martedì, maggio 31, 2022
Maggio 2022. Il meglio
A un terzo dell'anno buone cose con gli album di Graham Day, Miles Kane, Hoodoo Gurus, Lazy Eyes, Liam Gallagher, Spiritualized, Yard Act, Elvis Costello, JP Bimeni and the Black Belts, Shirley Davis and the Silverbcaks, Dedicated Men of Zion, Electric Stars, St.Paul and the Broken Bones, Abiodun Oyewole, York, PM Warson, Joe Tatton Trio e Diasonics
Mentre tra gli italiani Bebaloncar, Sacromud, Temporary Lie-Cesare Malfatti e Georgeanne Kalweit, Bastard Sons of Dioniso, Organ Squad, The Cleopatras, Dear, White Seed, Tin Woodman, Alternative Station, Massimo Zamboni, Dear, Agape e Path
LIAM GALLAGHER - C'mon you know
Maturo, eterogeneo, alla ricerca di nuove strade sonore, pur mantenendo le radici salde e palesemente ancorate alla classica triade Beatles/Stones/Manchester Sound.
Ma lo sguardo si inoltra altrove, ci sono perfino echi reggae in "I'm free".
Come sempre o lo si ama o lo si detesta. Continuo a parteggiare per la prima frangia, il disco è bello, lo stile unico e chi se ne frega se non entrerà negli annali della musica. C'mon you know!!!
THE SPITFIRES - Play fot today
Il quinto e conclusivo album della band di Watford guarda in direzioni varie e diverse, flirtando con soul, funk, pop, sonorità "Madchester" (dalle parti degli Happy Mondays), conservando l'abituale energia e i riferimenti Welleriani.
Brani di grande livello compositivo e arrangiamenti curatissimi.
Più che ottimo.
BRIAN JACKSON - This is Brian Jackson
Torna, dopo un silenzio di 20 anni, la magica spalla di Gil Scott Heron con un nuovo album. Classe immutata, soul jazz funk di prima qualità, il fantasma di Gil che aleggia, groove e quel tocco tastieristico inconfondibile. Niente di indispensabile ma per gli amanti di un'epoca è un ascolto più che consigliato.
PM WARSON - Did deep repeat
Secondo album per il soul/blues man inglese che si destreggia alla perfezione in un sound a cavallo tra i 50 e i 60 (vicino al gusto di Nick Waterhouse e di Chris Isaak), toccando soul, rhythm and blues, funk, qualche virata "caraibica", calde atmosfere bluesy. Suoni perfettamente vintage e tanto calore. Ottimo.
THE CHORDS UK - Big city dreams
I Chords sono stati, con i Jam, la migliore mod band della scena 1979. Il loro album "So far away" rimane un gioiello insuperato. Il chitarrista Chris Pope prosegue l'attività con il terzo album della nuova incarnazione. Se il punk rock dalle tinte 60s è sempre il tratto dominante del sound della band, emerge una somiglianza compositiva, vocale ed esecutiva, a tratti impressionante, con i primi Clash. Forse eccessiva. Ma la band suona bene, tanta energia, buona parte delle canzoni è di ottima qualità, necessario dedicare un ascolto.
BLACK KEYS - Dropout Boogie
Virano sempre più verso un sound "tradizionale" (significativamente e non a caso c'è anche un guest di Billy F Gibbons degli ZZTop). Dieci canzoni, poco più di mezzora e un grande rock blues moderno e frizzante, a metà tra le radici e un mood caro ai T Rex. Non c'è di che strapparsi i capelli ma l'ascolto è più che gradevole.
JOE TATTON TRIO - Big fish
Spettacolare album che tributa omaggio allo stile inimitabile di Mose Allison tra un raffinatissimo jazz, soul, un tocco di rhythm and blues e quel gusto 50's/60's. Delizioso.
MONOPHONICS - Sage Motel
Il quinto album della band di Kelly Finnigan ci scalda sulle note di un soft soul a metà tra Curtis Mayfield e il Marvin Gaye dei 70's con un pizzico di psichedelia soul, inflessioni Northern e il consueto stupendo groove.
Elegantissimo e super chic.
LAURA RAIN & the CAESARS - Rise again
Soul moderno ma con le radici ben piantate nei suoni 60/70, grande voce e canzoni di alta classe, raffinatezza, eleganza, pur con un approccio ruvido di sottofondo.
Un lavoro più che ottimo.
BIFF BANG POW! - A Better Life – Complete Creations 1984-1991, 6CD Box Set
Sarebbero probabilmente finiti nel dimenticatoio se non ne fosse stato membro Alan McGee, fondatore della Creation Records che diede i "natali" a nomi come Oasis, Jesus and Mary Chain, Primal Scream, My Bloody Valentine, Libertines. Lasciarono sei album di sapore 60's tra beat e psichedelia, poco più che (ma non sempre) accettabili. In sei CD sono raccolti album, demo, live, rarità etc. materiale per completisti in cui scovare comunque cose discrete e gradevoli.
Nella band anche Joe Foster, poi produttore per molti nomi eccelsi della Creation.
KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD - Omnium Gatherum
La band australiana firma il ventesimo album in dieci anni e per non sbagliarsi lo pubblica doppio con 16 brani di cui uno di 18 minuti.
"Omnium Gatherum" è una piccola enciclopedia di generi (dalla psichedelia spinta al funk soul, via hard rock doom e tanto altro), eseguiti con rara maestria, inventiva, estro, energia, tanta creatività.
Il loro è un mondo particolare, unico, bulimico, spumeggiante, eccessivo. Uno dei rari gruppi che continua a stupire.
ELI PAPERBOY REED - Down every road
Settimo album per il soul man americano dedicato alle canzoni della star country Merle Haggard, riprese con un groove southern soul, rhythm and blues, blues. Un bel disco, ruvido e sincero.
MAVIS STAPLES & LEVON HELM - Carry me home
La voce spaziale di Mavis Staples, unita alla band di Levon Helm (ex The Band) in un album registrato nel 2011 e che solo ora vede la luce. Classici soul, blues, "The weight" della Band, gospel e tanto altro.
Inutile sottolineare lo spessore artistico del disco.
THE CLEOPATRAS - Bikini grill
Torna la band toscana con un nuovo lavoro, il quarto della carriera, di primissima qualità. L'album si espande verso nuove influenze, tra punk rock, puntate quasi nell'hard, consueti riferimenti 60's e surf, power pop ("Feel the heat" potrebbe stare in qualsiasi album delle Go Go's), una riuscitissima cover di "Kiss kiss kiss" di Yoko Ono. Sound potente (grazie ad Ale Sportelli), album maturo, convincente, godibilissimo, divertente. Top!
THE MIKE BELL CARTEL - The Cartel & I
Da Helsinki una ventata di 60's garage di primissima qualità. Ma ci sono anche momenti dedicati al jingle jangle, rhythm and blues, psichedelia, freakbeat. Ascolto "antico" ma ancora piacevolissimo.
ANN PEEBLES & THE HI RHYTHM SECTION - Live in Memphis
Registrato nel 1992 coglie la grande vocalist in splendida forma (con una band con i fiocchi) in un album sospeso tra soul, rhythm and blues, blues. Grande set con degna chiusura con il suo grande hit "I can't stand the rain".
KENDRICK LAMAR - Mr. Morale & The Big Steppers
Da amante della Black Music nella sua accezione più ampia, ho ascoltato, ripetutamente e con molta attenzione, il nuovo album di Kendrick Lamar.
Tante cose, influenze, riferimenti, ospiti.
Tutto costruito molto bene e sicuramente appetibile, interessante, intrigante (vedi il video di "N95"), produzione ineccepibile.
Personalmente, limite mio (sarà l'età, il background artistico, la ricerca di altro), non ne colgo la "fiamma", il brivido, il "capolavoro".
ROLLING BLACKOUTS COSTAL FEVER - Endless Rooms
Terzo album per la band australiana che prosegue il suo rassicurante percorso su un sentiero molto gradevole di jingle jangle indie rock, un pizzico di psichedelia, chitarre alla Television, buone canzoni per un lavoro più che positivo e gradevole.
JOAN JETT & THE BLACKHEARTS – Changeup
Joan, assente con nuove canzoni da più di dieci anni, torna con un album in cui riprende suoi classici ed episodi minori (25 brani in totale) in acustico.
Niente di eclatante ed effetto prevedibile ma la qualità è decisamente buona ed è sempre un piacere riascoltarla.
DIAFRAMMA - Ora
Federico Fiumani è nato con il punk e con la sua principale caratteristica, l'urgenza. Che ritroviamo nel nuovo album della sua creatura Diaframma, nata più di 40 anni fa e che firma il 21° album. Otto brani, mezzora di musica, in cui si destreggia in equilibrio tra il suo classico e riconoscibile tratto cantautorale e un rock wave aspro e diretto. Classe immutata e l'ennesima conferma da uno dei più importanti personaggi della musica d'autore italiana.
MONKEY WEATHER - Palazzo Britannia 107
Al quarto album la band la band piemontese realizza un concept, per la prima volta cantato interamente in italiano, un elogio alla normalità attraverso una serie di personaggi che raccontano la loro storia. Storie di vita, senza morali particolari, condite dal consueto power pop punk frizzante, elettrico, dalle irresistibili melodie 60's.
TOMMASO MANTELLI - 14 dinosaur songs
Secondo album per il bassista e produttore Tommaso Mantelli (al suo attivo collaborazioni con Sick Tamburo, Teatro degli Orrori, Kill your boyfriend tra le tante). Un album poliedrico e dalle mille diramazioni sonore tra shoegaze, influenze 60's, riferimenti a band come Lemonheads, Pavement o Replacements. Tanta maturità, belle canzoni, freschezza, spontaneità, urgenza.
https://shyrec.bandcamp.com/album/14-dinosaur-songs
BASEMENT 3 - Naturalismo!
Torna la band bresciana con un album, come sempre, sorprendente e stimolante. L'approccio è semi acustico, destreggiandosi tra aspri blues, reminiscenze psichedeliche dal Paisley Underground (dalle parti dei Dream Syndicate), bizzarrie Barrettiane, sperimentazioni varie. Consigliatissimo.
RHABDOMANTIC ORCHESTRA - Almagre
Torna il collettivo Rhabdomantic Orchestra di Manuel Volpe con un nuovo album frutto dell’incontro con la musicista e cantante colombiana Maria Mallol Moya. Un saporito brodo di ingredienti di gusto sopraffino, dall'afrobeat al funk allo spiritual jazz a groove latini e suggestioni mediterranee. Una delizia per chi apprezza la creatività nella musica.
JIMY SOHNS & JOHN POVEY with The TECHNICOLOUR DREAM - Born Again/Isis Calling
Singolo in vinile rosso e tiratura limitata (326 copie) che accosta la classe della storica band romana dei Techcnicolour Dream al mito di Jon Povey (già collaboratore dei Pretty Things) e Jimy Sohns, frontman dei grandi Shadows Of Knight. Due brani in cui 60's garage e pischedelia si innestano alla perfezione, creando un piccolo gioiello, raro e prezioso.
ASCOLTATO ANCHE:
BELLE & SEBASTIAN (pop da camera, grazioso e indolore), BLOSSOMS (pop beat indie carino), MELODY'S ECHO CHAMBER (svenevole dream pop che alla lunga stanca), TORO Y MOI (elettronica, psichedelia, pop, soul, sperimentazione. Troppo di troppo), KURT VILE (incensato dalla critica, per me piuttosto anonimo e incolore), SUGARAY RAYFORD (ottimo rhythm and blues pur se canonico e prevedibile), ERIC ROBERSON (sofficissimo neo soul alla melassa), PJ MORTON (buon modern soul, fatto con cura e buone canzoni), SHABAKA (spiritual jazz, sperimentazione, ep difficile e poco fruibile).
LETTO:
GARAGELAND
E' un immenso piacere segnalare l'uscita di una nuova rivista/fanzine.
"Garageland" si occupa di quel mondo delle sottoculture nelle sue espressioni più approfondite, competenti, poco conosciute, principalmente ma non esclusivamente di derivazione punk, post-punk, skinhead e mod, della musica (punk rock, Oi!, hardcore punk, ska, reggae, soul), del cinema (soprattutto indipendente) e dello sport popolare.
La rivista ha cadenza trimestrale.
In questo primo numero (a cui ho avuto il piacere e l'onore di collaborare con l'articolo: Culti giovanili: un confronto tra l'Italia e il luogo in cui sono nati, tra ieri e oggi):
° Sotto la Lanterna di Genova: intervista con Fabrizio Barile
° Il ribelle della collina: intervista con Valerio Lazzaretti
° Speciale Romper Stomper: la strana rilevanza di un bonehead movie
° Dalla blackness alla darkness attraverso il pop
° Gli skinhead conquistano la Luna
° I redskin di Berlino Ovest: intervista con Ugly
° Zoot riots
° E inoltre contributi artistici e fotografici di Alo, Mattia Dossi, Michela Midossi, Enrico Zanza.
RAFFAELE M. PETRINO - Amerigo Verardi. Il ragazzo magico
Amerigo Verardi è un musicista italiano.
In questa apparentemente banale affermazione c'è tanto e tutto.
Ovvero che per poterti connotare in tal guisa devi inventarti una vita a sé stante.
Fatta di sacrifici, rinunce, fallimenti, ripartenze, occasioni mancate, pochi soldi, fregature, strutture discografiche approssimative.
Amerigo è passato dagli Allison Run ai Betty's Blue, dai Lula, Lotus alla carriera solista, a quella di produttore (dai Baustelle ai Virginiana Miller) sudando letteralmente sangue, circondato dalla giusta e meritata approvazione della critica e da quella (insufficiente) del pubblico.
Nel suo carniere dischi stupendi, avventure uniche, incontri epocali (i pochi secondi al cospetto di uno stralunato Syd Barrett davanti al suo eremo!!!) e tutto il corollario che ogni musicista italiano conosce drammaticamente molto bene.
Nel libro di Petrino c'è tutto questo, ricostruito con minuzia di particolari, recensioni, spezzoni di intervista, dichiarazioni, aneddoti, discografia completa.
Un doveroso omaggio a uno dei migliori autori, artisti e musicisti che possiamo vantare in Italia.
MAURIZIO SOLIERI - Questa sera Rock 'n Roll. La mia vita tra un assolo e un sogno
Autobiografia aggiornata con nuovi capitoli e inserto fotografico della vita artistica (ma non solo) di MAURIZIO SOLIERI, uno dei migliori e più importanti chitarristi italiani. Le vicende si incentrano sulla lunga permanenza (infarcita di abbandoni, "licenziamenti", ritorni, alti, bassi, scontri, amicizia) nella band di VASCO ROSSI ma ricorda anche il proficuo periodo con la Steve Rogers Band, le esperienze soliste, collaborazioni prestigiose, eccessi nei backstage, avventure e tanto altro.
L'aspetto che emerge è come, in Italia, anche i musicisti che hanno raggiunto il vertice nel mainstream, siano costretti a integrare con attività collaterali durante le pause con i grandi nomi, per arrivare "alla fine del mese".
Vivere di "rock" e genericamente di "arte" è sempre un'impresa eccezionale.
CRISTIANO GODANO - Nuotando nell’aria – Dietro 35 canzoni dei Marlene Kuntz
Cristiano Godano, anima dei Marlene Kuntz, ripercorre canzone per canzone i primi tre album del gruppo – Catartica, Il vile, Ho ucciso paranoia, addentrandosi nel "backstage del processo creativo".
La peculiarità del libro è nella lunga serie di aneddoti, alcuni divertenti, altri più drammatici e nelle analisi in cui si addentra spesso: dal ruolo (spesso malefico) di internet e dei social allo "stato delle cose" per un gruppo al giorno d'oggi, sempre traballante tra una discografia ormai ridotta al lumicino alla progressiva riduzione di spazi per suonare.
L'aspetto più rilevante è la costante (auto)ironia con cui tratteggia quella che è una sorta di autobiografia dei primi tempi.
Consigliato e coinvolgente.
VISTO
Ezio Bosso - Le cose che restano di Giorgio Verdelli
Dopo essere stato presentato presentato in anteprima nella sezione Fuori Concorso della 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Rai3 ha riproposto ieri sera il docu film su EZIO BOSSO di Giorgio Verdelli.
Ezio si racconta e viene raccontato attraverso una lunga serie di interviste e testimonianze, raccolte nel tempo, con i contributi di numerosi amici e colleghi.
Il doc si basa sulla consueta commistione di apporti di amici e collaboratori e sue dichiarazioni nel corso degli anni.
Ne emerge una figura di una profondità, di un'umanità, di una genialità uniche.
Non ci sono altre parole.
Abbiamo perso un enorme, irripetibile, unico tassello della cultura italiana.
Che perdita, che perdita, che perdita.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Nel sito www.goodmorninggenova.org curo settimanalmente una rubrica di calcio "minore".
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
E' uscito il nuovo album dei NOT MOVING LTD "Love Beat" per Area Pirata con otto inediti e una cover
Si trova nei negozi, ai nostri concerti e qui:
http://www.areapirata.com/dettaglio.php?cod=5490
Prossimi concerti NOT MOVING LTD
Giovedì 16 giugno: Cesena “Rocca Malatestiana” + Amyl & the Sniffers e Chronics
Venerdì 1 luglio: Sesto Fiorentino (Firenze) “Limonaia”
Sabato 9 luglio: Salsomaggiore (Parma) “Festival Beat”
Sabato 3 settembre: Bologna “Frida”
E' uscito in tutte le librerie il libro "Soul. La musica dell'anima" per Diarkos.
Qui i dettagli: https://tonyface.blogspot.com/2022/01/antonio-bacciocchi-soul-la-musica.html
Presentazioni:
Venerdì 8 luglio: Salsomaggiore (PR) "Festival Beat"
Venerdì 22 luglio: "Porretta Soul Festival"
Dal 28 maggio nel Comune AltaValTidone (Piacenza) la Rassegna musicale/letteraria ROCK AROUND THE BOOK.
Il programma:
https://tonyface.blogspot.com/2022/05/rock-around-book.html
Il nuovo, quarto, volume di COMETA ROSSA EDIZIONI è a cura di ROBERTO CALABRO' (scrittore e giornalista) e dedicato a "Exile on main street" dei ROLLING STONES nel 50° anniversario dell'uscita.
Ogni uscita di Cometa Rossa coincide con una ricorrenza precisa.
Il libro ricostruisce nel dettaglio la genesi del capolavoro degli Stones, dai brani lasciati fuori dai dischi precedenti all'irripetibile magia di Villa Nellcôte fino alle session finali a Los Angeles.
Contiene un'intervista esclusiva a MICK TAYLOR, recensioni originali dell'epoca (inglesi, americane, italiane), contributi di Dome La Muerte, Ferruccio Quercetti, Paolo Barone, Fabio Redaelli, il sottoscritto.
Di nuovo nella collana 100 CLUB (100 copie numerate e autografate di libri che non saranno mai più ristampati).
Il libro si troverà esclusivamente (non chiedetene copie a me, non ne ho!) presso la distribuzione di HellNation.
hellnation64@gmail.com
https://www.facebook.com/roberto.gagliardi.9828
lunedì, maggio 30, 2022
Donne, giornalismo e industria musicale
Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà" sulla presenza delle donne nel giornalismo e nell'industria musicale.
Anche in ambito musicale il ruolo della donna in Italia rimane implacabilmente marginale.
E' un disarmante dato di fatto che, scorrendo i nomi di chi ha maggiori responsabilità a livello manageriale e in contesti altrettanto autorevoli (giornalismo in primis), i nomi femminili siano ridotti, percentualmente, a cifre spesso limitatissime.
Ricordiamo che, nonostante gli aumenti esponenziali negli ultimi anni, le manager e dirigenti di azienda in Italia rimangono meno del 20%.
Le ragioni possono essere molteplici e sicuramente complesse.
Di seguito un timido tentativo di approfondire la questione estrapolando dati, nomi e avvalendomi di alcune testimonianze dirette.
Con il proposito di riprendere successivamente l'argomento con ulteriori aggiunte e dettagli.
Partiamo dai grandi nomi di donne che da anni “dominano” il panorama pop italiano.
Mina già nel 1967 fondò una propria casa discografica, la PDU, intuendo l'importanza dell'auto gestione della propria musica ma che diede spazio sia a progetti commerciali che, inaspettatamente, a dischi di musica d'avanguardia, sperimentale, jazz.
Mara Maionchi, assurta negli ultimi anni a ruolo di personaggio pubblico e televisivo, ha collaborato con le principali etichette italiane lavorando con grandi nomi come Lucio Battisti, Ornella Vanoni e Fabrizio De André e lanciando Tiziano Ferro.
Pur se non coinvolta direttamente in progetti discografici, Maria De Filippi è una delle principali figure che gestiscono nuovi talenti, grazie a un programma di successo come “Amici”, da cui sono usciti nomi come Emma Marrone, Alessandra Amoroso, Irama, tutti con un posto sicuro nelle classifiche.
Caterina Caselli dalla carriera di cantante è passata alla gestione della casa discografica Sugar portando alla notorietà Elisa, Andrea Bocelli, Negramaro, Avion Travel, non disdegnando incursioni nella musica meno facile.
Paola Zukar è una delle principali protagoniste della scena rap italiana, grazie alla scoperta e gestione manageriale di Fabri Fibra, Clementino, Marracash.
Sono purtroppo eccezioni virtuose che rispecchiano una situazione simile anche in ambito giornalistico. Le redazioni delle riviste musicali hanno spesso percentuali di presenza femminile irrisorie.
Ho chiesto l'intervento di due giornaliste e due giornalisti per una prima analisi del problema.
Alba Solaro, storica firma di Unità, Marie Claire, Rockerilla, ora a Repubblica:
“Non credo si possa parlare di casualità, in questo genere di cose nulla è mai un caso.
Ma sulle dinamiche si potrebbe scavare di più anziché ripeterci la retorica del pregiudizio maschile (che c’è) e della cultura patriarcale (che c’è).
Un mio amico sostiene che ci sono poche donne nel giornalismo rock per via dell’approccio calcistico alla musica.
Tutti tecnici, tutti allenatori, con un’idea di competenza che fa rima col nozionismo al limite dell’ossessione.
Se ripenso a quando ho iniziato, erano i primissimi anni Ottanta, la sensazione di mettere il piede dentro il club dei ragazzi era indiscutibile; accettavi di entrare in un territorio che ti avrebbe guardato con sospetto, valutato per cose che con la professionalità c’entravano quanto il golf con le omelette; che ti avrebbe rispettato solo se fossi stata capace di conquistarti non tanto la professionalità quanto una posizione di potere.
Non penso che le cose fossero più facili per chi magari si occupava di cinema o di libri; il solo territorio dove invece le giornaliste abbondavano era la televisione, e sarebbe interessante provare a capire come mai.
Spesso, peraltro, molte di noi si sono occupate tanto di musica quanto di tv. Evidentemente ci interessava la musica come parte della cultura pop; un approccio decisamente meno “calcistico”. In realtà quando ho iniziato non eravamo pochissime, ricordo Teresa De Santis, Maria Laura Giulietti, Daniela Giombini, Daniela Amenta, Alessandra Sacchetta, Lucia Marchiò, Laura Du Plenty, e nei grandi quotidiani c’erano Marinella Venegoni, Laura Putti, Gloria Pozzi, e sicuramente sto dimenticando qualcuno, e non ho incluso le radio. Poche no, ma con poco potere sì.
Questo vale anche per l’industria.
Dunque il vero nodo è il potere. Poche o tante che fossero, le donne comunque hanno sempre avuto ruoli più subordinati, anche perché lavoravano isolate, raramente solidarizzavano; a fronte di un mondo maschile che faceva squadra, anche quando queste squadre magari litigavano e si dividevano e generavano competizioni micidiali, ma sempre all’interno di logiche cameratistiche.
Oggi ne vedo molte più di un tempo, talvolta iniziano a scrivere di musica e poi si spostano o si allargano ad altro, anche perché di giornalismo musicale non vive più nessuno; ma se anche sono di più, hanno più potere?
Personalmente oggi sono più interessata a ragionare su che cultura del potere le donne che lavorano nel giornalismo (ma non solo) abbiano prodotto; ok, c’è il maschilismo, ok siamo state discriminate, ma lì dove le donne sono diventate direttori, capi struttura, capo redattori, ecc, hanno fatto la differenza? Hanno costruito un modo diverso di lavorare e di gestire il potere e di fare cultura Spostiamo il dibattito dalla quantità alla qualità, che di retorica sennò si muore”.
La spalleggia Lucia Marchiò (firma di Repubblica e con una lunghissima esperienza in ambito musicale):
“Ci sono molte donne negli uffici stampa, ma, tranne rarissimi casi, a capeggiare sono sempre gli uomini. Non so se vi sia una pregiudiziale, di certo noto anche sui social la tendenza degli uomini a ritenersi unici depositari del sapere musicale in confronto al “gentil sesso”, con tanto di battute scurrili e maschiliste, per non dire peggio, di sminuire l’operato femminile in genere, pure denigrando (sempre in ambito musicale), soprattutto se si parla bene di una collega donna e non di loro stessi.
A non dare peso, tenere conto, minimizzare o peggio, non considerare pareri/critiche espresse da donne nei confronti di questo o quell’artista, sempre per quell’aurea da “professore so tutto io - cosa vuole saperne una donna, rispetto a me”.
Non sono tutti così, fortunatamente. Molte colleghe/amiche sono tenute in gran considerazione però sempre meno rispetto a un uomo, a parità di scritti/analisi.
Il che mi riconduce al punto che non si ritiene la donna qualificata a parlare, scrivere e occuparsi di musica quanto un uomo”.
Opportuno chiedere lo stesso parere a due uomini.
Federico Guglielmi ha scritto per il Mucchio, ora con Classic Rock, autore di una trentina di libri musicali, conduttore radiofonico:
"Un dato che mi pare significativo è che oggi ci sono molte più donne di un tempo.
Alla fine dei '70 erano una rarità, e anche in seguito non è che abbondassero. Suppongo che la prospettiva interessasse a poche, in rapporto ai maschi: per molti anni, in alcune riviste, sono stato addetto al vaglio delle offerte di collaborazione, e la proporzione era più o meno di una donna ogni dieci uomini.
Poi, certo, è un dato di fatto che fino alla metà degli anni '70 il rock fosse visto come una cosa "da maschi": le donne che lo praticavano erano poche, di solito cantanti, e si è dovuto aspettare la rivoluzione punk perché tante musiciste si affacciassero seriamente alla ribalta e i pregiudizi venissero pur lentamente rimossi, fino ad arrivare a giorni come gli attuali nei quali, nella musica, il genere non è un ostacolo.
Se i musicisti sono comunque più delle musiciste, ed è così, non mi pare poi così strano che ci siano più giornalisti che giornaliste.
Non sarà semplicemente che, proprio in generale, la pratica dello scrivere di musica interessi più agli uomini che alle donne?
Il discorso della discriminazione poteva avere basi solide un tempo, non c'è dubbio, ma non oggi. Basta fare un giro in rete, dove certo non ci sono filtri fallocratici, e contare quanti blog di critica-analisi musicale sono di uomini e quanti di donne".
Roberto Calabrò, scrittore e giornalista per “Blow Up”, recentemente al centro di una polemica basata proprio sulla scarsità di figure femminili nella rivista:
“Che in Italia sul terreno della parità di genere ci sia molto da fare è una cosa quasi banale a dirsi.
Ed è vero che nella stampa musicale la presenza femminile sia marginale, ma – almeno in questo caso - non mi pare che ci siano discriminazioni di sorta. Il fatto è che, rispetto agli uomini, sono poche le donne a proporsi.
Su “Blow Up” ogni volta che una giornalista ha proposto dei contenuti interessanti è stata accolta a braccia aperte perché sono le idee a contare, non il sesso. Colgo l’occasione per rinnovare l’invito alle colleghe che si occupano di musica a inviare le loro proposte al giornale”.
Il dibattito è aperto, le opinioni convergono ma, allo stesso contrastano. Un tema che merita di essere ulteriormente approfondito.
domenica, maggio 29, 2022
Classic Rock + Rock Aroud the Book + Not Moving LTD
Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK intervisto Fantastic Negrito e Gianni Fuso Nerini a proposito della nuova edizione del FESTIVAL BEAT.
Recensisco gli album di Fantastic Negrito, Rolling Stones "El Micambo 1977", Govt Mule, Tijuana Panthers, UR, il libro "Una pinta con Shane McGowan".
Prosegue la rassegna "Rock around the book".
I prossimi appuntamenti nei flyers.
NOT MOVING LTD il 16 giugno a Cesena con Amyl & the Sniffers e Chronics
Centocinquanta Polaroid di Mario Schifano - Galleria Biffi Arte - Piacenza
Segnalo la mostra - fino al 5 giugno - nella Galleria Biffi Arte a Piacenza, via Chiapponi 39, con più di centocinquanta Polaroid di Mario Schifano
Qui c'è la personalità di Mario. Lui non aveva un taccuino, era ovunque.
In queste immagini emerge il suo spirito esploratore, indagatore implacabile della comunicazione massificata. Vediamo la ricerca, il pensiero, ogni dettaglio di un gigantesco affresco della sua contemporaneità.
(Giorgio Baratti)
sabato, maggio 28, 2022
Michael Pergolani oggi a Trevozzo (Piacenza)
Inizia a Trevozzo (Piacenza) la nuova edizione di Rock around the Book, con la partecipazione del giornalista, scrittore, attore, presentatore e tanto altro, Michael Pergolani che presenterà il suo nuovo libro "Nudo".
La serata, a ingresso gratuito, sarà condotta dal sottoscritto e dal giornalista Oliviero Marchesi.
ROCK AROUND THE BOOK, che proseguirà fino a settembre con tredici appuntamenti relativi a musica, letteratura e anche calcio, è organizzato da Comune di Alta Val Tidone con la direzione artistica di Gianni Fuso Nerini e del sottoscritto.
https://tonyface.blogspot.com/2022/02/michael-pergolani-nudo.html
venerdì, maggio 27, 2022
Odessa
L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.
Le precedenti puntate qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-ucraina-febbraio.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-parte-1.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-ucraina-maggio-2014.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/03/racconti-dallex-urss-febbraio-2022.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/04/ucrainarussia-ieri-e-oggi.html
e qui:
https://tonyface.blogspot.com/2022/04/racconti-dallex-urss-ucraina-marzo-2022.html
Odessa Luglio 2014
Lunedì 14 luglio atterro a Odessa a ora di pranzo.
Trenta gradi, umidità accettabile.
Entro nel terminal vecchio, con le pareti giallo ocra un po’ scrostate. Sembra una stazione degli autobus di provincia.
Raggiungo la zona degli arrivi dove, tra la piccola folla radunata, individuo facilmente il mio amico e cliente Evgenij detto Zhenja. Più alto della media, ha le spalle leggermente incurvate in avanti e nella mano destra stringe l’inseparabile borsello di cuoio nero.
Odessita di nascita, è innamorato della sua città, di un amore che sfiora un fanatismo che ho subito in varie occasioni.
Carichiamo le valigie in macchina e partiamo verso casa sua, una villetta di mattoni con il tetto marrone poco distante dal mare, nella periferia nord della città.
Oggi compie 55 anni. Da qualche settimana parenti, amici e dipendenti gli stanno organizzando una festa in spiaggia.
Arriviamo che non ci sono ancora ospiti, la moglie Olga è indaffarata ma mi saluta con affetto, come uno di casa.
Beviamo un bicchiere di kompòt freddo, una bevanda a base di frutta bollita che lascia un retrogusto affumicato.
Evgenij ha voglia di parlare, è convinto che dietro qualsiasi evento si nascondano macchinazioni e trame occulte e approfitta di ogni occasione per svelare verità di cui si considera depositario esclusivo.
Visto che parlo russo e che sono uno dei pochi che gli presta un po’ di attenzione, mi considera un interlocutore affidabile, uno con cui ci si intende.
Nel suo studio c’è una libreria che copre un’intera parete. Contiene un migliaio di libri.
Leggo le scritte sui dorsi dei volumi ma non riconosco neanche un autore o un titolo. Ci sono solo trattati di storia e saggi di teorie complottiste.
Nemmeno un romanzo.
Nella parete di fronte è appeso un ritratto ad olio di Josif Vissarionovic Dzhugasvili – Stalin per gli amici – che veglia con aria sorniona su quell’arsenale di sapere alternativo. Per mettermi a mio agio dopo il viaggio, Zhenja mi fa accomodare su un divano azzurrino e parte con una lezione sull’antisemitismo. Inizia dai bolscevichi e Lev Trotskij, prosegue con i protocolli dei savi di Sion per poi arrivare ad Arsenij Yatsenjuk, l’attuale primo ministro ucraino, circonciso pure lui.
Snocciola date, cita fonti e accadimenti incontrovertibili e, per concludere, mi porge un’edizione finemente rilegata del pamphlet antisionista di Henry Ford, il costruttore di auto che considerava le organizzazioni sindacali espressione del complotto mondiale giudaico.
Quindi Henry Ford era antisemita?
Henry Ford era una brava persona.
Finalmente arriva qualche ospite e la moglie ci chiama in soggiorno, carichiamo un po’ di roba da mangiare in macchina e ci trasferiamo in uno stabilimento balneare di stampo sovietico poco distante da casa loro, dove ci aspettano altri amici e collaboratori di Sasha.
È quasi ora di cena quando ci sistemiamo in un’area all’aperto circondata da prefabbricati, bungalow e tettoie in plastica e eternit.
Attorno a noi famiglie in costume che si fanno la doccia nell’area comune o siedono a tavola, i capelli ancora bagnati, l’odore del balsamo sospeso nell’aria che si mescola a quello dei peperoni grigliati.
Alla cena di compleanno ci sono una cinquantina di invitati di età compresa tra i quindici e i settantacinque anni, tutti disposti su tavoloni e panche di pietra.
Per la serata hanno organizzato un programma da Giochi Senza Frontiere presentato da uno speaker.
Per stimolare l’appetito, partiamo con il tiro alla fune in riva al mare.
Rischio di farmi male, un bisteccone che stringe la corda davanti a me mi molla un pestone sulla caviglia. Perdiamo per colpa mia.
Mi fanno sedere accanto a Dasha, la figlia maggiore del festeggiato.
Ha la mia età e un divorzio senza figli. È laureata in lingue, lavora col padre a cui è molto legata e vive da sola.
Porta i capelli castani raccolti all’indietro da un cerchiello, gli occhi azzurri brillano sul volto abbronzato e disteso. Indossa una maglia traforata molto leggera su un paio di pantaloni bianchi.
È una bella donna, se non sai chi è suo padre.
Altrimenti è impossibile non riconoscere tratti ed espressioni di Zhenja nel volto di Nadja. Mentre lei mi racconta delle vacanze in Montenegro vedo lui che annuncia l’arrivo degli ufo.
Sulla tavola sono disposti vassoi da cui si servono gli ospiti.
Pane nero con forshmàk, un patè di aringa e mele verdi; caviale di melanzane; pollo e pesce farcito; pescetti fritti; conserve e torte. Tutti piatti della cucina ebraica.
L’alcol non è particolarmente abbondante perché Evgenij è astemio e i commensali si adeguano.
Ogni cinque minuti lo speaker interviene, racconta una barzelletta, annuncia una canzone che fa partire da un portatile collegato a una cassa nera. Poco prima del taglio della torta il presentatore mi invita a ballare.
Impossibile rifiutare davanti a tutti. La compagna di ballo è l’assistente personale di Evgenij, Irina, una signora sulla cinquantina con i capelli lunghi raccolti sulla nuca.
Parte la canzone, un classico del folklore sovietico che si intitola 7.40, Sjem’ Sorok.
Parla di un treno in arrivo alla stazione di Odessa. In uno dei vagoni viaggia un signore elegante che indossa una bombetta, ha il fuoco negli occhi ed è atteso con impazienza alle otto meno venti del mattino.
Forse è Theodor Herzl, figura di spicco del movimento sionista di fine ottocento. O forse è una metafora per l’avvento di Gesù. Fatto sta che il treno non arriva.
La melodia è incentrata su sonorità klezmer, genere tradizionale degli ebrei aschenaziti dell’Est Europa che incorpora strutture ritmiche e melodiche originarie dai Balcani, della Russia e della Polonia. I musicisti erano originariamente chiamati klezmorim e si esibivano in occasione di matrimoni e celebrazioni.
La marcetta si apre con un fraseggio di violino intrecciato al clarinetto.
Le note incalzanti del contrabbasso evocano lo sferragliare della locomotiva sulle rotaie. È una canzone simpatica, ricorda un po’ i film di Kusturica ma è musica da sagra, non le assocerei mai con una pista da ballo.
E invece mi tocca far la parte, prendo la mano di Irina, la alzo sopra le nostre teste e mi avvicino a lei sculettando a destra e a sinistra. Dieci secondi potrebbero bastare ma è solo l’inizio, attorno a noi sono raccolte una cinquantina di persone, alcune guardano sedute, altre ballano e battono le mani a tempo. Il sole cala sul mare, le ombre si allungano sull’asfalto.
Il ritmo sincopato lascia poca libertà di improvvisare ai mocassini neri che sbattono le punte sul cemento.
Avanti e indietro, poi di lato. Alterno qualche colpo di tacco come un ballerino di sirtaki un po’ disabile. Fosse per me andrei a sedermi ma non mi posso fermare.
Faccio lavorare Irina, alzo il braccio e la invito a compiere una serie di piroette. Una ciocca di capelli si sfila dall’elastico e le scende sulla fronte un po’ sudata.
Ci dà dentro, sorride e non stacca lo sguardo quando la faccio roteare sotto la mia ascella. Entra il break strumentale, manca ancora metà canzone.
Gli archetti dei violini fanno da contraltare al clima di allegria, sfregano note e coloriti malinconici, a bilanciare lo spartito emozionale della canzone. Il battito accelera, assolo di clarinetto.
La svasatura dei miei pantaloni in lino ondeggia freneticamente come una bambolina hawaiana da cruscotto.
Anche il prendisole bianco di Irina ondeggia, i suoi occhi sempre più larghi, sempre più blu.
Finalmente la musica rallenta, l’archetto piega le ultime note.
È finita.
Giro di applausi, inchino, lo speaker mi invita a fare un altro ballo ma declino.
Irina sia avvicina al marito, un signore che sembra molto più vecchio di lei, è serio in volto, la guarda e non dice una parola.
Torno a sedermi al tavolo, chiacchiero con Nadja, mi racconta della sua festa di matrimonio, il giorno più bello e stressante della sua vita, volato in un attimo.
Sono in piedi dalle quattro del mattino, vorrei andarmene in albergo ma dobbiamo ancora assistere alla premiazione. Dopo la distribuzione a vario titolo di certificati, caricature e ninnoli di plastica, è il momento di assegnare il premio come miglior ballerino. Lo speaker dice che il vincitore gli assomiglia molto, è vestito come lui.
Ha la testa rasata sui tre lati, i capelli corti che si impennano in uno spoiler ingellato sopra la fronte, è avvolto in una maglia da marinaio da cui scappano rotoli di ciccia verso tutte le direzioni e indossa un paio di braghe a quadri da cuoco.
Ai piedi sandali in plastica da piscina.
Suspense.
Il vincitore sono io.
L’alter ego con la polo nera in filo di scozia, i pantaloni sartoriali in lino con un quadro sottile ed elegante, i mocassini con le nappine e la suola in cuoio. L’unico trofeo che io abbia mai ricevuto in vita mia è un cuscino azzurro con la stampa di un’ancora, il bordo circondato da una corda nautica bianca intrecciata. Alla fine Zhenja mi porta in albergo, ho prenotato una stanza all’Hotel Kalifornia - si chiama proprio così - accanto ad una delle sinagoghe della città, in Ulitsa Evrejskaja. La mia finestra si apre su un rosone con la stella di David.
Odessa, quarta città per popolazione in Ucraina, conta poco più di un milione di abitanti di cui 50.000 ebrei.
Fanno parte del tessuto economico e sociale della regione da centinaia d’anni. Le prime tracce risalgono al sedicesimo secolo quando ebrei polacchi si insediarono nell’Ucraina meridionale per svolgere attività di mercanti, importatori ed interpreti al seguito dei cosacchi di Zaparozhija.
L’immigrazione ebraica in città dai territori della Polonia, dell’attuale Bielorussia e di altre regioni dell’attuale Ucraina si intensificò all’inizio dell’ottocento grazie alle possibilità di crescita economica offerte dal porto sul Mar Nero e dalle favorevoli condizioni climatiche e sociali che portarono molti ebrei a vivere il proprio credo religioso in maniera più libera ed aperta rispetto ai paesi di provenienza.
Nonostante le politiche antisemite promosse nei territori dell’impero russo, alla fine del diciannovesimo secolo Odessa era un polo culturale di rilievo per la comunità ebraica, un terzo della popolazione parlava Yiddish.
La maggior parte delle attività commerciali era in mano ad ebrei così come la compravendita di grano.
Prima dell’occupazione nazista nel 1941, gli ebrei costituivano oltre il trenta per cento della popolazione di Odessa. A seguito dei massacri e delle deportazioni subite, questa percentuale si ridusse al dieci per cento dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Rilevante è l’apporto offerto dalla comunità ebraica locale alla musica pop e al jazz.
Serge Gainsbourg, Bob Dylan e George Gershwin hanno sangue odessita e mi piace pensare che quell’atmosfera cosmopolita intrisa di melodie italiane, folk slavo, sonorità dei Balcani e musica klezmer abbia avuto un’influenza particolare sulla loro sensibilità artistica.
Il giorno dopo Zhenja passa a prendermi, ha organizzato una visita della città con una guida che è una sua amica, Natasha.
Ha passato la settantina, è molto colta e gentile, porta dolcemente il peso degli anni con l'ironia del sorriso odessita. Oltre al russo e all'ucraino, parla francese, inglese ed un ottimo italiano.
Sasha mi chiede di far parlare la guida in italiano, io acconsento e Natasha mi ringrazia di cuore perché è la prima visita guidata in italiano che fa quest'anno.
Mi spiega che di solito a Odessa sbarcano oltre 150 navi da crociera durante la stagione estiva.
Quest'anno, a causa della guerra nel Donbass, ne hanno avute soltanto 5, un colpo tremendo per tutto il settore turistico, fondamentale per l’economia della città.
Natasha racconta a sommi capi la storia della città partendo dalla presa della fortezza ottomana Khadzhibej nel 1789 da parte delle truppe russe nel corso della guerra russo-turca (1787-1792). Alla battaglia partecipò un italiano di origine spagnola, Giuseppe de Ribas, figlio del console di Spagna presso il regno di Napoli.
De Ribas era un militare rispettato nei ranghi alti dell’esercito russo e dopo la fine della guerra divenne comandante della flotta russa nel Mar Nero.
Propose alla zarina Ekaterina di trasformare il villaggio Khadjibej in un porto dell’Impero. La temperatura mite del Mar Nero avrebbe scongiurato il rischio di ghiacciarsi durante l’inverno.
Odessa venne fondata nel 1794 per decreto imperiale di Ekaterina che nominò amministratore capo De Ribas.
Il napoletano, nel frattempo promosso al grado di ammiraglio della flotta, diede l’avvio alla costruzione degli edifici ministeriali e dei palazzi di pietra che costituiscono il nucleo urbano originario della città che lo stesso Deribas decise di chiamare Odisseo, nome successivamente femminilizzato in Odessa dall’imperatrice.
Lo sviluppo iniziale avvenne per mano del Duca di Richelieu, nobile francese nipote del cardinale, scappato dalla Francia della rivoluzione per servire nell'esercito russo di Caterina la Grande.
Appuntato governatore di Odessa dallo zar Alessandro I, Armand-Emanuel di Richelieu ne curò lo sviluppo economico, sociale e culturale fino al 1814. Offrendo terreni a prezzi bassi, garantendo tolleranza religiosa ed esenzione dal servizio militare, riuscì ad attrarre nel neonato centro marittimo una nutrita comunità di espatriati provenienti da tutta Europa: bulgari, serbi, moldavi, greci, armeni, italiani, ebrei e tedeschi che contribuirono al primo boom economico e commerciale. La sua statua, in stile neoclassico, accoglie i visitatori che arrivano dal mare e che entrano in città salendo la scalinata Potemkin.
È uno dei luoghi più belli e significativi di Odessa, anche a livello turistico.
È un tardo pomeriggio meravigliosamente estivo, ci troviamo sul lungomare.
Giovani coppie e famiglie passeggiano nella camminata ombreggiata da acacie importate direttamente da Vienna, si nota l’assenza degli stranieri.
Natasha sa che per gli italiani la scalinata Potemkin fa parte dell'immaginario collettivo grazie al Secondo Tragico Fantozzi.
La scalinata, ultimata nel 1841, è stata progettata nel 1815 da un architetto italiano, Francesco Boffo, responsabile della creazione di altre opere in stile neoclassico ad Odessa. Rappresenta l’accesso alla città dal mare.
Inizialmente costruita con lastre di marmo verde provenienti dal porto di Trieste, la scalinata è caratterizzata da un’illusione ottica. Vista dall’alto i quasi duecento gradini che la compongono non sono visibili, osservata dal basso spariscono le sezioni orizzontali intermedie.
La guida mi parla del ruolo importante che gli italiani hanno storicamente svolto ad Odessa.
Proseguiamo la passeggiata sul lungomare e raggiungiamo l'inizio di quello che una volta era chiamato il viale italiano “ital’janskij bulvar’”, abitato prevalentemente dai miei connazionali.
Domando di cosa si occupassero e mi risponde che c'era un po' di tutto: attori e cantanti che si esibivano presso lo spettacolare Teatro dell'Opera, ristoratori, pasticceri, artigiani, banchieri, commercianti, architetti. Importante anche la presenza di marinai napoletani, genovesi e livornesi.
Il cuore e l'anima di questa città così fortemente voluta da Ekaterina sono stati disegnati emotivamente e stilisticamente da italiani. La prima banca d'affari in città è stata fondata da italiani.
‘O Sole Mio è stata scritta da Giovanni Capurro e Edoardo di Capua proprio a Odessa, pare che la musica sia stata ispirata da un’alba sul Mar Nero. L'italiano era una lingua diffusa nell'Odessa dell'ottocento, ne parla anche Pushkin nel suo Evgenij Onegin, molto comune l’utilizzo anche per la stesura e redazione di documenti commerciali. Rientro di fatto nella categoria dei commercianti italiani, versione 2.0 con smartphone e connessione internet permanente. Spostamenti su aerei di linea e comunicazioni via mail o telefono. Trasporti della merce affidati a broker.
Provo ad immaginare cosa volesse dire partire dall'Italia 200 anni fa, raggiungere Odessa con uno stock di mercanzia da piazzare, tutti i disagi, i rischi e le tempistiche del viaggio per terra e per mare.
Terminato il giro ringrazio Natasha e ci salutiamo.
La panoramica culturale su Odessa sarebbe incompleta senza qualche cenno letterario.
Non ho mai letto i racconti di Issak Babel’, ebreo morto fucilato nel 1941 con l’accusa di deviazionismo Trotskista. Parlano di quel sottobosco di ladri, malviventi, papponi e contrabbandieri, circa 40.000 secondo una stima del 1918.
Ho letto e consiglio sempre Beniam Venedikt Livshits, poeta e fondatore del movimento cubo-futurista russo.
Nato da una famiglia di ebrei benestanti nel 1887 a Odessa, studiò giurisprudenza a Kiev.
Non fu un poeta eccelso o particolarmente originale ma occupa un posto nella storia della letteratura russa grazie a L’arciere dall’occhio e mezzo, “autobiografia del futurismo russo” che descrive la nascita del movimento dalla sua nascita nel 1911 fino allo scoppio della prima guerra mondiale.
Avevo vent’anni, abitavo tra San Marco e Rialto e non dimenticherò mai l’emozione che mi hanno regalato quelle pagine, le storie di un gruppo di miei coetanei che vagavano per le strade di San Pietroburgo nel 1912 con i volti dipinti, le giacche addobbate di drappi di stoffa colorata declamando versi ad alta voce.
Punk e situazionismo sessantacinque anni prima dei Sex Pistols e degli indiani metropolitani.
Zhenja se ne frega di Livshits, quando gliene parlo fa un cenno con la mano “Livshtis era ebreo”.
Effettivamente era ebreo, si fece battezzare cristiano ortodosso nel 1914 e morì fucilato, come Babel’, per deviazionismo trotskista nel 1938.
A cena con Zhenja e la moglie, parliamo di lavoro e casualmente mi racconta che a giugno hanno bombardato lo stabilimento produttivo di un'azienda di mobili che ha sede nella periferia di Donetsk.
A dicembre del 2013 ho tenuto un seminario presso il loro show-room appena ultimato. Mi ha impressionato la qualità dello stabile dal design moderno e razionale, lo spazio interno organizzato con ordine e gusto.
Non il solito caotico bazar che si trova spesso in molti paesi dell'area ex-sovietica. Sono rimasto colpito dall'imponenza degli investimenti sostenuti. Ho parlato con il direttore che era un po' preoccupato per la situazione a Kiev, ma tutto sembrava così lontano e remoto che nessuno avrebbe mai sospettato che di lì a 6 mesi quei luoghi sarebbero diventati teatro di guerra.
A fine maggio 2014 ho nuovamente incontrato un venditore di quell'azienda in fiera a Kiev.
In quei giorni era appena stato eletto Poroshenko ed era scattata l'offensiva armata contro i separatisti.
Il giovane rappresentante era nella capitale per lavoro mentre nei pressi di casa sua si sparava e la gente moriva.
Ricordo il nostro ultimo incontro.
Due venditori che si stringevano la mano augurandosi buon lavoro.
Pochi giorni dopo uno dei due si sarebbe ritrovato senza azienda e sostanzialmente senza mercato.
Se non hai luce, gas e acqua potabile non pensi ad acquistare una nuova cucina, sempre ammesso che ti sia rimasta una casa dove montarla.
Non posso fare a meno di ripensare a quell'azienda moderna e curata.
Agli sforzi intrapresi per allinearsi agli standard occidentali, ai progetti che riguardavano le vite e le famiglie dei dipendenti, le loro speranze.
Tutto crollato sotto il peso delle bombe aria-terra.
Il 16 Luglio rientro in Italia e il giorno successivo sopra Donetsk viene abbattuto il Boeing 777 della Malaysia Airlines partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur.
Gli ucraini incolpano i separatisti filorussi di aver colpito il velivolo con un missile terra-aria Buk. Quest’ultimi replicano di non avere avuto a disposizione quel tipo di arma.
Fossi rimasto un giorno in più sarei sicuramente incappato in ritardi o cancellazioni di voli verificatisi successivamente alla tragedia che ha comportato la morte di 298 civili innocenti.
Dicembre 2018 Kiev
Sono a cena con Gennadij, il titolare dell’azienda di Donetsk.
Nell’estate del 2014 ha spostato tutto a Kiev, molti dipendenti si sono trasferiti nella capitale perché la sede centrale nel Donbass è andata perduta.
Negli ultimi anni ha fatto crescere l’azienda, ha aperto altre filiali e cercato di acquisire nuovi clienti.
Siamo in un ristorante caratteristico ucraino di buon livello.
L’arredamento del locale riprende l’atmosfera e la cucina di un villaggio di campagna, forno a vista in sala, vasellame, sciabole, piatti decorati e dipinti in stile appesi alle pareti.
Il personale veste abiti tradizionali.
I ragazzi indossano camicioni di lino grezzo senza colletto, la scollatura al centro ornata di ricami colorati, sotto portano pantaloni larghi e scuri con una fascia rossa in vita.
Le colleghe hanno vestiti lunghi ricamati sulla scollatura, sul petto e sul bordo delle maniche, corpetti e grembiuli decorati e una ghirlanda di stoffa e fiori sulla fronte.
Abbigliamento comodo e pratico per il lavoro quotidiano, il servizio militare e il ballo. A tavola ci sono collaboratori di Gennadij e altri fornitori italiani, io sono l’unico che parla russo.
C’è un triestino, Sandro, cinquant’anni ben portati, alto, fisico asciutto, decisamente un bell’uomo.
E’ filo-russo e non ne fa mistero.
Lo ero anch’io nel 2014, dopo il Maidan. Poi mi sono stancato di sostenere una delle due versioni.
Non era la mia guerra, avevo una vita da vivere, nelle banalità e nelle cose serie.
Più avevo a che fare con la gente e più mi accorgevo che le esistenze, i desideri e le ambizioni delle persone non potevano essere incanalati in un modello unico, monolitico.
La realtà era complessa e sfaccettata. Nel corso degli anni ho conosciuto tantissime persone come me, con le mie aspirazioni e i miei desideri.
Persone che lavorano per mantenere le proprie famiglie, far studiare i figli, pagarsi il mutuo e le rate della macchina. Gente che ama la compagnia, che vuole vivere tranquilla e, se ha due soldi da parte, viaggiare e vedere un po’ di mondo.
In tutti questi anni non ho incontrato neanche un nazista.
Forse uno, Ruslan, un esaltato di Kiev. Ho fatto appena in tempo ad accorgermene che è morto di tumore.
Sandro invece non ha mai cambiato idea.
Anche qua, a Kiev, a tavola al ristornate con Gennadij nel 2018.
È un tipo equilibrato, Gennadij.
Ha un capoccione rasato e lucido, l’espressione serena.
Non alza mai la voce coi dipendenti, non increspa mai le ciglia, sorride spesso. Sembra un monaco buddista. Racconta di quando, nel giugno 2014, hanno iniziato a bombardare il capannone nuovo di zecca a Donetsk. Poco distante erano dislocate le milizie separatiste. Forse è stato un errore dell’esercito di Kiev, forse ce l’avevano proprio con la sua azienda.
È stato un mezzo miracolo che non ci fosse nessuno dentro allo show-room.
I collaboratori erano in magazzino. Quando ha visto il fumo uscire dal tetto ha preso l’auto, è passato per casa, ha caricato la moglie e la figlia, lo stretto necessario ed è scappato.
Ha guidato fino a Kiev senza fermarsi.
Sandro ascolta quello che gli traduco e mi obbliga a fare una domanda:
“Chi ha ragione?”
Gennadij sorride e continua a parlare.
Qualche mese fa è ritornato a Donetsk per salutare amici e parenti e ha avuto l’impulso di rivedere la sua azienda, si è avvicinato al terreno recintato che adesso è sotto il controllo delle milizie separatiste.
Un soldato lo ha apostrofato con fare aggressivo.
Lui gli ha parlato con deferenza, gli ha spiegato che una volta quei capannoni erano suoi.
Ha chiesto se fosse possibile dare un’occhiata.
Il soldato lo ha accompagnato all’interno.
La sua azienda adesso è un ospedale militare, dove c’erano le scaffalature del magazzino adesso ci sono le brande coi feriti.
“Chi ha ragione?”
Allarga le braccia, sorride, alza le sopracciglia come a dire “che domanda del cazzo, amico mio”.
giovedì, maggio 26, 2022
Campionato di calcio 2021/2022
Come da tradizione non poteva mancare il commento finale di ALBERTO GALLETTI alla stagione calcistica appena andata in archivio.
E' finito il campionato di Serie A 2021/22, la stagione non ancora.
Ha vinto il Milan allo sprint sull'Inter dopo aver a sua volta inseguito.
Una bella vittoria, colta con convinzione e impegno da una squadra partita senza il favore dei pronostici.
Diciannovesimo titolo della serie, a undici anni di distanza dall'ultimo.
Una vittoria che viene da lontano e che merita considerazione nonchè di ricordarsi da dove erano partiti.
Dal giorno dell'acquisizione della società da parte del fondo Elliot che evitò di fatto un fallimento di cui nessuno voleva parlare, quindi dall'affermazione di Paolo Maldini alla guida delle cose di calcio e conseguente piede nel culo a Boban, e dall'arrivo di Gazidis per conto di Elliott, un mago già all'Arsenal.
Ricordarsi sempre dell'intervista alla presentazione di Pioli:
"Abbiamo salvato il Milan dalla serie D" - dissero tra le altre cose - era vero.
Molto bravo Pioli che ha grandi meriti, si è prestato all'opera di ricostruzione della squadra accettando ed inserendo via via i nuovi e allenandoli pazientemente, sempre in maniera positiva e propositiva.
Nessuno slogan, nessuna etichetta modaiola sullo stile di gioco, serietà allenamenti e giocare, parecchia gente giovane e buona (a giocare).
Mi cospargo quindi il capo di cenere, non lo avrei mai creduto in grado di vincere uno scudetto.
Tutto mentre in società è continuata l'opera di risanamento a tal punto che oggi il Milan è di nuovo appettibile ed è imminente la vendita ad un nuovo fondo d'investimenti.
Quest'ultima frase la detesto, preferirei che le cose andassero in ben altra maniera ma sono rassegnato.
Esprimo tutta la mia ammirazione per Rafael Leao e la sua stagione favolosa, un giocatore fenomenale, imprendibile, da Real Madrid.
Giusto il premio della critica come miglior giocatore del campionato, stesso dicasi per il portiere.
Menzione per Tonali che si sveglia in tempo ai primi di marzo e per Giroud, giustamente dosato vista l'età, ma quasi sempre decisivo.
Molto bravo Theo Hernandez che si conferma ad alti livelli, il suo gol all'Atalanta resta emblematico della stagione rossonera, fortissimamente voluto.
E' decisamente una vittoria del gruppo e della sua volontà di affermarsi, tante partite sono state vinte soffrendo, col minimo scarto e credendoci sempre, nei minuti finali.
E' stata la corsa al titolo più incerta degli ultimi anni, una corsa a tre, culminata nell'ultimo mese in uno sprint tra le due milanesi.
L'Inter perde il recupero di Bologna che si rivelerà infine fatale.
Un grazie a Radu per la papera.
Terzo il Napoli che è stato anche in testa per un po'.
La squadra per me comunque è meno forte delle due milanesi, e forse anche della Juve.
La Juventus ha profondamente deluso, non è bastato il ritorno di Allegri.
Squadra in rifacimento e pilastri del ciclo vincente ormai a fine corsa.
Nessuno ancora tra i presenti mi pare in grado di diventare il condottiero di una squadra che vince, pochi mi paiono all'altezza di una squadra che vuole dominare.
Il cambio al vertice nella dirigenza è sicuramente una spedizione punitiva di John Elkann nei confronti del cugino, caduto in disgrazia con le recenti debacles di superlega, plusvalenze, esame di italiano di Suarez e altri cazzi che hanno gettato discredito sull'immagine della vecchia signora.
Prevedo tempi grami.
Stagione in chiaroscuro per la Lazio, forse meno forte di altri anni.
Problemi in difesa vedi il caso Acerbi e la brutta stagione di Luis Alberto non all'altezza, per me colpa di Sarri che sembra avere un problema con i giocatori forti (secondo lui quando era al Chelsea il problema era Hazard).
Sarri che si conferma un enigma o neanche tanto, quando le cose non vanno per il verso giusto da la colpa ai giocatori.
Finiscono quinti e vanno in UEFA, più o meno quello che ci si aspettava.
Quello che fa la differenza, soprattutto per chi le squadre le segue, è il come.
Ma sembra non importare più molto.
Immobile rivince la classifica dei marcatori, per la quarta volta.
E scrive un'altro pezzettino di storia del calcio italiano.
Più di lui solo Nordhal.
Sulla Roma invece avevo grosse aspettative.
Stravedo per Abraham e Smalling, in più Mkhitarian, Pellegrini, Mancini, Zaniolo (pur se un gran coglione), ma poi non ho fatto i conti con l'egocentrismo autolesionista di Mourinho e con il grave infortunio di Spinazzola, chiudono al sesto posto.
Avrei voluto vedere gli stessi giocatori a Milano vestiti in rossonero...
Buono il cammino in Europa dove hanno scritto un po' di storia vincendo la prima edizione della nuova Europa Conference, mettendo qualcosa in bacheca.
Quasi buona la stagione della Fiorentina che cede un po nel finale, boh? Buca l'Atalanta, era ora.
Guarda caso con il cambio di proprietà agli americani, quasi contemporaneamente il rendimento cala vistosamente.
Non è un caso.
Di tutti gli altri non mi importa.
Retrocede il Genoa, una retrocessione annunciata.
La situazione è talmente confusa e grave che faccio fatica a capacitarmene.
Me lo aspettavo da un po', negli ultimi cinque campionati era stata evitata solo per compiacenze varie di squadre ai quali l'ignobile ex-proprietario aveva fatto favori riempendo la sua squadra di cadaveri dai costi esorbitanti levandoli di torno ai suddetti amici che ripagavano venendo a perdere la nostra partita da ultima spiaggia a Marassi, due volte ero presente.
Aveva giurato di rovinarci il giorno che apparve uno striscione di pesanti insulti alla di lui genitrice e lo ha fatto.
Incalcolabili ed insensate girandole di mercato ad ogni sessione che hanno via via impoverito la squadra fino ai livelli di oggi,improponibili ed inguardabili.
Ambiente e spogliatoio devastati dall'ovvia incertezza del non si sa chi resta, chi va, chi gioca perchè è scritto nel contratto e chi dopo un po' non può più giocare perchè altrimenti una clausola contrattuale farebbe scattare n riscatto milionario.
Porcate vomitevoli, perpetrate sulla pelle di un club glorioso e della sua tifoseria che meriterebbero non tanto il posto che gli spetta, che è sempre quello che meriti, ma rispetto questo si.
Uno str**zo vendicativo e in malafede.
E' riuscito pure a garantirci altri anni di patimenti vendendoci ad una holding americana che compra ed affitta aerei e sta mettendo in piedi una calcistica tra Italia, Brasile, Belgio e Francia basata sul moneyball e in cui tutto sarà uguale per tutti a Rio deJaneiro, Genova o Liegi non importa.
Sul loro operato sorvolo, mi son già fatto abbastanza sangue marcio.
Faccio un paio di nomi, Shevchenko, Yeboah e Blessin, chi segue sa, più qualche dato tipo tre vittorie in tutto il campionato e 7 gol fatti in 16 partite con il nuovo allenatore.
Una pena senza fine e senza uguali.
Ci fanno compagnia Venezia, mai pensato che ce l'avrebbe fatta e Cagliari, che invece non mi aspettavo così male.
Pesa sulla retrocessione di questi ultimi la grave vicenda Salernitana.
Non avrebbe dovuto iscriversi, poi iscritta in deroga, poi prorogata la deroga e quindi salvata in extremis oltre i termini di scadenza della deroga e aiutata dalla stessa ex-proprietà ad ingaggiare il maneggione Sabatini e il comunque bravo Nicola.
Una delle cose più sporche cui abbia assistito da quando seguo.
Prenderanno sicuramente il posto di Preziosi e del Genoa come nave immondezzaio.
Auguri.
Per quanto riguarda il VAR, più si va avanti e più si copre di ridicolo, come ridicoli sono tutti gli addetti ai lavori che si affannano a giustificarne l'esistenza in barba agli errori incredibili e a volte pure arbitrari, nonostante si capisca che pensino il contrario.
Diventerà (per me già lo è) un mezzo per pilotare ancor di più le cose.
Ipocriti e pagliacci.
Salgono in A Lecce e Cremonese.
I salentini continuano orgogliosamente nella loro gestione fatta in casa che ha già dato due promozioni in A.
I lombardi vanno su un po' a sorpresa, la squadra l'avevano anche ma ad inizio stagione i Fagioli, Gaetano, Zanimacchia non erano certezze.
Bravo Pecchia ad amalgamarli al meglio col resto del gruppo.
Una bella promozione paragonabile un po' alla vittoria del Milan al piano di sopra.
Adesso Pecchia se ne va, preoccupato più di de stesso che non di chi gli ha dato la possibilità di mettersi in luce e della prospettiva di dover lottare fino all'ultimo minuto per salvarsi.
Più comodo il contratto (sicuramente già pronto) con una squadra già collaudata e una società con più mezzi (Udinese o forse Hellas).
Che poi sulle potenzialità economiche della proprietà della Cremonese qualcosa da dire ce lo avrei.
Retrocede in C l' Alessandria dopo una sola stagione.
Squadra debole e una fatica tremenda tutto l'anno culminata con la sconfitta interna nello scontro diretto col Vicenza (che poi retrocede allo spareggio) all'ultima giornata.
Risorge il Novara dopo il fallimento della scorsa estate, vince il girone A della Serie D a mani basse grazie anche ai gol, 35(!), del carneade albanese Vuthaj.
Altrove:
Clamoroso, controclamoroso, crudele e poi, diciamocelo, vergognoso in Belgio.
L'Union St. Gilloise della cui miracolosa resurrezione avevo parlato qualche mese fa avrebbe, fino al 2010, vinto il campionato, concluso dopo 34 giornate in testa alla classifica con 77 punti, 5 in più del Bruges e 13 in più dell'Anderlecht.
Non più, perchè dal 2011 in Belgio hanno introdotto playoff per tutto:
scudetto, zona UEFA, zona qui, zona la, retrocessione e non so che altro.
Quindi le prime quattro si affrontano poi in un girone partendo dalla metà dei punti ottenuti in campionato ma sempre con tre punti a vittoria (gravissima ingiustizia).
Ebbene i gialloblu non hanno retto la pressione e sono ceduti di schianto perdendo i due scontri diretti col Bruges alla terza e alla quarta giornata del girone, finendo dietro tre punti che son diventati quattro oggi con la sconfitta in casa con l'Anversa e il pari tra Bruges e Anderlecht.
Vince il Bruges, ancora, 18° titolo.
Mavaffanculo.
L'inculata del Liverpool all'ultima giornata mi ha parzialmente ripagato.
Spero ne prendano un'altra il 28 a Parigi.
Corporate football, non ci riguarda.
I Rangers sfiorano il successo europeo ma perdono la finale di Europa League, una partita evento come poche altre con 42.000 tifosi dentro lo stadio e oltre centomila fuori, ai rigori.
L'Eintracht Francoforte è una squadra un po' migliore, ma quel tiro di Jack al 118'...
Gli infortuni di Morelos e Hagi nel momento decisivo della stagione si rivelano assai costosi, molto meno del cambio di allenatore a novembre.
Il titolo va ai dirimpettai cittadini.
Comunque una bella risalita dopo il fallimento e la quarta divisione di dieci anni fa.
Un bel viaggio da Peterhead 2012 a Siviglia 2022.
Miracolosa la salvezza dello Sparta Rotterdam in Olanda, e notevole pure quella del Cadice in Spagna.
Vittoria scontata del PSG in Francia non senza figuracce per un paio di sonore sconfitte, l'acquisto di Ramos e di Messi ormai finito.
Corporate football, we don't give a fuck about it.
Sprofonda in serie B il glorioso Bordeaux, forse gli farà compagnia il St.Etienne, che è ancora la squadra più titolata del Paese, che dovrà fare lo spareggio con l'Auxerrre.
Scontato anche l'esito in Bundesliga, una pizza totale.
Mi vien da pensare al Kaiserslautern 1947/48 che nel girone Sud-Ovest segnò 151 gol in 26 partite e fu battuto in finale e ai tempi in cui in diciotto stagioni ci furono undici diversi campioni nazionali.
Più interessante in Teutonia la serie B dove si presentavano ai nastri di partenza un mucchio di ex-squadroni:
Schalke 04 (7 titoli), Amburgo (6), Werder Brema (4), Norimberga (9), Hannover 96 (2), Fortuna Dusseldorf (1) oltre a St.Pauli, Karlsruhe (1) e Dynamo Dresda.
L'han spuntata Werder e Schalke, l'Amburgo, terzo è andato allo spareggio con la 16ma della bundesliga, l' Hertha BSC, altra ex grande e perde in casa 2-0 dopo aver vinto l'andata a Berlino guadagnandosi un'altra stagione in Serie B, l'orologio rimarrà fermo un'altro anno.
Serie B che ritrova il Kaiserslautern di cui sopra che riemerge dopo un po dalla palta della terza serie.
Infine il Casa Pia, gloriosa ex umile compagine lisboense emanazione dell'omonima Opera Pia orfanotrofio è stato promosso in Serie A dopo un'avvincente susseguirsi di sorpassi e controsorpassi nella serie B portoghese.
Aveva partecipato alla prima edizione della serie A nel 1938/39 piazzandosi ultimo con 1 vittoria e 9 sconfitte.
Mi piacerebbe se questa volta andasse meglio.
mercoledì, maggio 25, 2022
Afrofuturismo
Riprendo l'articolo che ho scritto per "Il Manifesto" nell'inserto "Alias" sabato scorso.
La finzione speculativa che tratta temi afroamericani e si occupa delle preoccupazioni afroamericane nel contesto delle tecnocultura del ventesimo secolo - e più generalmente, la significazione afroamericana che si appropria delle immagini della tecnologia e di un futuro protesicamente potenziato - volendo individuare il termine più adatto potrebbe essere chiamata "AFROFUTURISMO".
E' il concetto attorno cui ruota il libro di Giorgio Rimondi, “L'invasione degli Afronauti” (edito da Shake Edizioni), un saggio colmo di suggestioni, stimoli, particolarità semi sconosciute che approfondisce, in modo dettagliato, colto, accademico e mai banale, il rapporto tra la cultura afroamericana, la tecnologia e la fantascienza.
Come e quando musica, cinema, letteratura hanno interagito con l'immaginario spaziale, con l'idea dell'alieno, soprattutto in epoche in cui negli Stati Uniti la conquista dei pianeti e i viaggi interstellari, erano diventati un obiettivo di enorme portata politica e sociale.
“Si dava così spazio al desiderio della middle class di impossessarsi dello spazio interstellare per colonizzarlo, una volta crollata la macchina mitografica del Far West e divenuto impraticabile il mito della frontiera interna”.
La constatazione è quanto gli afroamericani siano stati refrattari e quasi indifferenti all'attrazione per le imprese spaziali, missili, visioni futuristiche.
Come sempre causticamente si era già in qualche modo espresso Gil Scott Heron nell'album d'esordio del 1970 in “Whitey on the moon” quando racconta metaforicamente:
“Un topo ha morso mia sorella Nell, mentre i bianchi (whitey è usato in termine dispregiativo) sono sulla Luna / La sua faccia e il uo braccio hanno incominciato a gonfiarsi e i bianchi sono sulla Luna / Non posso pagare nessuna fattura al medico ma intanto i bianchi sono sulla Luna / Tra dieci anni dovrò ancora pagare mentre i bianchi sono sulla Luna”.
Le priorità della popolazione nera sono altre, il tempo di pensare allo spazio non c'é, soprattutto considerando che con i soldi per un missile si potevano risolvere ben altri problemi sulla terra.
Ma c'è di più, più drammatico, una ferita aperta da sempre e impossibile da rimarginare. La schiavitù, retaggio di un recentissimo passato, ha distrutto ogni illusione, ogni sguardo al futuro, soprattutto quando il presente è così problematico.
“La schiavitù ha funzionato come un'esperienza apocalittica, come l'equivalente di un rapimento alieno: a quale normalità potremmo mai sperare di tornare dopo quanto accaduto? Le idee, le esperienze e anche le speranze che ritroviamo nelle pratiche afrodiasporiche partono tutte dall'antica abduzione, dal rapimento originario, poiché da quel momento i ponti sono stati tagliati e non c'é alcuna possibilità di recupero. Ciò che manca infatti è il prima, il termine di paragone, ovvero la possibilità di confrontarsi con un'idea di normalità. L'Apocalisse determina infatti una frattura multipla, allo stesso tempo sociale, temporale e ontologica: qualcosa scompare e questo qualcosa ha a che fare con la possibilità che si dia un punto di partenza, un'origine.
Da quel momento il soggetto afrodiasporico è costretto a vivere in una Alien Nation ovvero a considerarsi come un popolo allo stesso tempo alieno e alienato”.
Come sottolinea Ryan Coogler, regista del film “Black Panther”:
“Ci hanno insegnato che abbiamo perduto le nostre origini, tutto ciò che ci faceva africani”.
Peraltro le conoscenze astronomiche nelle popolazioni africane sono spesso una componente religiosa o tradizionale (vedi il clamoroso e spesso dibattutto caso dei Dogon del Mali che, pare, fossero parecchio informati, pur essendo isolati da ogni forma di contatto con la “civiltà”, su come vanno le cose nel cosmo, tra rotazioni di pianeti, stelle sconosciute e altro). Ciononostante esiste una produzione di primissima qualità che mette insieme science fiction e cultura afroamericana.
Se ne interessò un insospettabile Duke Ellington ("considero lo Sputnik un'opera d'arte nello stesso tempo in cui osservo un grande dipinto, leggo una grande poesia, ascolto una grande opera musicale") che fece spesso riferimento a tematiche “spaziali” (vedi brani come “Dream of the flying saucers” e album come “The Cosmic Scene” e “Blues in orbit”.
Già nel 1920 William E.B. DuBois, tra i suoi libri che rilevavano l'importanza della comunità nera nella storia americana, inserì il racconto “The Comet”.
Quella cometa che stermina il genere umano, lasciando vivi solo un uomo nero e una donna bianca che decidono di ripopolare la terra senza più pregiudizi razziali.
Fino a quando non spuntano altri sopravvissuti e le distanze sociali ritornano le stesse di prima.
Neppure la fantascienza è in grado di cambiare le cose sulla terra.
In ambito musicale da George Clinton e i suoi Parliament/Funkadelic a Janelle Monae, attraverso lo “Space Flight”, lo “Space Jungle”, il “Science fiction” o, suo unico 45 giri, “Man on the moon” di Ornette Coleman, i riferimenti sono numerosi e suggestivi.
Non dimenticando John Coltrane quando negli anni Sessanta suonava “Star Ship” o “Sun Ship” e che poi ritroviamo postumo in album con titoli come “Interstellar Space” o “Stellar Regions” o il Jimi Hendrix che viaggiava nell'esordio fino alla “3d Stone from the sun” per poi andare “Up from the skies”.
Il principale esponente del “genere” è stato però Sun Ra, personaggio indescrivibile che fece di una personalissima filosofia cosmica il perno attorno a cui è ruotata la carriera artistica.
Cialtrone o convinto filosofo portatore di una nuova era (d'altronde asseriva di provenire da Saturno)? Con la sua numericamente sconfinata Arkestra esplorò vari confini del (free) jazz, attraverso una sterminata discografia di almeno duecento album le cui tematiche sono state il più delle volte strettamente legate al concetto della science fiction. Basti citare “We travel the space ways” o “Sun Ra visits Planet Earth”, tra i tanti.
Non è solo un bizzarro (quanto innovativo) sperimentatore ma un lucido osservatore, da un'ottica stramba e personale ma molto più profonda di quella di tanti altri, che si ricollega alla perfezione con il concetto espresso più sopra, relativo all'”apocalisse” subita dal popolo nero:
“Quando ci si oppone a una struttura ostile e implacabile come il razzismo sudista, bisogna creare un universo alternativo, dove i tuoi talenti siano riconosciuti e le tue speranze incoraggiate”. La fantascienza può essere dunque un linguaggio in grado di superare o scavare al di sotto dei pregiudizi e delle discriminazioni.
E il suo appello ai giovani neri è ancora più convincnete in quest'ottica e vero e proprio manifesto di quello che chiamiamo “afrofuturismo”:
“Io non sono reale proprio come voi. Voi non esistete in questa società. Altrimenti il vostro popolo non dovrebbe lottare per i diritti. Non siete reali, altrimenti sareste riconosciuti tra le altre nazioni. Siamo entrambi miti, io e voi. Se non giungo a voi come una realtà ma come un mito è perché il nostro popolo non è altro che questo: un mito. Io arrivo da un sogno che gli uomini neri hanno sognato tanto tempo fa. Sono una presenza inviata dai vostri antenati”.
Il libro di Rimondi offre una lunga serie di spunti, grazie anche a una ricchissima e dettagliata bibliografia che ci permette di poter approfondire un contesto così poco conosciuto e ancora in buona parte da esplorare, soprattutto nei suoi significati più reconditi.
Un nuovo viaggio mentalmente interstellare da intraprendere per potere avere una visuale da un'altra ottica e distanza (sempre meno siderale).
martedì, maggio 24, 2022
The Spitfires
Si sono sciolti gli SPITFIRES una delle ultime nuove mod band in circolazione, degni eredi della tradizione Jam, autori di ottimi e pregevoli album, il quinto dei quali, "Play for today", uscito da poco sancisce la fine del gruppo.
Il leader e anima Billy Sullivan prosegue con una carriera solista.
Gli Spitfires sono giunti al termine in modo naturale.
Avevamo avuto numerosi cambi di formazione in un breve lasso di tempo e a novembre dello scorso anno era comunque praticamente una nuova band.
Abbiano avuto un trattamento di merda da alcune delle persone con cui lavoravamo: nessun supporto (finanziario o meno), nessuna fiducia nel nostro ultimo album (Play For Today) da parte della nostra etichetta, che io e Simon Dine (produttore) abbiamo trascorso mesi a scrivere e registrare.
In realtà è stata una vera lotta anche solo per farlo uscire.
Penso che sia giusto dire che musicalmente stavo esplorando anche cose in cui gli altri membri della band potevano non essere necessariamente coinvolti.
Ma credo ancora che sia stato il miglior album che la band abbia mai realizzato.
(Billy Sullivan)
In effetti "Play For Today" (Acid Jazz Records) guarda in direzioni varie e diverse, flirtando con soul, funk, pop, sonorità "Madchester" (dalle parti degli Happy Mondays), conservando l'abituale energia e i riferimenti Welleriani.
Brani di grande livello compositivo e arrangiamenti curatissimi.
Più che ottimo.
Per un ascolto:
https://acidjazz.bandcamp.com/album/play-for-today
Il primo singolo solista di BILLY SULLIVAN "Overcome" non si discosta dallo Spitfires sound .
https://www.youtube.com/watch?v=vM_nU_s-ddU
Di seguito le recensioni dedicate dal blog agli SPITFIRES negli scorsi anni.
SPITFIRES - Life worth living (2020)
Al quarto album la band di Billy Sullivan si affida all'ex produttore di Weller, Simon Dine e all'Acid Jazz Records per rifinire meglio sound e direzione.
Molti i brani che guardano allo ska o più che altro alle sue ritmiche, frequente l'uso dei fiati, un gusto marcatamente Brit Pop (dalle parti dei Kaiser Chiefs ma soprattutto spesos vicino agli Ordinary Boys).
Le canzoni ci sono, la personalità anche, energia da vendere, un buon album anche se suona "di transizione".
Sono maturati, cresciuti, possiamo aspettarci grandi cose.
THE SPITFIRES - Year zero (2018)
Sempre più difficile trovare gruppi che portino avanti la purezza del MOD SOUND.
Il quartetto di Watford firma il terzo album e lo fa abbracciando lo scibile di ciò che maggiormente può apprezzare chi è innamorato del sound del 79 e della Cultura (sonora e non) Mod.
Con i Jam sempre punto fermo (soprattutto nella voce di Billy Sullivan, vicinissima a quella del giovane Weller) ma ampliando lo sguardo a frequenti influenze ska e caraibiche (tra Madness, The Beat e Dexy's) e a nervose e brevi folate elettriche, spesso addolcite dalla sezione fiati che conferisce un sapore soul.
Al tutto si aggiunge un approccio che talvolta riporta ai Clash e ai Buzzcocks.
Un album su cui potrebbe tranquillamente stare la data 1979 ma con un'energia, uno stile e un'arroganza del tutto attuali.
THE SPITFIRES - A thousand times (2016)
Dopo l'ottimo esordio di "Response" i quattro di Watford tornano giusto un anno dopo riproponendo la stessa brillante miscela di Jam sound e Wellerismi vari.
La voce di Billy Sullivan ricalca alla perfezione quella cupa e gutturale del Weller dei primi Jam, il sound viaggia all'ombra di dischi storici come "All mod cons" (Jam), i primi dei Buzzcocks o "Brassbound" (Ordinary boys) con una solida base ritmica, chitarra semi distorta in primo piano, ottime ballate acustiche, interventi di tastiere sempre azzeccati, eccllenti melodie di sapore 60's pop.
Ancora un lavoro ben fatto, sono giovani e con molte frecce al loro arco.
SPITFIRES - Response (2015)
Se siete "restati" a QUEL sound che spaccava le casse dello stereo alla fine degli anni 70 e di cui erano portatori gruppi come Jam, Chords, Jolt, affondando le radici anche nel power pop, nei Buzzcocks, nei primi Clash, Vapors o nei più recenti Moment, Rifles o Ordinary Boys (che tornano soprattutto alla mente quando in mezzo a brani di duro pop rock riecheggiano sprazzi ska in levare), "Response" è il vostro album ideale per il 2015.
Potente, melodico, essenziale, il quartetto di Watford confeziona un album di debutto al fulmicotone, 13 brani per tre quarti d'ora di musica senza sosta, chitarra secca e aggressiva, ritmica sempre pulsante, una tastiera raramente protagonista ma sempre ben presente a sostenere l'impatto sonoro, voce gutturale e diretta (molto vicina al primo Weller), assoli brevi e minimali.
Alla fine c'è molto dei Jam di "All mod cons", "When you're young" , "Down in the tube..", con evidenza il riferimento più diretto e palese. Non un capolavoro che cambierà le sorti della musica ma un album verace, sincero, energico come da tempo non ne sentivamo.
Il leader e anima Billy Sullivan prosegue con una carriera solista.
Gli Spitfires sono giunti al termine in modo naturale.
Avevamo avuto numerosi cambi di formazione in un breve lasso di tempo e a novembre dello scorso anno era comunque praticamente una nuova band.
Abbiano avuto un trattamento di merda da alcune delle persone con cui lavoravamo: nessun supporto (finanziario o meno), nessuna fiducia nel nostro ultimo album (Play For Today) da parte della nostra etichetta, che io e Simon Dine (produttore) abbiamo trascorso mesi a scrivere e registrare.
In realtà è stata una vera lotta anche solo per farlo uscire.
Penso che sia giusto dire che musicalmente stavo esplorando anche cose in cui gli altri membri della band potevano non essere necessariamente coinvolti.
Ma credo ancora che sia stato il miglior album che la band abbia mai realizzato.
(Billy Sullivan)
In effetti "Play For Today" (Acid Jazz Records) guarda in direzioni varie e diverse, flirtando con soul, funk, pop, sonorità "Madchester" (dalle parti degli Happy Mondays), conservando l'abituale energia e i riferimenti Welleriani.
Brani di grande livello compositivo e arrangiamenti curatissimi.
Più che ottimo.
Per un ascolto:
https://acidjazz.bandcamp.com/album/play-for-today
Il primo singolo solista di BILLY SULLIVAN "Overcome" non si discosta dallo Spitfires sound .
https://www.youtube.com/watch?v=vM_nU_s-ddU
Di seguito le recensioni dedicate dal blog agli SPITFIRES negli scorsi anni.
SPITFIRES - Life worth living (2020)
Al quarto album la band di Billy Sullivan si affida all'ex produttore di Weller, Simon Dine e all'Acid Jazz Records per rifinire meglio sound e direzione.
Molti i brani che guardano allo ska o più che altro alle sue ritmiche, frequente l'uso dei fiati, un gusto marcatamente Brit Pop (dalle parti dei Kaiser Chiefs ma soprattutto spesos vicino agli Ordinary Boys).
Le canzoni ci sono, la personalità anche, energia da vendere, un buon album anche se suona "di transizione".
Sono maturati, cresciuti, possiamo aspettarci grandi cose.
THE SPITFIRES - Year zero (2018)
Sempre più difficile trovare gruppi che portino avanti la purezza del MOD SOUND.
Il quartetto di Watford firma il terzo album e lo fa abbracciando lo scibile di ciò che maggiormente può apprezzare chi è innamorato del sound del 79 e della Cultura (sonora e non) Mod.
Con i Jam sempre punto fermo (soprattutto nella voce di Billy Sullivan, vicinissima a quella del giovane Weller) ma ampliando lo sguardo a frequenti influenze ska e caraibiche (tra Madness, The Beat e Dexy's) e a nervose e brevi folate elettriche, spesso addolcite dalla sezione fiati che conferisce un sapore soul.
Al tutto si aggiunge un approccio che talvolta riporta ai Clash e ai Buzzcocks.
Un album su cui potrebbe tranquillamente stare la data 1979 ma con un'energia, uno stile e un'arroganza del tutto attuali.
THE SPITFIRES - A thousand times (2016)
Dopo l'ottimo esordio di "Response" i quattro di Watford tornano giusto un anno dopo riproponendo la stessa brillante miscela di Jam sound e Wellerismi vari.
La voce di Billy Sullivan ricalca alla perfezione quella cupa e gutturale del Weller dei primi Jam, il sound viaggia all'ombra di dischi storici come "All mod cons" (Jam), i primi dei Buzzcocks o "Brassbound" (Ordinary boys) con una solida base ritmica, chitarra semi distorta in primo piano, ottime ballate acustiche, interventi di tastiere sempre azzeccati, eccllenti melodie di sapore 60's pop.
Ancora un lavoro ben fatto, sono giovani e con molte frecce al loro arco.
SPITFIRES - Response (2015)
Se siete "restati" a QUEL sound che spaccava le casse dello stereo alla fine degli anni 70 e di cui erano portatori gruppi come Jam, Chords, Jolt, affondando le radici anche nel power pop, nei Buzzcocks, nei primi Clash, Vapors o nei più recenti Moment, Rifles o Ordinary Boys (che tornano soprattutto alla mente quando in mezzo a brani di duro pop rock riecheggiano sprazzi ska in levare), "Response" è il vostro album ideale per il 2015.
Potente, melodico, essenziale, il quartetto di Watford confeziona un album di debutto al fulmicotone, 13 brani per tre quarti d'ora di musica senza sosta, chitarra secca e aggressiva, ritmica sempre pulsante, una tastiera raramente protagonista ma sempre ben presente a sostenere l'impatto sonoro, voce gutturale e diretta (molto vicina al primo Weller), assoli brevi e minimali.
Alla fine c'è molto dei Jam di "All mod cons", "When you're young" , "Down in the tube..", con evidenza il riferimento più diretto e palese. Non un capolavoro che cambierà le sorti della musica ma un album verace, sincero, energico come da tempo non ne sentivamo.