giovedì, marzo 31, 2022
Marzo 2022. Il meglio del mese
A un quarto dell'anno buone cose con gli album di Graham Day, Miles Kane, Hoodoo Gurus, Yard Act, Elvis Costello, JP Bimeni and the Black Belts, Shirley davis and the Silverbcaks, Dedicated Men of Zion, Electric Stars, St.Paul and the Broken Bones, Abiodun Oyewole e Diasonics
Mentre tra gli italiani Bebaloncar, Temporary Lie-Cesare Malfatti e Georgeanne Kalweit, Organ Squad, Dear, Bebaloncar, White Seed, Tin Woodman, Alternative Station, Massimo Zamboni, Dear, Agape e Path
GRAHAM DAY - Master of none
Decine di album e di esperienze alle spalle per quaranta anni sulla scena.
The Prisoners, Planet, Solarflares, Graham Day and The Forefathers, The Gaolers The Mighty Caesars, The Buff Medways, Senior Service.
GRAHAM DAY rimane uno dei migliori songwriters inglesi, da sempre in disparte, dispensa a suo piacimento perle di rara bellezza.
Per la prima volta lo fa da solista, suonando tutto, dalla chitarra al basso, Hammond, percussioni, sitar.
I brani, concepiti originariamente per il nuovo dei Gaolers sono stati completati durante il lockdown e vedono la luce ora in un tripudio di garage beat, ruvido rhythm and blues, Kinks, Who, Pretty Things, Small Faces, melodie beatlesiane ovvero l'anima che fece grandi i Prisoners.
Dodici brani nel classico, unico, inimitabile stile Graham Day.
Semplicemente super!!!
HOODOO GURUS - Chariot of the gods
Mancavano da 12 anni ma l'attesa è ripagata da un formidabile album di rock n roll/beat nella migliore tradizione della band australiana. Ci sono ispirazione, energia, tiro, grandi canzoni e melodie, attitudine da vendere.
Super.
SHIRLEY DAVIS ANd the SILVERBACKS - Keep on keepin on Accompagnata dalla band spagnola dei Silverbacks la grande voce americana sforna un eccellente album di vintage soul funk, perfettamente suonato e dal sound fresco e moderno, nonostante i riferimenti classici.
Stupende le canzoni, arrangiamenti eleganti e raffinati, un vero gioiello old style.
DEDICATED MEN OF ZION - The Devil Don't Like It
Spettacolare album che unisce voci e armonie gospel a rhythm and blues e funk. Un sound molto crudo e ruvido, condito da una maestrìa esecutiva raffinatissima.
BOO RADLEYS - Keep on with falling
Torna dopo 24 anni dall'ultimo album una delle band più sottovalutate del Brit Pop che con "Wake upBoo!", nel 1995, ebbe un attimo di popolarità per poi tornare a vagare nel sottobosco, lasciando comunque sei album dignitosi. Il nuovo lavoro li vede privi del leader e pricipale compositore Martin Carr e si sente...comunque un discreto lavoro ricco di melodie alla Beach Boys, il buon vecchio Brit Pop, buone canzoniche li porta a una piena sufficienza.
JUDI JACKSON - Grace
Molto bello questo esordio per la vocalist americana. Produzione di Tommaso Colliva (membro dei Calibro 35 e dietro a buona parte della discografia degli Afterhours ma anche con Muse, Franz Ferdinand e decine di altri), arrangiamenti orchestrali di Davide Rossi (ex Statuto e ora con i Coldplay), band di pura eccellenza.
Voce superba, sound che abbraccia buona parte dello scibile "black" (funk, soul, hip hop soul, rhythm and blues, pop, disco, jazz, crooning). Un album da assaporare con attenzione.
ORGAN SQUAD - One
Esordio con il botto! Sei brani potentissimi che attingono dalla tradizione mod beat, quella che va dai Creeps ai Prisoners, in cui a un sound di ispirazione 60's si affianca un Hammond arrembante alla Brian Auger, chitarre e melodie power pop e una ritmica compatta e precisa. E con canzoni di primissima qualità compositiva.
Un gioiello.
Per ordinarlo: organsquad@gmail.com
https://www.facebook.com/organsquad.garagebeat
BEBALONCAR - Suicide lovers
Scanna è un personaggio che da lungo tempo calca i palchi della scena musicale italiana (dagli Ugly Things ai Primeteens, Sciacalli, Bohemians, Pamela Tiffins oltre ad essere protagonista di numerose altre iniziative nell'ambito della scena di derivazione Sixties italiana). Il nuovo progetto lo coglie ispiratissimo alle prese con un sound tenebroso che abbraccia psichedelia, retaggi beat, shoegaze, Velvet Underground (e di riflesso i Jesus and Mary Chain meno abrasivi) , folk psichedelico.
Un gioiello che riflette luci opache che conquistano al primo ascolto.
A TEMPORARY LIE with GEORGEANNE KALWEIT - s/t
Un album di grande fascino, dolcemente decadente (nell'accezione che si usava per nomi come Roxy Music o Japan, al cui mood e approccio estetico il disco si avvicina). Canzoni perfettamente equilibrate, avvolgenti, sinuose, con un tocco blues in sottofondo. Cesare Malfatti (LA CRUS - THE DINING ROOMS) e Georgeanne Kalweit (DELTA V - THE KALWEIT PROJECT) sono affiancati da una lista di collaboratori di grande livello e soprattutto gusto, come Fabio Rondanini (CALIBRO 35, AFTERHOURS, SILVESTRI) alla batteria, Roberto Dell’Era (AFTERHOURS, THE WINSTON) al basso e Raffaele ”Rabbo” Scogna (DIODATO, NIC CESTER, SELTON) alle tastiere. Gli otto brani sono semplicemente uno più bello dell'altro e questo album entra prepotentemente tra le migliori uscite dell'anno.
BUZZARD BUZZARD BUZZARD - Backhand Deals
Buon esordio per la band gallese che si lascia avvolgere dagli anni 70 di Queen, TRex, Wings, Fleetwood Mac, divertendo con brani frizzanti e saltellanti.
BODEGA - Broken equipment
La band new yorkese torna con un album in cui combina punk rock (dalle parti dei Buzzcocks), power pop, post punk, chitarre scarne, brani semplici e diretti. Molto piacevoli.
LOOP - Sonancy
La band inglese mancava dallo studio di registrazione da 30 anni. Nel 2013 la reunion che solo ora si concretizza in un un nuovo lavoro discografico con un sound che rimane acido, percussivo (quasi tribale), brani ipnotici. Entrano a gamba tesa nella nuova scena post punk, riuscendo a dire ancora qualcosa di originale e personale, con un piglio solenne e autorevole.
ABORTED TORTOISE - A Album
Punk rock tirato che sconfina talvolta nel primo hardcore per la band australiana. Niente di eclatante ma un ascolto lo merita.
THE SUTTLES - Stories
La band parigina torna al '77. Punk rock serrato e minimale, diretto, distorto, abrasivo tra Sham 69 e Buzzcocks. Efficace, potente, perfetto.
COCONUT PLANTERS - Upset Hopes
Potentissimo esordio a base della classica miscela Epitaph (dalle parti dei Bad Religion) di tiratissimo, frenetico, anfetaminico hardcore melodico. Suonato benissimo e con suoni che rasentano la perfezione. Dodici brani ai cento all'ora con un solo intermezzo reggae e ballata conclusiva a rallentare la corsa.
Un grande lavoro!
BINKER AND MOSES - Feeding the machine
Spiritual jazz, elettronica, sperimentazione, funk estremo.
Un connubio di fruizione estremamente difficile e poco malleabile ma di grande interesse. Solo per "iniziati".
LADY WRAY - Piece of me
Secondo album di buon soft soul con pennellate RnB, gospel e un'anima hip hop in sottofondo mai invasiva. Grande voce e buoni arrangiamenti.
KENDRA MORRIS - Nine lives
Quarto album per la cantante New Yorkese, a 10 anni dall'esordio. Si viaggia sui binari di un funk soul intriso di pop, con qualche sguardo alla migliore disco e venature blues.
Sound fascinoso che merita un ascolto.
STEREOPHONICS - Oochya!
La band gallese riprende brani rimasti nel cassetto e mai incisi. Si americanizza e parecchio spostandosi verso un sound tra Springsteen, Tom Petty e Pearl Jam che li snatura e rende anonimi. Un brutto disco.
THE SUNCHARMS - Distant lights
Affascinante jingle jangle sound da Chicago, dove alle suggestioni Sixties si aggiungono un gusto shoegaze, dream pop e Brit Pop. Ad avvolgere il tutto il mantello protettivo dei Velvet Underground che rendono meno leziosi e più minacciosi l'approccio e l'attitudine sonora. Intrigante e psichedelico.
https://sundayrecords.bandcamp.com/album/distant-lights
ROBERTO ANGELINI e RODRIGO D’ERASMO - Songs in a conversation
Un sentito omaggio a Nick Drake a 50 anni dall’uscita del suo ultimo lavoro discografico Pink Moon, al fine di tramandarne e far conoscere ai giovani musicisti la sua eredità artistica e poetica. Intento perfettamente riuscito, grazie a un approccio attuale e moderno che, nel contempo, conserva le peculiarità espressive e compositive del grande cantautore inglese. Arrangiamenti eleganti, esecuzione magistrale da due navigati musicisti del panorama nostrano. Un bel disco.
ARPIONI - Les jeux sount faites
Torna la ska band bergamasca a 15 anni dal precedente album. Circondati da un nutrito stuolo di ospiti, tra cui Daniele Coccia Paifelman (Il muro del canto), Elio Biffi (Pinguini tattici nucleari), Picchio (Banda Bassotti), Dr. Ring Ring e Andrea Mei, inanellano dodici brani travolgenti che oltre ai classici ritmi in levare spaziano in suoni latini, nella canzone d'autore e folk italiana, il tutto condito da sapori soul. Uno splendido ritorno.
MASSIMILIANO GALLO e JULITHA RYAN - Diamond sky
Scritto e registrato nel 2017 tra il Cilento e la Calabria, durante un tour della cantautrice australiana, composto dal polistrumentista Massimiliano Gallo, riportato alla luce da Dugald Jayes e masterizzato da Hugo Race, "Diamond sky" è un album con 5 lunghi brani, dalle atmosfere sospese, oscure, dolenti, malinconiche. Lo sguardo è alla poetica sonora e lirica di nomi tutelari come Nick Cave o Mark Lanegan, con un'anima blues e PJ Harvey dietro l'angolo. Affascinante e conturbante.
PALE DAWN - Opera omnia
Brillante meteora del panorama neo sixties italiano degli anni 80, costola uscita dalla scissione dei Technicolour Dream, i romani Pale Dawn vissero una breve vita artistica che culminò in un 45 giri per la High Rise di Federico Guglielmi, nel 1987. Poi una serie di nuovi tentativi discografici, purtroppo finiti malamente. Rimasto un nutrito bagaglio di incisioni inedite giunge una benvenuta ristampa di tutto quanto è stato prodotto, inclusi nove demo tape di ottima fattura e qualità. Il sound, molto originale e personale, si sposta da umori freakbeat ad atmosfere psichedeliche di gusto quasi proto prog. Ristampa essenziale per i cultori del genere.
SPIRALE - Spirale
Preziosa ristampa di un album oscuro del 1975, tra jazz, fusion, prog (a tratti vicino ai Colosseum), con musicisti poi assurti a gloria in ambito jazz (vedi il batterista Giampaolo Ascolese o il saxofonista Giancarlo Maurino). Come spesso accadeva all'epoca la tecnica è pazzesca e l'apertura mentale e artistica incredibile.
MAGIC JUKEBOX - Crazy trip
La band veneta si avvale di musicisti dalla lunga esperienza e con le radici nella prima scena punk italiana, a cavallo tra gli anni 70 e 80. E da quei semi trae linfa vitale per un album in cui confluiscono l'attitudine iconoclasta del punk rock 77, un gusto Crampsiano (vedi la spettrale cover di "Tainted love" di Gloria Jones), rock 'n' roll scarno e distorto, proto punk e post punk. Molto originali e coinvolgenti.
LE MUFFE - Down down down
Al terzo album la band bergamasca conferma tutta la sua verve iconoclasta con 10 nuovi brani all'insegna di un garage punk insolitamente senza chitarra ma che non perde un briciolo di potenza ed efficacia.
Vicini a riusciti esperimenti come Screamers e Archie and the Bunkers, tiratissimi, a tratti quasi Crampsiani. Ottimo lavoro!
THE BLOKES - Same old stories
La band romana si esprime con un linguaggio semplice e diretto. Street punk tra Exploited, Cockney Rejects,Cocksparrer, Infa Riot, sound arrembante, ritmiche serrate, chitarre potenti, voce roboante, testi stradaioli. Una summa perfetta che non fa progionieri. Un album fresco e devastante. Finalmente!
AA.VV. - All Turned On! Motown Instrumentals 1960-1972
Godibilissima compilation con 24 brani strumentali targati Motown. Da Stevie Wonder ai Funk Brothers, i San Remo String Orchestra, i Crusaders è puro divertimento e qual che tonnellata di groove.
ASCOLTATO ANCHE
KING HANNAH (duo inglese, folk blues acustico dal taglio psych. Interessanti), MARY J.BLIGE (elegante hip hop soul, produzione top, grande voce, gradevole), THE MYSTERINES (alt rock/shoegaze da Liverpool, un po' troppo greve e dark), KAINA (sweet nu soul da Chicago, buono), BAMBARA (post punk darkeggiante dagli Usa, trascurabile), JAZZ DEFENDERS (discreto album jazz soul).
LETTO
JOHN LURIE - The history of bones
Un'autobiografia che rivela un personaggio incredibile, passato in mezzo ad avventure di ogni genere, sia artistiche (dai Lounge Lizards all'attività di attore con Benigni, Scorsese, Tom Waits etc) che umane e personali (dipendenze varie, la vita nella New York devastata e violentissima dei 70).
Poi la malattia e il forzato stop musicale, la pittura e tanto altro.
John ha un auto ironia incredibile, con la quale ci fa uscire ridendo da situazioni drammatiche e disperate, da tour e concerti non pagati, da storie di "roba", nottate estreme all'ennesima potenza, disastri sentimentali, violenza e tanto altro.
Si toglie un po' di sassolini dalle scarpe rimettendo in riga mostri sacri come David Byrne, Jim Jarmusch o Tom Waits che non ne escono troppo bene e scrive un libro da consegnare al top dele autobiografie musicali.
FEDERICO GUGLIELMI - Be my guru
Come sempre la penna di Guglielmi ci consegna un libro esaustivo, completo, competente (un pregio necessario quando si tratta un genere o la storia di un gruppo), sull'ambito relativo agli anni 80 e 90 del Rock Australiano, quelli in cui la scena diede il meglio di sé.
Mettendo insieme le numerose recensioni che dedicò, in tempo reale, ai dischi e alle band, uno sguardo alla vicina Nuova Zelanda, discografie dettagliate, interviste ai protagonisti e tante altre notizie e curiosità. Da Birthday Party a Hoodoo Gurus, Celibate Rifles, Lime Spiders, Chills, Hard-Ons etc etc, l'essenziale c'è tutto!
MATTIA DOSSI - Educazione Skinhead
Esilarante, talvolta in maniera travolgente (vedi l'episodio "Jimmy"), serie di tavole dedicate alle disavventure alcoliche, concertistiche, sentimentali, rissaiole di uno skinhead (che, pare, assomigli molto all'autore, attivo da tempo nella scena).
Artisticamente vicino al tratto di Zerocalcare ma molto personale.
Libretto preziosissimo e pressochè unico.
"L'arte prodotta dagli skinhead non ha ancora ricevuto gli approfondimenti che merita, come invece è avvenutoper quella nata negli ambienti contigui, a partire dalla scena punk".
(Flavio Frezza - Crombie Media)
NICK HORNBY - Tutta un'altra musica
Romanzo minore ma ugualmente azzeccato per l'autore di gioielli (irripetuti) come "Alta fedeltà" e "Febbre a 90".
L'ossessione per un musicista scomparso dalla circolazione è il pretsto per distruggere una relazione che durava da quindici anni.
Ma un colpo di scena gustoso e inaspettato (e geniale) spariglia le carte e indirizza il racconto in una direzione imprevedibile.
Taglio divertente e divertito ma molto amaro (quasi disperato, a tratti) e malinconico.
In mezzo le idiosincrasie di "noi" malati di musica e una dotta citazione al mondo Northern Soul.
Molto gradevole e leggero.
VARI - The Cure. Tutti gli album
Piacciano o meno i CURE rappresentano uno dei gruppi più significativi e importanti usciti dalla scena degli anni Ottanta.
Tanti album di primaria importanza, altri meno riusciti ma una personalità unica e un suono distintivo che ha creato un vero e proprio genere/filone.
Federico Guglielmi è il curatore di questo testo (già uscito come speciale di "Classic Rock") in cui sonoraccolte recensioni, interviste, dichiarazioni, aneddoti, curiosità sulla band di Robert Smith.
Oltre a Guglielmi firmano i pezzi Eddy Cilia,Beppe Badino, Giancarlo Turra, Michele Benetello, Piergiorgio Brunelli, Marco Zatterin, Alessandro Andolina, Carlo Villa.
La discografia della band è accuratamente vagliata, album dopo album, l'apparato iconografico stupendo con foto classiche ma soprattutto rare e inusuali.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Nel sito www.goodmorninggenova.org curo settimanalmente una rubrica di calcio "minore".
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
E' uscito il nuovo album dei NOT MOVING LTD "Love Beat" per Area Pirata con otto inediti e una cover
Si trova nei negozi, ai nostri concerti e qui:
http://www.areapirata.com/dettaglio.php?cod=5490
E' uscito in tutte le librerie il libro "Soul. La musica dell'anima" per Diarkos.
Qui i dettagli: https://tonyface.blogspot.com/2022/01/antonio-bacciocchi-soul-la-musica.html
mercoledì, marzo 30, 2022
The Bird is back. La rivoluzione di Gil Scott-Heron e L'Avvoltoio
La vita, le parole la musica, l'attitudine, la visione socio politica e ideologica di GIL SCOTT HERON mi hanno insegnato tanto e continuano a farlo.
Da lungo tempo ne studio l'opera artistica, musicale, letteraria, umana.
A simbolica "chiusura di un cerchio", l'emozionante opportunità di "insegnarne" qualcosa in quella che è la base di una buona società: la scuola, un'università addirittura. Felice e orgoglioso di poterlo fare.
"Gil insegna"
Giovedì 31 marzo, alle ore 10.00, presso l'Aula delle lauree "Gabriele De Rosa" (edificio D2) del campus di Fisciano (Salerno) si terrà la lezione-spettacolo dal titolo "THE BIRD IS BACK. La rivoluzione di Gil Scott-Heron e L'Avvoltoio".
Partendo da L'Avvoltoio, il primo romanzo di Gil Scott-Heron pubblicato nel 1970 e tradotto per la prima volta in italiano nel 2021, la lezione-spettacolo sarà dedicata alla figura di questo artista straordinario, che con lucidità, irriverenza e ironia è stato il pioniere della spoken word, una pratica di oralità antesignana del rap, facendosi cantore delle parole della strada, dei diritti negati ai neri e delle loro lotte, anche e soprattutto quelle con gli abissi più profondi e oscuri dell'animo umano, tematiche tornate prepotentemente alla ribalta con il movimento Black Lives Matter.
L'attore Andrea Avagliano sarà la voce italiana di Gil Scott-Heron in dialogo con Antonio "Tony Face" Bacciocchi (musicista, scrittore e blogger), Simone Luciani (editore e giornalista) e Alfonso Amendola (DiSPS).
L'evento è a cura della prof. Paola Attolino (DiSPS), traduttrice e curatrice de L'Avvoltoio.
Colgo l'occasione per ringraziare Claudio Fucci che nel 2012, da buon visionario abbracciò con entusiasmo la mia "visione" di pubblicare un libro su Gil Scott Heron.
Uscì "The Bluesologist" per la sua Volo Libero Edizioni, ristampato e ampliato nel 2018 con il titolo di "Gil Scott Heron. Il Bob Dylan nero".
martedì, marzo 29, 2022
Bob Dylan e i Beatles a New York
Prosegue la rubrica TALES FROM NEW YORK.
L'amico WHITE SEED è da tempo residente nella Big Apple e ci delizierà con una serie di brevi reportage su quanto accade in ambito sociale, musicale, "underground", da quelle parti, allegando sue foto.
Le precedenti puntate sono qui:
Negozi di dischi:
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/negozi-di-dischi-new-york-rebel-rouser.html
Marijuana a New York:
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/marijuana-new-york.html
I locali di New York:
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/i-locali-di-new-york.html
New York for Free
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/new-york-for-free.html
Sid Vicious a new York
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/sid-vicious-new-york.html
Topi a New York
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/topi-new-york.html
Fentanyl
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/fentanyl.html
Strumenti musicali
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/negozi-di-strumenti-musicali-new-york.html
Electric Lady Studios
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/electric-lady-studios.html
Little Italy
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/little-italy.html
I gruppi italiani più conosciuti a New York
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/gruppi-italiani-new-york-manges.html
Il 28 agosto 1964 Bob Dylan incontrò per la prima volta i Beatles al Delmonico Hotel (502 Park Avenue) nella loro suite al sesto piano dove gli introdusse alla marijuana.
Bob Dylan accompagnato dal giornalista Al Aronowitz e il suo road manager Victor Maymudes incontra i Fab Four in compagnia del loro manager Brian Epstein.
George e John avevano già fumato erba ma pare roba scadente, mentre quella offerta da Dylan era super.
Bob Dylan incredulo che i Beatles non avessero mai fumato erba chiese di quella canzone sullo sballo "I Want to Hold Your Hand" in cui aveva inteso nel ritornello la frase "I can't high" ma un Lennon imbarazzato fece notare che si era frainteso ammettendo che la parola usata era "Hide".
Durante i due giorni di permanenza dei Beatles al Delmonico Hotel arrivarono 200.000 chiamate al centralino, i fan intorno all'edificio venivano trattenuti da barricate mentre l'atrio e i corridoi dell'hotel furono pattugliate dalla polizzia.
L'edificio costruito nel 1929 ha cambiato diversi nomi: Viceroy Hotel, Cromwell Hotel e trasformato da hotel in appartamenti residenziali nel 1974.
Nel 2001 è stato acquistato da quel coglione di Donald Trump cambiando il nome in Trump Park Avenue.
lunedì, marzo 28, 2022
Rock australiano
Riprendo l'articolo scritto per Il Manifesto di sabato scorso, dedicato al Rock Australiani degli anni 80.
Il cosiddetto “rock australiano” ha sempre costituito una sorta di anomalia nel panorama mondiale.
Figlio diretto delle matrici anglosassoni, raramente “contaminato” da influenze autoctone, è riuscito però sempre a crearsi una propria identità, distintiva, originale, spesso riconoscibile.
Se Nick Cave ne ha rappresentato, prima con i Birthday Party poi con i Bad Seeds e in chiave solista, l'espressione artristica più nota, riuscendo a bucare anche la bolla underground, se altri nomi hanno conquistato le classifiche (dai Bee Gees agli Easybeats, inglesi ma trasferitisi in Australia nell'adolescenza, agli INXS e Midnight Oil), se gli AC/DC sono riusciti a creare una vera e propria leggenda, è rimasto un vastissimo sottobosco di nomi interessantissimi che hanno lasciato veri e propri capolavori.
Stiamo parlando di quelle band che mischiarono pop, punk, rock 'n' roll, garage, beat e tanto altro con un gusto particolare, a cui si univa la fascinazione per qualcosa di esotico ma che tutto sommato era riconducibile agli stilemi più classici della musica rock.
Federico Guglielmi, storico giornalista musicale, il cui curriculum potrebbe riempire facilmente una pagina, tra riviste, libri, conduzioni radiofoniche, produzioni musicali, pubblica per Crac Edizioni “Be my guru” un libro esaustivo e completo sull'Australia rock, relativo agli anni 80 e 90, quelli in cui la scena diede il meglio di sé.
Mettendo insieme le numerose recensioni che dedicò, in tempo reale, ai dischi e alle band, uno sguardo alla vicina Nuova Zelanda, discografie dettagliate, interviste ai protagonisti e tante altre notizie e curiosità.
Partendo dalle radici, il rock australiano, negli anni Sessanta, subisce l'immediata fascinazione della British Invasion, grazie ai soliti Beatles, soprattutto nel caso di Easybeats e Bee Gees.
Ma è presente anche un'affollata scena mod che si evolverà in una sottocultura autoctona, quella degli Sharpies, che unirà, agli inizi degli anni 70, influenze mod, skinhead, glam. Divisi in gang, erano spesso inclini alla rissa e alla violenza e nelle zone costiere acerrimi nemici di hippies e surfers. Il successo mondiale degli AC/DC, tra la metà e la fine degli anni Settanta (“Highway to hell” è del 1979) coincide con l'arrivo del punk e della new wave anche da quelle parti. Curioso che l'Australia abbia prodotto quelli che possiamo ritenere tra le prime punk band al mondo.
Il favoloso 45 giri “I'm stranded” (“singolo della settimana e di tutte le settimane” lo definì la rivista “Sounds”) dei Saints esce già nel 1976 mentre i Radio Birdman (con i membri successivamente protagonisti di mille altre avventure sonore di una certa rilevanza, dai New Christs agli Hitmen alla carriera di Deniz Tek), già attivi da anni, arrivano su vinile nel 1977, anticipando o comunque affiancando l'esplosione della scena punk nel mondo.
Il loro esempio e la sempre maggiore diffusione mediatica del fenomeno apre le porte all'attività di decine di band, tra cui i Boys Next Door del giovane Nick Cave.
E' negli anni Ottanta che la scena si affina, le band prendono dimestichezza con la propria personalità, gli strumenti, i dischi, che iniziano a piovere copiosi e a rivaleggiare agevolmente, per qualità e contenuti, con “il resto del mondo”. Nomi come Celibate Rifles, Church, Died Pretty, Go-Betweens, soprattutto Hoodoo Gurus, scrivono gioielli di grandissimo valore, palesando un eclettismo e un'originalità comune a pochi.
C'è chi è più vicino al punk, chi direttamente influenzato dagli anni Sessanta del garage, chi indulge verso viaggi psichedelici, chi invece guarda alla new wave.
Il segreto lo svela forse Dave Faulkner degli Hoodoo Gurus in un'intervista degli anni 80:
“In Australia le band tendono a essere più semplici e dirette, senza esasperate ricerche della tecnica: credo che questo sia la logica conseguenza del suonare spessissimo in piccoli club dove il pubblico - che magari è pure ubriaco - vuole spontaneità, e se ti vede un tantino presuntuoso è anche capace di tirarti qualcosa addosso”.
Il numero di membri della scena australiana lievita esponezialmente nel giro di poco tempo. Escono i formidabili Lime Spiders, i Triffids, gli innamorati dei profondi anni Sessanta come Stems e Moffs, i Lizard Train.
E poi un'altra serie di band più pop e meno aggressive come i Sunnyboys o i Vindaloonies.
L'altro aspetto che ha caratterizzato la scena di Oz è stata una lista di gruppi che ha incarnato alla perfezione l'anima più oscura ma in modo originale e particolare, accorpando il blues più diabolico con un'attitudine dark e malefica.
Detto dei Birthday Party, i grandi Beasts of Bourbon e i Scientists misero piede ai loro fuzz, scarnificarono e distorsero il blues più minimale, aggiunsero un rantolo punk, una buona dose di aiuti chimici e alcolici e infiammarono palchi e dischi con un sound che rimane tutt'ora tra i più conturbanti e inquietanti mai sentiti.
Non dimenticando i seppur meno incisivi Harem Scarem, comunque degni di nota e plauso e i primi figli della lezione di Nick Cave, i Crime & the City Solution.
Hard Ons e Cosmic Psychos guidano invece la componente punk della scena, in modo sguaiato, volgare e violento.
Non lasceranno capolavori ma un segno indelebile in chi privilegia certi suoni e modalità di comportamento sociale, non consoni alla reciproca convivenza.
Sottolinea a questo punto Guglielmi nel libro: “A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, l’emersione di tendenze più o meno nuove come grunge, noise, shoegaze, crossover e Madchester ebbe tra i suoi tanti effetti un deciso calo di interesse verso le proposte australiane da parte del pubblico più addentro all’underground.
Anche laggiù, come del resto in tutto il mondo, le cose stavano cambiando: psichedelia, recupero dei Sixties e punk’n’roll avevano stancato molti, un buon numero di band “storiche” si scioglievano o si convertivano a stili più “vendibili” e quelle che rimanevano fedeli alla linea originaria accusavano spesso involuzioni qualitative”.
La scena rock australiana ovviamente prosegue e continua a dare buone indicazioni.
Alcuni nomi storici tornano in pista, come gli Hoodoo Gurus, autori recentemente di un album spettacolare come “Chariot of the Gods”, dove ritrovano l'antica verve dopo dodici anni di silenzio con quattordici nuovi brani di rara energia e intensità, sempre a base di rock 'n' roll ammantato di armonie Sixties. Ma la magìa e la freschezza di quegli anni sembra ormai cristallizata in un periodo d'oro difficile da fare rivivere.
Un'appendice è necessaria per andare a fare visita nella vicina Nuova Zelanda, ancora più oscura e lontana, dove però non sono mancati nomi di pregio e grande interesse.
A partire dai Chills, band storica, passata attraverso lunghe peripezie e protagonista di un sound con molte affinità al concetto di psichedelia. Ma anche i folli Tall Dwarfs, i ruvidi Reptiles at Dawn, i variegati Verlaines.
Addentrarsi in questi vicoli rock 'n' roll sarà motivo di grande soddisfazione per chi ancora non ne ha assaporato il gusto unico e riserverà gradevolissime e inaspettate sorprese.
Per una veloce propedeutica, di seguito un breve elenco di una decina di titoli da cui partire: “(I'm) stranded” dei Saints, “Prayers on fire” dei Birthday Party, “Free dirt” dei Died Pretty, “Before Hollywood” dei Go Betweens, “Stoneage Romeos” degli Hoodoo Gurus, “The axeman's jazz” dei Beasts of Bourbon, “The cave comes alive!” dei Lime Spiders, “Radios appear” dei Radio Birdman, “Distemper” dei New Christs, “Roman Beach party” dei Celibate Rifles.
domenica, marzo 27, 2022
Vari - The Cure. Tutti gli album
Piacciano o meno i CURE rappresentano uno dei gruppi più significativi e importanti usciti dalla scena degli anni Ottanta.
Tanti album di primaria importanza, altri meno riusciti ma una personalità unica e un suono distintivo che ha creato un vero e proprio genere/filone.
Federico Guglielmi è il curatore di questo testo (già uscito come speciale di "Classic Rock") in cui sonoraccolte recensioni, interviste, dichiarazioni, aneddoti, curiosità sulla band di Robert Smith.
Oltre a Guglielmi firmano i pezzi Eddy Cilia,Beppe Badino, Giancarlo Turra, Michele Benetello, Piergiorgio Brunelli, Marco Zatterin, Alessandro Andolina, Carlo Villa.
La discografia della band è accuratamente vagliata, album dopo album, l'apparato iconografico stupendo con foto classiche ma soprattutto rare e inusuali.
Federico Guglielmi
The Cure. Tutti gli album
Il Castello Editore
208 pagine
29 euro
sabato, marzo 26, 2022
Not Moving LTD + Classic Rock
Stasera si riparte con i Not Moving L T D da Milano, per promuovere il nuovo album "Love beat".
Stavolta al nostro fianco i The Brightest Room.
C.I.Q.
via Fabio Massimo 18
Milano
M3 Porto di Mare a 100 metri (c'e' l'uscita che vi porta comodamente al CIQ!).
https://www.facebook.com/events/510490263976397/
Tante cose nel nuovo numero di CLASSIC ROCK.
Disserto con Guglielmi sulla diatriba se ci sia troppa musica in giro.
Per quanto mi riguarda, più ne abbiamo e meglio è.
Soprattutto se ci affidiamo ai tanto vituperati critici musicali per avere una guida.
Poi recensisco gli album di Hugo Race, Placebo, Widowspeak, Fabio Melis, Irma Thomas.
venerdì, marzo 25, 2022
Not Moving LTD - Love Beat
"Love Beat" è l'esatta rappresentazione di ciò che sono i NOT MOVING LTD, un'entità artistica che fa ovvio riferimento al passato e alle radici ma guarda costantemente in avanti. I nove brani sono frutto di un lungo, combattuto e sincero percorso attraverso tutto quello che possiamo definire ROCK 'n' ROLL.
Niente di più, niente di meno.
Edizione vinile 180 grammi con copertina apribile e digital download code!
Edizione CD in digipack
http://www.areapirata.com/
L'album è nato durante il lockdown con le parti di chitarra di Dome che arrivavano via mail e Lilith scriveva testi e melodie.
In una seconda fase Tony ha aggiunto le batterie in chiave demo e Iride ha composto le sue chitarre.
Alla fine di ottobre 2021 (in concomitanza con il 60° compleanno di Tony) il disco è stato completato, nel giro di tre giorni, presso lo studio di Alessandro Sportelli a Cascina (Pisa).
Alessandro Sportelli:
Le registrazioni si sono protratte per un arco di tempo piuttosto lungo ed il processo non e’ stato affrontato in maniera standard : cosi sono state prima registrate le chitarre di Dome per tracciare un sentiero sicuro con il quale si poteva aggiungere il resto della band – una traccia ritmica di metronomo ci ha fatto da guida per permettere agli strumenti di seguire agevolmente il tempo delle canzoni.
La mancanza di un basso nella band ha favorito l’utilizzo di tecniche di registrazione delle chitarre volte a creare un suono piu’ “grasso”, usando anche amplificatori da basso . Per lo stesso motivo, si e’ fatta con la batteria una ricerca di timbri gravi su grancassa e timpani. Le voci richiamano atmosfere dark blues e la riverberazione delle stesse e’ stata creata con una unita’ eco a nastro di vecchia fattura, con il tipico suono lo-fi delle cose un po’ “marce” che bene si abbina a questa scrittura.<
Lilith:
Nei testi ci sono sempre le due facce, light dark (la nostra compilation che uscì qualche anno fa), black and white (il nostro ep del 1985), up and down (dal ritornello di "Dirty Time"). Non possono esistere senza l'altro. Tutti i pezzi hanno questa impronta
Deep Eyes
Un brano che nasce da una precisa richiesta di Tony a Dome:
"Fammi un brano che sia a metà tra "Jumpin Jack Flash" degli Stones e "Rocks" dei Primal Scream".
Detto, fatto!
Tony: Per suonarlo ho pensato a Topper Headon in "Give em enough rope" in brani come "Stay free" e "Guns on the roof"
The have deep eyes
They have deep eyes
My friends look far ahead
My friends get party together
And I am just like them
Goin For A Ride
Brano giocato a due voci, nella tradizione dei Not Moving degli anni 80.
Goin' for a ride
Yeah she's goin for a ride
To buy cigarettes and wine
Lookin for a place to hide
Down She Goes
La versione di "Spider", nostro brano del 1987, contenuta nel singolo "Lady Wine", ci ha portato verso umori glam, che abbiamo voluto continuare a riproporre in un nuovo brano.
Down and down she goes
I've got the blues and I can't stand it no more
Hold me close and hold me tight
It's a part of this night of night
I've asked the devil for the exit door, for the exit door
You and I can be so free as the bird up in the trees
Dirty Time
Dritto, diretto, compatto. Già provato più volte sul palco, ci sono voluti pochi minuti per registrarlo.
Tony: "Qui ho pensato a "Lust for life" di Iggy in versione hardcore".
Up and down
Lights and light
Purple rain
Dirty time
Love Beat
Dome: Il ritornello riprende compositivamente certe modalità care a Nick Cave e Mark Lanegan in cui la chiusura si allunga di mezza battuta rispetto al prevedibile.
Lilith: Un brano in cui parlo di demoni e oscurità, un tema che ricorre spesso nell'album.
Love Beat when the devil possesses my man
Love Beat when the devil get in in
Love Beat and little rose got nothing to say
Love Beat and made your own way
Love Beat when the devil get it in
Love Beat when the devil is everywhere
Primitive
Dai Groupies ai Cramps la nostra vena primitiva meritava un omaggio.
Don't Give Up
Meno di due minuti di puro e semplice punk rock.
Tony: "L'idea era di riprendere il drumming di Rat Scabies in"Stab your back" dal primo album dei Damned".
When you're sad the saddest of em all
When you're lonely, loniliest of 'em all
When you are the most tired of 'em all
When you're hungry, hungriest of em all
Rubbish Land
Un ballata che omaggia lo spirito di Jeffrey Lee Pierce.
Tony: "Per questo brano ho ascoltato in loop per giorni "Miami" e "Death party" dei Gun Club".
When Israel was in Egypt's land
Let the people go
Oppressed so hard the could not stand
Le the people go
Go down, Moses, way down in Egypt's land
Tell old Pharaoh, let my people go
Red Line
Un breve finale voluto e improvvisato da Lilith, asciutto e teso.
And you dancing around these graves
Don't be surprised at all
The Red Line is the death line
I have never seen it before
You get it then, it's gone again
Hell becomes true love again
CREDITS:
Lilith: vocals
Dome La Muerte: guitar and vocals
Antonio Bacciocchi: drums
Iride Volpi: guitar and backing vocals
Produced by Not Moving LTD and Ale Sportelli
Recorded at Ale Sportelli Recording Studio. Pisa
Cover artwork: Marco Botti
Inside picture: Antonio Viscido
Thanx: Paul Musu, Stefano & Gianfra, Mama Cri.
Dome La Muerte and Iride Volpi play Ufo fuzz empathelectronic and KURO fuzz.
LOVE BEAT TOUR
Presto nuove date e info qui:
https://www.facebook.com/profile.php?id=100051397366697
Sabato 26 marzo: Milano “C.I.Q.”
https://www.facebook.com/events/510490263976397
Venerdì 1 aprile: Pisa “Caracol”
https://www.facebook.com/events/507189164136088
Sabato 2 aprile: La Spezia “Skaletta”
https://www.facebook.com/events/3109248252722182
Venerdì 8 aprile: Torino “Blah Blah”
https://www.facebook.com/events/700892657575054
Sabato 9 aprile: Lonate Ceppino (Varese) “Black Inside”
https://www.facebook.com/events/250642747285185
Venerdì 15 aprile: Roma “Trenta Formiche”
Sabato 16 aprile: Pomigliano d'Arco (Napoli) "First Floor"
Sabato 30 aprile: Fontanafredda (Pordenone) “Astro Club”
Sabato 4 giugno: Bologna “Frida”
Venerdì 1 luglio: Sesto Fiorentino (Firenze) “Limonaia”
giovedì, marzo 24, 2022
Graham Day - Master of None
Decine di album e di esperienze alle spalle per quaranta anni sulla scena.
The Prisoners, Prime Movers, Planet, Solarflares, Graham Day and The Forefathers, The Gaolers The Mighty Caesars, The Buff Medways, Senior Service.
GRAHAM DAY rimane uno dei migliori songwriters inglesi, da sempre in disparte, dispensa a suo piacimento perle di rara bellezza.
Per la prima volta lo fa da solista, suonando tutto, dalla chitarra al basso, Hammond, percussioni, sitar.
I brani, concepiti originariamente per il nuovo dei Gaolers sono stati completati durante il lockdown e vedono la luce ora in un tripudio di garage beat, ruvido rhythm and blues, Kinks, Who, Pretty Things, Small Faces, melodie beatlesiane ovvero l'anima che fece grandi i Prisoners.
Dodici brani nel classico, unico, inimitabile stile Graham Day. Semplicemente super!!!
mercoledì, marzo 23, 2022
Racconti dall'ex Urss - Febbraio 2022
L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.
Le precedenti puntate qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-ucraina-febbraio.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-parte-1.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-ucraina-maggio-2014.html
Febbraio 2022
Il 18 febbraio, rientrato da Mosca, ho una riunione in azienda per un progetto di marketing.
Per qualche minuto parlo della situazione attuale con le mie colleghe.
Hanno la faccia sconvolta.
Guardano i telegiornali italiani e sono terrorizzate dallo scoppio imminente di una guerra.
Le tranquillizzo, senza particolari sforzi, riportando le conversazioni di un paio di giorni prima per cui un conflitto su larga scala è categoricamente escluso da tutti i miei interlocutori.
Non succederà niente, nessuna guerra.
Le colleghe si rasserenano visibilmente.
La sera a cena parlo con la mia compagna.
“Se parto per Kiev tra 10 giorni... saresti preoccupata?”
“Se tu sei tranquillo… io mi fido.”
“Guarda… che ci sia un’invasione e che arrivino a Kiev coi carri armati no… impossibile…
Che ci possa essere un po’ di tensione nel Donbass per cui sospendono voli o collegamenti non è da escludere. Vediamo cosa succede nei prossimi giorni e poi decido.”
Siamo seduti attorno alla penisola bianca e sagomata della nostra cucina, illuminati da una luce calda.
Finiamo di cenare mentre i bambini in soggiorno guardano i cartoni alla tv.
Una famiglia proiettata verso il weekend.
In quegli stessi istanti, nelle Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk vengono evacuati migliaia di anziani, donne e bambini verso la Russia a seguito di violenti scontri ed esplosioni nella regione.
Mosca parla di un’intensificazione dei bombardamenti da parte di Kiev che accusa Il Cremlino di depistaggio.
Dicembre 2021
A dicembre ritorno a Kiev per la prima volta dall’inizio della pandemia.
Prendo un taxi in aeroporto.
L’autista, Gennadij, ha voglia di chiacchierare.
Mi fa i complimenti per il russo, si interessa al mio lavoro.
Rispondo meccanicamente con una serie di frasi che riassumono il mio percorso linguistico e professionale negli ultimi venti anni.
Conosco le mie parole a memoria, mi capita di ripeterle spesso.
Per quanto Gennadij ascolti con attenzione, la recita auto-biografica mi annoia per cui sposto l’attenzione su di lui, faccio la domanda che infallibilmente apre mille portoni e allarga la prospettiva nell’esistenza delle persone, soprattutto nei paesi dell’ex-Urss.
Gli chiedo se è originario di Kiev.
L’Unione Sovietica è stata per molti aspetti un esperimento socio-culturale in cui le etnie, le razze, i credo-religiosi sono stati volutamente mescolati all’interno di tutto il territorio, in particolare attraverso il servizio di leva.
Spesso, parlando con qualcuno, entri a contatto con vite che si sradicano in più paesi, etnie, lingue e culture
. Uno degli autisti che mi porta in giro per Mosca, Rafael, è Azerbaigiano di origine armena e abita in Russia da quarant’anni.
La storia di Gennadij è più lineare ma non meno complessa.
È originario di Lugansk e vive a Kiev dal 2014, anno in cui è iniziata la guerra tra separatisti filo-russi e governo centrale.
A casa sua si occupava di logistica, con lo scoppio delle ostilità si è trovato senza lavoro e a rischio di essere richiamato in uno dei due eserciti, quello filo-russo o quello ucraino.
Si è quindi trasferito nella capitale dove fa il taxista da 7 anni.
Negli ultimi tempi è particolarmente difficile rientrare a casa perché hanno chiuso il confine dalla parte ucraina per cui è costretto a passare per la Russia.
Il tragitto comporta un viaggio in auto di oltre ventiquattro ore e un tempo di attesa imprecisato alla dogana per l’espletazione dei controlli, anche 2 giorni.
Non vede la moglie di persona da quattro anni.
Si sentono via whatsapp e viber.
La figlia, che ha 18 anni, è venuta a trovarlo qualche giorno in estate per ottenere il passaporto ucraino.
Giorni di festa.
A Kiev fa fatica a inserirsi perché lo considerano filo-separatista.
Nella sua città, l’ultima volta che c’è andato, amici e conoscenti erano un po’ diffidenti perché si è trasferito nella capitale del paese che li bombarda.
Ascolto la storia di Gennadij con un certo distacco, stravaccato sul sedile posteriore di una Toyota Camry.
Attivo un filtro emotivo per non farmi coinvolgere nel dramma di questo sconosciuto. Funziona solo in parte.
Non riesco a non pensare all’ultima volta che ha abbracciato sua moglie.
1460 giorni senza toccarsi.
1460 notti e non sussurrare a tua figlia sogni d’oro.
Come cambia un’esistenza in quattro anni?
Febbraio 2022
Il 21 febbraio Vladimir Putin riconosce ufficialmente le repubbliche popolari indipendenti di Lugansk e Donetsk con un discorso in diretta tv.
Parte bene.
“Per la Russia, l’Ucraina non è solo un paese vicino ma una parte integrante della storia, della cultura, della sfera spirituale”
Sottolinea i legami con gli ucraini: “i nostri compagni, i nostri cari in mezzo ai quali non ci sono soltanto colleghi, amici, ex commilitoni ma anche parenti, persone legate a noi da vincoli di sangue, da legami familiari”
Poi il tono si fa più aspro, il discorso si carica di tensione.
Rimprovera ai bolscevichi e a Lenin di aver creato artificialmente (nel 1917) la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina per accontentare i nazionalisti locali.
Parla apertamente di errori commessi da Stalin nell’aver ceduto territori dell’impero russo, della Polonia, della Romania e dell’Ungheria all’Ucraina dopo la seconda guerra mondiale. Ne ha anche per Kruschev che ha inspiegabilmente regalato la Crimea alla RSSU nel 1954.
L’Ucraina contemporanea è stata creata dai comunisti e se volete la decomunistizzazione, cari nazionalisti di Kiev, io vi accontento subito.
Parlando dell’intensificarsi dell’attività militare nel Donbass a scapito dei civili, Putin si dichiara costretto a riconoscere l’indipendenza di queste due repubbliche per fornire supporti militari.
Con la sua retorica secca e tagliente, Vladimir Vladimirovic Putin ritorna indietro di oltre 100 anni, contempla i confini occidentali della Russia zarista mentre alle sue spalle pende la bandiera bianca-rossa-blu con l’aquila bicefala dei Romanov.
Stemma presidenziale dal 1993, in araldica l’aquila con due teste rivolte in direzioni opposte indica l’unione di due imperi, l’occidente e l’oriente, l’Eurasia.
L’indomani, 22 febbraio, leggo le dichiarazioni del presidente russo di prima mattina.
Pufff
La certezza granitica che mi aveva avvolto per mesi si polverizza all’istante.
Telefono a Maksim, uno dei miei referenti di lavoro a Kiev.
“Maks, mi spiace tantissimo ma devo cancellare il viaggio la settimana prossima.
Il nostro ministero degli esteri sconsiglia ogni spostamento. Non vale la pena rischiare”
Maksim è mortificato, quasi si vergognasse.
“Non preoccuparti, ti capisco benissimo.
Qua adesso sono tutti spaventati.
Nel weekend hanno cancellato eventi e concerti con ospiti stranieri. Vediamo di organizzare i training online e poi quando si sistema tutto li facciamo qua di persona”
Chiamo Aleksandr, cliente di Odessa.
Personaggio originale, super complottista, filo-russo e filo-separatista, è sereno “Qua è tutto tranquillo. Lavoriamo, andiamo avanti.
Adesso ci sarà un po’ di tensione per due mesi poi o si mettono d’accordo o ritorniamo a essere parte della Russia”
La mia risata fa eco alla sua.
Il 23 febbraio in Russia, Kirgizistan, Bielorussia e Tadjikistan è un giorno di vacanza.
La festa delle forze armate si celebra dal 1922, in occasione del quarto anniversario della formazione dell’Armata Rossa.
Ufficialmente la ricorrenza è denominata “Giorno del difensore della Patria”, informalmente la data è considerata “Festa dell’uomo”.
Nel pomeriggio incontro un architetto che dovrebbe curare l’ampliamento di casa mia.
Gli spiego la situazione.
L’80% dei miei introiti da libero professionista dipende da Russia e Ucraina.
Non sono lavori essenziali per cui, data la situazione di grande instabilità, concordiamo di prenderci una pausa.
Il 24 febbraio mi sveglio verso le 6.00 per fare ginnastica.
Prima di alzarmi, cazzeggio col telefonino avvolto nel piumone, un occhio socchiuso e l’altro schiacciato sul cuscino.
Apro casualmente la pagina del Corriere e rimango paralizzato dal titolo principale.
“La Russia attacca l’Ucraina. Esplosioni in tutte le principali città, centinaia di morti tra i civili.”
Mi manca il respiro, mi sembra impossibile.
Consulto la pagina di Ria Novosti, agenzia di notizie russa.
Un titolo stringato sintetizza “il presidente Vladimir V. Putin ha dato il via all’operazione militare speciale in Ucraina”
Clicco sul link e ascolto parte della dichiarazione pronunciata in tv nel cuore della notte.
Putin esordisce con la tranquillità lucida e glaciale che lo accompagna nei discorsi pubblici, si rivolge ai russi, il tema riguarda ancora l’Ucraina.
Accenna a quanto avviene nel Donbass per poi allargare il campo, accusa la Nato di essersi inarrestabilmente allargata verso Est nel corso degli ultimi 30 anni fino ad arrivare minacciosamente ai confini della Russia.
Ritorna al crollo dell’Urss, quando la paralisi del potere e della volontà ha portato a degrado e oblio.
“Appena abbiamo perso per qualche momento la fiducia in noi stessi, è crollato tutto. L'equilibrio di potere nel mondo si è infranto.”
Il cambio di scenario avrebbe dovuto tenere conto delle esigenze e ambizioni di tutti i paesi ma chi si è ritenuto vincitore della guerra fredda, spinto dall’euforia e guidato da un basso livello di cultura generale e da spavalderia, ha preso decisioni vantaggiose solo per sé.
La situazione ha cominciato ad evolversi in altro modo.
Non occorre andare lontano per trovare degli esempi, prosegue Putin.
Senza alcuna autorizzazione da parte del consiglio di sicurezza dell’ONU, è stata condotta una sanguinosa operazione militare contro Belgrado, bombardando centri abitati e infrastrutture civili. Poi è venuto il turno di Iraq, Libia e Siria, tutti paesi attaccati illegalmente dall’impero delle bugie, ossia dagli USA e dai paesi satelliti formatisi a loro immagine e somiglianza.
Dopo avere accennato al potenziale militare e atomico della Russia, ritorna all’Ucraina, dove per mano della NATO sono stati organizzati battaglioni neonazisti con lo scopo di punire gli abitanti del Donbass e della Crimea.
Fa riferimento alla richiesta di proliferazione del nucleare avanzata da Zelenskij al Summit sulla Sicurezza del 19 febbraio a Monaco di Baviera.
La Russia non può accettare queste minacce ai suoi confini per cui, conformemente all'articolo 51 della parte 7 della Carta delle Nazioni Unite, “ho preso la decisione di condurre un’operazione militare speciale”.
La calma di Putin cede il posto a livore e disprezzo che ne trasfigurano i lineamenti, gli occhi accesi sul volto gonfio, le labbra tirate.
Per difendere le popolazioni del Donbass, vittime di genocidio compiuto da parte del governo di Kiev, bisogna puntare a smilitarizzare e denazificare l’Ucraina. Esorta i militari rivali ad arrendersi e a ritornare dalle proprie famiglie.
Assicura che la Russia non intende occupare il paese.
Invita gli altri stati a non immischiarsi, altrimenti “la risposta della Russia sarà immediata e porterà a conseguenze che non avete mai visto prima nella vostra storia. Siamo pronti per qualsiasi eventualità”.
Porca puttana, è successo davvero.
Spengo telefono e cervello.
Come tutte le mattine in cui sono in Italia, faccio esercizi ad alta intensità davanti allo specchio, preparo la colazione per i miei figli e li porto a scuola a piedi.
Poi ritorno a casa, metto a posto la cucina e vado al lavoro in auto.
In ufficio, una volta acceso il computer, telefono ai clienti in Ucraina.
Sento per prima Kristina, che cura gli acquisti per il cliente di Charkiv secondo la dicitura ucraina, Kharkov secondo quella russa, che è l’unica che io abbia mai sentito.
Kharkov è un importante centro culturale ed industriale a pochi km dal confine russo, la seconda città come numero di abitanti dopo Kiev.
In Russia è soprannominata la città dei banditi e fino a una decina di anni fa era ritenuta pericolosa, almeno dai miei interlocutori.
Ci sono stato 3 o 4 volte e mi ci sono sempre trovato bene.
La sua cattiva fama è legata ad un gruppo di gangster che dopo la rivoluzione del 1917 hanno seminato terrore in città per qualche mese fino a che l’ordine è stato ripristinato dai bolscevichi grazie all’arte diplomatica del piombo e della polvere da sparo.
Fondata nella metà del XVII secolo da cosacchi ucraini come fortezza anti-tatara, è stata la capitale della Repubblica Sovietica Ucraina fino al 1934, anno in cui ha ceduto il passo a Kiev.
Considerata obiettivo strategico dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, la città è stata teatro di scontri violentissimi in un ping-pong di occupazioni e liberazioni che ne hanno provocato la distruzione nel 1943.
Kharkov ha beneficiato dei fondi elargiti dall’Uefa in occasione degli Europei del 2012, la città ha ottenuto un aeroporto nuovo, strade allargate, alberghi moderni e il restyling di Piazza della Libertà, una delle più ampie d’Europa.
Kristina risponde al primo squillo.
“Siamo stati svegliati stanotte dagli scoppi, erano lontani dalla città ma si sentivano lo stesso e si vedevano i bagliori nella periferia.
Adesso siamo tutti a casa in attesa, speriamo che questa cosa finisca al più presto”
C’è apprensione nella sua voce ma anche un certo sollievo per il fatto che i bombardamenti sono distanti, fuori dal centro abitato.
Le auguro buona fortuna e concordiamo di restare in contatto.
Poi telefono a Maksim a Kiev, non mi risponde.
Gli mando un msg a cui replica poco dopo ripetendo le stesse cose che mi ha detto Kristina.
Sono a casa incollati alla tv ma non danno indicazioni, ci sono code interminabili per uscire dalla città.
Poco dopo mi chiama Vasilij, il mio referente principale presso il distributore russo a Mosca.
Parla con calma, rispondo con lo stesso tono, con una certa ironia gli faccio gli auguri per la festa dell’uomo, informalmente celebrata il giorno prima.
Ricambia, visto che sono un uomo e sono amico della Russia.
Ha appena ricevuto una telefonata da un fornitore italiano, il signor Loris Zonin, di Verona.
Conosco bene Zonin, è lo stereotipo dell’imprenditore del nord-est.
Partito da un garage negli anni ’80, è riuscito a costruire un’azienda di respiro internazionale sulla base di un’approfondita ricerca tecnologica e grazie alla qualità manifatturiera tipica del made in Italy.
Peccato che sia un grezzo.
Incapace di parlare in italiano, si esprime con esplosioni gutturali proiettate ad altissima velocità attraverso le labbra minuscole circondate da un bel faccione gonfio.
La gestione dell’azienda è interamente affidata alla moglie Franca che si occupa di qualsiasi cosa, nonostante abbiano 200 dipendenti.
Risponde al telefono, va in magazzino a impacchettare ordini, interviene su tutto.
Da qualche tempo non permette più al marito di frequentare i paesi dell’Est in solitudine, divieto che lo ha reso visibilmente meno effervescente.
Zonin, nel panico totale, ha chiamato Vasilij esigendo la restituzione immediata dei pagamenti in scadenza, manco ci fosse andato lui in Ucraina sul carro armato.
Vasija cerca di spegnere l’ansia dei fornitori, se adesso tutti chiedono alla sua azienda di rientrare coi pagamenti è un problema, non è detto che disponga della liquidità necessaria e ad ogni modo il rublo si è già deprezzato del 15% rispetto al giorno prima, il timore è che possa crollare ulteriormente.
Capiamo la situazione, se ci sono problemi ne parliamo.
Da parte nostra c’è massima disponibilità.
Vasilij cerca di minimizzare quanto sta accadendo in Ucraina, si tratta di un blitz volto a distruggere gli armamenti ucraini.
Pensiamo entrambi a una riedizione aggiornata dello scontro con la Georgia nell’agosto del 2008 quando, a seguito di violenti scontri tra l’esercito georgiano e la repubblica separatista filo-russa dell’Ossezia del Sud, nell’arco di 5 giorni, le truppe russe sono entrate nel territorio georgiano ed hanno distrutto le infrastrutture militari fino alle porte di Tbilisi causando perdite militari per svariati miliardi di dollari, alcune centinaia di morti e decine di migliaia di sfollati.
Chiedo infine a Vasja se si aspettasse un’escalation del genere.
Una settimana prima ne avevamo parlato di persona a Mosca e aveva categoricamente negato la possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina.
Tentenna, tira fuori i bambini morti nel Donbass, a nessuno è mai importato di loro in questi 8 anni.
Lo interrompo, non serve parlare di questo, non con me.
Ammette che non pensava sarebbe mai successo.
Giovedì ricevo più telefonate di Di Maio.
Amici e conoscenti chiedono il mio parere.
Si beccano tutti la risposta pre-compilata.
No, non me lo sarei mai aspettato, speriamo che la situazione si risolva rapidamente come la guerra in Ossezia del 2008.
Quando domandano del mio lavoro, spiego che intanto è tassativo che tutto finisca alla svelta, poi che le sanzioni non siano troppo pesanti e che la Russia non venga esclusa dallo SWIFT, il metodo di pagamento comunemente accettato dalle banche occidentali, l’unico canale attraverso il quale possiamo ricevere i pagamenti dalle aziende russe.
Non lo dico a nessuno ma in cuor mio so che, qualunque sia l’esito militare, la guerra è già persa.
Se anche tutto si fermasse entro 2 giorni, lo squarcio che si è aperto tra i due paesi e le due popolazioni è insanabile, ci vorranno decenni per ristabilire relazioni amichevoli.
Un amico mi segnala un canale Telegram in cui postano video di azioni militari nelle varie città ucraine: Kiev, Kharkov, Mariupol, Odessa, Dnipro.
L’esercito russo avanza senza incontrare resistenza alcuna, si evince dalle immagini e dalle descrizioni.
I soldati ucraini, faccia smunta, si consegnano senza combattere.
La resa da parte di Kiev è questione di giorni.
A cena tranquillizzo i miei figli, il papà non va in Ucraina la settimana prossima.
Mentre passo il panno in microfibra sulla superficie levigata della penisola in cucina, contemplo il silenzio che mi circonda.
Su Telegram arrivano aggiornamenti dalle varie città che sono colpite dai bombardamenti.
Metto a letto i miei figli e penso ai miei clienti, ai genitori che in questo momento stanno cercando di tranquillizzare i propri bambini.
Che parole usi per fare addormentare un bimbo terrorizzato dagli scoppi delle bombe?
Il giorno dopo cerco qualche fonte di informazione alternativa.
Trovo un’agenzia ucraina in russo.
Una giornalista ha postato un articolo su come vestirsi quando si passa la notte nella stazione della metropolitana.
Penso che sia un po’ una stronzata, fin quando leggo quello che scrive.
Di notte nella metro fa freddo, portatevi indumenti pesanti ma non dimenticate sedie pieghevoli, lettini e materassini.
Il pavimento è gelato, impensabile restare seduti sul marmo o sul cemento per ore.
Buono a sapersi, io ci sarei andato in mocassini…
Mi iscrivo a un canale di Kiev su Telegram, negli aggiornamenti condividono foto delle stazioni utilizzate come riparo dai bombardamenti.
Riconosco il mosaico della fermata di Shuljavska con i due proletari sovietici che sovrastano una quantità di persone che si rifugiano in condizioni precarie.
Mando un messaggio a Kristina di Kharkov, il profilo whatsapp indica che si è connessa da poco.
Mi dice che ha passato la notte nella metropolitana, sono tornati a casa per dormire un paio d’ore e le sirene antiaeree hanno ripreso a suonare.
Mi manda una foto scattata vicino al loro ufficio, nel prospekt Gagarin.
In mezzo alla strada, in corrispondenza di un attraversamento pedonale, c’è un missile inesploso con la punta conficcata nell’asfalto.
A circa un metro e mezzo di distanza un ragazzo sta fotografando il razzo.
Saluti da Kharkov.
Maksim di Kiev ha spedito la moglie e i figli all’estero.
Hanno preso l’auto e sono in viaggio verso il confine polacco.
Sono diretti in Italia, a Parma, dove abita sua madre.
Lui non può uscire dal paese, come tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni potrebbe essere chiamato nell’esercito.
Al momento è a casa, ha una cantina dove si rifugia e accoglie amici e vicini, le esplosioni sono terrificanti.
In uno degli account su Telegram vengono condivisi dei video con migliaia di ceceni che si preparano a partire per l’Ucraina.
Dal 1999 al 2006 nel territorio della Cecenia si è combattuta una guerra cruenta tra ribelli separatisti jihadisti e soldati russi coadiuvati dall’esercito lealista ceceno.
Il conflitto ha causato decine di migliaia di morti, non solo nel Caucaso ma anche in Russia a seguito di svariati attentati terroristici attuati dai separatisti, le stragi più cruente occorse nel 2002 al Teatro Dubrovka a Mosca e nel 2004 nella scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord.
I russi accusano gli americani di aver fornito armi e addestramento ai ribelli islamisti per destabilizzare la federazione russa.
Diversi nazionalisti ucraini, alcuni ai vertici di Pravij Sektor, hanno combattuto come mercenari contro i russi in Cecenia.
Nel corso delle ostilità, la capitale Grozny vene prima assediata dalle truppe russe e poi sostanzialmente rasa al suolo tanto che nel 2003 si posizionò al primo posto nella classifica di “città più devastata nel mondo” secondo le Nazioni Unite.
Al termine delle ostilità, Ramzan Kadyrov è stato nominato capo della repubblica cecena e da allora garantisce supporto e lealtà a Mosca che chiude un occhio sulle maniere forti con cui gestisce l’ordine interno in cambio di una relativa stabilità nel Caucaso.
Le immagini sono impressionanti, migliaia di uomini barbuti, vestiti di nero, ben equipaggiati, che marciano verso l’Ucraina accompagnati da un sound fortemente sincopato con un vago sapore di techno-islam.
Mercenari che combattono al fianco dei russi. Probabilmente è questione di ore prima che cada Kiev.
L’unico che si sta godendo il momento storico è Sasha di Odessa.
Festeggia come se avesse vinto europei, mondiali, Champions League e super-enalotto contemporaneamente.
Sono 8 anni che profetizza l’arrivo delle truppe russe, è ora di sistemare i contenziosi, con chi di preciso non è chiaro.
Faccio fatica a capire la sua posizione:
ha più di sessant’anni, un cognome ucraino, una famiglia numerosa, è titolare di un’azienda che ha quattro filiali e diverse decine di dipendenti, capannoni, macchinari, investimenti…
Un’eventuale guerra non gli gioverebbe per nulla.
Se Odessa finisse all’interno della federazione russa, si troverebbe a concorrere con player molto più agguerriti e strutturati della sua azienda in un mercato notevolmente più ampio di quello ucraino.
Eppure è felice, in modo contagioso.
Ci sentiamo sabato mattina: “Stiamo per entrare in un futuro luminoso e ne faremo parte insieme”.
Tempo un paio di giorni e si chiude tutto, i russi metteranno un loro uomo a Kiev e poi partirà una campagna denigratoria contro Zelenskij, a cui hanno già trovato fondi occultati in Argentina per oltre un miliardo di dollari.
Chiedo come stanno i dipendenti di Kiev, gli faccio presente che su Telegram ci sono dei video che riprendono scontri a fuoco vicino a Obolon, quartiere a nord di Kiev.
Qualcosa si incrina nella sua voce. “Obolon, dove abita mio figlio”.
Aleksandr ha quattro figlie avute da due matrimoni e un maschio, Nikolaj, nato da una relazione extraconiugale con una donna di Kiev, con la quale è in pessimi rapporti.
Ho incontrato Kolja 8 anni fa ad Odessa, era un ragazzino alto e con gli occhi azzurri del padre, la peluria facciale e la voce incerta della pubertà.
Era in vacanza presso la famiglia di Sasha, andava d’accordo con le sorellastre e la moglie di suo papà, che lo trattava bene, pur essendo il frutto tangibile di un adulterio.
Una situazione strana proprio perché naturale.
Poi qualcosa è cambiato.
Sono anni che Nikolaj non vuole più vedere suo padre, ha da poco iniziato l’università in Canada.
Sabato 26 febbraio è una giornata luminosa, i raggi del sole attraversano le finestre alle mie spalle mentre mi agito davanti allo specchio.
Corsa sul posto, squat, flessioni.
Cerco di tenere i piedi entro una delle assi del pavimento, come linea di riferimento.
Sempre più spesso le venature del legno prendono la struttura delle piastrelle della metropolitana di Kiev.
Mentre sudo in pantaloncini, migliaia di persone sono unicamente impegnate a proteggersi dal freddo, decine di metri sotto il livello stradale, immerse nell’angoscia e nell’incertezza.
Inizio a sentirmi a disagio nel comfort della mia vita, un’esistenza definita dalla lingua e dalla cultura russa per un quarto di secolo.
Prima una falsa partenza all’università di Udine e poi il riscatto a Venezia, una rinascita partorita a Ca’ Garzoni, a pochi passi dal Canal Grande, il sole che riverbera nella lucentezza dei vent’anni… San Pietroburgo, acqua e pietra, il giorno che non va mai a dormire, il fiume Neva che scintilla.
Niente sarà più come prima.
Dopo pranzo porto i bambini al parco dove ci troviamo con gli amici.
Per Natale mia figlia mi ha regalato una settimana di quarantena per cui ne ho approfittato per vedere e rivedere Get Back, il documentario di Peter Jackson sui Beatles, che sono così rientrati in heavy rotation a casa nostra.
Mio figlio Greg, con le sue manie da undicenne, si è cristallizzato su Back In The USSR che mi costringe a mettere ogni singola volta che saliamo in macchina.
Per quanto io l’abbia ascoltata un milione di volte nell’arco di quasi quarant’anni, rimane un pezzo irresistibile con un crescendo travolgente.
L’assolo di George, il battito di mani, l’incedere del piano offrono la base ideale per le acrobazie di un ballerino ussaro, piegato sulle gambe con la schiena dritta e le braccia conserte mentre scalcia a destra e a manca.
In auto la canto regolarmente a pieni polmoni, scandendo parola per parola, sia mai che i bambini imparano un po’ di inglese.
Immancabilmente faccio il pieno di euforia, non mi pesa farla ripartire ancora una volta e un’altra volta ancora.
Oggi la magia non funziona.
Il refrain “The Ukraine girls really knock me out/Leave the West behind/ And Moscow girls make me scream and shout/And Georgia’s always on my, my, my, my, my, my mind” mi si secca in gola, amarissimo.
Non riesco a terminare la strofa. La settimana scorsa era un inno alla gioia e adesso è un incubo.
Non sarà più come prima.
Mosca e Kiev unite soltanto in questo rocker di Paul McCartney, nei libri di storia e nella memoria di chi ci è stato.
Prima.
Il pezzo di apertura del White Album viene registrato il 22 e il 23 agosto 1968, poche ore dopo che i carri armati sovietici sono entrati in Cecoslovacchia mettendo fine alla primavera di Praga.
Wooohh, Oooohh, Oooohh
martedì, marzo 22, 2022
Gruppi italiani a New York - Manges
Prosegue la rubrica TALES FROM NEW YORK.
L'amico WHITE SEED è da tempo residente nella Big Apple e ci delizierà con una serie di brevi reportage su quanto accade in ambito sociale, musicale, "underground", da quelle parti, allegando sue foto.
Le precedenti puntate sono qui:
Negozi di dischi:
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/negozi-di-dischi-new-york-rebel-rouser.html
Marijuana a New York:
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/marijuana-new-york.html
I locali di New York:
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/i-locali-di-new-york.html
New York for Free
https://tonyface.blogspot.com/2022/01/new-york-for-free.html
Sid Vicious a new York
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/sid-vicious-new-york.html
Topi a New York
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/topi-new-york.html
Fentanyl
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/fentanyl.html
Strumenti musicali
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/negozi-di-strumenti-musicali-new-york.html
Electric Lady Studios
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/electric-lady-studios.html
Little Italy
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/little-italy.html
I Manges sono la band italiana piu conosciuta a New York City.
Un piccolo sondaggio personale venuto fuori dopo un'anno e mezzo nella Grande Mela.
Parlando con vari musicisti e appassionati di musica il gruppo piu nominato sono stati proprio i Manges.
A differenza degli altri gruppi nominati con poco entusiasmo, invece con i Manges chi li conosceva mi cantava le loro canzoni (con tanto di occhi lucidi) dimostrando di conoscere anche i testi e dichiarando di essere veri fan.
Provenienti da La Spezia e formati nel 1993 il gruppo in pieno stile Ramones qui a NYC piace moltissimo e negli states ha suonato diverse volte, hanno collaborato con i Queers e gli Screeching Weasel hanno coverizzato un loro brano "I Will Always Do" inserendolo nell'album "Teen Punks in Heat".
Al secondo posto vengono i romani Giuda.
I Maneskin non sono mai stati nominati.
lunedì, marzo 21, 2022
Valeria Arnaldi - Gabriella Ferri, la voce di Roma
Riprendo l'articolo che ho dedicato ieri su "Libertà" a GABRIELLA FERRI.
Parlo del libro in video anche nelle pagine di Goodmorning Genova qui: https://fb.watch/bSDQxHHx_f/
Personaggio inconsapevolmente e mai volutamente tragico.
Importante, rivoluzionaria, anticonformista sempre, Gabriella Ferri meriterebbe un posto di rilievo nel panorama della musica italiana che purtroppo l'ha spesso relegata in un ruolo quasi macchiettistico, per la sua predilezione per la canzone popolare romana, per l'esuberanza diretta e la lingua spiccia ed esplicita, per una carriera discontinua, minata da una grave e costante forma di depressione, per una personalità spigolosa che non è mai scesa al compromesso.
Voce potente e roca, capacità unica di tenere il palco in modo teatrale, figlia del varietà, scelta coraggiosa di un repertorio sempre personale e inconsueto.
“Il mio non è un discorso musicalmente colto: la mia è una certezza del tutto emozionale, ma io credo che una cantante debba poter cantare tutto ciò che ama davvero”.
Valeria Arnaldi ne ricorda la vita e l'opera nel libro “Gabriella Ferri. La voce di Roma”, edito da Bizzarro Books.
Originaria del quartiere Testaccio, poi passata a San Lorenzo, luoghi popolari, dove l'intreccio tra le persone è immediato e diretto, dove esiste ancora, negli anni Sessanta, una rete comunicativa e una dimensione umana, ormai perduta ai nostri giorni. Il padre fa l'ambulante di dolci, la famiglia vive sempre in una condizione un po' precaria ma dignitosamente.
Suo padre è anche poeta e compositore di versi e Gabriella li utilizzerà in futuro nelle sue canzoni:
“Io so' un poeta, nun lavoro se no me distraggo” era il suo motto.
Gabriella lascia presto la scuola, lavora qua e là ma soprattutto canta ed esibisce una bellezza travolgente, fisico slanciato, gambe lunghe, capelli biondi, occhi chiari.
Gira Roma con un'amica, Anita Pallenberg, che diventa una presenza costante nella città della dolce vita e intellettuale degli anni Sessanta, a fianco di Visconti, Fellini, con il pittore Mario Schifano che diventa suo compagno e la porta a New York da Andy Warhol.
Anita diventerà successivamente la compagna di Brian Jones e poi di Keith Richards dei Rolling Stones, condividendone tutte le follie degli anni Sessanta.
Al suo fianco Gabriella entra nei giri giusti, frequenta il Caffé Rosati dove si trova al tavolo con Pasolini (che successivamente le scriverà i testi per alcuni canzoni), Moravia con la moglie Elsa Morante, De Chirico, Guttuso, Flaiano. Con incredibile candore ricordava quei tempi:
“Facevo la commessa e poi passavo al Rosati e lì scrivevo poesie, perché il mio sogno era scrivere, diventare una grande poetessa, come tutte le ragazzine di diciotto anni, no?”
Gabriella canta molto bene e viene presto notata, in coppia con Luisa De Santis figlia di Giuseppe, regista di “Riso amaro”.
Le chiamano “Le Romanine” e con quel nome, grazie alla spinta di Camilla Cederna, approdano a Milano al mitico “Derby”. Le loro canzoni in romanesco, tra cui la celebre “La società dei magnaccioni”, fanno breccia nel pubblico milanese che ancora più apprezza il modo in cui Gabriella affronta il suo retaggio borgataro, drammatizzando le esibizioni, rendendole intense e sofferte, togliendo quella patina di provincialismo piacione.
La definiva bene il regista e sceneggiatore Pier Francesco Pingitore:
“Si era abituati a considerare la canzone romanesca un po' strappalacrime, un po' andante, con certi cantantini e lei invece ne faceva una canzone quasi Brechtiana”.
Mike Bongiorno le porta in televisione nella sua trasmissione “La fiera dei sogni” e il duo trova un contratto discografico, vendendo subito molto bene e diventando un nome di spicco.
La De Santis però si rende conto di essere una comprimaria rispetto alla prevalenza scenica e vocale di Gabriella e abbandona, in amicizia e senza polemiche, l'attività musicale.
Gabriella Ferri spicca il volo.
Tour in America, nuovi dischi di successo, apparizioni televisive, anche parti cinematografiche e la partecipazione al Festival di Sanremo del 1969 in coppia con il giovane Stevie Wonder.
“Se tu ragazzo mio” viene eliminato ma è un nuovo successo e le conferisce una sempre maggiore confidenza con l'ambiente musicale italiano.
Per lei arriva anche la televisione con due trasmissioni che conduce, tra cabaret e musica, “Dove sta Zazà” (nel 1973) e “Mazzabubù” (nel 1975), in cui si distingue per i suoi travestimenti.
“Mi piace vestirmi da pupazzo, da Ridolini, con la bombetta calata sugli occhi, la biacca al viso, non è tanto per umiliare il mio corpo, ma per una ribellione a tutte quelle che vogliono apparire snelle e sexy”.
Sottolinea l'autrice del libro: “Gabriella non vuole ricadere nella trappola dell'immagine. Non vuole farsi “forma”. Desidera essere ascoltata, non soppesata. Ambisce al diritto – che ancora oggi forse per le donne è un privilegio – a essere vista, non guardata. Le interessa che emerga il suo talento, non che siano le sue forme la base su cui costruire il successo”.
Significativo anche il ricordo dell'amico Pippo Franco:
“Era una donna fortemente sensibile, figlia di una Roma di miseria, quella del dopoguerra. Con lei se ne è andata un'espressione di Roma che ha consentito a un certo modo di essere romano, quello mutuato dalla Roma degli anni quaranta, che ha traghettato ai nostri giorni, facendolo rivivere e dando spessore a quel modo di essere che viceversa sarebbe scomparso. Gabriella ha rappresentato un mondo in parte anche pasoliniano”.
Nel frattempo si è sposata, a Caracas, in seconde nozze, con Seva Borzak, presidente dell'etichetta discografica RCA, da cui avrà l'unico figlio, Seva Junior e dal quale rimarrà inseparabile fino alla morte.
Ma è un periodo in cui perde anche l'adoratissimo padre. Un evento che la sconvolge e incide sulla sua fragilità emotiva, fino ad allora temperata dall'attività lavorativa e conseguente successo.
Tenta il suicidio, cade in una forte depressione e incomincia una dura battaglia contro il suo male interiore.
Il suo carattere, deciso e spavaldo, la porta ad eccessi verbali che vengono scambiati per arroganza e perfino per dipendenza da alcol o sostanze. Incomincia, in altra forma, una sorta di persecuzione venefica da parte di addetti ai lavori, giornalisti, colleghi, quasi come capitò a Mia Martini, in cui si “gioca” sulla sua instabilità, si vocifera, suppone, immagina, maligna.
“Tutti dicevano che ero una drogata, una eroinomane, il che mi faceva piangere di rabbia anche perchè conoscevo molte persone in vista che si drogavano continuamente con eroina e cocaina ma di cui nessuno parlava.
Il giornalismo, quello pessimo, quello di cattivo gusto, faceva passare la mia malattia, come una sorta di male oscuro, come se mi drogassi e questo mi ha fatto molto arrabbiare.
Hanno provato in tutti i modi di ficcare cose strane intorno a me, come il tentativo di farmi passare per drogata o toccata”.
Lei prosegue a scatti, tra alti e bassi, incide ottimi dischi (collaborando anche con Paolo Conte), partecipa saltuariamente a trasmissioni televisive, si dirada la sua presenza sulla stampa e nel giro musicale.
“Da molti, anche critici, viene indicata non più come “popolare” ma come “plebea”, con una nota di disprezzo, figlio di un malcelato senso di superiorità. Gabriella non viene ritenuta abbastanza sofisticata per il momento storico e per la Tv”.
Nel 1996 la ritroviamo ospite al Premio Tenco, incide ancora due album, “Ritorno al futuro” nel 1997 e “Canti diVersi” nel 2000, lavori a cui tiene molto ma che finiscono nel disinteresse totale.
I tempi sono cambiati e per lei sembra non esserci più posto.
Scompare dalla scena, si ritira nel viterbese a Corchiano, dove trova la morte il 3 aprile 2004, cadendo da una finestra.
Le cause non saranno mai accertate.
Chi parla di suicidio, chi di caduta accidentale. Nel 2021 le è stata dedicata una piazza a Roma.
“Gabriella era una forza della natura. Sulla sua faccia si legge il vissuto che non è riuscito ad offendere la bellezza, il fascino di una persona che non bluffa. Lei offriva la lettura più onesta di un itinerario umano e professionale mirato non certo al successo ma alla comunicazione e alla partecipazione sincere” (Enrico Vaime).
Lascia un'eredità artistica ancora troppo spesso oscura. Brani come “Grazie alla vita” (traduzione di “Gracias a la vida” della cantautrice cilena Violeta Parra), “Remedios” (che tornò al successo dopo essere stata inserita nel film “Saturno contro” di Ozpetek, “Vamp”, composta per lei da Paolo Conte, la struggente versione di “Lontano lontano” dell'amico Luigi Tenco, “Stornello dell'estate” firmata da Ennio Morricone che eseguì in coppia con Mia Martini, la dolente “Via Rasella” sono gioielli inestimabili della canzone italiana.
Valeria Arnaldi
Gabriella Ferri, la voce di Roma
Bizzarro Books
15 euro
162 pagine
domenica, marzo 20, 2022
Up-zine e Che Nero!
Mica facile pensare di stampare una fanzine al giorno d'oggi.
Coraggio e incoscienza ma anche tante cose da dire e sinonimo di voglia di fare e agire.
Segnalo quidi con estremo piacere UP ZINE (https://www.facebook.com/UP-zine-110357348192721) "una rivista dedicata alla musica alternativa e all’arte in cui parleremo assieme di dischi, artisti, collezionismo, cinema, strumentazione, grafica, fotografia, fumetti.
Con UP affronteremo attraverso monografie e la parola degli esperti, i lati più nascosti dell'underground degli ultimi 50 anni, intervisteremo gli artisti del momento e creeremo guide pratiche sulle scene più interessanti...in sostanza proveremo a imprimere sulla carta tutto quello che amiamo e che spesso abbiamo la sensazione che ci sfugga dalle mani, andandosi a perdere per poi essere dimenticato"
E Poi CHE NERO! SOUL zine genovese che parla in modo approfondito e competente di black music tra editoriali e recensioni.
La trovate in giro per Genova o scrivendo qui: chenerogenova@gmail.com