giovedì, aprile 17, 2025

Giuseppe Velasco - Nemici. Scontri memorabili nella musica pop

Un libro veloce e agile che analizza alcune delle rivalità più note nella musica pop/rock (i Gallaghers, Paul e John, Blur e Oasis, Waters e Gilmour) ma anche quelle più occulte (Prince/Michael Jackson, Simon e Garfunkel, l'incredibile intreccio di antipatie e odio all'interno dei Beach Boys).

Non è, appunto, del tutto noto il ruolo del padre padrone e manager dei fratelli Wilson dei Beach Boys, Murry, esautorato alla fine da Brian, a sua volta privato dello scettro di leader da Mike Love né l'acrimonia che ha accompagnato tutta l'avventura di Paul Simon e Art Garfunkel.
Quella tra Tupac Shakur e Notorius B.I.G finì molto male, non si è ancora del tutto placato lo scontro tra Madonna e Lady Gaga e tra Taylor Swift e Kanye West.

Gustoso e divertente, ricco di aneddoti e curiosità.

Giuseppe Velasco
Nemici. Scontri memorabili nella musica pop

Vololibero Edizioni
112 pagine
18 euro

mercoledì, aprile 16, 2025

Rogue Records

L'etichetta francese Rogue Records è specializzata in 45 giri di garage, beat, power pop, punk, psichedelia.
Le recenti pubblicazioni sono di alta qualità e soddisferanno tutti gli amanti del genere.

https://www.facebook.com/roguerecords/

https://roguerecords.bandcamp.com/

THE GALILEO 7 - Look Away / Over The Horizon
Tra un concerto e l'altro dei Prisoners, Allan Crockford non perde di vista il progetto che porta avanti da anni e torna con un ottimo singolo in perfetto equilibrio tra beat, psichedelia, freakbeat, che si avvale di una (come sempre) ottima qualità compositiva ed esecutiva ma soprattutto di una ormai acquisita maturità distintiva e riconoscibile.
THE CAPELLAS - Love Prayer / Zig Zag Wanderer
La band inglese, composta da elementi che arrivano da Missing Souls, Thee Vicars, Baron Four, Embrooks, Barracudas, torna dopo un ep d'esordio con un singolo che mischia alla perfezione la voce soul di Elsa Whittaker con un groove garage beat mid 60's.
THEE STRAWBERRY MYNDE - Reflections
Il trio del nord est inglese (con un ex Jarvis Humby) ci delizia con quattro brani di ruvido garage beat, dalle influenze rhythm and blues e blues (Crawdaddys, primi Pretty Things, Birds).
Duri e aspri.
DOM MARIANI - Jangleland - Day After Day
Il re del power pop e leader degli Stems ci regala un avvolgente singolo in pieno groove jingle jangle con un originale e una bellissima e riuscita e spedita cover di "Day after day" dei Badfinger.
Classe e stile.

martedì, aprile 15, 2025

In ricordo di Max Romeo. Intervista

A ricordo del monumento del reggae MAX ROMEO, scoparso da pochi giorni, l'amico PIER TOSI, ci propone un ritratto dell'artista e una sua intervista del 1.999.

E' scomparso lo scorso 11 aprile ad ottanta anni di età Max Romeo, un grandissimo artista reggae: la sua immortale 'War In A Babylon' (1976) intitola uno dei più grandi albums dell'era del roots reggae prodotto da Lee Scratch Perry.

Il suo vero nome era Maxie Livingston Smith ed era nato il 22 novembre 1944 nel parish di St.Ann, lo stesso che ha dato i natali ad altri giganti del reggae come Burning Spear e Bob Marley. Cresce come bambino e ragazzo reietto perchè la madre emigra negli USA ed il padre ha una nuova compagna che non lo sopporta e questo fa si che lasci la casa paterna in giovane età e si dia ad un girovagare per l'isola in cerca di occupazioni di sopravvivenza.
Si appassiona alla musica, decide di diventare un cantante ed a Kingston forma insieme a Kenneth Knight e Lloyd Shakespeare (suo fratello Robbie diventerà uno dei più grandi bassisti della storia del reggae) un gruppo vocale, ‘The Emotions’, con cui registra una decina scarsa di pezzi per il producer Ken Lack ed ottiene un buon successo nell'era del rocksteady con 'I'll Buy You A Rainbow'.
Inizia poi a registare come solista per il produttore Bunny Lee. Proprio questo tentacolare produttore lo costringe a registrare nel 1969 ‘Wet dreams’ : la costrizione deriva dal fatto che nonostante Max abbia composto il brano su commissione per Bunny Lee per cavalcare una specie di mania in auge in Giamaica per brani che colpiscano il pubblico per le loro liriche 'grevi' (il brano parla di sogni 'bagnati' di un uomo...) ma divertenti non lo percepisce come un brano adatto alla sua sensibilità. Dopo una genesi quindi problematica ‘Wet dreams’ viene però pubblicato in Inghilterra, il suo contenuto fa si che venga bandito dalla programmazione radiofonica e questo contribuisce a far si che abbia un enorme successo ed abbia come miglior risultato il decimo posto nelle pop charts.
Max diventa popolarissimo quindi presso il pubblico degli skinheads, visita varie volte l'Inghilterra in tour nel giro di pochi mesi ed il successo viene capitalizzato dall'uscita nel 1970 del suo primo album 'A dream'. Il discusso brano avrà anche un sequel di minor successo con argomenti simili e cioè 'The Horn aka Miniskirt Vision'. Nel periodo seguente il cantante cerca di svincolarsi dal fardello creativo di 'Wet Dreams' collaborando sopratutto con il terzetto di giovani producers indipendenti formato da Bunny Lee, Niney The Observer e Lee Perry nelle loro reciproche collaborazioni come produttori.

La sua passione per la svolta socialista ‘democratica’ preconizzata dall'aspirante primo ministro Michael Manley alla vita politica giamaicana lo vede impegnarsi in supporto alla campagna elettorale del PNP che vince nel 1972 grazie alla volonta’di migliorare le condizioni della gente del ghetto. Max si connota come cantante militante con 'Ginalship', una denuncia alla corruzione della classe politica, 'No Joshua no', un ennesimo invito a Michael Manley a perseverare nella sua politica e con 'Maccabee's version', un discusso brano contro la versione 'ufficiale' della Bibbia.
Nel 1975 esce 'Revelation time', un bellissimo album autoprodotto e registrato ai Black Ark Studios di Lee Perry: in questo periodo Max impiega una cospicua parte del suo tempo come braccio destro di Lee Perry durante le leggendarie alchimie sonore di quest'ultimo ai suoi Black Ark Studios e questa collaborazione frutta nel 1976 il suo album-capolavoro 'War in a Babylon' il cui titolo richiama l’atmosfera di disordine sociale e guerra civile che regna in quel periodo nell’isola del reggae . L'album contiene probabilmente i suoi brani migliori, dalla title track a 'One step forward', 'Norman' e la bellissima 'Chase the devil'. A questo album segue l’ottimo ‘Reconstruction’, sempre pubblicato dalla Island ma prodotto dall’artista in proprio.
Da questo momento dei cambiamenti coinvolgono il reggae con la morte di Bob Marley e l'affacciarsi di un nuovo stile ed una nuova generazione di artisti e producers.
Max Romeo emigra a New York dove registra buoni lavori come 'Holding my love to you' con l' amichevole collaborazione di Keith Richards dei Rolling Stones o 'I Love My Music' , e continua ad esibirsi ed a registrare dischi anche se il suo nome è comunque legato al reggae del glorioso decennio 1969-1979.

Nei primi anni novanta torna in Giamaica ed è sempre attivo in campo musicale anche se con alterni esiti: da citare assolutamente i due albums registrati per Jah Shaka 'Fari Captain Of My Ship' e 'My Rights' ed un ottimo album registrato in UK con Mafia & Fluxi intitolato 'Selassie I Forever'. Una chicca autentica della sua discografia è il CD ‘In this time’ registrato da Max Romeo a Roma per la Satta Records in collaborazione con l’ensemble romano Tribu’ Acustica.
Dopo aver realizzato comunque ottimi lavori anche nella ultima parte della carriera, Max si congeda dal suo pubblico nel 2023 con un annunciato ultimo tour mondiale che tocca anche il nostro paese, insieme ai suoi figli Xana ed Azizzi che negli ultimi anni ha contribuito a far maturare ed a far conoscere al pubblico reggae. Saranno loro che porteranno avanti nei prossimi anni l'eredità paterna.

INTERVISTA di PIER TOSI a MAX ROMEO.

D: Avresti mai immaginato di venire in Italia a registrare in disco?
R: No, in effetti no: quando sono venuto in Italia per la prima volta non sapevo cosa aspettarmi ma dopo aver parlato con Satta ho iniziato a percepire le vibrazioni del posto e tutto quello che accadeva, cosi' sono stato io a suggerire a Pietro di fare questo progetto, perche' dopo che ho sentito Tribu' Acustica ho immaginato fosse buono mescolare la musica giamaicana al suono acustico italiano. L'idea e' affiorata perche' sono venuto qui come ospite ad una session di Satta Sound System. Loro hanno suonato questa musica, cosi' e' venuta l'idea di fare l'album.

D: Ti e' piaciuta l'esperienza con Tribu' Acustica?
R: Si, perche' e' semplice lavorare con questi ragazzi: sono gente umile. L'esperenza in studio e' stata molto buona, l'engineer e' eccellente ed e' un buon team con cui lavorare e lo puoi sentire dal risultato del disco: fantastico!!!
I ragazzi sono molto energetici, la combinazione e' stata veramente perfetta perche' io sono un maestro del music business ed e' stato facile interagire con questi ragazzi e cio' aiuta a fare le cose piu' facilmente, la loro conoscenza della musica e' ampia e hanno partecipato il progetto con la mente molto aperta.
Il bassista e' fantastico, il chitarrista solista, tutti i musicisti, la ragazza che suona flauto e fisarmonica, e' raro nel reggae, non ci sono quasi mai fisarmonica e flauto nel reggae.

D: Ora sai qualcosa in piu' sulla scena reggae italiana: ti piace il modo in cui viene vissuto il reggae qui da noi?
R: Mi piace veramente: la lingua non pare la differenza perche' sono qui e canto in inglese e parlo al pubblico in inglese e il pubblico mi risponde in inglese, cosi' talvolta quasi mi dimentico di parlare a persone che non parlano inglese. le vibrazioni sono molto forti, la gente italiana ha molta energia, immagino dipenda dal fatto di mangiare la pasta...

D: Ti piace l'elemento di folk music italiana che Tribu' Acustica ha messo nel suo sound?
R: Si, puoi percepire qualcosa di antico dal loro suono acustico.

D: Credi ci sia qualcosa in comune tra la folk music giamaicana e quella italiana? R: Se vai indietro nella storia, la Giamaica e' stata dominata dalla Spagna e la Spagna e' vicina all'Italia e le culture italiana e spagnola hanno molte corrispondenze, e questa puo' essere una cosa in comune.

D: Puoi parlarci dell'album 'Selassie I forever' che hai registrato con Mafia & Fluxi?
R: E' un altro lavoro molto spontaneo. Stavo passando in Inghilterra e io conosco Mafia & Fluxi da quando erano dei bambini, ed ho pensato sarebbe stato buono di registrare qualcosa con loro, cosi' ho avuto l'idea e abbiamo fatto 'Selassie I forever' e sta andando molto bene in UK.

D: E la tua recente ristampa con Blood & Fire?
R: Questa e' ancora un'altra cosa: quello che succede e' che l'industria del reggae sta subendo un declino a causa della musica techno e di questa moda dei deejays che sta soppiantando lo stile dei vecchi cantanti, perche' i vecchi deejays come Alcapone, U Roy, tutti questi artisti avevano un messaggio diverso da ora e non avrebbero mai predicato la violenza, degradato le donne, ora tutto e' negativo ed a causa di cio' la gente lo ha ampiamente rifiutato e invece c'e'un ritorno alla vecchia musica dagli anni sessanta e settanta, cosi' Blood & Fire ha deciso di ristampare 'Warning warning', 'Revelation time', e lo ha chiamato 'Open the iron gate' cosi' ora quel disco ha ben tre nomi.

D: Non ti piace la scena dei nuovi artisti conscious come Luciano o Tony Rebel?
R: Si, ma questi nuovi artisti conscious stanno avendo gli stessi problemi di noi vecchi artisti: la moda del momento e' questo tipo di musica che io chiamo buff baff music, e questo rappresenta un declino, una parte della nostra musica che e' la musica originale e' stata superata dalla tecnologia.

D: Noi conosciamo la tua storia e sappiamo sei sempre stato ispirato dalle sofferenze della povera gente e tu sei un Rasta dal 1969 o forse ancora prima...
R: Ho abbracciato la fede tra i tardi anni sessanta e l'inizio degli anni settanta...

D: Ed eri anche un supporter del socialismo in quel periodo...
R: Si, ho provato a supportare il socialismo democratico di Michael Manley...

D: Questo e' un argomento molto interessante: non sentivi nessuna contraddizione tra essere Rasta, sviluppare un percorso spirituale ed essere socialista? Perche' noi sappiamo che le teorie comuniste e socialiste cercavano di negare la religione...
R: Rasta non e' esattamente una religione, Rasta e' uno stile di vita, cosi' c'e' differenza. La politica ha a che fare con l'economia e tu ne devi avere parte, che tu lo voglia o no, se vuoi sopravvivere a questo mondo.

D: Durante quegli anni la musica rifletteva una certa popolarita' del socialismo in Jamaica: c'era un sound che si chiamava Socialist Roots e ci ricordiamo la famosa copertina dei Revolutionaries a Channel One con l'effige di Che Guevara. Dipendeva dalla politica culturale degli uomini del PNP o era un effetto dell'influenza cubana?
R: Nella mente della gente comune jamaicana lo stimolo era a sopravvivere, ma c'era una voglia generale di vera democrazia perche' sedici famiglie avevano in mano tutta la ricchezza del paese e il resto del paese viveva in grandi sofferenze, cosi' Michael Manley arrivo' con la sua idea di suddividere le ricchezze e questo e' il motivo per cui mi sono unito a lui. L'abbracciare un qualsiasi -ismo potesse migliorare le condizioni generali faceva parte della lotta della gente che soffriva, e quell'ambiente e' quello da cui io provenivo: non ha niente a che fare con la vera politica. Io detesto i politici, sono i parassiti della gente...

D: Probabilmente questo discorso era lo stesso dei Rasta, di cercare di fermare la fame, migliorare la situazione della gente...
R: Si, io vedevo Manley come un saggio che veniva ad aiutare la povera gente che soffriva e la sua politica per un po' ha funzionato e la gente era felice di lui, ma la democrazia non lo era, cosi' varie azioni coperte entrarono in gioco...per esempio c'era il denaro ma non c'era nulla da poter comprare perche' la democrazia controllava le merci e questo e' il modo in cui Michael Manley perse terreno tra la gente comune ed era dieci anni piu' tardi di come Marcus Garvey aveva predetto come sarebbe stato...

D: Ma qual'era la tua impressione di Manley come uomo?
R: Michael Manley era piu' di un politico, era piu' un padre per la nazione perche' molte delle cose migliori a cui il popolo giamaicano sia mai stato esposto arrivarono da Manley, l'elevazione della gente, l'educazione della gente, ad un certo punto l'educazione era gratuita ed ora tu devi pagare per mandare i tuoi bambini all'asilo, cosi' era una situazione completamente diversa, si trovava lavoro, la gente aveva lavoro e aveva un salario ma non c'era il modo di spenderlo, non c'erano auto da poter comprare, non c'era nulla nei negozi, niente cibo nei supermercati e questo veniva fatto per allontanare la gente dai concetti di Michael Manley...Michael Manley non ha fallito, ha avuto piu' successo in tanti campi di qualsiasi altro statista nella storia della Jamaica perche' ha portato una nazione con l'alfabetizzazione al 10% fino a circa il 30-40%, quindi lui non falli', lui apri' le porte ai Rasta come me. Prima c'erano posti in cui io non potevo andare senza subire le molestie della polizia, non potevo andare in giro in certi quartieri, dovevo spiegare alla polizia perche' stavo camminando li, e Michael Manley cambio' tutto questo, i Rasta non potevano entrare all'Epiphany Club o al Playboy Club, posti di gente per bene...Michael Manley cambio' tutto cio'...ma venne sabotato.

D: Fu anche la C.I.A., vero?
R: Non voglio puntare il dito, non lo so per certo ma si e' detto che questo sabotaggio si e' fatto con l'assistenza della C.I.A....

D: Pensi che lui era diverso da P.J.Patterson? (attuale Prime Minister jamaicano)
R: Si, era diverso da P.J. Patterson, nella mia mente P.J. Patterson e' un capitalista, e' l'esatto opposto di Michael Manley, tutto cio' per cui lavora oggi e' cio' che Michael Manley combatteva nel suo tempo, in questa situazione non posso dare lui alcun credito...

D: Ancora su quel periodo: sembra che per esempio Johnny Clarke non abbia fatto il successo che meritava a causa della sua militanza PNP. Alcuni produttori molto potenti nell'orbita del JLP non volevano avere rapporti con quel tipo di artisti. Hai avuto simili problemi a causa della tua militanza PNP, o hai avuto problemi, per esempio a attraversare certe aree, come militante PNP?
R: No, e non penso comunque di condividere questo discorso su Johnny Clarke e PNP: in Jamaica gli artisti non si schierano cosi' apertamente, magari cantano contro il governo se il governo non funziona. Dobbiamo stare neutrali perche' la nostra musica e' per tutta l'isola, PNP e JLP, e conoscendo Johnny Clarke...

D: Uno di questi produttori era Joe Gibbs, che dopo Bunny Lee divenne il piu' potente produttore e non voleva avere a che fare con Johnny...
R: Si, Joe Gibbs ebbe un ruolo in questa storia, ma non credo che fosse cosi' fortemente coinvolto nella politica, perche' sarebbe stato stupido a schierarsi in quel modo, se lui era del JLP, una volta che il PNP avesse avuto il potere avrebbe sicuramente sofferto le conseguenze di cio', cosi' credo questo e' un modo errato di vedere le cose.

D: Sappiamo che c'era un periodo in cui Lee Perry, Bunny Lee e Niney erano praticamente sempre insieme, presenziando tutte le loro sessions assieme e collaboravano molto attivamente tra loro e tu avevi una parte in tutto cio'. Puoi dirci qualcosa su questi tre produttori?
R: Loro erano sempre in competizione tra loro e se uno di loro aveva un grosso hit, gli altri cercavano di contrastare il successo in modo scherzoso magari ri-registrando lo stesso ritmo e usando qualche altro artista come per esempio io per fare un altro brano, questa era la loro gara, ma era piu' divertimento che rivalita'. Quando si misero insieme producendo ritmi e canzoni, gia' erano molto bravi presi individualmente, e quando si misero insieme divennero ancora piu' forti, mettevano i loro talenti in collaborazione e producevano cose assolutamente uniche.
Erano sempre buoni amici, facevano molte cose insieme, noi ci co-producevamo l'un l'altro, cose del genere, era come un unico pacchetto di artisti e produttori. Poi Bunny Lee si mise in proprio e tra Lee Perry e Niney arrivo' la rivalita' e si divisero di nuovo, Bunny Lee divenne The Aggrovator, Niney divenne The Observer e Lee Perry The Upsetter.

D: A Roma ci sara' nel 2000 il grande giubileo dei cattolici. Tu hai cantato 'Fire for the Vatican': cosa pensi di Roma ed il Papa?
R: Dunque, noi Rasta disapproviamo il modo che ha la chiesa cristiana di legarsi agli stati del mondo per opprimere la gente in nome di Dio, e la cristianita' in generale.
Tutti i paesi cristiani sono diventati i paesi al mondo dove e' esercitata la peggiore crudelta'. La Giamaica e' il paese numero uno in fatto di chiese, ci sono piu' chiese per miglio quadrato che in ogni altro paese al mondo e siamo diventati una delle piu' crudeli nazioni sulla terra. Quando c'e' un funerale la chiesa guadagna soldi, cosi' piu' gente muore e piu' denaro loro mettono insieme.
Le nazioni cristiane al mondo sono le piu' crudeli, puoi controllare tu stesso! L'America ha chiesto scusa per il suo ruolo nella deportazione e la brutalita' contro la razza nera. La chiesa invece non lo ha mai fatto e il suo coinvolgimento nella schiavitu' dei neri era molto alto. Non voglio dare alcun credito ai cristiani...

D: E cosa pensi di Gesu' Cristo? Ci sono molti Rasta che parlano contro di lui...
R: Non lo conoscono! Loro apprendono dalla Bibbia chi fu Gesu' Cristo e la Bibbia non ti dice niente su di lui. La Bibbia racconta la nascita, la morte e la resurrezione, ma la verita' su di lui e' stata eliminata dalla Bibbia perche' lui non e' un cristiano.
Cristo fu nu rivoluzionario che lotto' per i diritti della povera gente e loro lo uccisero e specularono sul suo nome per i loro interessi, questo e' il concetto di Cristo. La Bibbia non porta alcun insegnamento su Cristo, parla solo di re e profeti, ci sono diciotto anni nella vita di Cristo che sono spariti dalla struttura della Bibbia, cosi' come possono parlarmi di Cristo? Non ne sanno nulla.

D: Cosi' Rasta dice che Cristo era un profeta ed un rivoluzionario ma non un Dio...
R: Cristo non poteva essere Dio. Se lo fosse stato poteva salvarsi la vita quando lo uccidevano.
Cristo era un leader, un uomo con un messaggio, come me o qualsiasi altro uomo che sceglie di portare un messaggio alla gente. Cristo cammino' per migliaia di miglia predicando ed insegnando, poi fece un errore ed essi lo uccisero ed usarono il loro nome per il loro vantaggio. Ecco come lo vedo io: non ho letto questo. E' solo come vedo le cose.

lunedì, aprile 14, 2025

Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli)
12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.

L'amico e collaboratore FABIO PASQUARELLI ci regala questa entusiasta recensione del concerto di Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli), 12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.

Un monologo, un racconto, una confidenza e un concerto: questo è ciò che Steve Wynn (storico leader dei Dream Syndicate e leggenda della musica undeground americana) ha messo in scena per il numeroso pubblico accorso nella serra della Ristorazione Sociale di Alessandria lo scorso sabato 12 aprile.

Questa formula ibrida è stata scelta del musicista per mettere in scena la sua autobiografia “Non Lo Direi Se Non Fosse Vero”, recentemente pubblicata anche in Italia da Jimenez Edizioni.

Per accompagnarlo in questa narrazione, Steve ha scelto la collaborazione di Rodrigo D’Erasmo (violino ed effetti) ed Enrico Gabrielli (tastiere, sax, flauto traverso), due dei musicisti più versatili, colti e sensibili della scena italiana contemporanea.

Il racconto a parole di Wynn inizia nei primi anni 70 in California, con l’infanzia trascorsa in un contesto sociale ancora molto influenzato dai sixties, sempre con la bussola della musica a tracciare un percorso, dal primo blues composto a nove anni alle cover degli Stones coi compagni di scuola.

Parla in tono confidenziale Steve, raccontando tutto con semplicità, mai cattedratico o egoriferito, sempre con un sorriso estatico sulle labbra.

Alcune piccole intermittenze della passione musicale giovanile l’avrebbero portato verso l’illuminazione: la puntina che scende sulla prima traccia del primo album dei Velvet Underground:
“I Velvet ti possono piacere o non piacere, magari non oggi, magari domani, magari mai, c’è fuori tanta musica per accontentare tutti. Ma se capisci i Velvet Underground sei da questa parte della storia. In quel momento, la mia vità cambiò per sempre”.

Ingresso di D’Erasmo e Gabrielli, “Sunday Morning” dolcissima e struggente tra violini, tastiere e chitarre acustiche, e Steve ad agitare lo spettro inquieto di Lou Reed.
Confesso di essermi emozionato come non mi capitava da tempo.
E poi una valigia aperta di racconti e avventure (incredibile la storia dell’allontanamento da casa per andare a Memphis a conoscere il suo idolo decaduto, Alex Chilton dei Big Star), fino ad arrivare ai Dream Syndicate e alle canzoni del loro debutto “The Days Of Wine And Roses”.
Un album registrato in una notte e mixato e ultimato in altre due, il disco in cui Steve e il suo gruppo costruirono la musica che avrebbero voluto ascoltare e che non esisteva da nessuna altra parte.
“Tell Me When It’s Over”, “That’s What You Always Say”, “When You Smile” ricevono un trattamento emozionale inedito, con Gabrielli e D’Erasmo che escono dalla zona di comfort dei loro strumenti per accompagnare Wynn in versioni notturne e rarefatte di questi piccoli classici.

Steve parla di tour, di sogni, di gioventù, di aggregazione e di quel realismo magico che solo la vita underground può dare, con le canzoni a raccordare tra di loro le storie.

Poi ancora avanti, al difficile secondo album, in cui la libertà e l’urgenza vengono in qualche modo veicolate da una grossa casa discografica, con un budget consistente e un produttore importante a fare da filtro. Il blocco creativo, i tempi che si allungano, il punk sempre più lontano.
“Medicine Show” suonata come se Steve ci avesse fatto pace introduce all’ultima parte dello spettacolo, che corrisponde allo scioglimento della band dopo l’album “Ghost Stories”, con una versione erratica del classico “Boston”.
“Lo spettacolo sta per finire questa sera perché in questa parte della storia si interrompe il libro, ma le cose sono andate avanti”.

A questo punto Wynn si lascia andare ad un bilancio della sua vita spesa a suonare, dai palchi giganteschi delle tournée con gli U2 e coi REM fino ai piccoli club, dai tempi del Paisley Underground ai dischi solisti, e alla resurrezione dei Dream Syndicate nel 2012, sempre allo stesso livello del suo pubblico, sempre attento a quanto la sua musica e le sue parole contino per chi sta giù dal palco, con un’umanità e un’empatia veramente rare.
Conclusione con “Make It Right” dal suo ultimo album.

Inchino dei musicisti, fine del concerto, fine del tour italiano.
Prima di andare (direttamente a Malpensa con un biglietto per New York) un ultimo stop al banco del merch, per prendersi cura di ognuno dei suoi fans (o sarebbe meglio chiamarli “amici”?) e dare loro l’appuntamento al “prossimo giro” dopo una serata indimenticabile.

Steve Wynn: un esempio, un gentleman, un punk.

Una menzione speciale va all’organizzatore Salvatore Coluccio, che periodicamente ci ricorda quanto la provincia abbia tutto il potenziale per uscire dalla provincia.

sabato, aprile 12, 2025

The In Crowd: Mod Fashion & Style 1958-1966

Al Brighton Museum & Art Gallery dal 10.05.25 al 04.01.26 si terrà la mostra "The In Crowd: Mod Fashion & Style 1958-1966" a cura di Roger K.Burton, stilista e creativo (colui che provvide all'estetica dei mod per il film "Quadrophenia").

I dettagli:
https://brightonmuseums.org.uk/the-in-crowd-mod-fashion-style-1958-66/

"The Mods created a lifestyle, it was a cultural movement that remained relevant for generations.
What started as a youthful rebellion in post-war Britain became a global phenomenon.
This exhibition will show how that spirit still influences fashion today."

Roger K Burton

Thanx Fabio Tintore

Ringo Starr, batterista a Genova

Martedì prossimo alle 18, "Ringo Starr, batterista" (Edizioni LOW) approda ai Giardini Luzzati di Genova.
Al mio fianco Diego Curcio.

https://www.facebook.com/events/657670316865650

📣CHAAAAARLAS DEL MARTEDì🔥
🔴MARTEDì 15 APRILE
📌H 18.00
➡️AUDITORIUM G. CARLINI / AREA ARCHEOLOGICA - GIARDINI LUZZATI
(+ PODCAST su www.gooodmorninggenova.org e su GoodMorning Genova APP)
OSPITE GRADITISSIMO, il grande ANTONIO BACCIOCCHI.
In dialogo con #DiegoCurcio, #AntonioBacciocchi rifletterà intorno al suo ultimo saggio, "Ringo Starr, batterista".
Ma l'incontro sarà anche occasione per spaziare nel mondo della musica, dei libri, delle sottoculture, tra passato, presente e futuro.

IL 3 maggio a Cremona
https://www.facebook.com/events/s/il-cortile-del-vinile-mercatin/637225919200572

Il 14 maggio a Bologna
https://www.facebook.com/events/s/presentazione-ringo-starr-batt/1946906045715156/

Il 24 maggio allo Stella Nera di Modena
https://www.facebook.com/events/1873083363229840

venerdì, aprile 11, 2025

Indica Gallery

Barry Miles, John Dunbar, Marianne Faithfull, Peter Asher, Paul McCartney (Graham Keen)
Entrata nella storia in quanto luogo del primo incontro tra John Lennon e Yoko Ono, la Indica Gallery nacque nel novembre 1965 (il nome era un tributo a una varietà di marijuana) a Mason's Yard (vicino a Duke Street), St James's, Londra, nel seminterrato dell'Indica Bookshop.
Era di proprietà di John Dunbar, Peter Asher (del duo Peter and Gordon) e Barry Miles (che costituirono la società MAD, Miles Asher and Dunbar Ltd), sostenuta finanziariamente da Paul McCartney (ai tempi fidanzato di Jane Asher la sorella di Peter) e che McCartney contribuì a disegnare i volantini utilizzati per pubblicizzare l'apertura e ne disegnò anche la carta da regalo.

L'Indica aveva stretti legami con il rock 'n'roll, oltre al ruolo di Peter (musicista e in ovvio stretto legame con Paul McCartney, John Dunbar era al tempo sposato con Marianne Faithfull.

Barry Miles:
"Prestavo a Paul riviste e libri che pubblicavano materiale della Beat generation o d'avanguardia come Samuel Beckett, John Cage, jack Kerouac, William Burroughs, Jean Genet. In quel periodo Paul era quello legato all'avanguardia. Mentre John Lennon se ne stava a casa nei sobborghi di Londra, Paul e jane andavano alle anteprime e alle serate d'inaugurazione.
Nel mio appartamento Paul ascoltava dischi della Blue Beat e "Interdeterminacy" di John Cage.
Amava John Cage e Karlheinz Stockhausen, conosceva paesaggi sonori per i quali nessun altro dei Beatles nutriva il più blando interesse."


Dall' 8 al 18 novembre 1966 si tenne la mostra di Yoko Ono "Unfinished Paintings", a cui presenziò anche Lennon, ma sbagliando giorno e arrivando il 7, durante i preparativi. Fu il primo incontro tra i due e il colpo di fulmine.

La Indica chiuse nel 1967.

giovedì, aprile 10, 2025

I Beatles e il Preludin



Per volere di Brian Epstein, rigido e attento manager, gli "anni selvaggi" dei Beatles furono totalmente cancellati dalla storia, a favore della nota immagine pulita e sorridente che accompagnò i primi anni di successi.

In particolare il periodo trascorso ad Amburgo, a suonare davanti (e con) prostitute, gangsters, malavitosi, ubriachi e tossici, "scomparvero" dalla biografia della band.
Il biografo Mark Lewisohn ha calcolato che i Beatles suonarono nella città tedesca per 39 settimane dall'agosto 1960 al dicembre 1962 per circa 1.110 concerti con il record di 415 ore in 14 settimane.
Nel 1961 suonarono 98 concerti di fila, spesso dalle 7 di sera alle 7 di mattina (di conseguenza non si trattava di UN solo concerto ma di una serie infinita o quasi).

Una foto, sopra riportata, ritrae i Beatles (ancora con Pete Best) che esibiscono contenti e soddisfatti (strafatti?) alcuni contenitori di PRELUDIN, amfetamine che usavano in abbondanza per suonare otto ore al giorno tutti i giorni ad Amburgo.
Epstein chiese all'autore di evitare in ogni modo la pubblicazione dell'istantanea.
Che uscì solo nel 1975, cinque anni dopo lo scioglimento.

Ho incominciato con le droghe a 17 anni, quando diventai un musicista. L'unico modo per sopravvivere ad Amburgo, suonando otto ore a notte erano le pillole.
(John Lennon)

Ad Amburgo i camerieri e i musicisti prendevano sempre il Preludin per poter rimanere svegli tutta notte.
Non pensavamo di fare qualcosa di male.
Le pillole ti tenevano sveglio, ti rimettevano in sesto e continuavi a suonare senza sosta. Birra e Preludin, vivevamo di quello.

(Ringo Starr)

Il Preludin e altri eccitanti ce li davano i gangster amburghesi.
Gente di 30 anni che sembrava averne cinquanta. A volte ci prendevano in giro per il nostro aspetto e per il nostro nome ma suonavamo davanti a gente armata, picchiatori, assassini.

(Paul McCartney)

mercoledì, aprile 09, 2025

Perigeo (Special) - Alice

Nel 1980 il PERIGEO, tra le migliori band di jazz rock italiane dei 70’s, realizza, con il nome di PERIGEO SPECIAL (sostanzialmente la stessa formazione del progetto originale, scioltosi ufficialmente nel 1977) e l'aiuto di una serie di importanti amici, un concept album sulla storia di “Alice nel paese delle meraviglie”, rapportata in chiave moderna.

Ad aiutare la band ospiti speciali come Lucio Dalla, Anna Oxa, Rino Gaetano, Maria Monti, Nino Buonocore, Jenny Sorrenti, Ivan Cattaneo.

Il doppio album spazia tra una jazz fusion solare, eseguita alla perfezione e a tratti spettacolare e brani più pop ("Al bar dello sport" con la voce di Rino Gaetano), conditi da atmosfere funk ("Tea party" con Dalla e Oxa in brillante duetto), la cavalcata strumentale super fusion de "Il festival" e un buona dose di rock.
Gran finale corale e da musical con tutti gli ospiti in "Confusione, gran Confusione (Ovvero il processo)".
Progetto godibile e ricco di ottimi spunti, tuttora molto interessante sia a livello creativo, compositivo, esecutivo.

Il disco non ebbe particolare successo e l'anno dopo la band di riformò come New Perigeo con il bassista Giovanni Tommaso e nuovi componenti.

martedì, aprile 08, 2025

Mappature fanzines italiane 1980/1989

Segnalo un'iniziativa pregevole e interessantissima che sta catalogando le fanzines italiane uscite tra il 1980 e il 1989.
Il lavoro è ovviamente in corso d'opera e continua implementazione.
Sono quindi graditi contributi di ogni tipo in merito.
Da mandare qui: capitmundi@paolopalmacci.it.

https://www.paolopalmacci.it/capitmundi/fanzinet.html

Questa è una mappatura della Rete delle Fanzine italiane originate dalla subcultura punk/nuovo rock negli anni 80.
Nell’Era del Telefono Fisso e del Francobollo (del Cinghiale Bianco?), ogni fanzine era un “nodo” di una rete analogica, aveva un indirizzo fisico (via, numero civico, CAP e città) che fungeva, di fatto, come funziona oggi un indirizzo IP ed anche se usava protocolli basici ed essenziali (gettoni e francobolli) nulla - davvero nulla secondo me - aveva da invidiare all’attuale world wide web proprio perchè, comunque, non era contraddistinta dall’immaterialità, neanche di base: questi collage di immagini e testi scritti a mano e/o battuti a macchina, ciclostilati o fotocopiati, si concretizzavano in oggetti creati manualmente, quindi quasi sempre del tutto artigianali, che rendevano stupefacentemente possibile una interconnessione finanche capillare con conseguente interscambio creativo tra le persone e tra le varie scene musicali/artistiche da queste spontaneamente costituite.

E la materialità, comunque, è ineludibile, imprescindibile (purtroppo da un lato, per fortuna dall’altro) per noi che siamo corpo, oltre che mente. Sulla materia, pertanto, per forza di cose, si basa qualsivoglia umano (troppo, direbbe il filosofo) tentativo di astrazione. Quindi ineludibile ed imprescindibile come modalità di conoscenza del mondo: ed oggi ben sappiamo, infatti, quali siano i danni che la smaterializzazione dell’esperienza conoscitiva ha comportato e sta comportando. A qualsiasi livello. Ma se ne parlerà meglio più avanti qui su Capit Mundi?

Oltre ciò, un’altra differenza (anche questa, ritengo, a tutto vantaggio della FanziNet) è che, comunque, trattandosi di modalità di interconnessione ‘analogicissime’ pertanto lentissime (ricordiamoci che una lettera impiegava giorni ad arrivare e la risposta altrettanti e quanto costava una telefonata extraurbana per cui la si effettuava molto di rado! dovevamo anche girare zavorrati di queste medaglie di alpacca o bronzo...) ciò costituiva un incentivo (quel "bisogna bi-sognare" già citato e per me una verità incontrovertibile) a scendere fisicamente in strada per incontrarsi e per comunicare, ad andare sempre fisicamente ad eventi che altrimenti non si aveva certamente altre modalità (come accade altresì oggi) di fruire.
Si tratta, in definitiva, di quel concetto di "umanità" che in gran parte è già andato perso e che siamo destinati a perdere del tutto in un futuro oramai non troppo lontano.

Grazie a Daniele Briganti "Le Fanzine", Enri1968" Sull'Amaca" e G. Longega "Italia Und New Wave" per il notevole lavoro che hanno già svolto e che costituisce fortunatamente il punto di partenza di questa mappatura.

lunedì, aprile 07, 2025

Beat = Punk ?



Un interessante articolo uscito in tempo reale (aprile 1978) sulle similitudini tra punk e beat. Lungimirante, preciso e competente coglie, pur con qualche ingenuità, molti aspetti di cui si parlò diffusamente solo in seguito e che dimostra come comunque anche da noi l'attenzione al "nuova ondata" fosse comunque piuttosto presente.

Negli ultimi tempi abbiamo avuto diverse occasioni di parlare con giovanissimi punkies che, a causa della loro età, ammettevano candidamente di non conoscere altri tipi di musica all’infuori di quella che i mass media ci propinano al giorno d’oggi (rockin tutte le salse, punk, cantautori, un po’ di west coast e di rock jazz).
In particolare il sottoscritto si è sentito porre più volte una domanda diventata ormai tradizionale: “Tutti parlano di certi rapporti esistenti tra il punk e il vecchio beat: secondo te queste “somiglianze” esistono veramente o sono frutto della fertile mente di qualche “addetto ai lavori”particolarmente ricco di fantasia”? Ovviamente il quesito era posto in termini un tantino meno eleganti ma il senso era questo.

Dovendo realizzare un intero inserto sul beat inglese, abbiamo perciò ritenuto opportuno cogliere l’occasione per cercare di chiarire sia pure a grandi linee, il rapporto beat-punk, sottolineando le similitudini più clamorose esistenti tra i due generi musicali (ma sia l’uno che l’altro devono essere considerati soprattutto espressioni di un “movimento” molto più vasto e fondamentalmente extramusicale).
Cominciamo con la musica vera e propria: chiunque conosca, sia pure superficialmente, i maggiori successi dell’era beat (63/67) avrà senz’altro notato che molti brani di gruppi punk come Ramones, Talking Heads, Jam etc non possono essere considerati del tutto originali.

I Jam in particolare devono molto agli Who: basta ascoltare i loro due LP (“In the city” e “This is a modern world”) per rendersene conto.
Eddie & the Hot Rods (che non sono punk ma che comunque fanno parte della new wave) sono andati addirittura oltre, inserendo nel loro repertorio brani dei sopraccitati Who (“Kids are alright”).
Stesso discorso vale per gli americani Flamin Groovies (altra band assolutamente non punkma sempre facente parte della nuova ondata) che , soprattutto con il loro LP più recente “Shake some action”, dimostrano di dovere moltissimo al “caro vecchio beat”, alternando vecchi hit dell’epoca (“Misery” ad esempio) a composizioni originali ma chiaramente legate ai classici dei Beatles e degli altri gruppi di Manchester, Liverpool etc.
Tralasciando ora l’aspetto strettamente musicale, non si può fare a meno di notare come, a distanza di oltre dieci anni, ricomincino a spuntare un po’ ovunque nuovi gruppi formati da giovani di belle speranze (anche se non preparatissimi dal punto di vista tecnico); il punk rock , così come a suo tempo il beat, raccoglie numerosi proseliti tra le migliaia di “strumentisti in erba” che , chiusi nella propria cameretta, alternano lo studio delle materie scolastiche a lunghe “strimpellate” generalmente poco gradite ai vicini di casa. In ogni città, addirittura in ogni quartiere, agiscono ormai almeno due o tre gruppi formati da adolescenti forniti di chitarre elettriche e batterie da pochi soldi ma, nel contempo, dotati di entusiasmo autentico, ragazzini che vogliono suonare la propria musica, sfogarsi, scaricare la tensione che, in una società come la nostra, si può accumulare anche all’età di 14/15anni, pur non avendo “sulle spalle” il peso di una famiglia da mantenere o il pensiero del’affitto da pagare.
Né più né meno come succedeva 10/12 anni fa, solo che allora i giovani BEAT portavano, come segno distintivo, capelli lunghi e stivaletti mentre oggi i “punkies” ostentano capigliature”normali” (?) e scarpe da tennis.

Ma torniamo al profilo tecnico del…problema: gran parte dei gruppi punk presenta la tipica formazione beat: chitarra, basso e batteria. La chitarra ritmica è stata finalmente rivalutata (molte bands infatti sono tornate alle due chitarre, una solista e una d’accompagnamento), sono persino tornate di moda le Rickenbacker (marca di chitarre e bassi particolarmente cara ai primi Beatles e ai Byrds) e l’elenco potrebbe continuare.
Si dirà che, in fondo, si tratta di sfumature ma secondo noi non è così ricordiamoci che per costruire un grande palazzo occorrono tanti piccoli mattoni.

Mauro Eusebi
BEST aprile 1978

venerdì, aprile 04, 2025

Statuto - Balla/Io Dio/Tu continuerai



Nel 1985, all'indomani della chiusura, dopo 17 numeri, della fanzine "Faces", fondai con Davide Olla, Francesco Nucci e l'appoggio di Filippo D'Andria la Delta Tau Kay (DTK), "associazione Mod", nata con l'intento di organizzare eventi, raduni, serate, per sostenere in modo più professionale la scena mod italiana.

Il primo passo fu la stampa di un bollettino mensile, "Sweetest feeling", che fungesse da organo informativo su tutto quanto accadeva nella scena italiana (e non solo), in considerazione di un aumento esponenziale degli eventi in tutta la penisola, tra concerti, serate, raduni etc.

Per sostenerci economicamente incominciammo a stampare cassette compilation in cui, grazie, soprattutto, alla collezione di dischi di Francesco Nucci, riuscimmo a fare conoscere a moltissimi ragazzi e ragazze una lunga serie di rarità Northern Soul e Soul.

Gli utili (come accadeva nella stragrande maggioranza dei casi nell'ambito delle sottoculture) venivano immediatamente dirottati su nuove iniziative, visto che il concetto di profitto ci era totalmente alieno.

Con due Lire messe da parte decidemmo così di investire in ambito discografico, producendo un DISCO MOD.
La scelta cadde sugli STATUTO, reduci da una feroce, ingiustificata ed esagerata stroncatura su "Faces" da parte di uno dei redattori.
La band era ancora acerba ma ci affascinarono la loro urgenza, passione, onestà e combattività stradaiola.

Per risparmiare, le copertine furono stampate da Francesco nella tipografia in cui lavorava e poi incollate a mano a una ad una (talvolta con risultati discutibili).
I dischi furono venduti praticamente a mano agli eventi o spediti ai richiedenti.
Non abbiamo mai tenuto una precisa contabilità (figuriamoci...) ma le 500 copie alla fine sono andate praticamente tutte esaurite.

Iniziava la carriera degli STATUTO.

giovedì, aprile 03, 2025

Kae Tempest - Statue In The Square

Il nuovo brano di KAE TEMPEST a tre anni dall'ultima uscita discografica è importante, perché (ri)porta il concetto di MESSAGGIO al centro di una (genericamente) musica che sembra sempre meno presente nella società.

"I remember to live is to change / Ricordo che vivere significa cambiare" è un verso di "Statue in the square" e una perfetta metafora che parla della sua trasformazione di genere e allo stesso modo un proposito politico e ideologico che ben si presta a commento sociale in questo momento in cui le redini del mondo e del nostro vivere sono nelle mani di folli (o coglioni, che dir si voglia).

“It's not a disorder or a dysfunction/Disgusting the way they discuss us / Non è un disturbo o una disfunzione / È disgustoso il modo in cui parlano di noi" può diventare un inno per la comunità LGBTQ+.

Il ritornello è potentissimo, il brano efficace, il video allo stesso tempo minaccioso, affettuoso, comunitario.

https://www.youtube.com/watch?v=aTDOFaAcEyc

Kae Tempest - Statue In The Square

Well, either I'm nice on the eye
Or this person that's passing me by has never seen one
Like me before, we endure it
Keep reaching for it, knee deep, we keep pouring
Life force in a formless void, we're too gorgeous
Dwarf the whole street when we walk, are you transported?
I cherish the ones who support us
Fear takes from us but love restores us
You are not the sum of the things you do wrong
In the eyes of someone who does not understand you
It's not a disorder or a dysfunction
Disgusting the way they discuss us
But just 'cause a person's not decent to me
Don't mean they're not decent to someone
The norm is not normal: it's a construction
Designed to stifle the inner life and increase production

They never wanted people like me round here
But when I'm dead, they'll put my statue in the square
They used to tell their children not to stare
But when I'm dead, they'll put my statue in the square
Yeah, they're ten a penny, we're rare
And when we're dead, they'll put our statues in the square
They can shake their heads in despair
But we been here from the start and we ain't going nowhere

Spent my life trying to do things your way, normal didn't feel right
Trapped in a shrinking hallway till it got too tight
Deep breath, fresh air when I broke the surface
Yes, we've all lost lovers, what's sad is a lost purpose
Reclaim it, reframe it, rename it, something more fitting
Contain it, champagne it, complaining never did nothing
But hitting the ground running's a start; hold your position
Tape it up, tuck it, and love it beyond condition
Watching the city surrender to rain, I remember to live is to change
I don't pray for the end of my pain, I pray for the strength to weather it
Paused on the brink of a gaping precipice, hesitant, derelict, slow from the sedative
Terrified people never stop asking where the treasure is, I'm like: everything's relative
So don't be surprised when they shield their eyes
What they fear's a reflection of their own minds
They reveal themselves in their dead headlines
It's fine, we don't need permission to shine

They never wanted people like me round here
But when I'm dead, they'll put my statue in the square
They used to tell their children not to stare
But when I'm dead, they'll put my statue in the square
Yeah, they're ten a penny, we're rare
And when we're dead, they'll put our statues in the square
They can shake their heads in despair
But we been here from the start and we ain't going nowhere

mercoledì, aprile 02, 2025

Carnascialia

La musica italiana degli anni Settanta ha sperimentato tantissimo, incrociato esperienze, scavato nella tradizione, ammodernandola con nuove influenze, contaminazioni, creando stupendi ibridi di bellezza irripetuta.
Erano tempi in cui quell'autarchia imposta dall'abbandono dei gruppi stranieri del suolo italico, favorì lo sviluppo di esperienze autoctone, lasciandoci capolavori troppo spesso dimenticati.

Pasquale Minieri (chitarra, basso, voce) e Giorgio Vivaldi (percussioni, flauto), ex componenti del Canzoniere del Lazio, nel 1979 incisero questo unico album della breve esistenza del progetto Carnascialia, circondandosi di eccellenze del tempo, da Demetrio Stratos a Mauro Pagani, Danilo Rea, Carlo Siliotto (oltre a Carlo Siliotto (violino), Clara Murtas, Nunzia Tambara, Piero Brega, Luciano Francisci, Tommaso Vittorini, Maurizio Giammarco, Marcello Vento, Pablo Romero.

Un lavoro che parte da basi di folk tradizionale ma che si sviluppa in momenti jazz, fusion, nelle sperimentazioni vocali di Demetrio Stratos (in "Fiocchi di neve e bruscolini" e nell'ipnotico "Kaitain"), nel proto ambient di "Almeisan", in una serie di ibridazioni musicali, figlie di quegli anni ma ancora di grande attualità sonora e creativa.

martedì, aprile 01, 2025

Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius) di Ahmir "Questlove" Thompson

Riprendo l'articolo scritto sabato per "Alias" de "Il Manifesto", dedicato al doc su Sly Stone.
Grazie a Pier Tosi.<
BR>
Il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=PeKg69eOsAk&t=1s

La figura di Sly Stone, tra i più grandi (e non sempre appieno compreso e adeguatamente valutato) innovatori della musica pop rock moderna, ha ultimamente avuto un progressivo riconoscimento.
Dalla discreta “storia orale” di Joel Selvin “Sly & the Family Stone: An Oral History” in cui raccoglie le testimonianze di una lunga serie di collaboratori più o meno stretti ma senza la voce del protagonista principale, a “Thank you (Falettinme be mice elf agin)” biografia (recentemente tradotta in Italia da Jimenez Edizioni), created in collaboration con Sly, dello scrittore Ben Greeman (e l'ex fidanzata di Sly, Arlene Hirschkowitz) in cui il musicista si descrive con dovizia di particolari.

Giunge ora sugli schermi “Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius)” di Ahmir "Questlove" Thompson, musicista, produttore, regista, autore di quel capolavoro che è stato “Summer of Soul”, affascinante documentario che sintetizza il “The Harlem Cultural Festival, a New York, una serie di concerti che andarono in scena dal 29 giugno al 24 agosto del 1969.

Il documentario ripercorre in maniera dettagliata ed esaustiva la sua ricca (quanto artisticamente breve) carriera, con dovizia di particolari e filmati inediti (spesso rarissimi e favolosi), estratti di interviste e il consueto elenco di testimoni dell'epoca, tra cui vari membri della band oltre a pareri interessanti di Andre 3000, D'Angelo, Chaka Khan, Q-Tip, Nile Rodgers, Jimmy Jam and Terry Lewis, George Clinton, Ruth Copeland e Clive Davis.

Un doc esaustivo, sgargiante come i vestiti di Sly e della band, che rimarca una volta in più, quanto fosse geniale la sua musica e quanto sia ancora attuale e moderna. Sly Stone, già in epoca infantile/adolescenziale, è una sorta di bambino prodigio.
A undici anni suona tastiere, chitarra, basso, batteria e usa la voce in modo perfetto. Poco dopo forma i Viscaynes, che si fanno notare per la scelta, ai tempi inusuale, fino ad essere provocatoria, di essere composti da due uomini, due donne, un uomo di colore, Sly, e un filippino, in un'epoca in cui l'idea di integrazione, razziale e di genere, era ancora un concetto astruso e improbabile, in gran parte degli States.
Si segnala come ottimo e innovativo DJ radiofonico alla KSOL per poi intraprendere l'attività di compositore e produttore, arrivando fino a nomi altisonanti come i Beau Brummels e i Great Society della futura leader dei Jefferson Airplane, Grace Slick.
Nel frattempo compone e sperimenta e quando è giunto il momento nasce la nuova creatura, Sly and the Family Stone.
"Facevamo tutte le cose sempre insieme, eravamo come un "Chiesa".

La selezione dei musicisti non è casuale.
Sono tutti eccellenti strumentisti ma Sly sceglie in base a un concetto socio/politico ben preciso: uomini e donne, bianchi e neri, insieme, suonando una musica il più possibile contaminata e libera da preconcetti. Le radici sono nel blues e rhythm and blues ma c'è spazio anche per rock, latin sound, jazz e tanto altro. I filmati ci mostrano uno Sly puntiglioso, insistente nel trovare il suono o il ritmo giusti, provando e riprovando.
Siamo a cavallo tra il 1966 e il 1967, vedere su un palco bianchi e neri insieme è prerogativa rara anche nel jazz, ancora meno nel rock e più in generale nella black music.
Non a caso l'album d'esordio, nello stesso anno, si intitola “A whole new thing” (“una cosa completamente nuova”).
Il seme è stato piantato, si intuisce che qualcosa di effettivamente nuovo sta arrivando, pur essendo ancora ancorato solidamente ai classici schemi rhythm and blues.
Con il successivo “Dance to the music” si passa a un sound sempre più tribale, con il basso, quasi distorto, di Larry Graham che introduce un ritmo pulsante che diventerà un marchio di fabbrica della band. Il resto è un mix di gospel, rock e psichedelia, spesso suonato a ritmi forsennati, con tastiere acide e intrecci strumentali originali e imprevedibili. Altrettanto innovativo e sorprendente è il gioco delle voci che si alternano, dialogano, sovrappongono, uscendo dai canoni del solista ma diventando uno strumento aggiuntivo.
I testi sono un altro aspetto di importanza primaria, un costante inno al pacifismo, alla convivenza senza barriere di razza o genere, l'invito a stare insieme.

I successivi “Life” e “Stand!” quest'ultimo pubblicato poco prima della mitica apparizione al Festival di Woodstock dell'agosto 1969 e all'Harlem Cultural Festival nello stesso periodo, ne sublimeranno popolarità e personalità.
“I Want To Take You Higher” diventa un inno, vende centinaia di migliaia di copie, “Stand!” è la summa della loro carriera, tra proto funk, soul, rock, psichedelia.
Sly non teme di affrontare temi caldi come il razzismo ma lo fa in modo sempre colloquiale, con costanti inviti alla reciprocità, in funzione della tolleranza e amicizia.

E' in questo periodo che rigetta l'invito delle Black Panthers a un sostegno alla loro causa, liquidata in modo sprezzante.
In questi lavori ci sono le radici sonore che ritroveremo presto nei Funkadelic e Parliament di George Clinton e nella breve carriera di Betty Davis. Sarà lei, moglie di Miles Davis, a spingere il marito verso altre sonorità e cultura musicale. Ne farà tesoro soprattutto in “On The Corner” del 1972. Ma è da qui che, inequivocabilmente (attingendo a piene mani anche dalle modalità di esibizioni live), Prince che assorbirà tantissimo dalla loro esperienza, aspetto evidenziato spesso nel doc di Questlove.

Il successo devasta Sly che sprofonda in un abisso di abusi di ogni tipo, cocaina, alcol, sesso. Le sue finanze si assottigliano, i concerti che saltano sono più di quelli portati a termine, si chiude nella sua casa di Los Angeles in una nebbia di eccessi, circondato da spacciatori, consumatori, gente di malaffare.

Ne riemergerà a stento nel 1971 con un capolavoro assoluto della black music, “There’s a riot goin’ on”, una visione pessimista, cruda e decadente del presente (suo e della società), registrato suonando quasi tutto da solo e utilizzando, tra i primissimi, una batteria elettronica, su cui ne reincide una acustica, mischiando i due suoni, creandone uno unico e all’avanguardia.
I brani sono spesso lunghi e ipnotici, intrisi di funk ma ricoperti da una patina paranoica e malata. Gli anni successivi sono un declino costante con ancora qualche discreto album solista (in cui sono intuibili il genio e lo spessore artistico ma male utilizzati) e il congedo definitivo nel 1982, sopraffatto da scelte di vita inconciliabili con una normale carriera musicale.

Scompare dalla scena, a parte sporadiche apparizioni come nel 1993 quando Sly and the Family Stone entrano nella Rock n Roll Hall of Fame. Rimane sul palco un minuto, saluta e se ne va. Tornerà a farsi vedere nel 2007 con una serie di apparizioni (in stato di salute evidentemente molto precario) con la Family Stone. Si ritira dalla vita pubblica, soggiorna a lungo in una roulotte, sopravvivendo a stento, intenta cause per diritti non pagati, spesso perse o rigettate.

Il documentario ce lo mostra ora in foto, ultra ottantenne, sorridente, apparentemente sereno, abbracciato ai figli. Un talento artistico incredibile, auto distruttosi per l'incapacità di gestire il successo e la notorietà e la conseguente disponibilità economica spropositata.
Un visionario innovatore che avrebbe potuto dare ancora tantissimo alla musica ma, come peraltro accaduto a molti altri artisti dell'epoca, che è riuscito ad esprimere la propria creatività solo per un contesto temporale limitato.
Sufficiente però a consegnarlo alla storia tra i musicisti più influenti di sempre.

lunedì, marzo 31, 2025

Marzo 2025. Il meglio

Parte bene il 2025 con gli album di Bob Mould, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi.
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, The Lings, Putan Club, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.


BOB MOULD - Here we go crazy
Capita sempre più di rado emozionarsi o commuoversi ascoltando nuova musica. Bob Mould è uno dei rari esempi che distrugge ogni barriera emozionale. Quella voce, quella chitarra, quella personalità unica che nel quindicesimo album solista riesce ancora una volta a lacerare cuore e anima, facendoci capire quanto siano stati "importanti quegli anni" e quanto gli Husker Du siano stati uno dei gruppi (punk) rock più straordinari mai avuti.
Eccellente e basta.

THE LOFT - Everything changes everything stays the same
Furono tra i primi gruppi accasati alla Creation di Alan McGee, per cui incisero due singoli (nel 1984 e 85), prima di sciogliersi e dare vita ai Weather Prophets e alla carriera solista del leader Peter Astor.
Dopo 40 anni tornano insieme per incidere il primo album in assoluto, "Everything changes everything stays the same", gioiello in bilico tra Sixties, Lloyd Cole and the Commotions, Alex Chilton, REM (e pure Weather Prophets ovviamente).
Disco primaverile, solare, con qualche nuvola in cielo, malinconicamente irresistibile.

NEOPRIMITIVI - Orgia mistero
La visionaria band romana mette a frutto ore di concerti, prove, improvvisazioni, sperimentazioni, in un album d'esordio abbacinante nella sua esplosione di colori e sapori psichedelici, a cui si aggiungono riferimenti alle esperienze nostrane tardo anni Sessanta di band come Chetro & Co e Le Stelle di Mario Schifano, al kraut rock, a tutto quell'immaginario a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Non c'è solo quello perché non è difficile scovare appigli diretti a ritmi e groove afro funk, fiati soul o a sguardi a quel capolavoro dimenticato che fu "666" degli Aphrodites Child. In poche parole: tutto stupendo.

BRIAN D'ADDARIO - Till The Morning
Una metà dei Lemon Twigs in veste solista e un album per il quale non c'è altro termine di delizioso. Brian scava tra Beach Boys, John e Paul solisti, gli XTC più 60's oriented e una lunga serie di omaggi e riferimenti a quegli anni. Il tutto però con una classe compositiva di raro spessore. Niente di clamoroso ma davvero bello da ascoltare.

ANNIE & THE CALDWELLS - Can't Lose My Soul
Da quarant’anni, Annie Caldwell guida un gruppo gospel nel Mississippi, con il marito Joe alla chitarra, le due figlie Deborah Caldwell Moore e Anjessica Caldwell. la figlioccia Toni Rivers.
Il figlio maggiore Willie Jr. Caldwell è al basso e quello più piccolo Abel Aquirius Caldwell alla batteria.
Durante la settimana lavorano, nei weekend suonano.
In questo album ci sono disco, soul, intensissimi blues, gospel a profusione, tecnica sublime nel trattare strumenti, voci e arrangiamenti.
Emozionante e travolgente.

THE WAR AND TREATY - Plus one
La coppia americana firma un nuovo album (il quarto più uno sotto altro nome) con 18 brani e più di un'ora di musica. Il tratto prevalente guarda al country ma ci sono abbondanti dosi di soul, gospel, rock, blues, canzoni che potremmo trovare in un album di Fantastic Negrito o Bellrays, fino a rimandi palesi a Janis Joplin e a infuocati e sparatissimi country punk. Un lavoro completo e complesso, ricchissimo di spunti di altissimo livello.

THROWING MUSES - Moonlight concessions
Album scarno, aspro, minimale, dai tratti drammatici e inquietanti ma, paradossalmente, estremamente fascinoso. Chitarre acustiche, violoncello, la voce di Kristin Hersch, un senso di decadenza e abbandono. Ottimo lavoro.

PUTAN CLUB - Filles d'octobre
Il duo franco/italiano aggiunge un altro devastante tassello alla sua demolizione progressiva delle convenzioni sonore. Il nuovo è dal vivo, registrato in Portogallo all'Amplifest. Drum machine, chitarra, basso, distorsione, tutto è estremo, riduttivo definirlo noise, siamo oltre. Ci sono echi post punk che arrivano da chi a suo tempo aveva incominciato a prendere a mazzate il suono più ovvio: Killing Joke, Public Image LTD, Theatre Of Hate. Ma anche riferimenti al tribalismo sperimentato nelle varie esperienze africane della band, industrial, pura e semplice attitudine punk. Il famoso o li si ama o li si odia bene si addice ai Putan Club. Noi li si ama incondizionatamente.

BLIND ALLEY - Live Tuxedo 1982
Nei primi anni Ottanta le uscite discografiche di band underground italiane erano centellinate, rare, difficili da trovare, soprattutto se relative all'ambito mod e affini. Nel 1983 uscì il primo singolo dei Four By Art e l'anno successivo quello degli Underground Arrows.
Per il resto c'erano solo le cassette.
Quando il primo e unico 45 giri dei BLIND ALLEY, pubblicato dalla Shirak nel 1983, mi arrivò a casa fu motivo di grande giubilo, nonostante a quel punto la band fosse alla fine della breve carriera, iniziata nel 1980.
Non erano propriamente una mod band ma suonavano canzoni molto vicine allo spirito del 1979 e ai Jam, con l'aggiunta di punk, power pop, i primi Elvis Costello e Joe Jackson, il piglio dei Clash.
Gigi Restagno, prima della prematura scomparsa, proseguì con altre sonorità con Defear, Difference e Misfits (dove ritrovò il chitarrista Luca Bertoglio), Marco Ciari invece rimase fedele al gusto Sixties con i Party Kids, prima di approdare a Franti e Fratelli di Soledad.
Onde Italiane pubblica ora un ottimo live, registrato il 24 novembre 1982, con 13 brani che se fossero usciti all'epoca avrebbero costituito un album imperdibile.
Ora testimoniano la qualità e lo spessore compositivo di una band eccellente.
La registrazione è più che buona, l'eccellente cover di "Modern world" dei Jam testimonia quale fosse la principale matrice di riferimento.

DERYA YILDRIM & GRUP SIMSEK - Yarin Yoksa
Quarto album per la band turco/tedesca a base di una sinuosa e affascinante miscela di soul, funk, melodie anatoliche, jazz, psichedelia. La voce di Derya Yildrim è avvolgente, dalle volute mediorientali, la band macina un sound ipnotico e oppiaceo, l'insieme è originale e di immediata presa.

GYASI - Here comes the good part
Un cocktail con parti uguali di Marc Bolan, David Bowie, Led Zeppelin, Slade, primi Roxy Music e spezie affini. Ovvero non una lacrima di originalità ma un remake perfetto di quelle atmosfere e suoni. Ma l'effetto è davvero piacevole, fatto benissimo, gustoso e rinfrescante.

THE TUBS - Cotton Crown
Secondo album poer la band gallese, in cui si alternano influenze accattivanti come Husker Du/Bob Mould, Dinosaur Jr, un po' di primi Clash, qualche chitarra alla Smiths e non rari accenti Welleriani. Il tutto spolverato da un approccio folk irlandese. Niente di clamoroso ma da tenere d'occhio.

ANDY BELL - Pinball wanderer
Andy Bell è stato membro di Ride (tuttora in attività), Oasis, Beady Eye. Il terzo album solista lo coglie tra brani strumentali, ipnotici, di ispirazione kraut/psichedelica e qualche episodio più tradionalmente rock di gusto ovviamente Britpop. Solo per completisti.

AA.VV. - Paul Weller Presents That Sweet, Sweet Music
Sono ricorrenti le compilation basate sulle scelte di artisti conosciuti.
Paul Weller è un raffinato estimatore di soul music e dintorni e qui ci regala una selezione di 24 brani che vanno dai 10 minuti iniziali di funk liquido e torrido degli Headhunters con "God Made Me Funky", al classico "That's Enough" di Roscoe Robinson, al travolgente rhythm and soul di "Soulshake" di Peggy Scott & Jo Jo Benson.
E ancora il folk soul di Ritchie Havens, una bellissima e super groovy "Summertime" di Billy Stewart, un omaggio al dimenticatissimo Baby Huey con "Hard times", l'inconsueta "Blackrock" dei Blackrock, band di session men della Stax e Hi Records, alle prese con un funk psichedelico targato 1969, una versione di "The bottle" di Gil Scott Heron eseguita dai Brother To Brother dall'omonimo album del 1974.
C'è da divertirsi. Weller sa il fatto suo, non ne dubitavamo e qui si capisce molto delle sue (già note) fonti di ispirazione.

AA.VV. - Everybody is a star The Sly StoneSongbook
Compilation molto interessante e godibile, che raccoglie una ventina di cover di Sly Stone e Sly and the Family Stone.
Versioni particolari e strane, realizzate nel corso del tempo, che coinvolgono artisti sorprendenti, vedi Raincoats o Magazine, ottimi o la bruttina "Family affair" di Iggy Pop. Classica e stupenda "I Want to Take You Higher" di Ike & Tina Turner & the Ikettes, bellissimo il disco funk di "Le Lo Li" di Diana Ross (originariamente in "High On You" di Sly del 1975), scartato dall'album della cantante dell'anno successivo.
C'è anche una "Everyday people" rifatta da Jeff Buckley (uscita su singolo nel 2015 per il RSD), piena di pathos.

ELISA ZOOT - Clever Crow
Elisa Zoot è una cantante, produttrice e compositrice per TV e film, nonché co-fondatrice della band alt-rock londinese Black Casino And The Ghost. La sua musica e la sua voce sono state utilizzate in molti programmi TV di successo negli Stati Uniti e in varie serie di Netflix e in molti spot pubblicitari, serie, trailer e film in Usa e Europa.
Il suo esordio solista, coadiuvata da collaboratori come Alex Reeves (Elbow) alla batteria, Ariel Lerner (Black Casino and The Ghost), Steve Ouimette (T-Ride) e Massimo Martellotta (Calibro 35) alle chitarre, la vede alle prese con dieci brani avvolgenti, misteriosi, in cui elettronica e gusto vintage si abbracciano alla perfezione.
Tra dream pop, post wave alla Cocetau Twins, Portishead, un marcato gusto per le atmosfere cinematografiche e rimandi ai Sixties. Album di rara intensità e tensione emotiva.

FIESTA ALBA - Pyrotechnic Babel 
Il primo album della misteriosa band, la cui identità è occultata da maschere, è un condensato di molteplici influenze, di difficile definizione e collocazione all'interno di un genere particolare. Più genericamente math rock contaminato con elementi afro, dub, elettronica, nu jazz British jazz (in particolare le varie incarnazioni di Shabaka Hutchings), drum’n’bass, un groove funk in costante filigrana. Opera complessa, in progress, molto stimolante e innovativa. Eccellente.

MELTY GROOVE - Free hands
Il trio torinese conferma le premesse apprezzate nei singoli che hanno preceduto questo brillante esordio. Sette brani (tra cui una coraggiosa e straniante versione semi prog di "Amore che vieni amore che vai" di Fabrizio De André) che spaziano senza limiti, a "mani libere", tra funk, canzone d'autore, fusion, jazz, soul. Il tutto suonato magnificamente, con classe, raffinatezza e urgenza espressiva. Album sorprendente ed esplosivo.

SINGOLI

The Molotovs - More More More
I due giovanissimi fratelli inglesi, dopo anni di progressiva crescita, approdano al singolo d'esordio. Un brano in pieno stile Jam 1979, potente, ben prodotto ed efficace. Sul lato B una versione dal vivo della stessa canzone e una, ottima, di "Suffragette City" di Bowie. Attendiamo sviluppi.

Jimi Tenor - Summer Of Synesthesia
Due brani dai vellutati ritmi funk soul, affascinanti e sinuosi.

Odario X Mad Professor ft. Yolanda Sargeant - The situation
Infuocato mix di dub, reggae e hip hop che unisce il rapper canadese e la leggenda del dub. Pura classe.

Rodina - Trust in this Life (feat Joe Tatton Trio & The Haggis Horns)
Fusion funk unito a un groove acid jazz per la cantante Aoife Hearty, tastierista dei New Mastersounds e Joe Tatton, tratto dal nuovo album "Good Company" in uscita in vinile a giugno 2025. Stupendo.

Bacao Rhythm & Steel Band’s - Let’s Grow
Ottimo singolo per la misteriosa band di Amburgo, tra funk e influenze caraibiche. Sempre efficaci.

ASCOLTATO ANCHE:
LANCE FERGUSON (discreto lavoro di soul funk strumentale da una colonna sonora del 1981, recentemente ristampata), EDWYN COLLINS (carino ma soporifero), BURNT SUGAR (funk, spiritual jazz, sperimentazione), THE HORRORS (inutile come tutta la loro discografia), STEVEN WILSON (neo prog con riferimenti a Yes, Genesis, Pink Floyd ma anche Bowie. Solo per appassionati del genere).

LETTO

Steve Wynn - Non lo direi se non fosse vero. Memorie di musica, vita e Dream Syndicate
Steve Wynn racconta una storia banale. Quella di un giovane ragazzo ossessionato dalla musica tanto da diventare un musicista.
Ovvero una storia straordinaria. Fatta di tutte quelle straordinarie banalità che caratterizzano la vita che molti artisti, pur non essendo mai diventati i Rolling Stones, ben conoscono.
Sacrifici di ogni tipo, rinunce, notti insonni, delusioni, sconforto, fatiche inenarrabili ma alla fine quella gratitudine infinita per avere avuto quell'opportunità incredibile di vivere con e nella musica.
Steve Wynn ha lavorato in un negozio di dischi, fatto il DJ, fondato i Dream Syndicate e dato vita, negli anni Ottanta, al cosiddetto Paisley Underground, a fianco di Rain Parade, Bangles, Green On Red, Long Ryders, mischiando psichedelia, rock e punk.
Con la sua band ha sfiorato il grande successo, tra tour con REM e U2, album in classifica ma alla fine è sempre mancato il guizzo finale.
Nella sua autobiografia, pubblicata recentemente da Jimenez Edizioni, “Non lo direi se non fosse vero” (tradotta da Gianluca Testani), traspare qualche velato rammarico, soprattutto all'indomani dello scioglimento della band (poi riformatasi nel 2012 e ancora in splendida attività con album freschi e mai nostalgici), quando esplodono il grunge e l'indie rock di cui i Dream Syndicate erano stati in qualche modo precursori e padrini e altre band a loro contemporanee (Meat Puppets, Flaming Lips, Sonic Youth) trovavano finalmente successo e riconoscimenti:
“Sarebbe potuto accadere a noi? Non ha senso chiederselo. Non è successo.”
Il racconto è avvincente, molto (auto) ironico, ricchissimo di aneddoti gustosi e talvolta imprevedibili, tra eccessi alcolici e non solo, concerti sold out e serate semi deserte in luoghi sperduti dell'America davanti a un pubblico indifferente. Fotografa al meglio la vicenda di una band che alla fine è riuscita comunque a ritagliarsi un posto nella storia del rock e diventare riferimento per tantissimi altri artisti in mezzo mondo.
Steve Wynn ha proseguito con una carriera solista ricca di soddisfazioni e ottimi dischi oltre a una lunga serie di collaborazioni e progetti sempre più che dignitosi.
Sarà il tema del secondo capitolo della sua nuova carriera letteraria che in questo caso si ferma allo scioglimento della band, nel 1988, relegando a poche pagine la prosecuzione successiva.
La riga finale è un capolavoro di colto citazionismo musicale:
“Ci vediamo in giro per locali”.
La frase che disse George Harrison agli altri Beatles il 10 gennaio 1969, quando lasciò (momentaneamente) la band.

Lance Henson - Entità /Entities
Lance Henson è Cheyenne, Oglala e Cajun e membro della confraternita dei Soldati Cane (Dog Soldiers) Cheyenne, della Native American Church (il culto del peyote) e dell’American Indian Movement.
Ha spesso rappresentato la propria tribù nel Gruppo di lavoro dei popoli indigeni presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Ha pubblicato circa cinquanta raccolte, che sono state tradotte in ventisette lingue. È anche co-autore di due pièces teatrali.
Il nuovo libro di poesie lo coglie alle prese con l'attualità, tra guerre e violenza ma, come sempre, con una spiritualità intensa, profonda, ancestrale.
"Nonostante le stragi, la distruzione, la follia e dell' "odio infuocato" degli infami, del calpestio degli "stivali dei folli", nonostante tutto, i popoli nativi resistono nella parola dei loro poeti."
Il volume si presenta con il testo a fronte, come traccia essenziale del dire necessariamente in più lingue – southern cheyenne/tsistsistas, inglese (che per Lance è la lingua del nemico), italiano.
"Sono sul crinale
In America appena
da qualche tra furore e libertà".

Alessandro Pagani, Massimiliano Zatini - I Punkinari
Molto divertente e gustosa la marmorea staticità di due calciatori perennemente in panchina a scambiarsi freddure, sempre di spalle, lo sguardo rivolto verso un immaginario campo di calcio, mentre trascorrono le stagioni.
Decine di tavole, ben disegnate e sceneggiate, un inno alla (talvolta disperata) nullafacenza, al "do nothing", all'attesa consapevole che tanto non entrerai mai in campo.

Fabio Massera - Xés
Fabio Massera è un appassionato e profondo conoscitore di rock e punk.
In questo libro mette insieme il retaggio culturale assorbito da migliaia di ascolti (citati all'inizio di ogni capitolo, da Stones a Jimi Hendrix, Kina, Cure, Sex Pistols, Goblin) e un gusto lirico per Bukowsky e Henry Miller.
Ne esce un centinaio di pagine di "letteratura punk" in cui provocazione, erotismo e storie di strada si incrociano.

VISTO The Missing Boys di Davide Catinari
Davide Catinari, cantante dei Dorian Gray, precedentemente dei Crepesuzette, direttore artistico del festival Karel Music Expo, traccia in questo film l'intensa e sentita storia di chi, dalla fine degli anni settanta a quella degli Ottanta, scelse la strada di un'alternativa arrivata a illuminare, pardadossalmente con un lato oscuro, la strada di un gruppo di adolescenti che trovò nel punk, new wave e affini una nuova identità, artistica e filosofica.
Musica, arte, cinema, teatro, grafica, tutto insieme, un mix terribilmente nuovo ed esplosivo.
In questo specifico caso ancora più urgente in quanto relativa alla realtà della Sardegna, geograficamente e logisticamente lontanissima, soprattutto ai tempi, dal "continente".
I testimoni che ne ricordano gli eventi nel documentario rimarcano spesso la mancanza di un'etichetta che potesse garantire un'opportunità di realizzazione e distribuzione per gli artisti, al di là delle singole autoproduzioni, e il rammarico di come tanti validi talenti non abbiamo potuto usufruire delle opportunità che ha invece avuto chi è nato a Milano, Bologna, Firenze, nello stesso periodo.
Passano (attraverso testimonianze dei protagonisti e rari filmati d'epoca) nomi come Agorà, Anonimia, Autosuggestion, Crepesuzette, Démodé, Ici on va faire, Maniumane, Physique du role, Polarphoto, Quartz, Rosa delle Ceneri, Vapore 36, Weltanschauung.
Un ritratto comune a mille altre realtà di provincia in cui l'unico traino erano la passione, l'urgenza, la creatività, la voglia di scrivere nuove pagine.
The Missing Boys” ha vinto il premio nella categoria Best Feature Documentary ai New York Independent Cinema Awards.

Adolescence di Philip Barantini
La mini serie in quattro episodi, in onda su Netflix, Adolescence di Philip Barantini è al centro del dibattito nei social.
Il giudizio, come sempre in questi casi, oscilla tra il capolavoro e la stroncatura.
Personalmente eviterei l'eccessivo entusiasmo, pur se la regìa di Barattini è eccellente (la scelta del piano sequenza dona al tutto ancora più pathos e immediatezza, il costante clima plumbeo è perfetto per l'ambientazione di una storia cupa e turpe) e l'interpretazione di Stephen Graham (il padre) e di Owen Cooper (il giovane figlio) è a livelli altissimi.
Ci sono alti e bassi, qualche inciampo ma il contenuto è straziante, inquietante, spiazzante, terribilmente attuale e realistico e che si riassume in una terribile contemplazione della "banalità del male".

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.

Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/

Presentazione a Genova, martedì 15 aprile, ore 18, Giardini Luzzati.

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