lunedì, febbraio 03, 2020
Nina Simone
Riporto l'articolo che ho scritto ieri per il quotidiano di Piacenza LIBERTA', nell'inserto "Portfolio" diretto dal sempre benemerito, fine intellettuale, musicista, conoscitore di arte e vita, Maurizio Pilotti. Un personale ritratto di NINA SIMONE.
Ovvero propedeutica per un pubblico "generalista", nella speranza che anche solo uno, grazie a queste righe, trovi il tempo e la curiosità di ascoltare un brano di Nina e, di conseguenza, innamorarsene perdutamente e per sempre.
Crescere e vivere negli anni 40 e 50 nella Carolina del Nord, uno degli stati americani che più si distinsero per segregazionismo e violenze razziste, non era cosa facile per una persona di colore, ancora meno se donna.
Eunice Kathleen Waymon se ne accorse presto, quando le sue aspirazioni di diventare la prima musicista classica afro americana naufragarono di fronte al rifiuto del Conservatorio (retto da una commissione di ingresso composta da bianchi) di accettarla come studentessa, nonostante le sue indubbie capacità di pianista.
Il suo talento, già ampiamente rivelato in tenera età, aveva attirato l'attenzione di una signora (bianca) dell'altra borghesia della sua città che le offre la possibilità di ricevere lezioni di piano, che l'indigenza della sua famiglia avrebbe mai potuto permetterle. Lei studia, si applica, ha il dono della musica nel cuore e nell'anima, intorno a lei si stringono in tanti della sua comunità, raccogliendo fondi e sostenendola ma alla fine viene scartata dal Conservatorio di Filadelfia, dove probabilmente l'unica faccia con la pelle nera avrebbe stonato.
Si trasferisce ad Atlantic City dove trova lavoro nei night club della città, suonando e cantando jazz e blues, tra i rimbrotti della religiosissima madre che male accetta un lavoro così lontano dalla parola del Signore.
Eunice cambia nome in Nina Simone, omaggiando l'attrice Simone Signoret e trova sempre maggiore successo.
Soprattutto con l'album d'esordio del 1958 in cui è inclusa la celeberrima “My babe just cares for me”.
Un milione di copie e una vita completamente diversa fatta di locali e teatri sempre più prestigiosi, album osannati da pubblico e critica, popolarità, ricchezza. Nina Simone spazia da profondi e intensi brani blues o gospel a omaggi raffinati alla canzone d'autore francese. Nel 1961 visita per la prima volta l'Africa, scoprendo le sue radici, acuendo l'intolleranza verso le contraddizioni e l'ingiustizia del segregazionismo in America. Si politicizza, segue, con apprensione e partecipazione, il sorgere dei movimenti per i diritti civili degli afro americani, guarda con interesse ma anche criticismo il pacifismo di Martin Luther King, privilegiando invece le idee più dure e meno accondiscenti con il sistema vigente. Nel 1963 a Birmingham, in Alabama, un attentato razzista uccide quattro ragazzine nere all'interno di una Chiesa.
“Il primo impulso che ho avuto è stato quello di prendere la mia pistola, uscire in strada e uccidere qualcuno.
Non importava chi, solo qualcuno che potevo identificare come un ostacolo alla mia gente”. Nina scrive invece un potentissimo J'accuse con la devastante “Mississippi Goddamn”. Su una base allegra e spedita volano parole pesantissime:
“Picchettaggi, bambini sulle brande dell'ospedale da campo / e poi provano a dire che è un complotto comunista / tutto quel che voglio è uguaglianza / per la mia sorella, per il mio fratello, per la mia gente e per me. / Mi avete mentito per tutti questi anni
mi avete detto di lavarmi e pulirmi le orecchie e di parlare garbatamente, proprio come una signora / ma tutta questa nazione è piena di menzogne e morirete tutti quanti, morirete come mosche io non mi fido più di voi /di voi che continuate a dire Vacci piano!”.
La canterà poco tempo dopo al Carnegie Hall, introducendola con un minaccioso “Morirete tutti!” rivolto al pubblico quasi tutto bianco. Ci saranno altri brani di protesta, sempre duri e dalle liriche chiare ed esplicite. Come “Four women”, del 1966, in cui descrive quattro donne nere. Una schiava, una oppressa dalle circostanze tragiche della vita (“Mio padre era ricco e bianco e una notte violentò mia madre”), una prostituta, e una che subisce ingiustizie dalla famiglia e dagli uomini della sua stessa razza. Tematiche inedite, intrise di un femminismo crudo ed estremo, come raramente capitava di ascoltare all'epoca. Entrambi i brani subirono censure e controversie (e i dischi rispediti al mittente dalle radio, spesso spezzati a metà).
“Four women” fu addirittura accusato di razzismo sia dai bianchi che dalla comunità nera. Ma Nina non si fa certo spaventare e continuerà a cantare contro la guerra in Vietnam, contro la società americana, su quanto sarebbe bello sapere cosa significhi essere liberi. Eseguirà favolose versioni di brani come “Revolution” dei Beatles o “The pusher” degli Steppenwolf, “The times they are a changing” di Bob Dylan.
Occorre sottolineare quanto la sua abilità di pianista, la sua inconfondibile voce e le capacità interpretative non siano seconde ai contenuti dei testi.
A cui si aggiunge una presenza scenica unica, ammaliante, che ipnotizza il pubblico.
Alla fine degli anni 60 abbandona polemicamente gli Stati Uniti, accusati di non fare abbastanza contro il razzismo e incomincia una vita di dorato vagabondaggio tra Barbados, Liberia, Turchia, Olanda, Svizzera.
La discografia americana non glielo perdonerà e le renderà la vita difficile, diradando sempre più le sue pubblicazioni.
Si lega a vari uomini con cui finisce spesso molto male tra maltrattamenti e violenze. Anche a causa di una salute psichica sempre più precaria, accompagnata da abusi ed eccessi. Solo dopo la sua morte emergerà un probabile disordine bipolare. "Per dormire mi servono delle pasticche e per salire sul palco me ne servono delle altre".
Si sprecano i tristi aneddoti delle sue sfuriate, di attacchi violenti contro pubblico e musicisti, le botte alla figlia, bizzarrie di ogni tipo (spesso molto pericolose per sé e per gli altri) e di momenti di totale rovina economica.
Celebre, nella sua drammaticità e teatralità, il concerto del 3 novembre del 1969 al Teatro Sistina a Roma a cui assisteva una fan d'eccezione, Anna Magnani.
Il teatro era semi vuoto e Anna continuava a voltarsi con ansia verso la porta di ingresso, sperando nell'arrivo di un po' di pubblico all'ultimo momento.
Ma non successe.
Quando Nina Simone entrò sul palco, esclamò con palese irritazione : “Ringrazio i pochi di voi che sono venuti qui stasera. Ignoravo che Roma trattasse così gli artisti. Voglio che sappiate che, se mai tornassi a Roma, lo farei solo dopo che ogni singolo posto sia stato venduto.”
Anna Magnani, nell'imbarazzo generale, si alzò in piedi di scatto e, alzando il pugno, urlò “Nina, hai ragione! Vergogna, vergogna, vergogna. Facciamo un applauso a questa grande artista, come se in ognuno di noi ci fossero dieci persone!”.
Nina Simone ringraziò il gesto della Magnani eseguendo per lei una versione di “Wild is the wind”, brano incluso nella colonna sonora dell'omonimo film di Goerges Cukor, candidato agli Oscar nel 1957 di cui Anna era protagonista con Anthony Quinn.
Il suo declino psico fisico e artistico sarà causa di continui alti e bassi, tra concerti annullati e altri portati avanti a fatica e particolarmente deludenti, spesso di fronte a pochissime persone come ad esempio a Parigi, dove si esibiva in un caffè ogni giorno per pochi spiccioli.
Nel 1987, il suo brano “My baby just cares for me” sarà usato per una pubblicità di “Chanel”, riportandola in classifica e ridandole notorietà e dignità artistica. Anche sul palco troverà una nuova dimensione più allegra e colloquiale con il pubblico.
Continuerà a spostarsi in Europa, stabilendosi alla fine in Francia.
Pubblica la sua autobiografia nel 1992 e muore, uccisa da un cancro nel 2003, diventando un'icona della musica mondiale in assoluto.
DISCOGRAFIA CONSIGLIATA
Una discografia tormentata quanto la sua vita, tra album originali, una lunga serie di raccolte e registrazioni dal vivo, tra cui non è facile districarsi.
Per assaporare i brani di maggior successo non è difficile trovare una raccolta del suo meglio.
Per approfondire il personaggio e l'artista, “Pastel blues”, del 1965, è uno dei più rappresentativi del primo periodo, a metà tra l'intrattenimento, il blues e il politico.
Elegantissimo, con l'orchestra ad accompagnarla “High priestess of soul” del 1967.
Per assaporarne la crudezza e l'immediatezza dal vivo c'è “Nuff said” del 1968, intriso di blues e cattiveria. Consigliati anche “Wild is the wind” e un poco considerato “Fodder on my wings” del 1982 in un periodo di turbolenza psichica e personale. Due libri sono un perfetto compendio alla conoscenza di Nina Simone.
L'agile biografia “Nina Simone.
Il piano, la voce e l'orgoglio nero”, di Gianni Del Savio, uscita da poco per Volo Libero e il classico “Nina Simone. Una vita” di David Brun Lambert. Per chi ha praticità con l'inglese molto interessante la sua autobiografia “I put a spell on you”.
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Una delle artiste più dotate ed incredibili che abbiano calpestato questa terra.
RispondiEliminaHai già detto tutto Boss.. aggiungo una cover della sua devasante Sinnerman ad opera di una grandissima band italiana (Boss ma la versione del LP dove si trova vinile a parte?)
RispondiEliminaC
https://www.youtube.com/watch?v=Lg7c9mpYFqw
Anonimo delle 1242
RispondiEliminaInteressante è anche il video che si trova su Youtube del concerto al harlem cultural festival
Come ebbe a dire Joe Strummer una volta durante il suo show radiofonico Let Nina Simone rules the world
RispondiEliminaCharlie