Jimmy proveniva da una famiglia protestante della contea di Armagh e che da giovane era stato scartato proprio dal Linfield, particolare abbastanza rilevante per la logica lealista, che vede il suo indossare la maglia degli storici rivali come un vero a proprio tradimento.

La partita è ovviamente tutt’altro che tranquilla, con entrate al limite della correttezza e un'atmosfera così carica che si poteva tagliare con il coltello.
Alla fine del primo tempo il Linfield rimane in nove uomini a causa degli infortuni di Russell e Bryson in un periodo in cui le sostituzioni nel calcio non erano ancora ammesse. L’ultimo dei due fu causato da un’entrata troppo dura dell’idolo dei Belfast Celtic Jimmy Jones, causando a Bryson la frattura della gamba.
La notizia fu prontamente comunicata a tutti i 30.000 spettatori dello stadio dallo speaker, il che contribuì ad intensificare ulteriormente l’atmosfera ostile già fomentata dalle forze speciale britanniche nella "Spion Kop", la curva dei padroni di casa.
Un’espulsione per parte riduce ulteriormente il numero dei giocatori in campo e quando i Celtic passano in vantaggio a pochi minuti dalla fine, grazie ad un calcio di rigore di Harry Walker, il titolo sembra volare nelle mani dei seguaci di San Patrizio.
Perciò, quando all’ultimo minuto arriva il pareggio lealista per mano di Simpson, la pressione accumulata sugli spalti di Windsor Park esplode definitivamente, con relativa invasione di campo perpetrata dei sostenitori del Linfield e la susseguente caccia all’uomo.

George Hazlett, l'ala del Celtic racconta “Al momento dell’invasione, quando ho visto i poliziotti che avrebbero dovuto essere neutrali, lanciare i loro berretti in aria in segno di gioia, ho capito che non avremmo avuto nessuna protezione da parte loro … “.
Il bersaglio principale è ovviamente “il traditore” Jimmy Jones, che verrà assalito da una trentina di tifosi del Linfield inferociti che gli spezzeranno una gamba.
Il rapido trasporto in ospedale e le abili doti dello zelante chirurgo ortopedico di Belfast Jimmy Withers, non solo gli salvano la vita ma evitano anche l’amputazione dell’arto.
Questo permetterà miracolosamente a Jimmy di continuare la sua carriera da bomber nelle serie minori con altre 200 reti fino al giorno del suo ritiro, con la gamba destra leggermente più corta della sinistra …
Jimmy Jones posa davanti al murales a lui dedicato

All’indomani del disastro, Il consiglio di amministrazione del Belfast Celtic, ancora sconvolto dall’assenza di protezione da parte della polizia, accusò la stessa di essere rimasta passiva durante l'attacco e di non aver compiuto alcuna azione per prevenirlo.
Inoltre, i dirigenti del club ritenevano che la risposta della Irish Football Association fosse stata del tutto inadeguata, con la chiusura di Windsor park per i due susseguenti match casalinghi come unica sanzione.
Decisero perciò di prendere la situazione in mano e di ritirarsi dal campionato corrente, quello del 1948/1949, come segno di protesta (al suo posto viene preso dai Crusader FC, un club del nord di Belfast).

Era ormai palese a tutti, che non erano più considerati i benvenuti.
È la fine del Belfast Celtic, che dopo una breve tournée’ degli Stai Uniti ritornerà in patria e deciderà di non iscriversi al successivo campionato e scomparendo definitivamente. Da quel giorno il calcio nordirlandese non sarà più come prima.
Perderà la sua storica e più rappresentativa squadra, fino a quel momento detentrice di ben 19 titoli nazionali.
Gran parte del tifo dei gloriosi bianco-verdi nordirlandesi confluirà nel sostegno ai citati cugini scozzesi del Glasgow Celtic, prima squadra britannica, ricordiamolo, ad alzare al cielo una Coppa dei Campioni nel 1967.

"Quando non avevamo nulla, avevamo il Belfast Celtic."

Questa espressione, condivisa da molti sostenitori del club, cattura l'essenza di una squadra che ha significato molto di più di un semplice team calcistico diventando un simbolo di orgoglio, identità e resistenza per la comunità cattolica e nazionalista della citta di Belfast.

mercoledì, marzo 05, 2025

Alessandro Pagani, Massimiliano Zatini - I Punkinari

Molto divertente e gustosa la marmorea staticità di due calciatori perennemente in panchina a scambiarsi freddure, sempre di spalle, lo sguardo rivolto verso un immaginario campo di calcio, mentre trascorrono le stagioni.

"Hanno fatto l'autopsia su un cinese morto".
"E allora?".
"Si apre un giallo".

"Ieri ho seminato dei bei papaveri".
"Quando sbocceranno saranno stupefacenti"

etc. etc.

Decine di tavole, ben disegnate e sceneggiate, un inno alla (talvolta disperata) nullafacenza, al "do nothing", all'attesa consapevole che tanto non entrerai mai in campo.

Alessandro Pagani, Massimiliano Zatini
I Punkinari
Nepturanus
128 pagine
15 euro

martedì, marzo 04, 2025

Bristol Northern Soul Club International
Pordenone 22.02.2025

L'amico Soulful Jules ci rendiconta la splendida serata NORTHERN SOUL che si è tenuta a Pordenone il 22 febbraio 2025.

Foto di Emma Ryan.

https://www.instagram.com/emmaryanart/

Partiamo dalla fine.
Un centinaio di soulies, disposti su tre file, sopra e sotto il palco, volti raggianti e sudati; ghigni e sorrisi.
In alto, al centro, lo striscione BRISTOL NORTHERN SOUL CLUB retto da un gruppo di ventenni inglesi.
In basso, un po’ sfasato sulla destra, il banner Keep On Pordenon con dietro un pisano, un pordenonese e un inglese. Tutto attorno, gente da mezza Italia, dal Regno Unito, dall’Austria e dalla Spagna.

Click.
Questo è quanto rimane dei duecentocinquanta appassionati che hanno trascorso il sabato a Pordenone, a pensarci pare incredibile che il sogno un po’ offuscato e confuso di qualche mese fa si sia materializzato in modo così netto, che l’azzardo di usare una sala grande come quella del Capitol sia stato ripagato da una giornata indimenticabile.
Ma come ci siamo arrivati fino a qui?
Cosa c'entra Bristol con Pordenone?

Facciamo un passo indietro.
Era ottobre quando il Capitol mi ha chiesto di organizzare un evento da loro, ero a Venezia con una comitiva di inglesi, scozzesi e spagnoli che avevo accompagnato a farsi un giro in occasione del nostro Soul Weekender a Pordenone.
Il Capitol è un ex cinema degli anni ’70 che da un po’ di tempo è diventato una sala per concerti e stand-up comedy.
Il locale è atmosferico, ha un’acustica quasi perfetta ma serve un sacco di gente per creare un ambiente caldo e garantire un clima di festa, motivo per cui i nostri party vengono di solito organizzati all’Astro, un club più piccolo e più semplice da gestire.
Mi sa che ero nei pressi di Piazzale Roma quando è arrivato il messaggio di uno dei gestori con la proposta di alcune date.
Prima di rispondergli ho temporeggiato, perché stavo andando in aeroporto a Treviso, a recuperare il cuore, l’anima e le gambe del Bristol Northern Soul Club.

In via del tutto eccezionale, Levanna, Eve e Schaeffer avevano acconsentito a organizzare un workshop di ballo per noi a Pordenone.
A dire il vero, l’evento di ottobre era praticamente sold out, non serviva nemmeno l’input del corso di ballo, anzi, a molti puristi dà pure fastidio come concetto, e in parte è una cosa che condivido.
Perché se già non è facile definire che cos’è il Northern Soul, ancora più complesso è provare a descrivere l’atmosfera di un Northern Soul Allnighter a chi non c’è mai stato o non ne ha idea.
E per quella legge non scritta delle sottoculture e delle scene musicali, certe cose non andrebbero nemmeno spiegate, o ne fai parte o stai fuori.
Vai al bar, in discoteca, in parrocchia, fai altro che io ho il mio giro e non ho bisogno di te.
Se vuoi imparare a ballare occorre varcare la soglia, addentrarsi in locali bui e maleodoranti, tirare fino all’alba in mezzo a gente losca, senza per questo aspettarti che qualcuno ti saluti o sia gentile con te, no, te lo devi guadagnare in pista il rispetto, possono volerci anche dei mesi, se non di più.

Questa è stata la norma fino a una decina di anni fa, forse ancora lo è in certi ambienti ma è abbastanza evidente che la crisi economica, culturale e sociale che sta avviluppando il nostro paese ha decimato scene, eventi e raduni che una volta potevano contare su svariate centinaia di persone e che oggi si reggono in piedi grazie agli sforzi e all’entusiasmo di pochi veterani, generalmente sopra la cinquantina.
Ricambio generazionale non se ne vede e le prospettive sono abbastanza deprimenti, motivo per cui abbiamo pensato che un workshop potesse fungere da stimolo a chi apprezza la musica ma non ha mai avuto la possibilità o il desiderio di lasciarsi andare in un club, con le luci soffuse e i bassi che ti prendono lo stomaco e ti portano in giro per la pista da ballo.

Il corso di ottobre è andato molto bene, ci ha permesso di avvicinare diverse persone della nostra zona che non avevamo mai visto e prima che i ragazzi di Bristol ripartissero, li ho portati a dare un’occhiata al Capitol, perché si rendessero conto delle potenzialità della sala.
Da lì è nata l’idea di organizzare una serata Bristol Northern Soul Club International a Pordenone, è stato definito un budget, piuttosto importante, che ci permettesse di portare in Italia una quindicina di ballerini e la macchina si è messa in moto.

Perché proprio con quelli di Bristol?
Perché sono amici e ci si capisce senza tante parole, sin dall’inizio avevamo concordato che questa cosa non la facevamo per guadagnare, nel loro gruppo ci sono alcuni tra i migliori ballerini di sempre, a livello di pubblicità la cosa avrebbe aiutato non poco.
Cinque mesi passano veloci e sabato 22 febbraio ci troviamo alle 3 del pomeriggio per il primo workshop.
L’impostazione è abbastanza naturale e organica.
Una breve introduzione sull’evoluzione degli stili di ballo dai sixties ai giorni nostri e i partecipanti iniziano a zompettare sul dancefloor, in maniera spontanea, istintiva; Levanna si sposta tra i partecipanti per mostrare alcuni step ed è tutto un fiorire di sorrisi, visi lucidi; i passi si allargano su brani come Don’t Pity Me di Joanie Sommers, Catch That Teardrop dei 5 Royales, Betty O’Brien e il rhythm & blues patinato di She’ll Be Gone, la produzione elegante di You’ve Been Cheating degli Impressions e il classico modern She’s Gone degli Hamilton Movement.
Breve pausa e stessa formula per il gruppo delle 5, che al posto del tè ha scelto il talco e il soul uptempo, oltre a qualche Campari soda.

Col fatto che il locale è in centro, l’orario di chiusura è previsto all’una per cui alle 8 precise parte il primo disco; in consolle Schaeffer, un ragazzo di ventidue anni che ha già macinato centinaia di chilometri sui dancefloor di Bristol e di mezza Europa.
Parte con dei classici sixties che scaldano la pista, il gioco di luci all’interno della sala è davvero spettacolare, il sound perfetto, manca solo la gente.
Per quanto le prevendite siano andate abbastanza bene, abbiamo bisogno di un tot di biglietti alla porta per non rimetterci, o per non rimetterci troppo.
Questa è di solito la mezz’ora più difficile per un organizzatore, un occhio rivolto al party e l’altro all’ingresso, ogni minuto interminabile, la gente arriva, va al bar a prendersi un drink e per te il mondo si muove al rallentatore, o troppo in fretta, dipende.
In questi casi sono io che mi sposto, provo a muovere un po’ le cose, un salto in consolle per un gesto di incoraggiamento al dj, un giro alla porta a controllare l’affluenza, un balletto senza tanta convinzione e così via.
Tanto non cambia nulla.

Per fortuna il pubblico inizia ad affluire, l’ambiente si scalda e la pista si riempie.
È il turno di Eve, la madre di Schaeffer e Levanna, per molti aspetti il nucleo energetico del club inglese che ogni settimana registra regolarmente il sold out alle serate di Bristol.
Eve continua con dei classici di sixties e club soul come I Can’t Change di Lorraine Chandler, New York In The Dark degli Ad Libs.
Sulle note dello strumentale Breakaway i dancer di Bristol salgono sul palco per una breve esibizione di spaccate e piroette in stile Wigan, erano anni che in Italia non si trovava una tale concentrazione di ballerini così bravi in un club.
La serata è davvero partita, adesso posso godermela e seguire il flusso.
v Jorg Record Shack è un amico che gestisce un negozio di dischi a Vienna, ha una collezione incredibile e come dj non sbaglia mai un colpo, quando è il suo momento manda la pista in subbuglio con Sam Dees – Lonely For You Baby e ipnotizza tutti con Have Some Everybody dei Flaming Emeralds, un brano uptempo caratterizzato da un ritmo percussivo, uno di quegli scherzi dell’industria discografica, sembra un disco registrato a metà anni sessanta e invece è uscito nel 1977, in piena era Disco.

A seguire Levanna, una ragazza di ventisette anni che è diventata improvvisamente famosa una decina di anni fa, quando ha pubblicato un video su youtube in cui ballava sulle note di Happy di Pharrell Williams.
La clip è diventata virale al punto che lo stesso Williams ha invitato la ragazza sul palco per la premiazione dei Brit Awards del 2014.
Ho incontrato Levanna in giro per i soul weekender europei, poi, un paio di anni fa, mi ha invitato a mettere i dischi a Bristol alle loro serate e da lì ho imparato a conoscere la persona che va oltre l’immagine della pretty ballerina, ho avuto modo di apprezzare l’appassionata di musica e la promoter che solleva decine di chili di attrezzatura, che si sbatte per il soundcheck e perché ogni dettaglio sia a posto prima dell’inizio della serata, la giovane donna che si prende cura di tutti gli ospiti durante il party, in particolare di quelli che il giorno dopo non finiscono nelle foto o nei reels dei social.

Il suo è un set collaudato che coinvolge il pubblico, anche per l’uso del microfono, con cui introduce Move On Up di Curtis Mayfield, Happy dei Velvet Hammer, il brano che seguiva la canzone di Pharrell Williams nel video che l’ha lanciata.
E non ha tutti i torti quando dice che se siamo qui stasera è grazie a questa canzone, a quel clip uscito oltre un decennio fa e che ora sembra archeologia.

Probabilmente sono uno dei pochi a cogliere il significato delle sue parole ma non importa, la gente alza le mani, la segue durante Pow Wow di Manny Corchado e The Night di Frankie Valli.

È una serata speciale, non solo per noi italiani, anche gli inglesi se la stanno godendo, così come gli spagnoli e gli austriaci, la vista di centinaia di corpi che si muovono all’unisono è uno spettacolo unico, emozione e sentimento, tanto cuore, muscoli e un pizzico di cervello, quella che gli inglesi chiamano togetherness e che da noi viene tradotta come unione, coesione, connessione, integrazione, armonia e altri termini che ancora non bastano a definire lo spirito, la gioia del momento.

L’unica nota in agrodolce è l’età media dei partecipanti, a parte i ragazzi di Bristol, nessuna new entry sotto i trent’anni, giusto le figlie teenager di un appassionato di musica.
Rimane comunque la soddisfazione di avere messo in piedi un evento che rimarrà nella memoria, essere riusciti a portare per una notte il Northern Soul in centro a Pordenone, in uno dei locali più belli del Nord Est.
Speriamo di replicare il prossimo anno, se non prima.
Keepin On Pordenon!

lunedì, marzo 03, 2025

Blind Alley - Live Tuxedo 1982

Nei primi anni Ottanta le uscite discografiche di band underground italiane erano centellinate, rare, difficili da trovare, soprattutto se relative all'ambito mod e affini.
Nel 1983 uscì il primo singolo dei Four By Art e l'anno successivo quello degli Underground Arrows.
Per il resto c'erano solo le cassette.

Quando il primo e unico 45 giri dei BLIND ALLEY, pubblicato dalla Shirak nel 1983, mi arrivò a casa fu motivo di grande giubilo, nonostante a quel punto la band fosse alla fine della breve carriera, iniziata nel 1980.

Non erano propriamente una mod band ma suonavano canzoni molto vicine allo spirito del 1979 e ai Jam, con l'aggiunta di punk, power pop, i primi Elvis Costello e Joe Jackson, il piglio dei Clash.

Gigi Restagno, prima della prematura scomparsa, proseguì con altre sonorità con Defear, Difference e Misfits (dove ritrovò il chitarrista Luca Bertoglio), Marco Ciari invece rimase fedele al gusto Sixties con i Party Kids, prima di approdare a Franti e Fratelli di Soledad.

Onde Italiane pubblica ora un ottimo live, registrato il 24 novembre 1982, con 13 brani che se fossero usciti all'epoca avrebbero costituito un album imperdibile.
Ora testimoniano la qualità e lo spessore compositivo di una band eccellente.
La registrazione è più che buona, l'eccellente cover di "Modern world" dei Jam testimonia quale fosse la principale matrice di riferimento.

https://www.facebook.com/onde.italiane

info@ondeitaliane.it

domenica, marzo 02, 2025

Ringo Starr, batterista a Correggio (Reggio Emilia) martedì 4 marzo

Martedì 4 marzo:
La Galera C.so Cavour 19/a, Correggio (Reggio Emilia)
Ore 21.30
Presentazione di "Ringo Starr. Batterista" con Fabrizio Tavernelli.

Prossimamente:
Martedì 15 aprile: Genova
Sabato 3 maggio: Modena "Buk Festival" ore 11.30
Sabato 3 maggio: Cremona "Arcipelago" - Il Cortile del Vinile ore 18
Venerdì 16 maggio: Torino "Salone del Libro"

Recensioni recenti:

Rumore
MowMag
https://mowmag.com/culture/e-se-il-beatle-brutto-fosse-anche-un-batterista-coi-controcaz-i-antonio-bacciocchi-e-il-libro-su-ringo-starr

venerdì, febbraio 28, 2025

Febbraio 2025. Il meglio

Parte bene il 2025 con gli album di Sunny War, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines.
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, Laura Agnusdei, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.


SUNNY WAR - Armageddon In A Summer Dress
L'artista del Tennessee arriva al quinto album, sfornando un gioiello di altissima qualità. Lei definisce la sua musica folk punk ma di punk si trova poco. In compenso c'è molto di più, dal soul al gospel al desert rock africano, a buona parte della tradizione sonora americana. Si circonda di alcuni ospiti come Valerie June, John Doe degli X, Tré Burt, Jack Lawrence dei Raconteurs e del suo eroe personale, Steve Ignorant dei Crass. Originale, tanta personalità, più che ottimo.

CYMANDE - Renascence
A dieci anni dal precedente album del 2015 "A Simple Act of Faith" tornano alla grande i Cymande, la funk soul band inglese che lasciò un profondo segno negli anni 70, per poi fermarsi per almeno 40 anni.
Il doc del 2021 "Getting It Back: The Story of Cymande", li ha riportati sulla scena.
Il nuovo lavoro è un brillante mix di mellow soul, funk, influenze jazz e un profondo marchio di Curtis Mayfield in molti brani ("Darkest night" e "Coltrane" in particolare).
Un disco pieno di groove, anima, blackness, moderno, attuale.

THE DELINES - Mr. Luck And Ms. Doom
Nel nuovo album la band dell'Oregon conferma la predilezione per struggenti ballate soul, brani più movimentati che guardano al folk soul dei 60's, atmosfere vellutate, avvolgenti, calde, sensuali.
Un album più che apprezzabile.

ALTONS - Heartache In Room 14
Il duo americano ci regala uno zuccherosissimo album di mellow soul, caldo, sauadente, sensuale, con brani di gusto 50/60's, gustoso sottofondo per una serata in relax. Canzoni belle, arrangiamenti in stile, voci perfette.
Produce la Daptone e la garanzia di qualità sale al 100%.

ZEMBLAS - Do the Mondo Jerk
E' il quarto album per il supergruppo francese con membri di Playboys, Bratchmen, Warmbabies, Dum Dum Boys, Tikis, Dino Farfisa & The Fuzz.
Puro rhythm and blues, intriso di garage, beat, soul, primitivo rock 'n' roll. Tanto semplice e immediatoi quanto irresistibile.
Super!

SHAW'S TRAILER PARK - I thought I saw you
La band di Brighton firma il secondo album, guardando al Paisley Underground con i Dream Syndicate in testa ma si lascia andare anche a momenti più garage 60's. I brani funzionano molto bene, la band è completamente padrona della materia che maneggia e l'album si ascolta con grande piacere.

HORSEGIRL - Phonetics On And On
Le tre giovani ragazze di Chicago esplorano un territorio abitualmente poco frequentato, mettendo insieme un approccio semiacustico aspro, minimale e un po' sghembo, tra Jonathan Richaman e la sua prima esperienza con i Modern Lovers, Yo La Tengo, Velvet Underground. Ipnotico, inquietante, narcolettico, piuttosto affascinante.

WAR - Live in Japan 1974
Una preziosa testimonianza del tour giapponese del 1974 dei favolosi WAR, band molto sottovalutata, "lanciata" da Eric Burdon con due eccellenti album in comune nel 1970. La dimensione live ci offre brani dilatati oltre i 10/15 minuti intrisi di funk, soul, sperimentazione, tribalismi, blues, tra cui piccoli classici come "The world is a ghetto" o "Cisco Kid".
Band in formissima, registrazione impeccabile, contenuto ancora fresco e originale, un nome da "recuperare".

LAGER - Outer than yesterday
Preziosa stampa su vinile (in sole 100 copie) di un demo della band calabrese, registrato nel 1986. I Lager sono stati tra i principali gruppi mod dell'epoca ma oltre a un sound debitore al mod rock di stampo 1979, hanno progressivamente assimilato influenze psichedeliche e garage beat come ben rappresentano questi 9 brani (di cui uno registrato invece nel 2012). Successivamente il leader Francesco Ficco ha formato i Kartoons, viaggiando sempre su coordinate simili più garage oriented con quattro album e diversi singoli all'attivo. Il sound è ruvido, urgente e spontaneo e la registrazione su 4 piste, seppur datata, non risente del tempo trascorso.

MITCH RYDER - The roof is on fire
E' stato un grandissimo cantante e brillante autore di un sound che mischiava l'irruenza della Detroit rock 'n' roll/garage dei mid 60's con l'eleganza degli echi della Motown che aveva sede poco distante da casa sua.
Ormai ha 80 anni ma continua a sfornare album dignitosi, veraci, sinceri.
E' rock blues, rhythm and blues, niente di più ma quanta anima in questo live registrato nel 2020!
E che voce.

ANDY FAIRWEATHER LOW - The invisible bluesman
Il chitarrista gallese, dopo l'esperienza con gli Amen Corner, è stato a fianco di enormi star, dagli Who a Roger Waters, Eric Clapton, George Harrison tra i tanti, dedicandosi però sempre a buoni album solisti. Il nuovo lavoro è un omaggio alle radici blues, rivisitando vari classici con classe e grande tecnica. Un ascolto molto gradevole.

CONNIE PRICE & The KEYSTONES - Uptown Rulers
Ottima raccolta di una serie di 45 giri di recente pubblicazione a base di un mix di funk, soul e hip hop. Sound molto ruvido e basico, ottime canzoni, tanto groove. Interessanti.

LAURA AGNUSDEI – Flowers Are Blooming In Antarctica
La compositrice e saxofonista torna con un album importante, profondo, intenso, che va oltre ogni limite stilistico preconcetto, esplorando spiritual jazz, guardando tanto a Kamasi Washington quanto al funk elettronico di Herbie Hancock, perfino al Miles Davis di On the corner. Il tutto in un contesto sonoro dal gusto ambient, spesso molto “liquido”, di altissima qualità compositiva e massima espressività.

SPY EYE - The Way That Things Are
Tornano a sorpresa gli Spy Eye, tra i pionieri della scena ska italiana negli anni Ottanta e che arrivarono a diverse incisioni tra cui l’album Hot Pursuits nel 1992 per l'inglese Unicorn Records. A distanza di tre decenni ecco quattro nuovi brani che riprendono lo stile primigenio ma con un piglio moderno e attuale tra velocissimi brani ska e più moderati episodi in chiave rocksteady (che riportano ai primi Specials). Il tutto con totale padronanza della materia, elegante irruenza e la giusta attitudine.

JOHN DE LEO JAZZABILLY LOVERS - Tomato Peloso
Un progetto bello, stimolante e frizzante, con la mitica voce di John De Leo (Quintorigo) protagonista, attorniata da musicisti di altissima caratura tecnica ed espressiva. Classici rock n roll (da "Blue suede shoes" o "Love me tender") ma non solo, vengono presi, fatti a pezzi, frullati e ricomposti in chiave jazz (e dintorni), sperimentando, reinterpretando, rinnovando. Un lavoro di grande personalità e stile, godibile pur se non mancano asperità sonore. Da ascoltare assolutamente!

SLOKS - Viper
Torna la super lo fi garage band con un nuovo album, come sempre, furioso, abrasivo, urticante. Due chitarre, voce, batteria a martellare su riff minimali e scarni, in piena osservanza del culto dei Cramps e Oblivians e uno sguardo ossessivo ai primi Stooges più deliranti. Il tutto registrato in modo rozzo e immediato, come è giusto che sia.

UGLY SOUNDS - Never say I'm doomed
La band sarda scava nel profondo del garage punk più ruvido, scarno, abrasivo, quello che prende spunto dai Sixties ribelli e controcorrente di Sonics, Music Machine, Seeds, Monks, poi reso ancora più selvaggio negli anni ottanta da Gravedigger V, Morlocks, Gruesomes. Undici brani brevi e deraglianti, chitarra, basso, batteria, tre accordi al massimo. Perfetti!

MOONBREW & PAOLO APOLLO NEGRI – Destination:Mars
Dalla Luna a Marte il passo è breve e così il duo lombardo ha deciso di intraprendere un nuovo viaggio spaziale, verso il pianeta rosso. I sei brani strumentali assemblano elettronica, funk, jazz, fusion, in una miscela pulsante, dalla forte impronta “cinematografica”. Registrato con estrema cura, eseguito con grande sapienza e tecnica, il nuovo ep brilla per eleganza e classe. Consigliato!

A BAD DAY – Flawed
I chitarristi Egle Sommacal e Sara Ardizzoni vantano una lunga storia artistica, ricca di prestigio e riconoscimenti. La recente unione nei Massimo Volume ha prodotto un side project insieme, rigorosamente e volutamente autoprodotto, in cui i due strumenti si intrecciano, interagiscono, creano, in chiave strumentale, atmosfere minimali, sospese, cerebrali, che uniscono un approccio sperimentale a un mood psichedelico. Il tutto senza supporti ritmici, loop, sovraincisioni in una potenziale colonna sonora di un film distopico. Ottimo.

KOKADAME – Bevisitter
La band piacentina prosegue il suo cammino con un bulldozer che rade al suolo tutto ciò che incontra. Come sempre puro e semplice punk rock, di derivazione Oi!, diretto, con testi provocatori, irritanti e semiseri, ai confini con il cosiddetto “demenziale”. Le sei canzoni funzionano perfettamente per chi ama il deragliamento sonoro e psichico. Raro esempio di vera e propria attitudine punk.

SINGOLI

GERARDO FRISINA - Mindoro
Un latin jazz soul super groooovy, dal ritmo irresistibile. Grande Frisina al piano, perfetti gli arrangiamenti di fiati con la tromba di Gendrickson "Pucci" Mena protagonista.

SHANE SATO - I feel alright / Gospel Type
Un singolo molto suadente, dalle note solari e melliflue, a base di soul, smooth jazz, funk.

MONA & HAMMERBROOK SOUND MACHINE - Vogon
Boogaloo funk super arrembante per la jazzista ucraina. Un gioiello da dancefloor.

https://mocamborecords.bandcamp.com/album/vogon-fire

DERYA YILDIRIM & GRUP ŞİMŞEK - Ceylan
La band berlinese propone una fascinosa miscela di folk anatolico con psichedelia, soul e funk in cinque brani sinuosi e ammalianti. Originalissimo.

LETTO

Hannah Rothschild - La baronessa
Fulminante e splendida biografia della prozia dell'autrice (scrittrice e redattrice per The Times, New York Times, Vogue, Bazaar e Vanity Fair), Pannonica Rothschild de Koenigswarter.
La formidabile vita di Nica, "la baronessa del jazz", rampolla della famiglia Rothschild, tra le più ricche e influenti della storia recente.
Ricchissima, madre di cinque figli, combatte durante la seconda guerra mondiale contro i nazisti a cui sfugge dal monumentale castello in cui vive in Francia, va al fronte in Nord Africa, guida aerei, ambulanze, decodifica codici, organizza rifornimenti alle truppe.
Nel 1948 abbandona tutto, famiglia inclusa e si trasferisce a New York dove scopre il mondo del jazz lasciando una vita agiata ma che l'avrebbe portata all'infelicità.
"Non si limitò ad ascoltare il jazz: lo visse. Si alzava nel cuore della notte, trascurando la luce del giorno e trattandola con assoluto disprezzo...vide nei musicisti l'incarnazione della vita e della libertà".
Ne diventa protagonista, aiutando alcuni esponenti di spicco della scena, da John Coltrane a Bud Powell, Art Blakey ma soprattutto Thelonious Monk di cui diventa sodale, amante, protettrice, a fianco del quale resterà fino alla fine, quando sarà distrutto da malattie e dai problemi di varie dipendenze.
Il suo nome, la sua disponibilità economica, il suo rango e prestigio saranno sempre a disposizione di chi aveva bisogno, in un'epoca in cui negli States una donna bianca che frequentava la comunità nera non era particolarmente gradita.
Archie Sheep:
"Era una donna in anticipo sui tempi. Prese posizione quando farlo non era affatto comodo. E' un modello, una delle prime femministe.
Non soltanto affermò il proprio diritto di essere sé stessa ma si considerò una persona che contribuiva al cambiamento sociale e quindi pensava che anche chi apparteneva alla sua classe poteva partecipare a questo cambiamento."

A lei sono dedicati più di venti brani, in particolare "Pannonica" di Thelonious Monk ma anche "Nica" di Sonny Clark, "Poor butterfly" di Sonny Rollinbs, "Theolonica" di Tony Flanagan.
Non ebbe vita facile, nonostante la fortuna economica su cui poetva sempre contare, osteggiata dalla società bianca, guardata con diffidenza dalla comunità nera.
Un libro consigliatissimo, stupendo e appassionante, che racconta anche con dovizia di dettagli la nascita della fortuna della famiglia Rothschild.
I jazz club della Cinquantaduesima Strada erano piccoli e avevano la medesima clientela notte dopo notte.
Nica si sedette ai tavolini con Kerouac, William Burroughs, Allen Ginsberg e i pittori espressionisti astratti Jackson Pollock, Willem de Kooning, Franz Kline e Frank Stella ad ascoltare Charlie Parker, Dizzy Gillespie, John Coltrane e Miles Davis.


Corrado Rizza - Il Piper Club
Il 17 febbraio 1965 apriva a Roma il Piper Club.
Fu l'epicentro della "dolce vita" beat degli anni Sessanta italiani.
A prevalente appannaggio di una alta società abbiente che amava assistere al nuovo fenomeno dei giovani con i capelli lunghi e le giovani con le gonne molto corte. Ma che fu il catalizzatore di una nuova cultura che attingeva a piene mani dalla Swinging London e dall'America "colorata" e psichedelica.
Passarono sul suo palco Who, i giovanissimi Pink Floyd con Syd Barrett, Family, Procol Harum, Duke Ellington, Joe Tex, Sly and the Family Stone, Genesis e il meglio del giro italiano: Rokes, Equipe 84, Corvi, la "ragazza del Piper, Patty Pravo, Renegades, Rita Pavone, tra i tanti.
Mario Schifano suona lì con la sua creatura "warholiana" Le Stelle di Mario Schifano e Tito Schipa Junior mette in scena la "prima opera rock di sempre" Then An Alley".
Il pregio del libro, oltre a interviste e testimonianze di protagonisti/e (da Mita Medici a Marina Marfoglia), sta nelle oltre 200 fotografie quasi tutte inedite, testimonianza spettacolare di un'epoca incredibile.
Gli amanti dei Sixties impazziranno per queste pagine.

Tano D'Amico - I nostri anni
Tano D'Amico è stato uno dei fotografi che hanno meglio rappresentato il Movimento del 1977, a fianco dei rivoltosi e rivoluzionari.
Ne ha pagato conseguenze molto care: emarginazione, ostracismo, denunce, processi, tradimenti.
In questo libro raccoglie (parlando in terza persona di un "ipotetico" fotografo) una serie di riflessioni personali su "quegli anni", per molti "i nostri anni".
Centrale nella repressione il ruolo di buona parte (la quasi totalità) della stampa:
"Aumentava nella stampa il desiderio, forse il bisogno di denigrare e distruggere donne e uomini che scendevano in strada.

Anche nel giornale in cui il fotografo lavorava...denigrare e criminalizzare il movimento era il compito della stampa".
E' rimasta la consapevolezza di un momento probabilmente irripetibile, pur con tutte le sue contraddizioni e devastazioni.
Un'altra epoca, un' altra idea di vita e società.
"Tutti noi, anche senza dircelo, sentiamo di aver vissuto qualcosa che non era mai stato vissuto.
Forse ne era stata percepita la mancanza. Qualcosa da cercare, che poteva nascere se la cercavamo tutti insieme.
Noi tutti eravamo quelli che ne sentivamo la mancanza.
Eravamo contagiosi.
Eravamo sempre di più, sempre di più.
E sempre di più ci riconoscevamo e ci legavamo."

Tribal Cabaret n°11
Esce il numero 11 della fanzine TRIBAL CABARET e della tape compilation "The Nuclear Dance Desire" con booklet informativo allegato.
Come sempre ricchissimo di contenuti originali e particolarissimi.
Intervista ai Nirvana all'epoca del tour italiano, Marco Giallini, Chris Bailey, Jesus and Mary Chain, Colin Newman dei Wire, un pezzo di Lilith su Patti Smith e un sacco di altre cose tra cui decine di recensioni.
Articoli di Giancarlo De Chirico , AldOne Santarelli , Roberto Calabrò, Lilith-rita Oberti, Giuseppe Colucci, Massimo Pirotta, Romano Pasquini , Francesco Donadio , Michele Pingitore , Ramblin Erikk , Ferruccio Quercetti .
I gruppi nella tape: the Scaners(FR), SNUB(AUS) , Weekend Martyr, Ghostwound , Couchgagzz, Travelin' Man (DE) The Brightest Room, Lorenzo Fragiacomo /Sanlorenzo, Distraction4Ever(CAN), The SONIC Preachers(FR) YEZZER (USA) , The Cosmic Gospel, UNDERDOGS , Plastic Palms e Date at Midnight.
Per informazioni scrivete a: tribalcabaretfanzine@gmail.com

Mojo Magazine 376 marzo 2025
Un numero di particolare interesse per chi naviga nel mare Weller/Beatles.
Un buon pezzo su Ringo Starr (nonostante pieno di notizie risapute) con un po' di fresche dichiarazioni del Nostro.
Ma soprattutto una stupenda intervista a PAUL WELLER con una(come sempre discutibile) classifica dei suoi 50 migliori brani.
Vince "That's entertainment" davanti a "My ever changing moods", "Going underground", "Town called malice" e "You do something to me".
NB: per trovare altri brani dalla carriera solista si va all'ottavo posto con "Into tomorrow" e al decimo con "Wild wood" (la top ten si divide tra Jam e Style Council).
Paul è sorpreso della mancanza di cover di suoi brani:
"Posso capire che "Eton Rifles" possa non essere la "cup of tea" di chiunque ma credo che ci siano un sacco di canzoni che qualcuno potrebbe cantare.
Ho sentito qualcuno rifare "You do something to me" ma sono sorpreso di non avere sentito altro...mi hanno detto che Ray Charles avrebbe voluto rifarla, prima di morire.
Sarebbe stato fantastico!"

Sulla scelta di non rifare molte vecchie canzoni risponde così:
"E' perché molte non sarei più in grado di cantarle.
Ad esempio "Going underground", difficile da cantare e da suonare. Canzoni come "Town called malice" e "That' entertainment sono di pubblico dominio come se non fossero più solo mie canzoni.
Non posso comunque fare tutto ciò che la gente vorrebbe sentire. Un po' perché non ci riuscirei ma anche perché non mi interessa."

Allegato un CD, molto bello, con 15 brani di Northern Soul, funk, soul, selezionati dal Deptford Northern Soul Club.

VISTO

Going Underground di Lisa Bosi
L'amico PIER TOSI ci parla del recente doc dedicato ai GAZNEVADA.
Più di tanti altri i bolognesi Gaznevada hanno incarnato lo spirito del post-punk e della new wave nel nostro paese tra gli anni settanta ed ottanta in modo peculiare e senza scimmiottare modelli stranieri, creando capolavori come il loro album del 1980 'Sick Soundtrack'.
A loro è dedicato 'Going Underground', documentario di Lisa Bosi prodotto da Sonne Film e Wanted Cinema che sta iniziando a circolare in questi giorni in proiezioni singole prima della sua distribuzione.
La loro storia rappresenta anche un passaggio fondamentale nella storia dei movimenti giovanili del nostro paese: legati dapprima alle energie del '77 si mettono in luce con il primo brano 'Mamma Dammi La Benza' per poi prendere le distanze dal rock demenziale ed ispirarsi al punk seguendo l'influenza dei Ramones ma anche lo spirito di avanguardia di bands americane come Talking Heads,Tuxedomoon, Devo o i gruppi della No Wave newyorkese.
'Going Underground' racconta come meglio non si potrebbe questa storia evidenziando lo spirito inquieto del gruppo, la sua estetica aggressiva e la tendenza a mescolare arte e vita al limite dell'autodistruzione attraverso l'uso dell'eroina che in quegli anni si diffonde drammaticamente.
Il loro quartier generale a Bologna fino al 1982 è la Traumfabrik, un appartamento occupato in pieno centro condiviso con, tra gli altri, il fumettista Filippo Scozzari e da cui transitano tutti i personaggi di quella stagione creativa bolognese in un grande vortice di energie.
Avanguardia grafica, fumettistica e letteraria sono propellenti della creatività dei Gaznevada ed influenzano necessariamente anche 'Going Underground' nella sua fotografia dalla luce innaturale e dai toni acidi che fa da contrappunto al loro straniante universo sonoro.
Operazioni come questa sono spesso a rischio di eccesso di retorica e celebrazione o di esagerare dell'uso di interviste convenzionali dove le 'teste parlanti' si susseguono uccidendo il ritmo narrativo: in 'Going Underground' tutto ciò è scongiurato dagli stessi Gaznevada odierni che dominano la scena sin dai primi minuti come 'personaggi' raccontando loro stessi la storia attraverso uno stralunato ma efficace narrato-recitato che è una vera e propria narrazione dentro la narrazione, con il contrasto tra i loro visi attuali segnati e il loro aspetto dell'epoca che costituisce una vera e propria cifra stilistica.
I loro volti i cui dettagli 'bucano' lo schermo e le loro gesta sono ovviamente alternati ad una grande ricchezza di materiali d'epoca, spesso inediti, che mostrano la band in azione costituendo un essenziale corpus documentario.
Non è importante in 'Going Underground' una narrazione precisa fatta titoli di singoli o albums quanto invece portare più fedelmente possibile gli spettatori nell'urgenza espressiva e nelle emozioni dell'arte dei Gaznevada.
I membri della band affermano nel film che la loro volontà era di diventare ricchi e famosi: l'ultima parte della loro carriera li vede infatti raggiungere il consistente successo con il singolo 'IC Love Affair' del 1983 in cui i suoni di batterie elettroniche e sequencers prendono il sopravvento sulle chitarre prefigurando l'avvento dell'Italo-Disco, la rivoluzione dell'house music e l'enorme successo mondiale dei Datura, entità creata proprio da Robert Squibb dei Gaznevada dopo lo scioglimento del gruppo.
Sono proprio i suoni elettronici tra cui spiccano tre brani inediti composti appositamente per il progetto, a portare gli spettatori al termine di un'opera riuscitissima anche nel collocare questa avventura all'interno di un quadro più ampio. Rome as you are di Daniela Giombini, Tino Franco, Marco Porsia
Il rischio di questo tipo di documentari è la caduta in una lunga serie di testimonianze della serie "io c'ero", che finiscono nell'"epico", "favoloso, "indimenticabile".
In realtà i due tour dei Nirvana in Italia nel 1989 e nel 1991, furono pieni di problemi, difficoltà, sia logistiche che, purtroppo personali, soprattutto per Kurt Cobain in preda a un esaurimento nervoso.
La storia viene rivissuta da una delle protagoniste principali della vicenda, Daniela Giombini, che con la sua Subway organizzò fior di concerti (dai Mudhoney ai Celibate Rifles, "solo gruppi che mi piacevano veramente, altrimenti non mi interessava"), in condizioni precarie e difficilissime, soprattutto in un'epoca ancora abbastanza pionieristica per la scena italiana.
Non ci sono celebrazione, nostalgia, esaltazione ma resoconti molto schietti e veraci, con il prezioso apporto di Bruce Pavitt, uno dei boss della Sub Pop, tornato in Italia per l'occasione.
Si aggiungono altre testimonianze di giornalisti e operatori del settore, immagini e filmati d'epoca, ricordi, fotografie, aspetti inediti.
Un documento prezioso di un'epoca ormai andata ma ancora molto significativa e presente (vedi la scena finale con una ragazza 14enne, commossa di fornte a Bruce, ringraziato in lacrime per avere prodotto il suo gruppo preferito di sempre).
Il docu/film è in tour in Italia, se capita in zona, non perdetelo.

A Complete Unknown di James Mangold
E' in sala il tanto discusso film sui primi anni di carriera di BOB DYLAN.
Ben fatto, molto bene interpretato da Timothée Chalamet, credibile e a suo agio nei panni del novello cantautore, circondato da recitazioni altrettanto riuscite degli attori comprimari, adattamento scenografico perfetto e particolarmente suggestivo nella ricercatezza dei dettagli.
Non si dannino i filologi: trattandosi di un film e non di un documentario, le licenze sono numerose ma non inficiano certo l'andamento della storia.
Non è certo un capolavoro imperdibile ma, abituati a biopic spesso inattendibili e grotteschi, in questo caso il risultato è più che gradevole.

Blur: To the end
L'amico GINO DELLEDONNE ci regala la recensione in anteprima di "BLUR: TO THE END" il doc che arriva nelle sale italiane in questi giorni.
Pochi giorni fa ho visto in anteprima Blur: To the end, il doc che sarà nelle sale italiane il 24, 25 e 26 febbraio.
Solo tre giorni a disposizione (salvo che sia successivamente accessibile su qualche piattaforma) per i fan della band per seguire Damon Albarn, Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree nelle settimane precedenti le due date di Wembley.
Dopo la precedente reunion, documentata nel 2010 dalle immagini di No distance left to run, i quattro tornano ancora insieme per quello che può tranquillamente essere considetato unanimemente il punto più alto nella storia dei live del gruppo.
Wembley, il luogo che Damon dice di aver mitizzato vedendo da ragazzino il Live-Aid in tv, ora i Blur, la sua band, sbancare con due sold out da 90.000 spettatori per evento.
Però non sono i biglietti venduti, il luogo e nemmeno il concerto a rendere interessante e spesso toccante il film.
A creare la magia e dare valore al lavoro è l’aspetto umano che emerge dal ritrovarsi di quattro ex adolescenti che per un decennio hanno rarefatto i rapporti reciproci “in dieci anni ci siamo scambiati tre mail, forse”, dice Damon parlando di Alex.
In realtà gli anni trascorsi dal 2010 erano 13, all’epoca del film e 8 anni erano trascorsi dall’uscita di Coxon dal gruppo prima della reunion testimoniata da No distance left to run.
Anche nel 2009 la reunion era motivata dalla voglia di tornare a fare qualcosa insieme.
E’ una sorta di bisogno ciclico di allontanarsi per lunghi periodi, fare ognuno le proprie cose, condurre in un modo o nell’altro le proprie vite, per poi sentire il bisogno di ritrovare gli amici dell’adolescenza coi quali si era formata una band che nessuno di loro immaginava che avrebbe avuto un simile successo.
Come spesso accade però lo stress da successo a cui è sottoposta una band di giovinazzi parecchio cazzoni accentua e spesso infiamma gli aspetti caratteriali dei singoli componenti.
Per oltre 10 anni i Blur sono stati i Blur, con tutto quanto ne consegue in fatto di esposizione e iperlavoro, alcol e fattanze varie comprese (quale e se sia un rapporto causa/effetto poco conta).
Conta che a Damon, sentiti gli altri, rimontata la voglia di fare un disco insieme, The ballad of Darren (2023), come otto anni prima c’era stato The magic whip e, ancora più indietro nel tempo Think Tank, nel 2003.
Nelle lunghe pause chi prosegue con una frenetica attività, praticamente drogato di creatività, da solista o con i Gorillaz o con The Good, the Bad & the Queen e via così con tutto quello che gli salta in testa come fa Damon, chi si ritira in campagna con moglie e figliolanza producendo i suoi formaggi come Alex (nota: lo avreste mai immaginato il bassista dei Blur che fa il casaro? Io no), come Graham che fa le sue robe da solista e collabora persino al disco dei Duran Duran o come Dave che, oltre ad avere un suo progetto musicale con gli Ailerons, ad essere una schiappa nel tennis (vedete il film e capirete perché) e pilotare aerei, è stato candidato laburista nella circoscrizione del Mid Sussex al Parlamento britannico nel 2010 e nel 2024, senza successo in entrambe le tornate elettorali.
Penso seriamente che la bellezza del film stia nella naturalezza di quanto scorre sullo schermo, sembra quasi di vedere un filmino di famiglia, senza i limiti dell’arcaico formato e girato da qualcuno che sa impugnare la macchina da presa, dove lo spettatore è lì, in mezzo a loro mentre fanno le loro cose, mentre parlano, cazzeggiano, provano. Insomma, esattamente come se la macchina da presa non ci fosse.
Per questo, all’inizio, il film sembra arrancare scorrendo un po’impacciato ma poi ti accorgi che sono loro, dopo anni di distanza, che arrancano per ritrovare i propri codici comunicativi e sciogliere gli imbarazzi di vecchi scazzi.
Una volta rotto il ghiaccio fila tutto liscio, come se i ragazzi non fossero lì perché incombe un evento da far tremare i polsi come due date a Wembley o per un album chiamato The ballad of Darren ma per dare vita a Parklife, stessa impostazione cazzona da studenti che mettono insieme una band per dare una scossa lalle proprie vite di provincia.
Di sicuro aveva ragione Mick Jagger quando diceva, di sé e dei suoi compagni di band, che “una volta eravamo giovani, belli e stupidi. Ora non siamo più né belli né giovani”.
Credo che questo valga anche per il Blur ed è quello che ci piace da sempre di loro: la capacità di parlare anche di cose serie, serissime, senza mai prendersi sul serio… da cazzoni, insomma.
In sintesi, se si dovesse trovare un aggettivo per descrivere questo film io sceglierei: autentico.
E non è un complimento da poco.

Secret Affair + Purple Hearts 22 Febbraio @Crossing, Birmingham
L'amico RAMBLIN ERIKK vive a Birmingham e ci concede questa appassionata recensione di una serata magica con SECRET AFFAIR e PURPLE HEARTS.
Ricordo che i Secret Affair saranno il concerto con i nostri The Mads a Torino il 1° giugno al Teatro Q77 in Corso Brescia 77 in occasione del 45° anniversario di Piazza Statuto Mod.
La mia passione per i Secret Affair é relativamente recente e scaturisce proprio dalla lettura di questo Blog : mi preme, dunque, ringraziare Tony, innanzitutto per il suo encomiabile (e instancabile) lavoro di divulgatore culturale ma per avermi dato, in un surreale momento di giustizia poetica, l' opportunitá di offrire il mio resoconto del concerto tenuto dai Secret Affair nella sera di un ventoso 22 Febbraio al Crossing di Birmingham.
Cade, proprio quest' anno, il 45esimo anniversario della pubblicazione di "Glory Boys", iconico long-playing di debutto dei nostri che, immediatamente, li ha cementati come band di punta del cosiddetto "Mod Revival" Inglese di fine anni '70 (assieme ai Jam) una breve, quanto fulgida fiammata di interesse verso le sonoritá e l' estetica di certi anni '60 Britannici iniziata proprio dal gesto dei sopracitati Jam di Paul Weller ma, se é possibile, incarnata in maniera ancor piú decisa e militante dal gruppo di Ian Page, Dave Cairns e soci.
Il famoso concerto "Mods Mayday" del 1979 e relativo album live promossi da Terry Murphy alla sua Bridge House Tavern di Canning Town, Londra, immortalato nell' album live omonimo (con gli stessi Secret Affair a fare da headliners e "signature band") fece da stura a un movimento di cui ancor oggi si avverte la forte risonanza musicale, sociopolitica e culturale, in Inghilterra come altrove.
Ma di questo, indubbiamente, avete giá letto sul presente Blog, narrato in maniera ben piú autorevole.
Questa é piuttosto la storia di un lungocrinito Punk/Sleaze Rocker in maglietta di David Johansen che, un pó timidamente, vista la folla interamente composta da Mods e Skinheads, si avvicina alla sua prima esperienza dei Secret Affair dal vivo.
E, tocca dirlo, fossero ancora stati gli anni 70/80, qualcuno sarebbe tornato a casa con qualche livido e dente rotto, come minimo!
Per fortuna, i tempi sono cambiati e, oggigiorno, chiunque puó assistere a qualunque concerto, dagli Sham 69 ai Cock Sparrer, passando per i Secret Affair, senza dover temere per la propria incolumitá.
Aprono attorno alle 19:30, puntuali come un orologio svizzero (qui in UK si usa cosí) gli ottimi Purple Hearts di Romford, Essex, giá ai tempi d'oro compagni di palco (con buona probabilitá, anche di sbronze) degli Affair e ci regalano tre quarti d' ora di compattissimo e infettivo Power-Pop con tutte le hits che uno si aspetterebbe, "Frustration", "Jimmy", la conclusiva "Millions Of Us" e molto altro in un esaustivo "Greates Hits Live" che li trova tonici e in ottima forma!
Un gruppo da vedere, se vi capita, piú che adeguato a scaldare una platea giá adorante e pronta per il "Main Event".
E, fratelli e sorelle, si capisce dal momento in cui i Secret Affair calcano il palco del Crossing che qui stiamo su un livello giusto un attimino superiore.
Il "Mod Revival" ha visto molti interpreti con risultati variabili ma, é innegabile che, del lotto, i nostri fossero indubbiente i piú talentuosi, capaci e preparati.
Anche se Ian Page appare immediatamente invecchiato rispetto al derviscio filiforme di un tempo (ormai non suona nemmeno piú la tromba sul palco e siede su uno sgabello tra un pezzo e l' altro) e la sua voce é scesa di qualche tonalitá, "Shake And Shout", da "Glory Boys", manda immediatamente il sangue in faccia agli astanti e scatena una danza collettiva degna del Wigan Casino (ma senza borotalco).
Continua "Don't Look Down" sempre dal primo LP ed offre un ulteriore, eclatante esempio della superioritá compositiva e strumentale dei Secret Affair: una band che, se agli occhi piú cinici incarnava un "cliché", di certo é sempre stata piú che in grado di esprimerlo nella maniera piú autorevole e competente, persino andando oltre (penso al secondo "difficile" album "Behind Close Doors" che esprimeva disillusione per un'era ormai agli sgoccioli in una chiave mutuata da tentazioni maliconiche e quasi psichedeliche).
La line-up che abbiamo davanti, sia chiaro, non é l' originale e, attorno al nucleo storico di Ian Page e quel mattatore di Dave Cairns (davvero funambolico alla chitarra solista) troviamo Russ Baxter (batteria) Ed Pearson (basso) Stevie Watts (organo Hammond) e John O'Neill (sassofono) per una formazione ormai giá rodatissima, ben oliata e piú che in grado di rendere giustizia a un set-list storico: l' assolo di Sax di O'Neill su "My World" (brano che, inevitabilmente, fa scendere lacrimoni dagli occhi di molti dei Mods e Modettes presenti) non fa rimpiangere quello, iconico, di Dave Winthrop sull' originale.
Arriva, sorprendemente a metá set, il vero e proprio manifesto ideale di "Glory Boys" che manda tutti in brodo di giuggiole,a c'é spazio anche per qualche perla pescata dagli album successivi ("Sound Of Confusion" dal secondo, "Dancemaster" nei bis dal terzo e, secondo me, loro migliore LP "Business As Usual", "Walk Away" e una notevole jam sulla cover di "I Don't Need No Doctor" di Nick Ashford dall' eccellente "Soho Dreams" del 2012).
Dietro al gruppo scorrono immagini vintage dei giorni della Bridge House Tavern e, se il senso di nostalgia é forte, é bello constatare che la fiamma ancora arde, piú accesa che mai.
Musica, sonoritá e attitudine senza tempo, non mero revival ma qualcosa di ancora estremamente rilevante in questi tempi bui, alla stregua di Blues, Folk, Jazz e altre forme di espressione musicale ormai inevitabilmente "classicizzate".
Il gran finale é riservato al familiare "show-stopper" di "I'm Not Free (But I'm Cheap)" sarcastica riflessione di Ian Page su una disillusione verso il Music Biz che giá covava dai tempi dei New Hearts, la sua prima (e sfortunata) avventura in coppia con Dave Cairns prima che l' ideale e immagine dei "Glory Boys" e dei Secret Affair prendessero forma.
La cover autorevolissima di "Going To A Go-Go" dei Miracles, originali come "Lost In The Night (Mack The Knife)" e l' inattesa B-Side "Soho Strut" fanno il resto per riscaldare l' altrimenti ennesima gelida serata d' inverno Albionico.
Non mancano, ovviamente inni generazionali come il primo singolo bomba "Time For Action" e l' arrembante "Let Your Heart Dance" e, a fine concerto, siamo tutti sudati, esausti e bevuti.
Di sicuro, il floor (e il personale) del Crossing sono felici di vederci finalmente "sfanculare" come si dice a Roma!
Ho sentito dire che la band suonerá anche in Italia: per l' amor d' Iddio, non perdeteli perché, come si diceva nei '60s, questa é "Satisfaction Guaranteed".

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.

Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/

Martedì 4 marzo:
La Galera C.so Cavour 19/a, Correggio (Reggio Emilia).
Presentazione di "Ringo Starr. Batterista" con Fabrizio Tavernelli.

La Vetreria di Borgonovo Piacentino è, dal 1950, tra le aziende più floride e d'avanguardia della zona e non solo.
Quest'anno ha deciso di allegare al catalogo uno speciale dedicato al SOUTHERN ROCK (dagli Allman Brothers Band ai Lynyrd Skynyrd, fino ai Black Crowes) la cui stesura è stata a cura del sottoscritto, con adeguata e pertinente grafica.

Se ne può richiedere copia qui: info@borgonovo.it

giovedì, febbraio 27, 2025

Mick Talbot

MICK TALBOT ha trovato notorietà e successo nel progetto STYLE COUNCIL a fianco di Paul Weller negli anni Ottanta.
La sua discografia è pressoché sterminata pur avendo pubblicato pochissimo a suo nome.

In questa sede un veloce sunto delle sue migliori opere e partecipazioni (grazie al prezioso aiuto di Flavio Cpt Stax Candiani).

MERTON PARKAS - Face in the crowd (1979)
L'esordio discografico con la mod band è del 1979 (dopo aver lasciato il nome di The Sneekers con cui suonavano power pop).
Ebbero una breve notorietà (il singolo "You Need Wheels" finì nella top 40 inglese) e qualche piccola soddisfazione. L'album rimane molto godibile, nella sua semplicità, spontaneità, freschezza.

THE BUREAU - s/t (1981)
Dopo una breve (burrascosa?) permanenza nei Dexy's Midnight Runners, Talbot si allontana con altri membri per fondare i Bureau e proseguire sostanzialmente la strada artistica della band di Rowland (nel frattempo in procinto di ripescare le radici celtiche e sfondare in tutto il mondo con "Come on Eileen").
L'album che ne esce è un ottimo condensato di energico soul rock che avrebbe meritato miglior fortuna.
La band si scioglie poco tempo dopo.

STYLE COUNCIL (1982-1989)
L'opera omnia del gruppo, fatta di alti e bassi, ha messo in luce le capacità di Talbot (che con Weller aveva già collaborato in "Setting sons" dei Jam, suonando "Heatwave" mentre Rick Buckler suonò la batteria con i Merton Parkas a Londra).
Ebbe spazio per suoi brani in stile Hammond beat, fu protagonista delle tendenze classico sinfoniche di "Confessions of a Pop Group" e delle discusse scelte di abbracciare la house music nell'ultimo periodo dei vita della band.

TALBOT and WHITE - Unied states of mind (1993)
TALBOT and WHITE - Off the beaten track (1997)
L'accoppiata con l'ex batterista degli Style Council produce due ottimi album.
Il primo più funk soul oriented con le voci di Annie McCaig e Linda Muriel in gran spolvero. Al sax Jacko Peake, a lungo con Paul Weller. Nel secondo si vira verso un classico Hammond sound strumentale, più jazzato con Mark Felthan (Nine Below Zero e Truth) e Paul Weller alla chitarra nel remix di un brano funk.

THE PLAYERS - Clear the desks (2003)
THE PLAYERS - From the six corners (2005)
Talbot e White si affiancano a Damon Minchella e Steve Cradock degli Ocean Colours Scene e del giro Paul Weller e Aziz Ibrahim (SimplY Red, Stone Roses, Ian Brown e sempre Weller). Atmosfere new funk, strumentali nel primo, con la voce di Kelly Dickson nel secondo, più curato, raffinato, meno prevedibile e meglio riuscito.

ROGER DALTREY + WILKO JOHNSON - Going back home (2014)
Super duo affiancato dall’ex bassista dei Blockheads Norman Watt Roy e dal batterista Dylan Howe (figlio di Steve Howe degli Yes, anche lui con Blockheads e già con Wilko).
Mick svolge un ottimo lavoro alle tastiere con mestiere e discrezione.
Riprendono una serie di brani del repertorio di Johnson riproposti in un torrido album di ruvidissimo e minimale rock blues/pub rock/rhythm and blues dove la ruvida voce di Roger si trova benissimo con la sferragliante chitarra di i Wilko. Roba semplicissima, basica, elementare, poco altro.

BANGS & TALBOT - Back To Business (2022)
L'accoppiata con Chris Bangs (l'inventore del termine "acid jazz") lo coglie alle prese con il suo mondo strumentale a base di latin soul, boogaloo, modern jazz, acid jazz.
Divertente, godibile e trascinante (vedi alla voce James Taylor Quartet, Big Boss Man, Corduroy).

Da ricordare le sue partecipazioni nel primo album dei GALLIANO "In Pursuit of the 13th Note" del 1991 e in quello degli YOUNG DISCIPLES dello stesso anno "Road to Freedom", nel singolo "Be lucky" degli WHO nel 2014, in diversi album di PAUL WELLER ("Wild wood", "Stanley Road", "On sunset" e in "One Day I'm Going to Soar" dei DEXYS.

L'unico brano solista accreditato a lui è nella compilation "A Certain Kind Of Freedom" uscita poco dopo lo split degli Style Council, "That Guy Called Pumpkin":
https://www.youtube.com/watch?v=VB_MU6tgJ8M

Alter-ego usati negli anni: "Elliot Arnold" nei King Truman, "Agent" 88 in un EP di suoi strumentali degli Style Council e come "The Mixed Companions" in alcune B sides degli Style Council.

mercoledì, febbraio 26, 2025

Tano D'Amico - I nostri anni

Tano D'Amico è stato uno dei fotografi che hanno meglio rappresentato il Movimento del 1977, a fianco dei rivoltosi e rivoluzionari.

Ne ha pagato conseguenze molto care: emarginazione, ostracismo, denunce, processi, tradimenti.
In questo libro raccoglie (parlando in terza persona di un "ipotetico" fotografo) una serie di riflessioni personali su "quegli anni", per molti "i nostri anni".

Centrale nella repressione il ruolo di buona parte (la quasi totalità) della stampa:
"Aumentava nella stampa il desiderio, forse il bisogno di denigrare e distruggere donne e uomini che scendevano in strada.
Anche nel giornale in cui il fotografo lavorava...denigrare e criminalizzare il movimento era il compito della stampa".

E' rimasta la consapevolezza di un momento probabilmente irripetibile, pur con tutte le sue contraddizioni e devastazioni.
Un'altra epoca, un' altra idea di vita e società.

"Tutti noi, anche senza dircelo, sentiamo di aver vissuto qualcosa che non era mai stato vissuto.
Forse ne era stata percepita la mancanza. Qualcosa da cercare, che poteva nascere se la cercavamo tutti insieme.
Noi tutti eravamo quelli che ne sentivamo la mancanza.
Eravamo contagiosi.
Eravamo sempre di più, sempre di più.
E sempre di più ci riconoscevamo e ci legavamo."



Tano D'Amico
I nostri anni
Milieu Edizioni
96 pagine
14,90

martedì, febbraio 25, 2025

Secret Affair + Purple Hearts 22 Febbraio @Crossing, Birmingham

L'amico RAMBLIN ERIKK vive a Birmingham e ci concede questa appassionata recensione di una serata magica con SECRET AFFAIR e PURPLE HEARTS.

Ricordo che i Secret Affair saranno il concerto con i nostri The Mads a Torino il 1° giugno al Teatro Q77 in Corso Brescia 77 in occasione del 45° anniversario di Piazza Statuto Mod.


La mia passione per i Secret Affair é relativamente recente e scaturisce proprio dalla lettura di questo Blog : mi preme, dunque, ringraziare Tony, innanzitutto per il suo encomiabile (e instancabile) lavoro di divulgatore culturale ma per avermi dato, in un surreale momento di giustizia poetica, l' opportunitá di offrire il mio resoconto del concerto tenuto dai Secret Affair nella sera di un ventoso 22 Febbraio al Crossing di Birmingham.

Cade, proprio quest' anno, il 45esimo anniversario della pubblicazione di "Glory Boys", iconico long-playing di debutto dei nostri che, immediatamente, li ha cementati come band di punta del cosiddetto "Mod Revival" Inglese di fine anni '70 (assieme ai Jam) una breve, quanto fulgida fiammata di interesse verso le sonoritá e l' estetica di certi anni '60 Britannici iniziata proprio dal gesto dei sopracitati Jam di Paul Weller ma, se é possibile, incarnata in maniera ancor piú decisa e militante dal gruppo di Ian Page, Dave Cairns e soci.
Il famoso  concerto "Mods Mayday" del 1979 e relativo album live promossi da Terry Murphy alla sua Bridge House Tavern di Canning Town, Londra, immortalato nell' album live omonimo (con gli stessi Secret Affair a fare da headliners e "signature band") fece da stura a un movimento  di cui ancor oggi si avverte la forte risonanza musicale, sociopolitica e culturale, in Inghilterra come altrove.
Ma di questo, indubbiamente, avete giá letto sul presente Blog, narrato in maniera ben piú autorevole.

Questa é piuttosto la storia di un lungocrinito Punk/Sleaze Rocker in maglietta di David Johansen che, un pó timidamente, vista la folla interamente composta da Mods e Skinheads, si avvicina alla sua prima esperienza dei Secret Affair dal vivo.
E, tocca dirlo, fossero ancora stati gli anni 70/80, qualcuno sarebbe tornato a casa con qualche livido e dente rotto, come minimo!

Per fortuna, i tempi sono cambiati e, oggigiorno, chiunque puó assistere a qualunque concerto, dagli Sham 69 ai Cock Sparrer, passando per i Secret Affair, senza dover temere per la propria incolumitá.

Aprono attorno alle 19:30, puntuali come un orologio svizzero (qui in UK si usa cosí) gli ottimi Purple Hearts di Romford, Essex, giá ai tempi d'oro compagni di palco (con buona probabilitá, anche di sbronze) degli Affair e ci regalano tre quarti d' ora di compattissimo e infettivo Power-Pop con tutte le hits che uno si aspetterebbe, "Frustration", "Jimmy", la conclusiva "Millions Of Us" e molto altro in un esaustivo "Greates Hits Live" che li trova tonici e in ottima forma!
Un gruppo da vedere, se vi capita, piú che adeguato a scaldare una platea giá adorante e pronta per il "Main Event".

E, fratelli e sorelle, si capisce dal momento in cui i Secret Affair calcano il palco del Crossing che qui stiamo su un livello giusto un attimino superiore.
Il "Mod Revival" ha visto molti interpreti con risultati variabili ma, é innegabile che, del lotto, i nostri fossero indubbiente i piú talentuosi, capaci e preparati.
Anche se Ian Page appare immediatamente invecchiato rispetto al derviscio filiforme di un tempo (ormai non suona nemmeno piú la tromba sul palco e siede su uno sgabello tra un pezzo e l' altro) e la sua voce é scesa di qualche tonalitá, "Shake And Shout", da "Glory Boys", manda immediatamente il sangue in faccia agli astanti e scatena una danza collettiva degna del Wigan Casino (ma senza borotalco).
Continua "Don't Look Down" sempre dal primo LP ed offre un ulteriore, eclatante esempio della superioritá compositiva e strumentale dei Secret Affair: una band che, se agli occhi piú cinici incarnava un "cliché", di certo é sempre stata piú che in grado di esprimerlo nella maniera piú autorevole e competente, persino andando oltre (penso al secondo "difficile" album "Behind Close Doors" che esprimeva disillusione per un'era ormai agli sgoccioli in una chiave mutuata da tentazioni maliconiche e quasi psichedeliche).

La line-up che abbiamo davanti, sia chiaro, non é l' originale e, attorno al nucleo storico di Ian Page e quel mattatore di Dave Cairns (davvero funambolico alla chitarra solista) troviamo Russ Baxter (batteria) Ed Pearson (basso) Stevie Watts (organo Hammond) e John O'Neill (sassofono) per una formazione ormai giá rodatissima, ben oliata e piú che in grado di rendere giustizia a un set-list storico: l' assolo di Sax di O'Neill su "My World" (brano che, inevitabilmente, fa scendere lacrimoni dagli occhi di molti dei Mods e Modettes presenti) non fa rimpiangere quello, iconico, di Dave Winthrop sull' originale.
Arriva, sorprendemente a metá set, il vero e proprio manifesto ideale di "Glory Boys" che manda tutti in brodo di giuggiole,a c'é spazio anche per qualche perla pescata dagli album successivi ("Sound Of Confusion" dal secondo, "Dancemaster" nei bis dal terzo e, secondo me, loro migliore LP "Business As Usual",  "Walk Away" e una notevole jam sulla cover di "I Don't Need No Doctor" di Nick Ashford dall' eccellente "Soho Dreams" del 2012).

Dietro al gruppo scorrono immagini vintage dei giorni della Bridge House Tavern e, se il senso di nostalgia é forte, é bello constatare che la fiamma ancora arde, piú accesa che mai.
Musica, sonoritá e attitudine senza tempo, non mero revival ma qualcosa di ancora estremamente rilevante in questi tempi bui, alla stregua di Blues, Folk, Jazz e altre forme di espressione musicale ormai inevitabilmente "classicizzate".

Il gran finale é riservato al familiare "show-stopper" di "I'm Not Free (But I'm Cheap)" sarcastica riflessione di Ian Page su una disillusione verso il Music Biz che giá covava dai tempi dei New Hearts, la sua prima (e sfortunata) avventura in coppia con Dave Cairns prima che l' ideale e immagine dei "Glory Boys" e dei Secret Affair prendessero forma.
La cover autorevolissima di "Going To A Go-Go" dei Miracles, originali come "Lost In The Night (Mack The Knife)" e l' inattesa B-Side "Soho Strut" fanno il resto per riscaldare l' altrimenti ennesima gelida serata d' inverno Albionico.
Non mancano, ovviamente inni generazionali come il primo singolo bomba "Time For Action" e l' arrembante "Let Your Heart Dance" e, a fine concerto, siamo tutti sudati, esausti e bevuti.
Di sicuro, il floor (e il personale) del Crossing sono felici di vederci finalmente "sfanculare" come si dice a Roma!

Ho sentito dire che la band suonerá anche in Italia: per l' amor d' Iddio, non perdeteli perché, come si diceva nei '60s, questa é "Satisfaction Guaranteed".

Setlist:
Shake And Shout
Don't Look Down
Soho Strut
Glory Boys
Going To A Go-Go
One Day In Your Life
Walk Away
New Dance
Do You Know/Sound Of Confusion
Lost In The Night (Mack The Knife)
Do I Love You (Indeed I Do)
Time For Action
Let Your Heart Dance
My World

Encore:
Dancemaster
I'm Not Free (But I'm Cheap)
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