Un veloce resoconto delle migliori e più interessanti uscite del primo semestre 2024.
Lista passibile di mille cambiamenti.
Ma per adesso questi mi sono piaciuti molto.
JUDITH HILL - Letters From A Black Widow
Una storia tremenda quella a cui fa riferimento il titolo. Judith Hill è stata a lungo definita "Black widow" a causa delle sue collaborazioni con Michael Jackson e Prince poco prima che morissero, facendo partire una campagna diffamatoria e infamante, rinfocolate dagli hater da social. Il suo curriculum è ricchissimo di backing vocals per varie star della musica, da Rod Stewart a Robbie Williams, John Legend, Dave Stewart. Il nuovo, quinto, album è un capolavoro in cui troviamo soul, funk, blues, gospel, jazz, sperimentazione, rock, elettronica, hip hop, con la sua voce spettacolare a tenere le fila. A tratti ricorda Macy Gray o Erikah Badu, a volte Prince e altre Sly and the Family Stone o perfino Aretha Franklin ma la personalità e l'ecletticità che sprigionano l'album sono uniche e originalissime.
THE PRISONERS - Morning star
A trent'anni dall'ultimo album torna una band seminale, per quanto oscura e immeritatamente trascurata, autrice di quattro fenomenali album e di una carriera fulminea quanto lucente ed esplosiva. Furono precursori del Britpop con un sound che mischiava Small Faces, garage, beat, psichedelia, con l'energia del pub rock e del punk. La carriera successiva allo scioglimento ci ha dato grandi soddisfazioni con James Taylor Quartet, Solarflares, Prime Movers, Gaolers, Galileo 7. L'inaspettata reunion ci riconferma, con gli stessi favolosi ingredienti, una band ancora fresca, pulsante, creativa, con quattordici brani nuovi, semplicemente eccezionali.
THE LIBERTINES - All quiet on the eastern esplanade
Lasciate finalmente da parte le banalità da gossip, Pete Doherty, Carl Barat e soci dimostrano di avere ancora tanto da dire e lo fanno con un ottimo album, pieno di belle canzoni. Alcune punkeggianti come "Oh shit", "Be young" o "Run run run", altre immerse in malinconiche atmosfere semiacustiche, bluesy o swinganti ("Baron's claw") o con un tocco reggae. Il capolavoro è però "Merry Old England" un incrocio tra Paul Weller, Joe Strummer, Kinks e Billy Bragg. Un album di cui ci si può anche innamorare.
BELLA BROWN and the JEALOUS LOVERS - Soul Clap
Da Los Angeles un album semplicemente esplosivo. Bella Brown canta come un incrocio tra Tina Turner, Aretha, Sharon Jones. Con lei suona una band da paura.
Tutti insieme escono con questo esordio mozzafiato in cui troviamo Funkadelic, Parliament, Sly and the family Stone, il James Brown degli 80, Prince, Labelle, afrofunk, disco e un groove irresistibile, travolgente, spettacolare.
BAD NERVES - Still Nervous
Chitarre distorte, ritmi infuocati, Ramones, punk rock, powerpop, beat, rock 'n' roll. La band inglese, al secondo album, ha un approccio urgente, spontaneo, teen. Ricordano spesso i Supergrass e gli Strokes, brani sui due minuti, anche meno. Freschi, giovani, travolgenti. Un gran bel disco.
BLACK CROWES - Happiness bastards
Il ritorno dei Robinson Bros non tradisce le attese. Consueto southern rock tinto di funk, soul, Stones, Stax, 70's hard, blues. Ma quanta classe, energia, groove. Hanno pochi rivali in questo ambito.
LES AMAZONES D'AFRIQUE - Musow Danze
Supergruppo femminile e femminista formato in Mali nel 2015 da Kandia Kouyaté, Angélique Kidjo, Mamani Keita, Rokia Koné, Mariam Doumbia, Nneka, Mariam Koné, Massan Coulibaly, Madina N'Diaye, Madiaré Dramé, Mouneissa Tandina et Pamela Badjogo, grandi voci in rappresentanza della miriade di musica che arriva dall'Africa (NON ESISTE una "musica africana" ma MILLE- forse più - MUSICHE AFRICANE). Cantano contro la violenza sessuale, le mutilazioni genitali femminili, diritti.
In questo nuovo album a fianco di una delle fondatrici Mamani Keïta (Mali) ci sono Fafa Ruffino (Benin), Kandy Guira (Burkina Faso), Dobet Gnahoré (Côte d’Ivoire), Alvie Bitemo (Congo-Brazzaville), Nneka (Nigeria). Produce il grande Jacknife Lee. Nell'album ci sono ritmi tribali, hip hop, highlife, afrobeat, elettronica, influenze tradizionali, soukous, voci incredibili, un grandissimo groove.
DEXY'S - The Feminine Divine + Dexys Classics: Live!
Formidabile live con 19 brani in cui la band raccoglie l'intero, recente e ottimo, "Feminine divine" e poi ci delizia con versioni stupende, elaborate, piene di soul, groove e raffinatezza di alcuni classici, da "Geno" a "Come on Eileen", passando attraverso "Jackie Wilson said", "Plan B", "Tell me when my light turns green". Si chiude con la struggente canzone popolare irlandese "Carrickfergus". Registrazione impeccabile, band spaziale, kevin Rowland vocalmente superbo. Un gioiello.
KNEECAPP - Fine art
Il trio di Belfast firma il secondo album , un assalto sonoro hip hop / funk, che guarda soprattutto ai Beastie Boys, cantato in inglese e gaelico, ma con influenze anche da The Streets, Slowthai e gli immancabili Sleaford Mods.
Giovani, incazzati, sfacciati.
Ci sono anche Grian Chatten dei Fontaines D.C. e altri ospiti, rumori, suoni, interludi.
THE WRECKERY - Fake is forever
Eccellente band della scena australiana degli anni 80, dal talento purtroppo inespresso, sciolti troppo presto. Guidati da Hugo Race (ex Bad Seeds e tanto altro) tornano dopo 35 anni con un bellissimo album di blues dalle tinte oscure, con una buona miscela di soul, rock 'n' roll e funk, tanto groove e canzoni di grande spessore. Album con i fiocchi, moderno e godibilissimo.
ITALIANI
RUDY BOLO - Mezzanotte al soul bar / Mollo tutto
Spettacolare singolo in prezioso vinile in cui Rudy Bolo, veterano della scena streetpunk italiana (con i grandi Ghetto 84), riprende due brani della tradizione punk nostrana in chiave soul/northern soul. "Mezzanotte al soul bar" era dei Ghetto 84, "Mollo tutto" dei Bomber 80. I brani sono energici, splendidamente arrangiati, voce abrasiva, conservano lo spirito originario ma si ammantano di sapori Sessanta, riportano alla mente in particolare i mai dimenticati e sempre rimpianti Redskins e i nostri Statuto. Eccellente e indispensabile per ogni Young (o anche old) soul rebel!
CESARE BASILE – Saracena
Non scopriamo ora che Cesare Basile è senza alcun dubbio tra i migliori interpreti di una canzone d’autore personale e originale, in cui è ricorrente la miscela tra tradizione e sperimentazione. Il nuovo album, come da tempo cantato in siciliano, attinge dalle sue radici e da umori “africani” ma mischia il tutto con elettronica e avanguardia, osando, senza porsi limiti, spesso immerso in raga ipnotici, dai suoni ancestrali, in cui subentrano “disturbi” elettronici, parole, suoni, rumori. I testi nascono dall’urgenza di una contingenza, non più emergenza, ormai acclarata, come l’esodo in corso in buona parte del mondo, verso la speranza di una vita migliore (o se non altro non peggiore). Come sempre uno dei rari casi in cui ci troviamo di fronte a un disco punk senza che di quel suono ci sia nulla. Un pregio unico.
ANY OTHER – Stillness, stop: you have a right to remember
Any Other è una delle cantautrici (oltre che produttrice e polistrumentista) più talentuose della scena italiana. Lo conferma il nuovo album, un delicato lavoro di cesello tra atmosfere folk, un retrogusto jazzy, canzoni di maturità eccelsa, una voce suadente, ferma, capace di librarsi sicura tra le note mai banali delle composizioni. Eleganza e raffinatezza, ammantate da una vena malinconica e romantica. Si candida a uno dei migliori album nostrani dell’anno, già da ora.
OSSA DI CANE - La morte del re
Spettacolare esordio per il sestetto senese che riesce nel complesso e arduo compito di creare una miscela innovativa, sperimentale, originalissima, che mette insieme nu jazz (attingendo in particolare dalla scena British Jazz, da Ezra Collective a Sons Of Kemet e Comet is Coming), hip hop, drum and bass, elementi fusion, elettronica, un groove funk. Il tutto condito da un'attitudine "punk", iconoclasta ma allo stesso tempo intimista. Siamo di fronte a uno dei migliori album nostrani dell'anno. Eccellente.
MANUPUMA - Cuore leggero
Torna con il secondo album Emanuela Bosone, in arte Manupuma, già vincitrice di Musicultura 2019, attrice e compositrice. Prodotto da Taketo Gohara, è un lavoro dalle numerose sfaccettature sonore, tra intense ballate pianistiche, un'anima soul che si affianca a quella jazz, un inaspettato "ska balcanico" nella stupenda "Vorrei", un mood che riporta alla Mina meno canzonettara degli anni Sessanta e a Joan As Police Woman a cui, non a caso, ha aperto un tour italiano. Album di grande valore e spessore sia a livello compositivo che interpretativo.
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI - Garage Pordenone
Storico nome della scena italiana, tra i più riconoscibili, creativi, originali, i Tre Allegri Ragazzi Morti toccano il traguardo del decimo album e i trent'anni di attività, confermandosi in forma eccellente, alternando atmosfere particolarmente aggressive, al limite del punk rock, le consuete melodie pop sbilenche, un irresistibile brano rocksteady ("Mi piace quello che è vero"), power pop ("L'oscena"), malinconiche ballate. Scorrono nei testi altri allegri ragazzi morti ad arricchire la ormai folta e inquietante umanità sempre sapientemente rappresentata. Ancora una volta un centro perfetto.
domenica, giugno 30, 2024
venerdì, giugno 28, 2024
Giugno 2024. Il meglio
A metà dell'anno l'elenco di ottime uscite da segnalare si allunga ancora di più.
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Les Amazones d'Afrique, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7 e Popincourt.
Tra gli italiani Ossa di Cane, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Cesare Basile, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce e Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick.
DEXY'S - The Feminine Divine + Dexys Classics: Live!
Formidabile live con 19 brani in cui la band raccoglie l'intero, recente e ottimo, "Feminine divine" e poi ci delizia con versioni stupende, elaborate, piene di soul, groove e raffinatezza di alcuni classici, da "Geno" a "Come on Eileen", passando attraverso "Jackie Wilson said", "Plan B", "Tell me when my light turns green". Si chiude con la struggente canzone popolare irlandese "Carrickfergus". Registrazione impeccabile, band spaziale, kevin Rowland vocalmente superbo. Un gioiello.
KNEECAPP - Fine art
Il trio di Belfast firma il secondo album , un assalto sonoro hip hop / funk, che guarda soprattutto ai Beastie Boys, cantato in inglese e gaelico, ma con influenze anche da The Streets, Slowthai e gli immancabili Sleaford Mods.
Giovani, incazzati, sfacciati.
Ci sono anche Grian Chatten dei Fontaines D.C. e altri ospiti, rumori, suoni, interludi.
Sound of the suburbs.
KING HANNAH - Big swimmer
Secondo album per il duo inglese e ulteriore conferma della qualità compositiva che ondeggia, con personalità, tra Pj Harvey, Velvet Underground, il folk più oscuro, alt rock. Ottimo lavoro pur se non merita gli unanimi osanna e peana appena usciti.
WONDER45 - Wonderland
Per chi ama il cosiddetto "retro soul" o "vintage soul" ecco una nuova band londinese, i WONDER 45 (Wonder 45) con l'album di debutto "Wonderland". Qui c'è la storia della soul music, dal rhythm and blues, a intriganti soul ballads, blues, funk, echi gospel, blaxploitation, Temptations, sezione fiati che spinge, grandi voci, Sly e tanto altro.
Get the groove!
PAUL MCCARTNEY & THE WINGS - One Hand Clapping
Colonna sonora dell'omonimo documentario registrato ad Abbey Road nel 1974, rimasto nel cassetto fino al 2010, quando è stato inserito nel deluxe di "Band on the run".
26 brani (parte dei quali sono improvvisazioni in studio o cenni a qualche classico dei Beatles) da cui emerge una band in formissima, molto rockeggiante, verso il glam, e la classe di Paul, spaventosamente eccelsa.
DANA GILLESPIE - First love
Molto elegante e raffinato il nuovo lavoro dell'interprete inglese (già a fianco di Bowie, Dylan, ELton John e una settantina di album all'attivo). Il tono è vicino alla classe decadente di Marianne Faithfull e il disco si ascolta con grande piacere tra cover molto suggestive e ben scelte.
ALAN VEGA - Insurrection
Nell'inferno sociale politico che stiamo vivendo intorno a noi, una colonna sonora come quella che esce da questo album di inediti di Alan Vega sarebbe perfetta. Raramente si può ascoltare qualcosa di così opprimente, devastante, claustrofobico come questi undici bran, registrati a fine anni 90. L'apocalisse. Pauroso da togliere il fiato.
JOHN CALE - Poptical illusion
L'ex Velvet Underground non demorde e a 82 anni continua a sfidarsi con nuove produzioni, questa volta più incline al "pop" (inteso come musica maggiormente fruibile ma di poco). Gioca con l'elettronica e atmosfere cupe e opprimenti, inquietanti e minacciose. Un lavoro sempre di alta qualità, che ne conferma la lucidità artistica e compositiva.
BIG SPECIAL - Post Industrial Hometown Blues
Caustici, abrasivi, duri. Nella loro visione sonora confluiscono Sleaford Mods, Idles, Algiers, postpunk ma anche blues e soul. Una miscela intrigante e particolare fose non ancopra del tutto a fuoco ma funziona e potrebbe esplodere alla grande.
JIMI TENOR - Is there love in outer space?
La navicella spaziale di Jimi Tenor torna nella sua Finlandia per un disco strumentale, ipnotico, tra psichedelia, jazz, funk e richiami cinematografici con atmosfere avvolgenti e narcolettiche oltre al possente afrofunk conclusivo "What are you doing?" dal groove irresistibile.
LOVESICK - Remember my name
Torna lo stupendo duo (Paolo Roberto Pianezza, voce e chitarra e Francesca Alinovi contrabbasso e perussioni a cui si è aggiunto Alessandro Cosentino al fiddle e batteria), che ha conquistato Europa e America con lunghi e infuocati tour e cinque album. Il sesto ne conferma la perfetta abilità nel coniugare rockabilly, swing, country & western, hillbilly in canzoni originali, curate e incisive. Un lavoro perfetto!
AA. VV. – Operazione Sole – Italian Pop Reggae, Dub & Summer Love Affairs
Ska, reggae, ritmi caraibici/giamaicani sono stati spesso usati dagli artisti italiani fin dalla fine degli anni Cinquanta e Sessanta (da Mina a Peppino Di Capri, fino a ai celebri ed espliciti omaggi di Loredana Berté, Rino Gaetano, Ivano Fossati etc). Questa stupenda compilation scava invece tra nomi e dischi oscuri, mai assurti a notorietà e classifiche, in cui il reggae è protagonista. Brani qualitativamente ottimi, portano alla luce una realtà sconosciuta, sviluppatasi agli inizi degli anni Ottanta. Nove brani solari, luminosi, illuminanti.
I FENOMENI - Signore e Signori, cantano... I Fenomeni!
Si chiude con una raccolta (in vinile e 200 copie numerate) la saga de I Fenomeni, autori di tre pregevoli album, in cui hanno rispolverato i meandri più oscuri della scena Beat italiana, dal "Bitt" alle evoluzioni psichedeliche. I dodici brani sono un perfetto riassunto di una brillante vicenda, in cui la competenza dei protagonisti ci ha regalato piccole gemme perdute (valga su tutte la ripresa, in italiano, di "Glow Girl" degli Who, brano pressoché sconosciuto di Townshend e soci, che conteneva i semi dell'imminente "Tommy" o le versioni fulminanti de "L'uomo in cenere" dei Motowns o della stupenda "Prima c'era la luce" dei primi New Trolls). Album prezioso e imperdibile per i cultori ma non solo.
PROJECT V - There’s No Sorrow
Supergruppo, che raduna vari esponenti storici della scena garage beat punk italiana, in un 45 giri con quattro brani che si muovono alla perfezione nell’ambito. Ci sono folk rock, garage, blues, punk, beat e tanto altro. Il tutto composto, suonato e proposto con la consueta enorme passione e giusta attitudine. Gli appassionati del genere sono avvertiti.
OSSA DI CANE - La morte del re
Spettacolare esordio per il sestetto senese che riesce nel complesso e arduo compito di creare una miscela innovativa, sperimentale, originalissima, che mette insieme nu jazz (attingendo in particolare dalla scena British Jazz, da Ezra Collective a Sons Of Kemet e Comet is Coming), hip hop, drum and bass, elementi fusion, elettronica, un groove funk. Il tutto condito da un'attitudine "punk", iconoclasta ma allo stesso tempo intimista. Siamo di fronte a uno dei migliori album nostrani dell'anno. Eccellente.
MANUPUMA - Cuore leggero
Torna con il secondo album Emanuela Bosone, in arte Manupuma, già vincitrice di Musicultura 2019, attrice e compositrice. Prodotto da Taketo Gohara, è un lavoro dalle numerose sfaccettature sonore, tra intense ballate pianistiche, un'anima soul che si affianca a quella jazz, un inaspettato "ska balcanico" nella stupenda "Vorrei", un mood che riporta alla Mina meno canzonettara degli anni Sessanta e a Joan As Police Woman a cui, non a caso, ha aperto un tour italiano. Album di grande valore e spessore sia a livello compositivo che interpretativo.
ASCOLTATO ANCHE:
RESOLUTION 88 (ottimo jazz funk strumentale, dalle tinte soul), THE DECEMBERISTS (letargico ma con qualcosa di discreto), MYSTERINES (alt rock, cupo e "introverso", un po' grunge), DAVE ALVIN (blues, country, "Americana", "Dylanesque", rhythm and blues. Tutto fatto molto, molto bene), CITRUS SUN (Bluey degli Incognito alle prese con il classico soul funk fusion raffinato e pulito).
LIBRI
Steve Turner - King Mod: The story of Peter Meaden, The Who and the birth of a British sub-culture
Peter Meaden è stato lo scopritore e manager dei primi WHO (e High Numbers, per i quali scrisse i testi del primo - e unico con quel nome - singlo "I'm the face" / "Zoot Suit") e tra i protagonisti della scena MOD degli anni Sessanta.
Il libro ne narra la storia, ricchissima di dettagli inediti o poco conosciuti (oltre a tante foto rare) e include un'intervista del 1975 sulla sua vita, gli Who, i mods etc.
Durante la quale formulò la famosa e definitiva frase sul MOD:
"Modism, Mod living, is an aphorism for clean living under difficult circumstances."
Purtroppo le sue condizioni psico fisiche erano piuttosto compromesse (l'incontro tra l'autore e Meaden avviene in una clinica psichiatrica) e non tutte le sue considerazioni sono affidabili e condivisibili (soprattutto le contestualizzazioni temporali) ma per chi ama l'ambito subculturale è un documento preziosissimo.
Ci sono appunti importanti, come l'articolo del settembre 1962 sulla filosofia di Mark Feld (futuro Marc Bolan) considerato il primo documento ufficiale sulla scena modernista, in cui non parla mai di mod, né di musica, nè di droghe, scooter o altro ma fa esclusivo riferimento alla sola ossessione per l'estetica.
Anche se già nel 1958 il "Daily Mirror" pubblicava l'articolo dal titolo "Are you a Trad or a Mod?", ripreso poi nel marzo 1963 dal "Mirror": "Trad or Mod?".
Le descrizioni dell'epoca sono accuratissime, a partire dal luogo in cui partì la scena Mod, il club londinese "The Scene" in cui Sandra Blackstone (compagna di un soldato americano di stanza a Londra) suonava 45 giri rarissimi con la regola del club "nessun disco della Top 20".
Quando incontra gli Who, dediti a blues e rythm and blues, per soddisfare il loro pubblico trova un gruppo di ragazzi "malleabili e da plasmare".
"Li portai allo "Scene", videro i mods e incominciarono a identificarsi con loro e a entrare nel mio mondo speciale".
Grazie a Guy Stevens, Dj e prime mover della scena mod londinese (poi produttore di "London calling" dei Clash) porta a Townshend e soci una lunga serie di rari brani "black" da cui prendere ispirazione.
La fine mediatica e numerica della scena mod avviene per un fattore particolare:
"LSD. Le pillole Drynamil incoraggiavano il movimento e la parlata veloce, LSD, mescalina e peyote portavano alla riflessione e introversione. La vita interiore diventò più importante delle altre attività."
Peter Meaden venne lasciato presto dagli Who, si dedicò alla Steve Gibbons Band ma finì malamente la sua vita tra depressione, esaurimenti nervosi, problemi psichiatrici e dipendenze pesanti.
Morì nel 1978, a 37 anni, poco prima di Keith Moon.
Gli Who si premurarono di coprire le spese funerarie.
Il libro è INDISPENSABILE per chi vuole approfondire certe tematiche e periodi (affiancherei l'eccellente "Stoned" dell'amico Andrew Loog Oldham, manager dei primi Stones).
"Al raduno di Hastings nel 1966 c'erano solo mods. 15.000 mods e TRE rockers in un bar!"
"Quanti ambasciatori del rock inglese sono stati direttamente influenzati dal Mod: Who, Rod Stewart, David Bowie, Stones, Small Faces, Animals, Georgie Fame, Julie Driscoll, Brian Auger, Zoot Money, Steve Winwood, Eric Clapton, Kinks, Marc Bolan, Jeff Beck, Robert Plant, Jimmy Page, Elton John, Anddy Summers, Bryan Ferry".
"Essere un mod non era solo essere al massimo della moda ed estetica ma anche conoscere le migliori canzoni, i club, i bar, le boutique, i trend e le feste. Perdere le attività di un weekend significava essere tagliato fuori, il peggiore peccato che potesse commettere un mod. Non c'era nostalgia, i mod vivevano esclusivamente nel presente con uno sguardo attento al futuro."
Carlo Babando - Miss Black America
Il lungo e intricato percorso di Carlo Babando (già autore dello splendido "Blackness" qui: https://tonyface.blogspot.com/2020/09/carlo-babando-blackness.html) all'interno della "black music" e della cultura afroamericana ci porta in un nuovo viaggio che passa da Robert Johnson a Sun Ra, ai Public Enemy, Gil Scott Heron, Travis Scott, Beyoncè, Angela Davis.
Una riflessione sui collegamenti, le evoluzioni, i passaggi attraverso i secoli, i dischi, la cultura.
Come specifica alla fine: "I capitoli che avete letto hanno l'unica pretesa di complicare le idee, non di metterle in ordine...incamminarsi lungo i percorsi dell'identità afroamericana contemporanea significa buttarsi alle spalle molti steccati e provare per un attimo a guardare con occhi nuovi quello che talvolta diamo per assodato. Non azzerando la storia, al contrario: riportandola alla luce e imparando a dialogarci".
Molto interessante la considerazione su come l'impegno socio/politico di molti artisti sia in qualche modo imposto dalla necessità di "ottenere attenzione e non venire contemporaneamente accusato di disinteresse da parte della comunità di appartenenza".
E pure quella di come lo sguardo all'Africa sia talvolta solo di facciata, una suggestione verso una realtà immaginata ma non corrispondente alla quotidianità del luogo.
Ovvero: gli afroamericani non sono africani. Neppure gli immigrati dalle West Indies in Inghilterra sono più giamaicani (come si evince dai capitoli dedicati alla Black Culture britannica).
Come sosteneva Sun Ra in una conferenza, già nel 1971:
"Afroamericani e africani non possono ritenersi parte di una realtà interconnessa.
L'uomo nero a stelle e strisce si sta solo raccontando una bugia, proitettando oltre il Sahara qualcosa che ormai i secoli hanno inevitabilmente mutato".
La cultura afroamericana è in costante movimento, assimilando progressivamente nuove influenze, mantenendo il rapporto con le radici ma rielaborandole, sorpassando gli schemi classici che le vogliamo attribuire, per comodità e pigrizia mentale.
Il libro è colmo di riferimenti a brani, dischi, artisti e richiede un minimo di preparazione e conoscenza della materia ma è anche fonte di infiniti stimoli e indicazioni per il lettore meno competente della materia.
Come sempre, un saggio competente e completo.
Nando Mainardi - La ragazza occitana
Presumo saranno in pochi/e a ricordare il nome e la figura di DOMINIQUE BOSCHERO, attrice e personaggio particolare e anomalo nella cultura popolare tra gli anni Sessanta e Settanta.
Bellezza prorompente che le permise di imporsi all'attenzione di manager, giornalisti e registi, trova progressivamente popolarità, prima nella Parigi, in cui era immigrata con i genitori dal profondo Piemonte, degli anni 50, lavorando a fianco dei giovanissimi Alain Delon e Brigitte Bardot, per poi approdare a Cinecittà e alla ribalta dei paparazzi nei Sessanta.
Incontra personaggi come Frank Sinatra, Luigi Tenco, ha una relazione con Gianni Agnelli, diventa la compagna di Carlo Volonté, fratello di Gian Maria, con cui instaura un rapporto di collaborazione politico.
La sua carriera sarà ricca di film ma povera di soddisfazioni artistiche (la sua filmografia è relegata a prodotti di qualità piuttosto bassa), sfiorerà la parte di Gradisca in "Amarcord" di Fellini e quella di Maria Schneider in "Ultimo tango a Parigi" ma il suo ruolo rimarrà relegato a quello della "bellona" in lavori scadenti e poco visti.
La sua vita privata la vede impegnata politicamente nell'estremismo di sinistra dei Settanta in "Servire il popolo" prima, e nella rivendicazione autonomista dell'Occitania, poi.
Una vita spericolata e ai limiti che si risolve con l'auto esilio nelle amate montagne cuneensi dove era cresciuta e dove tutt'ora vive.
Il libro è scorrevole, la vicenda fresca e stimolante.
Mainardi la racconta grazie alla testimonianza diretta della protagonista e nel libro si intrecciano curiosità e aspetti inediti di una grande epoca dell'Italia di 40/50 anni fa.
Marco De Paolis con Annalisa Strada - L’uomo che dava la caccia ai nazisti
Marco De Paolis è Procuratore Generale Militare presso la Corte d'Appello di Roma.
Ha dedicato la vita a indagare sugli eccidi nazifascisti, istruendo 17 processi e portando alla condanna di decine di criminali di guerra.
Partendo dalla scoperta dell'Armadio della Vergogna, nel 1994 (tenuto in un luogo chiuso con un lucchetto e le ante rivolte verso il muro), contenente 695 dossier e un Registro Generale riportante 2.274 notizie di reato, raccolte dalla Procura generale del Tribunale supremo militare, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante la campagna d'Italia (1943-1945) dalle truppe nazifasciste.
De Paolis si circonda di fidati collaboratori e nel 2002 costituisce il Gruppo Investigativo Speciale per i Crimini di Guerra.
Un lavoro certosino per rintracciare i responsabili delle stragi in Emilia e Toscana (oltre a Cefalonia), in cui morirono migliaia di civili, trucidati dalle truppe naziste (spesso con efferatezza indescrivibile), non di rado aiutati dai fascisti repubblichini italiani (non perseguibili a seguito dell'"Amnistia Togliatti" del 1946, al fine di archiviare il passato e aprire una nuova epoca).
De Paolis si trova così di fronte a vecchi nazisti.
"Non erano vecchi criminali, ma solo criminali invecchiati, fossilizzati nella loro ideologia di morte.
Alcuni erano rimasti convintamente nazisti e non lo nascondevano".
Gerhard Sommer che comandò l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema "era la personificazione del male e tutta la sua pericolosità era ancora intatta".
I processi e relative condanne resero (parziale e tardiva) giustizia.
Buona parte dei responsabili morirono di morte naturale prima delle condanne.
"Nessuno doveva fare quella fine".
Emiliano Raffo - Abbiamo sempre avuto una canzone nelle orecchie
Benedetta/maledetta PROVINCIA, matrigna, cella di consuetudini ma anche guscio protettivo a cui tornare da avventure stimolanti e/o devastanti in qualche "altrove" (nello specifico la patria della "nostra" musica, Londra, quella ancora non gentrificata, turisticizzata, psot Brexit).
Un libro che attrversa anni, epoche, eventi tragici e questioni personali (ampiamente autobiografiche), con una colonna sonora da urlo che scandisce le vicende.
Un'evoluzione artistica che parte da Judas Priest, Metallica e Dokken, per passare a Beastie Boys ed Eminem arrivare a Britpop e Aphex Twin, The Streets e Burial.
Raffo scrive molto bene, evocativo, ironico ma anche glaciale e spietato quando serve.
Come ogni storia di provincia si rimane sul filo del rasoio, tra abbandono, tragedia, disperazione e una visione genuina e sincera, disincantata, sempre permeata da una sorta di innocenza adolescenziale che permette di andare avanti con un'attitudine positiva.
Stefano Scrima - Sto solo dormendo
Stefano Scrima ci ha abituati a ottimi e interessanti saggi sulla musica, vista da varie angolazioni, con approfondimenti sempre centrati e stimolanti.
In questo caso l'analisi va all'opera di JOHN LENNON, attraverso le sue varie fasi compositive.
Il proletario ribelle che, per primo nei Beatles, esce dalla narrazione easy/cuore/amore del primo periodo con brani drammatici ed esistenziali come "I'm a loser", "Help!", "Nowhere man".
Verranno l'impegno politico già accennato in "Revolution", il pacifismo e l'inasprimento delle posizioni con "Power to the people" e il militante "Sometime in New York City", costantemente in una situazione contraddittoria (la star ricca sfondata che inneggia alla "rivoluzione").
"Negli anni Sessanta e Settanta mi ero un po' improvvisato nella cosiddetta politica, più che altro per un senso di colpa.
Il senso di colpa di essere ricco e anche pensando che pace e amore non fossero abbastanza, che bisognasse farsi sparare o qualcosa del genere epr essere uno del popolo".
"L'errore più grave che io e Yoko commettemmo in quel periodo fu di lasciarci influenzare da quei macho "veri rivoluzionari" con le loro folli idee sulla necessità di ammazzare la gente per liberarla dal capitalismo e/o comunismo (dipende da come la pensate)."
Alla fine il ritiro per dedicarsi alla famiglia e a sé stesso, coltivando la sua innata pigrizia ("I'm only sleeping", appunto).
"Yoko mi ha fatto capire che un'alternativa era possibile. Non sei obbligato a farlo...se non produrrò nient'altro da offrire al consumo del pubblico se non il silenzio, così sia. Amen".
L'epilogo lo conosciamo, purtroppo.
Il libro è un ulteriore tassello, frutto di una visione personale e originale dell'autore, che non mancherà di essere apprezzatissima dai Beatlesiani e dai cultori di "certa musica".
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Giovedì 4 luglio
Travo (Piacenza)
Serate Letterarie
Mauro Franco presenta "Esilio in Costa Azzura" (https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mauro-franco-esilio-in-costa-azzurra.html
Modera: Antonio Bacciocchi
Mercoledì 10 luglio
Pistoia
Circolo ARCI San Felice
"Black Music e sottoculture"
ore 18
Venerdì 19 luglio
Monte San Vito (Ancona)
My Generation. Stili e rituali delle sottoculture giovanili con Michele Savini.
Ore 21
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Les Amazones d'Afrique, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7 e Popincourt.
Tra gli italiani Ossa di Cane, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Cesare Basile, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce e Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick.
DEXY'S - The Feminine Divine + Dexys Classics: Live!
Formidabile live con 19 brani in cui la band raccoglie l'intero, recente e ottimo, "Feminine divine" e poi ci delizia con versioni stupende, elaborate, piene di soul, groove e raffinatezza di alcuni classici, da "Geno" a "Come on Eileen", passando attraverso "Jackie Wilson said", "Plan B", "Tell me when my light turns green". Si chiude con la struggente canzone popolare irlandese "Carrickfergus". Registrazione impeccabile, band spaziale, kevin Rowland vocalmente superbo. Un gioiello.
KNEECAPP - Fine art
Il trio di Belfast firma il secondo album , un assalto sonoro hip hop / funk, che guarda soprattutto ai Beastie Boys, cantato in inglese e gaelico, ma con influenze anche da The Streets, Slowthai e gli immancabili Sleaford Mods.
Giovani, incazzati, sfacciati.
Ci sono anche Grian Chatten dei Fontaines D.C. e altri ospiti, rumori, suoni, interludi.
Sound of the suburbs.
KING HANNAH - Big swimmer
Secondo album per il duo inglese e ulteriore conferma della qualità compositiva che ondeggia, con personalità, tra Pj Harvey, Velvet Underground, il folk più oscuro, alt rock. Ottimo lavoro pur se non merita gli unanimi osanna e peana appena usciti.
WONDER45 - Wonderland
Per chi ama il cosiddetto "retro soul" o "vintage soul" ecco una nuova band londinese, i WONDER 45 (Wonder 45) con l'album di debutto "Wonderland". Qui c'è la storia della soul music, dal rhythm and blues, a intriganti soul ballads, blues, funk, echi gospel, blaxploitation, Temptations, sezione fiati che spinge, grandi voci, Sly e tanto altro.
Get the groove!
PAUL MCCARTNEY & THE WINGS - One Hand Clapping
Colonna sonora dell'omonimo documentario registrato ad Abbey Road nel 1974, rimasto nel cassetto fino al 2010, quando è stato inserito nel deluxe di "Band on the run".
26 brani (parte dei quali sono improvvisazioni in studio o cenni a qualche classico dei Beatles) da cui emerge una band in formissima, molto rockeggiante, verso il glam, e la classe di Paul, spaventosamente eccelsa.
DANA GILLESPIE - First love
Molto elegante e raffinato il nuovo lavoro dell'interprete inglese (già a fianco di Bowie, Dylan, ELton John e una settantina di album all'attivo). Il tono è vicino alla classe decadente di Marianne Faithfull e il disco si ascolta con grande piacere tra cover molto suggestive e ben scelte.
ALAN VEGA - Insurrection
Nell'inferno sociale politico che stiamo vivendo intorno a noi, una colonna sonora come quella che esce da questo album di inediti di Alan Vega sarebbe perfetta. Raramente si può ascoltare qualcosa di così opprimente, devastante, claustrofobico come questi undici bran, registrati a fine anni 90. L'apocalisse. Pauroso da togliere il fiato.
JOHN CALE - Poptical illusion
L'ex Velvet Underground non demorde e a 82 anni continua a sfidarsi con nuove produzioni, questa volta più incline al "pop" (inteso come musica maggiormente fruibile ma di poco). Gioca con l'elettronica e atmosfere cupe e opprimenti, inquietanti e minacciose. Un lavoro sempre di alta qualità, che ne conferma la lucidità artistica e compositiva.
BIG SPECIAL - Post Industrial Hometown Blues
Caustici, abrasivi, duri. Nella loro visione sonora confluiscono Sleaford Mods, Idles, Algiers, postpunk ma anche blues e soul. Una miscela intrigante e particolare fose non ancopra del tutto a fuoco ma funziona e potrebbe esplodere alla grande.
JIMI TENOR - Is there love in outer space?
La navicella spaziale di Jimi Tenor torna nella sua Finlandia per un disco strumentale, ipnotico, tra psichedelia, jazz, funk e richiami cinematografici con atmosfere avvolgenti e narcolettiche oltre al possente afrofunk conclusivo "What are you doing?" dal groove irresistibile.
LOVESICK - Remember my name
Torna lo stupendo duo (Paolo Roberto Pianezza, voce e chitarra e Francesca Alinovi contrabbasso e perussioni a cui si è aggiunto Alessandro Cosentino al fiddle e batteria), che ha conquistato Europa e America con lunghi e infuocati tour e cinque album. Il sesto ne conferma la perfetta abilità nel coniugare rockabilly, swing, country & western, hillbilly in canzoni originali, curate e incisive. Un lavoro perfetto!
AA. VV. – Operazione Sole – Italian Pop Reggae, Dub & Summer Love Affairs
Ska, reggae, ritmi caraibici/giamaicani sono stati spesso usati dagli artisti italiani fin dalla fine degli anni Cinquanta e Sessanta (da Mina a Peppino Di Capri, fino a ai celebri ed espliciti omaggi di Loredana Berté, Rino Gaetano, Ivano Fossati etc). Questa stupenda compilation scava invece tra nomi e dischi oscuri, mai assurti a notorietà e classifiche, in cui il reggae è protagonista. Brani qualitativamente ottimi, portano alla luce una realtà sconosciuta, sviluppatasi agli inizi degli anni Ottanta. Nove brani solari, luminosi, illuminanti.
I FENOMENI - Signore e Signori, cantano... I Fenomeni!
Si chiude con una raccolta (in vinile e 200 copie numerate) la saga de I Fenomeni, autori di tre pregevoli album, in cui hanno rispolverato i meandri più oscuri della scena Beat italiana, dal "Bitt" alle evoluzioni psichedeliche. I dodici brani sono un perfetto riassunto di una brillante vicenda, in cui la competenza dei protagonisti ci ha regalato piccole gemme perdute (valga su tutte la ripresa, in italiano, di "Glow Girl" degli Who, brano pressoché sconosciuto di Townshend e soci, che conteneva i semi dell'imminente "Tommy" o le versioni fulminanti de "L'uomo in cenere" dei Motowns o della stupenda "Prima c'era la luce" dei primi New Trolls). Album prezioso e imperdibile per i cultori ma non solo.
PROJECT V - There’s No Sorrow
Supergruppo, che raduna vari esponenti storici della scena garage beat punk italiana, in un 45 giri con quattro brani che si muovono alla perfezione nell’ambito. Ci sono folk rock, garage, blues, punk, beat e tanto altro. Il tutto composto, suonato e proposto con la consueta enorme passione e giusta attitudine. Gli appassionati del genere sono avvertiti.
OSSA DI CANE - La morte del re
Spettacolare esordio per il sestetto senese che riesce nel complesso e arduo compito di creare una miscela innovativa, sperimentale, originalissima, che mette insieme nu jazz (attingendo in particolare dalla scena British Jazz, da Ezra Collective a Sons Of Kemet e Comet is Coming), hip hop, drum and bass, elementi fusion, elettronica, un groove funk. Il tutto condito da un'attitudine "punk", iconoclasta ma allo stesso tempo intimista. Siamo di fronte a uno dei migliori album nostrani dell'anno. Eccellente.
MANUPUMA - Cuore leggero
Torna con il secondo album Emanuela Bosone, in arte Manupuma, già vincitrice di Musicultura 2019, attrice e compositrice. Prodotto da Taketo Gohara, è un lavoro dalle numerose sfaccettature sonore, tra intense ballate pianistiche, un'anima soul che si affianca a quella jazz, un inaspettato "ska balcanico" nella stupenda "Vorrei", un mood che riporta alla Mina meno canzonettara degli anni Sessanta e a Joan As Police Woman a cui, non a caso, ha aperto un tour italiano. Album di grande valore e spessore sia a livello compositivo che interpretativo.
ASCOLTATO ANCHE:
RESOLUTION 88 (ottimo jazz funk strumentale, dalle tinte soul), THE DECEMBERISTS (letargico ma con qualcosa di discreto), MYSTERINES (alt rock, cupo e "introverso", un po' grunge), DAVE ALVIN (blues, country, "Americana", "Dylanesque", rhythm and blues. Tutto fatto molto, molto bene), CITRUS SUN (Bluey degli Incognito alle prese con il classico soul funk fusion raffinato e pulito).
LIBRI
Steve Turner - King Mod: The story of Peter Meaden, The Who and the birth of a British sub-culture
Peter Meaden è stato lo scopritore e manager dei primi WHO (e High Numbers, per i quali scrisse i testi del primo - e unico con quel nome - singlo "I'm the face" / "Zoot Suit") e tra i protagonisti della scena MOD degli anni Sessanta.
Il libro ne narra la storia, ricchissima di dettagli inediti o poco conosciuti (oltre a tante foto rare) e include un'intervista del 1975 sulla sua vita, gli Who, i mods etc.
Durante la quale formulò la famosa e definitiva frase sul MOD:
"Modism, Mod living, is an aphorism for clean living under difficult circumstances."
Purtroppo le sue condizioni psico fisiche erano piuttosto compromesse (l'incontro tra l'autore e Meaden avviene in una clinica psichiatrica) e non tutte le sue considerazioni sono affidabili e condivisibili (soprattutto le contestualizzazioni temporali) ma per chi ama l'ambito subculturale è un documento preziosissimo.
Ci sono appunti importanti, come l'articolo del settembre 1962 sulla filosofia di Mark Feld (futuro Marc Bolan) considerato il primo documento ufficiale sulla scena modernista, in cui non parla mai di mod, né di musica, nè di droghe, scooter o altro ma fa esclusivo riferimento alla sola ossessione per l'estetica.
Anche se già nel 1958 il "Daily Mirror" pubblicava l'articolo dal titolo "Are you a Trad or a Mod?", ripreso poi nel marzo 1963 dal "Mirror": "Trad or Mod?".
Le descrizioni dell'epoca sono accuratissime, a partire dal luogo in cui partì la scena Mod, il club londinese "The Scene" in cui Sandra Blackstone (compagna di un soldato americano di stanza a Londra) suonava 45 giri rarissimi con la regola del club "nessun disco della Top 20".
Quando incontra gli Who, dediti a blues e rythm and blues, per soddisfare il loro pubblico trova un gruppo di ragazzi "malleabili e da plasmare".
"Li portai allo "Scene", videro i mods e incominciarono a identificarsi con loro e a entrare nel mio mondo speciale".
Grazie a Guy Stevens, Dj e prime mover della scena mod londinese (poi produttore di "London calling" dei Clash) porta a Townshend e soci una lunga serie di rari brani "black" da cui prendere ispirazione.
La fine mediatica e numerica della scena mod avviene per un fattore particolare:
"LSD. Le pillole Drynamil incoraggiavano il movimento e la parlata veloce, LSD, mescalina e peyote portavano alla riflessione e introversione. La vita interiore diventò più importante delle altre attività."
Peter Meaden venne lasciato presto dagli Who, si dedicò alla Steve Gibbons Band ma finì malamente la sua vita tra depressione, esaurimenti nervosi, problemi psichiatrici e dipendenze pesanti.
Morì nel 1978, a 37 anni, poco prima di Keith Moon.
Gli Who si premurarono di coprire le spese funerarie.
Il libro è INDISPENSABILE per chi vuole approfondire certe tematiche e periodi (affiancherei l'eccellente "Stoned" dell'amico Andrew Loog Oldham, manager dei primi Stones).
"Al raduno di Hastings nel 1966 c'erano solo mods. 15.000 mods e TRE rockers in un bar!"
"Quanti ambasciatori del rock inglese sono stati direttamente influenzati dal Mod: Who, Rod Stewart, David Bowie, Stones, Small Faces, Animals, Georgie Fame, Julie Driscoll, Brian Auger, Zoot Money, Steve Winwood, Eric Clapton, Kinks, Marc Bolan, Jeff Beck, Robert Plant, Jimmy Page, Elton John, Anddy Summers, Bryan Ferry".
"Essere un mod non era solo essere al massimo della moda ed estetica ma anche conoscere le migliori canzoni, i club, i bar, le boutique, i trend e le feste. Perdere le attività di un weekend significava essere tagliato fuori, il peggiore peccato che potesse commettere un mod. Non c'era nostalgia, i mod vivevano esclusivamente nel presente con uno sguardo attento al futuro."
Carlo Babando - Miss Black America
Il lungo e intricato percorso di Carlo Babando (già autore dello splendido "Blackness" qui: https://tonyface.blogspot.com/2020/09/carlo-babando-blackness.html) all'interno della "black music" e della cultura afroamericana ci porta in un nuovo viaggio che passa da Robert Johnson a Sun Ra, ai Public Enemy, Gil Scott Heron, Travis Scott, Beyoncè, Angela Davis.
Una riflessione sui collegamenti, le evoluzioni, i passaggi attraverso i secoli, i dischi, la cultura.
Come specifica alla fine: "I capitoli che avete letto hanno l'unica pretesa di complicare le idee, non di metterle in ordine...incamminarsi lungo i percorsi dell'identità afroamericana contemporanea significa buttarsi alle spalle molti steccati e provare per un attimo a guardare con occhi nuovi quello che talvolta diamo per assodato. Non azzerando la storia, al contrario: riportandola alla luce e imparando a dialogarci".
Molto interessante la considerazione su come l'impegno socio/politico di molti artisti sia in qualche modo imposto dalla necessità di "ottenere attenzione e non venire contemporaneamente accusato di disinteresse da parte della comunità di appartenenza".
E pure quella di come lo sguardo all'Africa sia talvolta solo di facciata, una suggestione verso una realtà immaginata ma non corrispondente alla quotidianità del luogo.
Ovvero: gli afroamericani non sono africani. Neppure gli immigrati dalle West Indies in Inghilterra sono più giamaicani (come si evince dai capitoli dedicati alla Black Culture britannica).
Come sosteneva Sun Ra in una conferenza, già nel 1971:
"Afroamericani e africani non possono ritenersi parte di una realtà interconnessa.
L'uomo nero a stelle e strisce si sta solo raccontando una bugia, proitettando oltre il Sahara qualcosa che ormai i secoli hanno inevitabilmente mutato".
La cultura afroamericana è in costante movimento, assimilando progressivamente nuove influenze, mantenendo il rapporto con le radici ma rielaborandole, sorpassando gli schemi classici che le vogliamo attribuire, per comodità e pigrizia mentale.
Il libro è colmo di riferimenti a brani, dischi, artisti e richiede un minimo di preparazione e conoscenza della materia ma è anche fonte di infiniti stimoli e indicazioni per il lettore meno competente della materia.
Come sempre, un saggio competente e completo.
Nando Mainardi - La ragazza occitana
Presumo saranno in pochi/e a ricordare il nome e la figura di DOMINIQUE BOSCHERO, attrice e personaggio particolare e anomalo nella cultura popolare tra gli anni Sessanta e Settanta.
Bellezza prorompente che le permise di imporsi all'attenzione di manager, giornalisti e registi, trova progressivamente popolarità, prima nella Parigi, in cui era immigrata con i genitori dal profondo Piemonte, degli anni 50, lavorando a fianco dei giovanissimi Alain Delon e Brigitte Bardot, per poi approdare a Cinecittà e alla ribalta dei paparazzi nei Sessanta.
Incontra personaggi come Frank Sinatra, Luigi Tenco, ha una relazione con Gianni Agnelli, diventa la compagna di Carlo Volonté, fratello di Gian Maria, con cui instaura un rapporto di collaborazione politico.
La sua carriera sarà ricca di film ma povera di soddisfazioni artistiche (la sua filmografia è relegata a prodotti di qualità piuttosto bassa), sfiorerà la parte di Gradisca in "Amarcord" di Fellini e quella di Maria Schneider in "Ultimo tango a Parigi" ma il suo ruolo rimarrà relegato a quello della "bellona" in lavori scadenti e poco visti.
La sua vita privata la vede impegnata politicamente nell'estremismo di sinistra dei Settanta in "Servire il popolo" prima, e nella rivendicazione autonomista dell'Occitania, poi.
Una vita spericolata e ai limiti che si risolve con l'auto esilio nelle amate montagne cuneensi dove era cresciuta e dove tutt'ora vive.
Il libro è scorrevole, la vicenda fresca e stimolante.
Mainardi la racconta grazie alla testimonianza diretta della protagonista e nel libro si intrecciano curiosità e aspetti inediti di una grande epoca dell'Italia di 40/50 anni fa.
Marco De Paolis con Annalisa Strada - L’uomo che dava la caccia ai nazisti
Marco De Paolis è Procuratore Generale Militare presso la Corte d'Appello di Roma.
Ha dedicato la vita a indagare sugli eccidi nazifascisti, istruendo 17 processi e portando alla condanna di decine di criminali di guerra.
Partendo dalla scoperta dell'Armadio della Vergogna, nel 1994 (tenuto in un luogo chiuso con un lucchetto e le ante rivolte verso il muro), contenente 695 dossier e un Registro Generale riportante 2.274 notizie di reato, raccolte dalla Procura generale del Tribunale supremo militare, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante la campagna d'Italia (1943-1945) dalle truppe nazifasciste.
De Paolis si circonda di fidati collaboratori e nel 2002 costituisce il Gruppo Investigativo Speciale per i Crimini di Guerra.
Un lavoro certosino per rintracciare i responsabili delle stragi in Emilia e Toscana (oltre a Cefalonia), in cui morirono migliaia di civili, trucidati dalle truppe naziste (spesso con efferatezza indescrivibile), non di rado aiutati dai fascisti repubblichini italiani (non perseguibili a seguito dell'"Amnistia Togliatti" del 1946, al fine di archiviare il passato e aprire una nuova epoca).
De Paolis si trova così di fronte a vecchi nazisti.
"Non erano vecchi criminali, ma solo criminali invecchiati, fossilizzati nella loro ideologia di morte.
Alcuni erano rimasti convintamente nazisti e non lo nascondevano".
Gerhard Sommer che comandò l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema "era la personificazione del male e tutta la sua pericolosità era ancora intatta".
I processi e relative condanne resero (parziale e tardiva) giustizia.
Buona parte dei responsabili morirono di morte naturale prima delle condanne.
"Nessuno doveva fare quella fine".
Emiliano Raffo - Abbiamo sempre avuto una canzone nelle orecchie
Benedetta/maledetta PROVINCIA, matrigna, cella di consuetudini ma anche guscio protettivo a cui tornare da avventure stimolanti e/o devastanti in qualche "altrove" (nello specifico la patria della "nostra" musica, Londra, quella ancora non gentrificata, turisticizzata, psot Brexit).
Un libro che attrversa anni, epoche, eventi tragici e questioni personali (ampiamente autobiografiche), con una colonna sonora da urlo che scandisce le vicende.
Un'evoluzione artistica che parte da Judas Priest, Metallica e Dokken, per passare a Beastie Boys ed Eminem arrivare a Britpop e Aphex Twin, The Streets e Burial.
Raffo scrive molto bene, evocativo, ironico ma anche glaciale e spietato quando serve.
Come ogni storia di provincia si rimane sul filo del rasoio, tra abbandono, tragedia, disperazione e una visione genuina e sincera, disincantata, sempre permeata da una sorta di innocenza adolescenziale che permette di andare avanti con un'attitudine positiva.
Stefano Scrima - Sto solo dormendo
Stefano Scrima ci ha abituati a ottimi e interessanti saggi sulla musica, vista da varie angolazioni, con approfondimenti sempre centrati e stimolanti.
In questo caso l'analisi va all'opera di JOHN LENNON, attraverso le sue varie fasi compositive.
Il proletario ribelle che, per primo nei Beatles, esce dalla narrazione easy/cuore/amore del primo periodo con brani drammatici ed esistenziali come "I'm a loser", "Help!", "Nowhere man".
Verranno l'impegno politico già accennato in "Revolution", il pacifismo e l'inasprimento delle posizioni con "Power to the people" e il militante "Sometime in New York City", costantemente in una situazione contraddittoria (la star ricca sfondata che inneggia alla "rivoluzione").
"Negli anni Sessanta e Settanta mi ero un po' improvvisato nella cosiddetta politica, più che altro per un senso di colpa.
Il senso di colpa di essere ricco e anche pensando che pace e amore non fossero abbastanza, che bisognasse farsi sparare o qualcosa del genere epr essere uno del popolo".
"L'errore più grave che io e Yoko commettemmo in quel periodo fu di lasciarci influenzare da quei macho "veri rivoluzionari" con le loro folli idee sulla necessità di ammazzare la gente per liberarla dal capitalismo e/o comunismo (dipende da come la pensate)."
Alla fine il ritiro per dedicarsi alla famiglia e a sé stesso, coltivando la sua innata pigrizia ("I'm only sleeping", appunto).
"Yoko mi ha fatto capire che un'alternativa era possibile. Non sei obbligato a farlo...se non produrrò nient'altro da offrire al consumo del pubblico se non il silenzio, così sia. Amen".
L'epilogo lo conosciamo, purtroppo.
Il libro è un ulteriore tassello, frutto di una visione personale e originale dell'autore, che non mancherà di essere apprezzatissima dai Beatlesiani e dai cultori di "certa musica".
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Giovedì 4 luglio
Travo (Piacenza)
Serate Letterarie
Mauro Franco presenta "Esilio in Costa Azzura" (https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mauro-franco-esilio-in-costa-azzurra.html
Modera: Antonio Bacciocchi
Mercoledì 10 luglio
Pistoia
Circolo ARCI San Felice
"Black Music e sottoculture"
ore 18
Venerdì 19 luglio
Monte San Vito (Ancona)
My Generation. Stili e rituali delle sottoculture giovanili con Michele Savini.
Ore 21
giovedì, giugno 27, 2024
Jerry Lee Lewis
Speciale JERRY LEE LEWIS.
Il Killer del rock 'n' roll è famoso per il suo grande stile pianistico, la vita spericolata, i vari scandali e una serie di hit seminali nella storia del rock, da "Great balls of fire" a "Whole lotta shakin goin' on" e "Breathless".
Di seguito una serie di album consigliati per approfondire meglio la sua discografia (a scelta una compilation con le prime hit è comunque obbligatoria). Live at the Star Club, Hamburg (1964)
Frequentemente annoverato tra i migliori live di sempre, accompagnato dai Nashville Teens, spara una serie di classici con una potenza, un groove infuocato, un'attitudine proto punk incredibile.
"Money" è da brividi, "Great balls of fire" e "Long Tall Sally" sbancano tutto.
Suoni crudi, registrati con particolare cura, restituiscono l'atmosfera di un live dei tempi nel mitico club in cui si fecero le ossa i Beatles.
Memphis Beat (1966)
Mentre ovunque la musica sta passando dal beat alla psichedelia e alla sperimentazione, dopo un periodo dedicato al country, Jerry torna alle sue radici e confenziona un signor album, pieno di groove e ritmo.
Ci sono rock 'n' roll, blues, country e rhythm and blues ("Halleluja I love her so" e "Big boss man" ad esempio).
The Session...Recorded in London with Great Artists (1973)
Un album londinese, registrato, come disse con un certo spaesamento Jerry, con "ragazzi con i capelli lunghi intorno a me".
Ovvero Rory Gallagher, Peter Frampton, Albert Lee, Alvin Lee, Kenney Jones, Gary Wright, Matthew Fisher dei Procol Harum, Klaus Voormann.
Un lavoro gradevole, più che altro curioso, visto l'ibrido tra un eroe del rock n roll e i nuovi adepti, senza dover annotare particolari momenti di eccellenza.
Last Man Standing (2006)
Mean Old Man (2010)
Rock & Roll Time (2014)
Gli ultimi album della carriera sono un tributo alla sua storia, affiancato dai grandi del rock, tra classici, duetti e rivisitazioni.
Rock 'n' roll, blues e country, tanta energia e interpretazioini sempre gustose.
Spiccano "Rock n Roll" dei Led Zeppelin (con Jimmy Page) in chiave boogie n roll, "Pink Cadillac" con Bruce Springsteen, "Dead flowers" con Mick Jagger.
Tra gli ospiti Mick Jagger, Keith Richrads, Ringo Starr, Ron Wood, Little Richard, Jimmy Page, Eric Clapton, BB King, Neil Young, Robbie Robertson, John Fogerty, Rod Stewart e altri.
Tre album prevedibili (ma non troppo) ma di grande classe.
Il Killer del rock 'n' roll è famoso per il suo grande stile pianistico, la vita spericolata, i vari scandali e una serie di hit seminali nella storia del rock, da "Great balls of fire" a "Whole lotta shakin goin' on" e "Breathless".
Di seguito una serie di album consigliati per approfondire meglio la sua discografia (a scelta una compilation con le prime hit è comunque obbligatoria). Live at the Star Club, Hamburg (1964)
Frequentemente annoverato tra i migliori live di sempre, accompagnato dai Nashville Teens, spara una serie di classici con una potenza, un groove infuocato, un'attitudine proto punk incredibile.
"Money" è da brividi, "Great balls of fire" e "Long Tall Sally" sbancano tutto.
Suoni crudi, registrati con particolare cura, restituiscono l'atmosfera di un live dei tempi nel mitico club in cui si fecero le ossa i Beatles.
Memphis Beat (1966)
Mentre ovunque la musica sta passando dal beat alla psichedelia e alla sperimentazione, dopo un periodo dedicato al country, Jerry torna alle sue radici e confenziona un signor album, pieno di groove e ritmo.
Ci sono rock 'n' roll, blues, country e rhythm and blues ("Halleluja I love her so" e "Big boss man" ad esempio).
The Session...Recorded in London with Great Artists (1973)
Un album londinese, registrato, come disse con un certo spaesamento Jerry, con "ragazzi con i capelli lunghi intorno a me".
Ovvero Rory Gallagher, Peter Frampton, Albert Lee, Alvin Lee, Kenney Jones, Gary Wright, Matthew Fisher dei Procol Harum, Klaus Voormann.
Un lavoro gradevole, più che altro curioso, visto l'ibrido tra un eroe del rock n roll e i nuovi adepti, senza dover annotare particolari momenti di eccellenza.
Last Man Standing (2006)
Mean Old Man (2010)
Rock & Roll Time (2014)
Gli ultimi album della carriera sono un tributo alla sua storia, affiancato dai grandi del rock, tra classici, duetti e rivisitazioni.
Rock 'n' roll, blues e country, tanta energia e interpretazioini sempre gustose.
Spiccano "Rock n Roll" dei Led Zeppelin (con Jimmy Page) in chiave boogie n roll, "Pink Cadillac" con Bruce Springsteen, "Dead flowers" con Mick Jagger.
Tra gli ospiti Mick Jagger, Keith Richrads, Ringo Starr, Ron Wood, Little Richard, Jimmy Page, Eric Clapton, BB King, Neil Young, Robbie Robertson, John Fogerty, Rod Stewart e altri.
Tre album prevedibili (ma non troppo) ma di grande classe.
mercoledì, giugno 26, 2024
Stefano Scrima - Sto solo dormendo
Stefano Scrima ci ha abituati a ottimi e interessanti saggi sulla musica, vista da varie angolazioni, con approfondimenti sempre centrati e stimolanti.
In questo caso l'analisi va all'opera di JOHN LENNON, attraverso le sue varie fasi compositive.
Il proletario ribelle che, per primo nei Beatles, esce dalla narrazione easy/cuore/amore del primo periodo con brani drammatici ed esistenziali come "I'm a loser", "Help!", "Nowhere man".
Verranno l'impegno politico già accennato in "Revolution", il pacifismo e l'inasprimento delle posizioni con "Power to the people" e il militante "Sometime in New York City", costantemente in una situazione contraddittoria (la star ricca sfondata che inneggia alla "rivoluzione").
"Negli anni Sessanta e Settanta mi ero un po' improvvisato nella cosiddetta politica, più che altro per un senso di colpa.
Il senso di colpa di essere ricco e anche pensando che pace e amore non fossero abbastanza, che bisognasse farsi sparare o qualcosa del genere epr essere uno del popolo".
"L'errore più grave che io e Yoko commettemmo in quel periodo fu di lasciarci influenzare da quei macho "veri rivoluzionari" con le loro folli idee sulla necessità di ammazzare la gente per liberarla dal capitalismo e/o comunismo (dipende da come la pensate)."
Alla fine il ritiro per dedicarsi alla famiglia e a sé stesso, coltivando la sua innata pigrizia ("I'm only sleeping", appunto).
"Yoko mi ha fatto capire che un'alternativa era possibile. Non sei obbligato a farlo...se non produrrò nient'altro da offrire al consumo del pubblico se non il silenzio, così sia. Amen".
L'epilogo lo conosciamo, purtroppo.
Il libro è un ulteriore tassello, frutto di una visione personale e originale dell'autore, che non mancherà di essere apprezzatissima dai Beatlesiani e dai cultori di "certa musica".
Stefano Scrima
Sto solo dormendo
Arcana
92 pagine
12 euro
In questo caso l'analisi va all'opera di JOHN LENNON, attraverso le sue varie fasi compositive.
Il proletario ribelle che, per primo nei Beatles, esce dalla narrazione easy/cuore/amore del primo periodo con brani drammatici ed esistenziali come "I'm a loser", "Help!", "Nowhere man".
Verranno l'impegno politico già accennato in "Revolution", il pacifismo e l'inasprimento delle posizioni con "Power to the people" e il militante "Sometime in New York City", costantemente in una situazione contraddittoria (la star ricca sfondata che inneggia alla "rivoluzione").
"Negli anni Sessanta e Settanta mi ero un po' improvvisato nella cosiddetta politica, più che altro per un senso di colpa.
Il senso di colpa di essere ricco e anche pensando che pace e amore non fossero abbastanza, che bisognasse farsi sparare o qualcosa del genere epr essere uno del popolo".
"L'errore più grave che io e Yoko commettemmo in quel periodo fu di lasciarci influenzare da quei macho "veri rivoluzionari" con le loro folli idee sulla necessità di ammazzare la gente per liberarla dal capitalismo e/o comunismo (dipende da come la pensate)."
Alla fine il ritiro per dedicarsi alla famiglia e a sé stesso, coltivando la sua innata pigrizia ("I'm only sleeping", appunto).
"Yoko mi ha fatto capire che un'alternativa era possibile. Non sei obbligato a farlo...se non produrrò nient'altro da offrire al consumo del pubblico se non il silenzio, così sia. Amen".
L'epilogo lo conosciamo, purtroppo.
Il libro è un ulteriore tassello, frutto di una visione personale e originale dell'autore, che non mancherà di essere apprezzatissima dai Beatlesiani e dai cultori di "certa musica".
Stefano Scrima
Sto solo dormendo
Arcana
92 pagine
12 euro
martedì, giugno 25, 2024
Kneecapp
Ho chiesto all'amico MICHELE SAVINI di approfondire, direttamente da Dublino e quindi con più dimestichezza con la "materia", il fenomeno KNEECAPP, band nord irlandese che sta travolgendo con il nuovo album "Fine art" e che meritano spazio e attenzione.
Arrivano da Belfast, non si capisce una parola di quello che dicono e il loro nome richiama a una tecnica di tortura usata durante i Troubles in Irlanda del Nord (Kneecapping / Gambizzazione).
Sono i Kneecap, gruppo hip hop composto da tre ragazzi poco più che ventenni e la loro è una voce che arriva urlante dalle zone troppo spesso disagiate dell'Irlanda del Nord. Lo fanno abilmente unendo l'irlandese con l'inglese, la satira con testi socialmente consapevoli, la realtà con l'assurdità, parlando in una lingua troppo spesso ignorata che rende il tutto ancora più elettrizzante.
Inizia tutto circa due anni fa, quando tra mille polemiche inaugurarono a Belfast, nella zona di Fall Road, uno dei quartieri Repubblicani della Città dove si parla tutt‘ora gaelico, un murales rappresentante un furgoncino della polizia RUC in fiamme accompagnata dalla scritta “níl fáilte roimh an RUC” (the RUC are not welcome).
La RUC era un corpo di polizia federale dell'Irlanda del Nord attiva dal 1922 al 2001, in cui la maggior parte dei membri era protestante e che fungeva da “braccio” dello Stato Britannico, prendendo di mira soprattutto repubblicani e cattolici con duri mezzi di repressione durante i Troubles.
“E’ semplicemente un Opera D’arte (Fine Art, ndr). Se non lo capisci, non lo capisci … ma rimane pur sempre arte …” fu’ la dichiarazione rilasciata dalla band.
FINE ART è appunto il titolo del loro album di debutto, in cui si avvalgono di collaborazioni di lusso, vedi quella con Grian Chatten dei Fontaines D.C. Radie Peat della folk band Lankum o il rapper britannico Jelani Blackman e il risultato finale è affascinate, fresco, avvincente ma soprattutto mai scontato.
Uniscono samples, rumori, dialoghi che trasudano dissenso, testi tanto feroci quanto taglienti, mescolando il tutto con un po’ di punk, elettronica, tanto hip hop e un’attitudine da “Qui non si fanno prigionieri ...”
Le vittime sono sempre le stesse: Il governo britannico, la sua presenza in territorio irlandese e tutto quello che è “Royal”, a favore del Repubblicanesimo e della loro amata lingua Gaelica, idioma che sta lentamente scomparendo (o se preferiamo deliberatamente fatto scomparire e messo a tacere) con la progressiva integrazione dell’Irlanda all’interno del sistema britannico, e patrimonio da salvaguardare per onorare la propria identità culturale.
A ribadire questo, anche un film che descrive l'ascesa della band diretto dal regista Rich Peppiatt, che li vede protagonisti nei panni di sé stessi, insieme al famoso attore irlandese Michael Fassbender, in cui la lingua Gaelica è il fulcro principale intorno a cui gira la trama.
“KNEECAP” è stato recentemente presentato al Sundance Film Festival e al Tribecca Film Festival, ottenendo riscontri positivi sia in Europa che in USA.
Qui di seguito il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=QB2LsoZOQpU&t=47s
Suscitano polemica non sono tra gli unionisti Nordirlandesi, ma anche da parta della società benpensante che non vede di buon occhio i vari riferimenti alle droghe presenti nei testi, vedi ad esempio la canzone 3CAG , abbreviazione di “3 chonsan agus guta”, che in gaelico significa “tre consonanti e una vocale” e chiaro riferimento all’ MDMA.
O il loro giocare con simboli che richiamano i Troubles (uno di loro indossa un passamontagna tricolore) o che vanno a toccare temi difficili, come appunto il costante sostegno al popolo Palestinese nel conflitto mediorientale, con bandiere o spille sempre in bella mostra durante le loro apparizioni pubbliche.
O addirittura la serie di adesivi comparsi la scorsa settimana al British Museum, parte dell’operazione di marketing per promuovere il nuovo album, che ricordavano simpaticamente come la maggior parte delle opere esposte provengono in realtà da paesi diversi dal Regno Unito (con una parte significativa di essa “acquisita” attraverso canali impropri, o persino trafugata in alcuni casi …). Provocatori e irriverenti, abili oratori di un linguaggio della strada, condannati dai politici e amati dai fan:
i Kneecap sono innanzitutto un fenomeno culturale imprescindibile per capire che cosa succede nel nord dell’Irlanda e uno specchio reale sulla generazione nata dopo l'accordo del Venerdì Santo del 1998.8.
Arrivano da Belfast, non si capisce una parola di quello che dicono e il loro nome richiama a una tecnica di tortura usata durante i Troubles in Irlanda del Nord (Kneecapping / Gambizzazione).
Sono i Kneecap, gruppo hip hop composto da tre ragazzi poco più che ventenni e la loro è una voce che arriva urlante dalle zone troppo spesso disagiate dell'Irlanda del Nord. Lo fanno abilmente unendo l'irlandese con l'inglese, la satira con testi socialmente consapevoli, la realtà con l'assurdità, parlando in una lingua troppo spesso ignorata che rende il tutto ancora più elettrizzante.
Inizia tutto circa due anni fa, quando tra mille polemiche inaugurarono a Belfast, nella zona di Fall Road, uno dei quartieri Repubblicani della Città dove si parla tutt‘ora gaelico, un murales rappresentante un furgoncino della polizia RUC in fiamme accompagnata dalla scritta “níl fáilte roimh an RUC” (the RUC are not welcome).
La RUC era un corpo di polizia federale dell'Irlanda del Nord attiva dal 1922 al 2001, in cui la maggior parte dei membri era protestante e che fungeva da “braccio” dello Stato Britannico, prendendo di mira soprattutto repubblicani e cattolici con duri mezzi di repressione durante i Troubles.
“E’ semplicemente un Opera D’arte (Fine Art, ndr). Se non lo capisci, non lo capisci … ma rimane pur sempre arte …” fu’ la dichiarazione rilasciata dalla band.
FINE ART è appunto il titolo del loro album di debutto, in cui si avvalgono di collaborazioni di lusso, vedi quella con Grian Chatten dei Fontaines D.C. Radie Peat della folk band Lankum o il rapper britannico Jelani Blackman e il risultato finale è affascinate, fresco, avvincente ma soprattutto mai scontato.
Uniscono samples, rumori, dialoghi che trasudano dissenso, testi tanto feroci quanto taglienti, mescolando il tutto con un po’ di punk, elettronica, tanto hip hop e un’attitudine da “Qui non si fanno prigionieri ...”
Le vittime sono sempre le stesse: Il governo britannico, la sua presenza in territorio irlandese e tutto quello che è “Royal”, a favore del Repubblicanesimo e della loro amata lingua Gaelica, idioma che sta lentamente scomparendo (o se preferiamo deliberatamente fatto scomparire e messo a tacere) con la progressiva integrazione dell’Irlanda all’interno del sistema britannico, e patrimonio da salvaguardare per onorare la propria identità culturale.
A ribadire questo, anche un film che descrive l'ascesa della band diretto dal regista Rich Peppiatt, che li vede protagonisti nei panni di sé stessi, insieme al famoso attore irlandese Michael Fassbender, in cui la lingua Gaelica è il fulcro principale intorno a cui gira la trama.
“KNEECAP” è stato recentemente presentato al Sundance Film Festival e al Tribecca Film Festival, ottenendo riscontri positivi sia in Europa che in USA.
Qui di seguito il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=QB2LsoZOQpU&t=47s
Suscitano polemica non sono tra gli unionisti Nordirlandesi, ma anche da parta della società benpensante che non vede di buon occhio i vari riferimenti alle droghe presenti nei testi, vedi ad esempio la canzone 3CAG , abbreviazione di “3 chonsan agus guta”, che in gaelico significa “tre consonanti e una vocale” e chiaro riferimento all’ MDMA.
O il loro giocare con simboli che richiamano i Troubles (uno di loro indossa un passamontagna tricolore) o che vanno a toccare temi difficili, come appunto il costante sostegno al popolo Palestinese nel conflitto mediorientale, con bandiere o spille sempre in bella mostra durante le loro apparizioni pubbliche.
O addirittura la serie di adesivi comparsi la scorsa settimana al British Museum, parte dell’operazione di marketing per promuovere il nuovo album, che ricordavano simpaticamente come la maggior parte delle opere esposte provengono in realtà da paesi diversi dal Regno Unito (con una parte significativa di essa “acquisita” attraverso canali impropri, o persino trafugata in alcuni casi …). Provocatori e irriverenti, abili oratori di un linguaggio della strada, condannati dai politici e amati dai fan:
i Kneecap sono innanzitutto un fenomeno culturale imprescindibile per capire che cosa succede nel nord dell’Irlanda e uno specchio reale sulla generazione nata dopo l'accordo del Venerdì Santo del 1998.8.
lunedì, giugno 24, 2024
Judith Hill
Riprendo l'articolo che ho pubblicato sabato per "Il manifesto" nella sezione "Alias".
“Letters from a black widow”.
Strana e tremenda storia quella a cui fa riferimento il titolo del nuovo album di Judith Hill, talentuosissima musicista, compositrice e cantante, da lungo tempo sulla scena musicale con un curriculum da brividi, nonostante un'età ancora piuttosto giovane (40 anni). Figlia di una pianista giapponese e del bassista afroamericano Robert Lee “Pee Wee” Hill, già a fianco di Billy Preston e Thelma Houston, tra i tanti. I due si conoscono quando entrano nella band di Chester Thompson (batterista di Frank Zappa, Santana, Genesis).
“Ero giovane quindi non mi rendevo conto di quanto fosse importante avere quei musicisti in giro per casa. Voglio dire, ora penso: "Quello era Billy Preston".
Judith cresce in un brodo primordiale di musica e già a quattro anni è accreditata di un brano composto da lei. Frequenta una scuola dove è l'unica bambina di colore, subendo le classiche angherie:
“Mi sono trovata davvero in difficoltà da bambina. Volevo solo degli amici. Volevo stare con le ragazze ma non potevo, venivo derisa per i miei capelli e il mio aspetto (una nippo-afroamericana non suscitava sicuramente tante simpatie in una scuola solo “bianca” Nda).
"È quella sensazione terribile quando suona la campana del pranzo e sai che andrai nel parco giochi da sola o presa in giro e sarà traumatico ogni giorno."
E' solo nel 2007 all'età di 23 anni che incomincia a dedicarsi professionalmente al canto, dopo un diploma in composizione musicale, andando in tour in Francia con Michel Polnareff.
Tornata negli States incomincia una strepitosa carriera da corista, a fianco di alcuni dei migliori nomi della scena pop rock soul internazionale, da Stevie Wonder a Rod Stewart, Dave Stewart, Gregg Allman, Mike Oldfield, Carole King, Robbie Williams, George Benson, tra gli altri.
Nel 2009 il salto di qualità con Michael Jackson che la chiama a duettare con lui nel tour di “This is it” (Judith compare nell'omonimo documentario). Prova per mesi ma il 25 giugno dello stesso anno Jacko muore e il tour è ovviamente cancellato.
“La mia prima grande occasione è stata la triste cerimonia commemorativa per Michael. E' stata anche una bellissima esperienza spirituale. Ma la prima volta che sono stata vista dal pubblico è stato quando ho cantato “Man in the Mirror” alla cerimonia. Michael è stato davvero di grande ispirazione, guardando come lavorava. E' stato fantastico collaborare con lui".
Nel 2013 si cimenta nella versione americana del contest “The Voice”. Le sue interpretazioni sembrano sbaragliare tutti ma viene clamorosamente eliminata, suscitando proteste e sconcerto.
La carriera incomincia a prendere comunque una strada positiva, collabora con John Groban e apre il tour inglese di John Legend oltre ad altre situazioni minori.
Partecipa al docufilm “20 Feet from Stardom” del 2013 (dedicato proprio ai coristi, coloro che accompagnano le stelle della musica ma non hanno mai l'opportunità di essere in primo piano).
Vince però un Grammy Award per la migliore musica da film.
Se la prima grande occasione con Michael Jackson era finita prima di incominciare, la sorte gliene presenta un'altra.
Durante una trasmissione in onda su una Tv europea, alla domanda con chi le sarebbe piaciuto collaborare risponde: Prince!
Il grande musicista la vede casualmente, ne rimane impressionato e decide di contattarla e invitarla ai suoi studi Paisley Park e alla presentazione del suo nuovo album “An official age”. E' lì che tra i due incomincia un'intensa storia artistica ma, pare, non solo:
"Ci tenevo profondamente a lui. Mi ha detto che mi amava e che per me ci sarebbe sempre stato".
Prince le propone di fargli sentire qualche suo brano, che apprezza e decide di produrre, intervenendo negli arrangiamenti e mettendo a disposizione il suo genio e la sua band. In tre settimane registrano il travolgente esordio di Judith Hill, “Back in time”, ricco di elementi funk e con la mano di Prince che si sente spesso evidente ma che ha già in sé una grande dose di personalità.
Nell'aprile anche Prince muore, per overdose. Aveva già avuto una settimana prima un collasso mentre era in aereo proprio con Judith a fianco ed era stato “riportato in vita” a stento. Incomincia qui un incubo per la musicista (cantante, pianista, chitarrista, compositrice di tutte le sue canzoni). Gli hater si scatenano, le imputano la morte delle due grandi star, di portare sfortuna, le arrivano minacce di ogni tipo, anche di morte.
Novella Mia Martini nippoafroamericana.
Lo stesso ambiente musicale la guarda spesso con sospetto e un briciolo di disprezzo. Quella “protetta” da due dei più grandi nomi nella storia della musica pop, ora se la deve cavare da sola. Ce la farà?
"Ho lottato per riuscire davvero a sentire che ero in grado di essere sufficiente a me stessa o che la mia storia contava.
Ho sempre pensato che il mio nome contasse solo perché era in relazione a qualcun altro." La sua vita sprofonda in un baratro psicologico, continua a suonare e a pubblicare ottimi album, sempre all'insegna di un mix di black music, jazz, pop, suonati e cantati benissimo e dall'alto potenziale commerciale ma quell' “ombra nera” che la avvolge non se ne va (tutt'ora riceve messaggi anonimi di disprezzo e di accuse per la scomparsa dei due geni della musica).
“Per molti anni non sapevo come sarebbe andata a finire.
Magari ero seduta in un ristorante e improvvisamente passava in sottofondo una canzone di Prince e a quel punto la mia giornata finiva. Capitava in qualsiasi posto del mondo mi trovassi. E' stato un periodo davvero molto duro”.
Arriva ora il suo nuovo, quinto, album, un vero e proprio capolavoro in cui troviamo soul, funk, blues, gospel, jazz, sperimentazione, rock, elettronica, hip hop, con la sua voce spettacolare a tenere le fila.
A tratti ricorda Macy Gray o Erikah Badu, a volte Prince e altre Sly and the Family Stone o perfino Aretha Franklin ma la personalità e l'ecletticità che sprigionano l'album sono uniche e originalissime. Come sottolineato il titolo è un esplicito e doloroso richiamo alla sua tormentata vicenda: “Lettera da una Vedova nera” / Letters from a Black Widow”.
Black Widow è il soprannome che le è stato dato a seguito delle morti di Michael Jackson e Prince.
L'album esprime tutta la frustrazione e il dramma di questa condizione, soprattutto nell'esplicita “Black Widow”, una ballata con voce e pianoforte protagonisti, come se uscisse da un lontano repertorio di Bessie Smith, Billie Holiday o Nina Simone, stessa forza dirompente, per poi trasformarsi un brano di rock pesante, duro e lacerante. Il coro la chiama “Vedova nera, vedova nera” e lei disperata risponde:
“Ho costruito queste quattro mura per proteggermi dal mondo / O forse è il contrario / quello non è il mio nome/ ehi signore, non è il mio nome / ehi sorella, non chiamarmi così / Io non sono una vedova nera, un cattivo presagio/ Non ti ho fatto niente di male / Vedova nera non è il mio nome...Il mio crimine è l'esistenza, quindi ho mantenuto le distanze/ Lontana, così lontana da tutti / come osi dirlo? Vedova Nera non è il mio nome / Vedova Nera, non hai cuore? Forse è vero, forse è vero / Non avvicinarti troppo, sono un cattivo juju / Sono maledetta perché sono stata morsa /Sono nera e mi è proibito.”
Un album tanto potente quanto amaro e drammatico che potrebbe chiudere un oscuro cerchio e avere il potere taumaturgico di una nuova (ennesima) rinascita.
La donna Judith Hill e il suo smisurato talento la meriterebbero con tutto il cuore.
“Letters from a black widow”.
Strana e tremenda storia quella a cui fa riferimento il titolo del nuovo album di Judith Hill, talentuosissima musicista, compositrice e cantante, da lungo tempo sulla scena musicale con un curriculum da brividi, nonostante un'età ancora piuttosto giovane (40 anni). Figlia di una pianista giapponese e del bassista afroamericano Robert Lee “Pee Wee” Hill, già a fianco di Billy Preston e Thelma Houston, tra i tanti. I due si conoscono quando entrano nella band di Chester Thompson (batterista di Frank Zappa, Santana, Genesis).
“Ero giovane quindi non mi rendevo conto di quanto fosse importante avere quei musicisti in giro per casa. Voglio dire, ora penso: "Quello era Billy Preston".
Judith cresce in un brodo primordiale di musica e già a quattro anni è accreditata di un brano composto da lei. Frequenta una scuola dove è l'unica bambina di colore, subendo le classiche angherie:
“Mi sono trovata davvero in difficoltà da bambina. Volevo solo degli amici. Volevo stare con le ragazze ma non potevo, venivo derisa per i miei capelli e il mio aspetto (una nippo-afroamericana non suscitava sicuramente tante simpatie in una scuola solo “bianca” Nda).
"È quella sensazione terribile quando suona la campana del pranzo e sai che andrai nel parco giochi da sola o presa in giro e sarà traumatico ogni giorno."
E' solo nel 2007 all'età di 23 anni che incomincia a dedicarsi professionalmente al canto, dopo un diploma in composizione musicale, andando in tour in Francia con Michel Polnareff.
Tornata negli States incomincia una strepitosa carriera da corista, a fianco di alcuni dei migliori nomi della scena pop rock soul internazionale, da Stevie Wonder a Rod Stewart, Dave Stewart, Gregg Allman, Mike Oldfield, Carole King, Robbie Williams, George Benson, tra gli altri.
Nel 2009 il salto di qualità con Michael Jackson che la chiama a duettare con lui nel tour di “This is it” (Judith compare nell'omonimo documentario). Prova per mesi ma il 25 giugno dello stesso anno Jacko muore e il tour è ovviamente cancellato.
“La mia prima grande occasione è stata la triste cerimonia commemorativa per Michael. E' stata anche una bellissima esperienza spirituale. Ma la prima volta che sono stata vista dal pubblico è stato quando ho cantato “Man in the Mirror” alla cerimonia. Michael è stato davvero di grande ispirazione, guardando come lavorava. E' stato fantastico collaborare con lui".
Nel 2013 si cimenta nella versione americana del contest “The Voice”. Le sue interpretazioni sembrano sbaragliare tutti ma viene clamorosamente eliminata, suscitando proteste e sconcerto.
La carriera incomincia a prendere comunque una strada positiva, collabora con John Groban e apre il tour inglese di John Legend oltre ad altre situazioni minori.
Partecipa al docufilm “20 Feet from Stardom” del 2013 (dedicato proprio ai coristi, coloro che accompagnano le stelle della musica ma non hanno mai l'opportunità di essere in primo piano).
Vince però un Grammy Award per la migliore musica da film.
Se la prima grande occasione con Michael Jackson era finita prima di incominciare, la sorte gliene presenta un'altra.
Durante una trasmissione in onda su una Tv europea, alla domanda con chi le sarebbe piaciuto collaborare risponde: Prince!
Il grande musicista la vede casualmente, ne rimane impressionato e decide di contattarla e invitarla ai suoi studi Paisley Park e alla presentazione del suo nuovo album “An official age”. E' lì che tra i due incomincia un'intensa storia artistica ma, pare, non solo:
"Ci tenevo profondamente a lui. Mi ha detto che mi amava e che per me ci sarebbe sempre stato".
Prince le propone di fargli sentire qualche suo brano, che apprezza e decide di produrre, intervenendo negli arrangiamenti e mettendo a disposizione il suo genio e la sua band. In tre settimane registrano il travolgente esordio di Judith Hill, “Back in time”, ricco di elementi funk e con la mano di Prince che si sente spesso evidente ma che ha già in sé una grande dose di personalità.
Nell'aprile anche Prince muore, per overdose. Aveva già avuto una settimana prima un collasso mentre era in aereo proprio con Judith a fianco ed era stato “riportato in vita” a stento. Incomincia qui un incubo per la musicista (cantante, pianista, chitarrista, compositrice di tutte le sue canzoni). Gli hater si scatenano, le imputano la morte delle due grandi star, di portare sfortuna, le arrivano minacce di ogni tipo, anche di morte.
Novella Mia Martini nippoafroamericana.
Lo stesso ambiente musicale la guarda spesso con sospetto e un briciolo di disprezzo. Quella “protetta” da due dei più grandi nomi nella storia della musica pop, ora se la deve cavare da sola. Ce la farà?
"Ho lottato per riuscire davvero a sentire che ero in grado di essere sufficiente a me stessa o che la mia storia contava.
Ho sempre pensato che il mio nome contasse solo perché era in relazione a qualcun altro." La sua vita sprofonda in un baratro psicologico, continua a suonare e a pubblicare ottimi album, sempre all'insegna di un mix di black music, jazz, pop, suonati e cantati benissimo e dall'alto potenziale commerciale ma quell' “ombra nera” che la avvolge non se ne va (tutt'ora riceve messaggi anonimi di disprezzo e di accuse per la scomparsa dei due geni della musica).
“Per molti anni non sapevo come sarebbe andata a finire.
Magari ero seduta in un ristorante e improvvisamente passava in sottofondo una canzone di Prince e a quel punto la mia giornata finiva. Capitava in qualsiasi posto del mondo mi trovassi. E' stato un periodo davvero molto duro”.
Arriva ora il suo nuovo, quinto, album, un vero e proprio capolavoro in cui troviamo soul, funk, blues, gospel, jazz, sperimentazione, rock, elettronica, hip hop, con la sua voce spettacolare a tenere le fila.
A tratti ricorda Macy Gray o Erikah Badu, a volte Prince e altre Sly and the Family Stone o perfino Aretha Franklin ma la personalità e l'ecletticità che sprigionano l'album sono uniche e originalissime. Come sottolineato il titolo è un esplicito e doloroso richiamo alla sua tormentata vicenda: “Lettera da una Vedova nera” / Letters from a Black Widow”.
Black Widow è il soprannome che le è stato dato a seguito delle morti di Michael Jackson e Prince.
L'album esprime tutta la frustrazione e il dramma di questa condizione, soprattutto nell'esplicita “Black Widow”, una ballata con voce e pianoforte protagonisti, come se uscisse da un lontano repertorio di Bessie Smith, Billie Holiday o Nina Simone, stessa forza dirompente, per poi trasformarsi un brano di rock pesante, duro e lacerante. Il coro la chiama “Vedova nera, vedova nera” e lei disperata risponde:
“Ho costruito queste quattro mura per proteggermi dal mondo / O forse è il contrario / quello non è il mio nome/ ehi signore, non è il mio nome / ehi sorella, non chiamarmi così / Io non sono una vedova nera, un cattivo presagio/ Non ti ho fatto niente di male / Vedova nera non è il mio nome...Il mio crimine è l'esistenza, quindi ho mantenuto le distanze/ Lontana, così lontana da tutti / come osi dirlo? Vedova Nera non è il mio nome / Vedova Nera, non hai cuore? Forse è vero, forse è vero / Non avvicinarti troppo, sono un cattivo juju / Sono maledetta perché sono stata morsa /Sono nera e mi è proibito.”
Un album tanto potente quanto amaro e drammatico che potrebbe chiudere un oscuro cerchio e avere il potere taumaturgico di una nuova (ennesima) rinascita.
La donna Judith Hill e il suo smisurato talento la meriterebbero con tutto il cuore.
domenica, giugno 23, 2024
Quadrophenia al Festival Beat e Passaggi Festival
Doppio appuntamento per il libro "Quadrophenia" pubblicato da Interno 4.
Venerdì 28 giugno a Salsomaggiore (Parma) all'interno del 30° Festival Beat alle 18.30 al Winebar Vincanto in Largo Roma 2.
Modera Luca Frazzi.
https://www.facebook.com/FestivalBeatSalsomaggioreTerme
Domenica 30 giugno a Fano (Pesaro e Urbino) - Fosso Sejore (Bagni Elsa n°3) alle 18.30 al Passaggi Festival.
Modera Luca Valentini.
https://www.facebook.com/passaggifestivalfano
https://www.passaggifestival.it/
Gli Who e la storia del disco e del film che hanno definito un genere.
Antonio Bacciocchi, prime mover del movimento Mod italiano, e tra i maggiori esperti italiano del movimento, si misura per la prima volta con il disco, e il film, di culto che nel 2023 compie 50 anni.
Esce il 26 ottobre del 1973 “Quadrophenia”, sesto album in studio degli Who, a cui si aggiunge il live “Live at Leeds”. Un’opera rock che amplia le tematiche più volte espresse da Pete Townshend sul disagio adolescenziale e il traumatico passaggio alla vita adulta, espressa in questo lavoro attraverso la vicenda, ambientata nel 1965, del giovane mod Jimmy.
La musica è magniloquente, pomposa, in perfetto equilibrio tra il possente rock della band e arrangiamenti di sapore neo classico.
Il libro ripercorre passo per passo le fonti di ispirazione, la tormentata gestazione dell’opera, le difficili modalità di registrazione, l’altrettanto complessa riproduzione dal vivo, entrando nei dettagli dell’elaborata copertina, dei testi, dei significati più reconditi di ogni singola canzone, inediti inclusi.
Spazio anche al film di Frank Roddam, uscito nel 1979, trasposizione cinematografica dell’opera e alla sua colonna sonora, al musical, ai tour celebrativi, alle curiosità (la similitudine non casuale al film “Saturday Night Fever”, ad esempio).
Un capitolo approfondisce l’impatto del disco e del film sulla scena Mod italiana di cui l’autore è stato prime mover.
Venerdì 28 giugno a Salsomaggiore (Parma) all'interno del 30° Festival Beat alle 18.30 al Winebar Vincanto in Largo Roma 2.
Modera Luca Frazzi.
https://www.facebook.com/FestivalBeatSalsomaggioreTerme
Domenica 30 giugno a Fano (Pesaro e Urbino) - Fosso Sejore (Bagni Elsa n°3) alle 18.30 al Passaggi Festival.
Modera Luca Valentini.
https://www.facebook.com/passaggifestivalfano
https://www.passaggifestival.it/
Gli Who e la storia del disco e del film che hanno definito un genere.
Antonio Bacciocchi, prime mover del movimento Mod italiano, e tra i maggiori esperti italiano del movimento, si misura per la prima volta con il disco, e il film, di culto che nel 2023 compie 50 anni.
Esce il 26 ottobre del 1973 “Quadrophenia”, sesto album in studio degli Who, a cui si aggiunge il live “Live at Leeds”. Un’opera rock che amplia le tematiche più volte espresse da Pete Townshend sul disagio adolescenziale e il traumatico passaggio alla vita adulta, espressa in questo lavoro attraverso la vicenda, ambientata nel 1965, del giovane mod Jimmy.
La musica è magniloquente, pomposa, in perfetto equilibrio tra il possente rock della band e arrangiamenti di sapore neo classico.
Il libro ripercorre passo per passo le fonti di ispirazione, la tormentata gestazione dell’opera, le difficili modalità di registrazione, l’altrettanto complessa riproduzione dal vivo, entrando nei dettagli dell’elaborata copertina, dei testi, dei significati più reconditi di ogni singola canzone, inediti inclusi.
Spazio anche al film di Frank Roddam, uscito nel 1979, trasposizione cinematografica dell’opera e alla sua colonna sonora, al musical, ai tour celebrativi, alle curiosità (la similitudine non casuale al film “Saturday Night Fever”, ad esempio).
Un capitolo approfondisce l’impatto del disco e del film sulla scena Mod italiana di cui l’autore è stato prime mover.
Tribal Cabaret #10
Prosegue spedita la pubblicazione della rivista/zine TRIBAL CABARET che giunge al decimo numero.
Come sempre ricchissima di materiale particolarissimo, da un'intervista a JOEY RAMONE del 1993 a Roma, al tour italiano dei Celibate Rifles del 1987, intervista a Wolfgang Flur dei KRAFTWERK e a Helena Velena, Johnny Thunders, recensioni di dischi, concerti, libri e cinema di culto e tantissimo altro.
In allegato una compilation su cassetta con 13 band.
Per averlo qua: https://www.facebook.com/TribalCabaret
Come sempre ricchissima di materiale particolarissimo, da un'intervista a JOEY RAMONE del 1993 a Roma, al tour italiano dei Celibate Rifles del 1987, intervista a Wolfgang Flur dei KRAFTWERK e a Helena Velena, Johnny Thunders, recensioni di dischi, concerti, libri e cinema di culto e tantissimo altro.
In allegato una compilation su cassetta con 13 band.
Per averlo qua: https://www.facebook.com/TribalCabaret
venerdì, giugno 21, 2024
Nando Mainardi - La ragazza occitana
Presumo saranno in pochi/e a ricordare il nome e la figura di DOMINIQUE BOSCHERO, attrice e personaggio particolare e anomalo nella cultura popolare tra gli anni Sessanta e Settanta.
Bellezza prorompente che le permise di imporsi all'attenzione di manager, giornalisti e registi, trova progressivamente popolarità, prima nella Parigi, in cui era immigrata con i genitori dal profondo Piemonte, degli anni 50, lavorando a fianco dei giovanissimi Alain Delon e Brigitte Bardot, per poi approdare a Cinecittà e alla ribalta dei paparazzi nei Sessanta.
Incontra personaggi come Frank Sinatra, Luigi Tenco, ha una relazione con Gianni Agnelli, diventa la compagna di Carlo Volonté, fratello di Gian Maria, con cui instaura un rapporto di collaborazione politico.
La sua carriera sarà ricca di film ma povera di soddisfazioni artistiche (la sua filmografia è relegata a prodotti di qualità piuttosto bassa), sfiorerà la parte di Gradisca in "Amarcord" di Fellini e quella di Maria Schneider in "Ultimo tango a Parigi" ma il suo ruolo rimarrà relegato a quello della "bellona" in lavori scadenti e poco visti.
La sua vita privata la vede impegnata politicamente nell'estremismo di sinistra dei Settanta in "Servire il popolo" prima, e nella rivendicazione autonomista dell'Occitania, poi.
Una vita spericolata e ai limiti che si risolve con l'auto esilio nelle amate montagne cuneensi dove era cresciuta e dove tutt'ora vive.
Il libro è scorrevole, la vicenda fresca e stimolante.
Mainardi la racconta grazie alla testimonianza diretta della protagonista e nel libro si intrecciano curiosità e aspetti inediti di una grande epoca dell'Italia di 40/50 anni fa.
Nando Mainardi
La ragazza occitana
Manni Editore
192 pagine
19 euro.
Bellezza prorompente che le permise di imporsi all'attenzione di manager, giornalisti e registi, trova progressivamente popolarità, prima nella Parigi, in cui era immigrata con i genitori dal profondo Piemonte, degli anni 50, lavorando a fianco dei giovanissimi Alain Delon e Brigitte Bardot, per poi approdare a Cinecittà e alla ribalta dei paparazzi nei Sessanta.
Incontra personaggi come Frank Sinatra, Luigi Tenco, ha una relazione con Gianni Agnelli, diventa la compagna di Carlo Volonté, fratello di Gian Maria, con cui instaura un rapporto di collaborazione politico.
La sua carriera sarà ricca di film ma povera di soddisfazioni artistiche (la sua filmografia è relegata a prodotti di qualità piuttosto bassa), sfiorerà la parte di Gradisca in "Amarcord" di Fellini e quella di Maria Schneider in "Ultimo tango a Parigi" ma il suo ruolo rimarrà relegato a quello della "bellona" in lavori scadenti e poco visti.
La sua vita privata la vede impegnata politicamente nell'estremismo di sinistra dei Settanta in "Servire il popolo" prima, e nella rivendicazione autonomista dell'Occitania, poi.
Una vita spericolata e ai limiti che si risolve con l'auto esilio nelle amate montagne cuneensi dove era cresciuta e dove tutt'ora vive.
Il libro è scorrevole, la vicenda fresca e stimolante.
Mainardi la racconta grazie alla testimonianza diretta della protagonista e nel libro si intrecciano curiosità e aspetti inediti di una grande epoca dell'Italia di 40/50 anni fa.
Nando Mainardi
La ragazza occitana
Manni Editore
192 pagine
19 euro.
giovedì, giugno 20, 2024
Jackie Lomax - Is This What You Want?
Vecchio amico dei Beatles, Jackie Lomax li incrociò parecchie volte dagli esordi in poi con i suoi Undertakers.
Brian Epstein lo prese sotto le sue ali con i Lomax Alliance ma la sua morte, nel 1967, fece naufragare l'esperienza prima di decollare.
Quando Jackie si ritrovò a bazzicare i Fab Four, durante le registrazioni del White Album, facendo i cori anche in "Dear prudence" e in "Hey Jude", George Harrison decise di metterlo sotto contratto con la neo nata Apple Records e produrgli l'album d'esordio solista.
Reclutò con facilità fior di star come Eric Clapton, Nicky Hopkins, Paul e Ringo, la Wrecking Crew americana, Klaus Voorman e altri e gli diede il suo inedito "Sour Milk Sea" (scartato dal White Album) per il singolo (suonato da Harrison con Paul e Ringo).
Paradossalmente fu proprio la presenza di questi nomi a far passare in secondo piano Jackie Lomax che ammise "si parla solo dei famosi che ci hanno suonato e non dell'album".
Il disco è un buon prodotto dell'epoca (pubblicato nel marzo 1969), tra rock, soul, blues e la voce potentissima e "black" di Lomax (tra Chris Farlowe e Tom Jones) a fare da traino.
"Sour milk sea" è stupendo e potente, "Little yellow pills" un grandissimo e veloce soul rock, la title track un imbarazzante plagio melodico di "I am the walrus", "Fall inside your eyes" ruba un po' da "Child of nature" di John (quella che, scartata dall'Album Bianco, diventerà "Jealous guy" in "Imagine"), forse ascoltata nelle session.
"The Eagle Laughs at You" guarda al rock blues del primo Hendrix.
Accompagnato dai singoli "Sour milk sea" e "New day", l'album fu un fallimento totale, toccando solo il 145° posto in America e non comparendo nelle classifiche inglesi.
Probabilmente anche a causa dell'inesperienza come discografici dei Beatles.
La carriera di Jackie Lomax non decollerà mai, restando sempre in ombra fino alla sua scomparsa nel 2013.
Sour milk sea
https://www.youtube.com/watch?v=38lGfyq9PcA
Little yellow pills
https://www.youtube.com/watch?v=TwKetldJ1H8
Brian Epstein lo prese sotto le sue ali con i Lomax Alliance ma la sua morte, nel 1967, fece naufragare l'esperienza prima di decollare.
Quando Jackie si ritrovò a bazzicare i Fab Four, durante le registrazioni del White Album, facendo i cori anche in "Dear prudence" e in "Hey Jude", George Harrison decise di metterlo sotto contratto con la neo nata Apple Records e produrgli l'album d'esordio solista.
Reclutò con facilità fior di star come Eric Clapton, Nicky Hopkins, Paul e Ringo, la Wrecking Crew americana, Klaus Voorman e altri e gli diede il suo inedito "Sour Milk Sea" (scartato dal White Album) per il singolo (suonato da Harrison con Paul e Ringo).
Paradossalmente fu proprio la presenza di questi nomi a far passare in secondo piano Jackie Lomax che ammise "si parla solo dei famosi che ci hanno suonato e non dell'album".
Il disco è un buon prodotto dell'epoca (pubblicato nel marzo 1969), tra rock, soul, blues e la voce potentissima e "black" di Lomax (tra Chris Farlowe e Tom Jones) a fare da traino.
"Sour milk sea" è stupendo e potente, "Little yellow pills" un grandissimo e veloce soul rock, la title track un imbarazzante plagio melodico di "I am the walrus", "Fall inside your eyes" ruba un po' da "Child of nature" di John (quella che, scartata dall'Album Bianco, diventerà "Jealous guy" in "Imagine"), forse ascoltata nelle session.
"The Eagle Laughs at You" guarda al rock blues del primo Hendrix.
Accompagnato dai singoli "Sour milk sea" e "New day", l'album fu un fallimento totale, toccando solo il 145° posto in America e non comparendo nelle classifiche inglesi.
Probabilmente anche a causa dell'inesperienza come discografici dei Beatles.
La carriera di Jackie Lomax non decollerà mai, restando sempre in ombra fino alla sua scomparsa nel 2013.
Sour milk sea
https://www.youtube.com/watch?v=38lGfyq9PcA
Little yellow pills
https://www.youtube.com/watch?v=TwKetldJ1H8
mercoledì, giugno 19, 2024
Musica per ricchi
Riprendo qui l'ultimo articolo scritto per "Libertà", domenica scorsa, nell'inserto "Portfolio", diretto da maurizio Pilotti.
La musica è sempre stata protagonista di cambi epocali.
Lo scomodo ed elitario 78 giri, prerogativa delle case nobili e più facoltose, fu soppiantato nel primo Dopoguerra dal formato che dominerà per più di mezzo secolo, il disco in vinile, che permise progressivamente l'ascolto del genere preferito in casa, per tutto il tempo e per quante volte fosse desiderio dell'utente, senza dover pazientemente attendere la trasmissione della canzone amata in radio.
Il giradischi divenne velocemente un elettrodomestico di uso comune, grazie a un costo che si abbassò, fino a farlo diventare acquistabile anche dalle fasce meno abbienti.
Nei primi anni Sessanta arrivò la musicassetta, che permise l'ascolto in auto ma soprattutto di potere assemblare a proprio piacimento raccolte delle canzoni preferite, ottimizzando, a poco prezzo, la propria collezione o usufruendo di quelle degli amici.
A metà del 1979 la Sony commercializza i primi Walkman, altra rivoluzione nella fruizione della musica, che ora si poteva portare con sé, su cassetta, ovunque si volesse andare, camminando, correndo, spostandosi con qualsivoglia veicolo, dalla bicicletta all'aereo.
Nel 1983 arriva l'invasione del Compact Disc, dopo la pubblicazione del primo album su CD, nel 1982, “Visitors” degli Abba.
Formato più maneggevole e leggero della cassetta, fedele al suono originale (rispetto alla bassa qualità di riproduzione del nastro), soprattutto riproducibile in una copia, senza alterarne l'aspetto sonoro).
Durata di 74 minuti (pare che la decisione fu presa modellandola sulla durata della “Nona” di Beethoven).
Nel 1985 “Brothers in arms” dei Dire Straits supera, per primo, il milione di copie vendute.
Nel Cd sono contenuti dati digitali, trasferibili su computer e pertanto diffondibili, senza costi, a chiunque e ovunque. La digitalizzazione della musica sferza un duro colpo all'industria discografica.
Si apre l'era del cosiddetto file sharing, ovvero la possibilità di scambiarsi via internet i file contenenti tutta la musica possibile e immaginabile.
La piattaforma Napster permette di scaricare gratuitamente (e abusivamente) centinaia di migliaia di album. La rivoluzione è completa: la musica diventa gratis.
Artisti, musicisti, case discografiche subiscono un terribile contraccolpo.
Chi li paga ora per il servizio (il più delle volte lavorativo) che forniscono?
Colpevole è la mancata lungimiranza delle stesse case discografiche che rivendono in sostanza nuovamente il proprio catalogo, originariamente stampato in vinile, in Compact Disc, con guadagni esponenzialmente enormi, considerato che il nuovo formato digitale ha costi nettamente inferiori rispetto a quello precedente e che non c'è, in aggiunta, alcun costo suppletivo per registrazioni e materiale di produzione.
E nel caso di nuove produzioni i costi di realizzazione si abbattono notevolmente, grazie all'economicità del nuovo supporto.
Non considerando che ben presto lo stesso prodotto sarebbe diventato gratuito grazie alla possibilità di scaricarlo grazie all'uso del computer.
Ricordo l'isterica svendita di intere collezioni di preziosi album in vinile per ricomprare il tutto nel futuristico nuovo formato, dilapidando vere e proprie fortune di dischi poi schizzati a prezzi folli tra i collezionisti.
Ovviamente ne approfittai per riempire ancora di più la casa di montagne di vinili a pochi spiccioli.
L'industria ci ha messo un po' a rimettersi in piedi e rimodulare il proprio modus operandi. Da una parte lo sfruttamento dell'effetto nostalgia. I fruitori di musica “classica”, intesa come il “classic rock” o pop d'autore (dai Beatles ai Pink Floyd, fino a Nirvana e Bruce Springsteen) sono ormai attempati signori/e, bene o male con un minimo di disponibilità economica, sempre pronti a sborsare qualche soldino per accaparrarsi il box set di turno con la discografia completa (o lo storico disco) dei propri eroi, rimasterizzata, con qualche (sempre trascurabile e inutile) inedito, tante belle foto, un libretto, qualche gadget aggiunto. Costi di produzione minimi, prezzo al consumatore altissimo e sproporzionato e il gioco è fatto.
A fianco le piattaforme di musica gratuita vendono abbonamenti (progressivamente sempre più cari) per evitare che l'ascolto sia inframezzato da fastidiosi messaggi pubblicitari.
Dal recente rapporto della FIMI (Federazione Industriale Musicale Italiana) sul mercato musicale italiano, emerge che è lo streaming a coprire una quota di mercato complessivo pari al 65% e i cui ricavi sono cresciuti del 16.2%, arrivando a più di € 287 milioni per un totale di oltre 6.5 milioni di abbonati premium ai servizi di streaming.
Vuoi per nostalgia, vuoi perché non è improbabile che la “musica liquida”, quella che in sostanza non si possiede, pur trovandola a proprio piacimento liberamente su internet, abbia stancato e sia (ri)sorta la necessità, anche tra molti giovani, di tenere in mano ciò per cui si è speso (poco o tanto che sia), il vinile, nel 2023, cresce del 24.3%, ma si segnala anche una presenza dell'ormai dimenticato cd, le cui vendite salgono del 3.8%. Dati che non contemplano il vasto mercato dell'usato.
Nel frattempo, come detto, il vinile è tornato in auge (pur limitatamente) ma a prezzi spesso inaccessibili o quasi, con le nuove uscite che variano dai 30 ai 50 euro (non di rado accessoriati da facezie per pseudo fan collezionisti, dagli adesivi al brano inedito, alla confezione particolare).
Contemporaneamente i prezzi dei biglietti per i concerti sono esplosi in modo incontenibile.
Assistere a un concerto dei big (se non si vuole guardare un maxischermo e avere il palco là in fondo, dove distingui a mala pena piccole figure muoversi sotto una cascata di luci colorate e si sente la musica come dallo stereo di casa), significa preventivare come minimo cento se non duecento o più euro per l'ingresso.
Non considerando il contorno di parcheggi (carissimi), eventuale “cena” e/o bibite, viaggio e altro.
In questo senso sono sempre più frequenti le cancellazioni di concerti (ovviamente con comunicati che nascondono la verità) a causa della scarsa prevendita (imputabile ai prezzi alti ma anche all'aumentata frequenza di tour, che, ovviamente, essendo i prezzi sempre più alti, inducono a dolorose scelte).
Paradossalmente più la possibilità di ascolto della musica in maniera gratuita è aumentata, più la musica è diventata faccenda per “ricchi”. Possedere un supporto è estremamente costoso, come abbiamo visto, proprio nel momento in cui la tendenza sembra indirizzarsi verso un (pur tiepido) ritorno all'acquisto del mezzo fisico per ascoltarla. Allo stesso tempo i concerti sono sempre più cari e il costo va a pari passo con l'aumento dei prezzi della vita (benzina, autostrade, cibo bevande).
Assistiamo, ad esempio, allo strano caso dei CCCP – Fedeli alla Linea che in occasione del clamoroso e imprevisto ritorno sulle scene per un tour estivo di una dozzina di date hanno fissato il biglietto a 60 euro.
Esiste ovviamente e per fortuna un'altra faccia della medaglia per la fruizione di ottima musica, attraverso nomi meno titolati e storici (al cospetto di questi ultimi invece spesso si va solo per “esserci” o perché, visto l'invecchiamento inesorabile delle icone del rock, ogni concerto, cinicamente o meno, potrebbe essere quello finale): una scena ormai non più tanto sotterranea, che ci regala sempre eccellenti dischi e performance live, senza costare un occhio della testa.
E' sufficiente rivolgersi a distributori ed etichette che non perseguono necessariamente l'ampio guadagno a tutti i costi ma richiedono solo un ritorno economico equo e giusto.
Dunque, quale può essere la soluzione?
Difficile prevederlo anche se l'impressione è che quello che abbiamo sempre chiamato rock e abbiamo sempre visto come espressione di alternativa e ribellione sia diventato semplicemente l'ennesimo tassello di quel mosaico che possiamo chiamare “musica classica”, riservata a un pubblico eletto di intenditori che non si preoccupa di spendere (perché nella maggior parte dei casi lo può fare) e in cui quell'elemento “sovversivo” che ha sempre caratterizzato l'ambito è ormai una semplice appendice folkloristica.
E che quindi ha un costo incontrollato e assolutamente lontano da ogni operazione di calmieramento.
Finché dura…
La musica è sempre stata protagonista di cambi epocali.
Lo scomodo ed elitario 78 giri, prerogativa delle case nobili e più facoltose, fu soppiantato nel primo Dopoguerra dal formato che dominerà per più di mezzo secolo, il disco in vinile, che permise progressivamente l'ascolto del genere preferito in casa, per tutto il tempo e per quante volte fosse desiderio dell'utente, senza dover pazientemente attendere la trasmissione della canzone amata in radio.
Il giradischi divenne velocemente un elettrodomestico di uso comune, grazie a un costo che si abbassò, fino a farlo diventare acquistabile anche dalle fasce meno abbienti.
Nei primi anni Sessanta arrivò la musicassetta, che permise l'ascolto in auto ma soprattutto di potere assemblare a proprio piacimento raccolte delle canzoni preferite, ottimizzando, a poco prezzo, la propria collezione o usufruendo di quelle degli amici.
A metà del 1979 la Sony commercializza i primi Walkman, altra rivoluzione nella fruizione della musica, che ora si poteva portare con sé, su cassetta, ovunque si volesse andare, camminando, correndo, spostandosi con qualsivoglia veicolo, dalla bicicletta all'aereo.
Nel 1983 arriva l'invasione del Compact Disc, dopo la pubblicazione del primo album su CD, nel 1982, “Visitors” degli Abba.
Formato più maneggevole e leggero della cassetta, fedele al suono originale (rispetto alla bassa qualità di riproduzione del nastro), soprattutto riproducibile in una copia, senza alterarne l'aspetto sonoro).
Durata di 74 minuti (pare che la decisione fu presa modellandola sulla durata della “Nona” di Beethoven).
Nel 1985 “Brothers in arms” dei Dire Straits supera, per primo, il milione di copie vendute.
Nel Cd sono contenuti dati digitali, trasferibili su computer e pertanto diffondibili, senza costi, a chiunque e ovunque. La digitalizzazione della musica sferza un duro colpo all'industria discografica.
Si apre l'era del cosiddetto file sharing, ovvero la possibilità di scambiarsi via internet i file contenenti tutta la musica possibile e immaginabile.
La piattaforma Napster permette di scaricare gratuitamente (e abusivamente) centinaia di migliaia di album. La rivoluzione è completa: la musica diventa gratis.
Artisti, musicisti, case discografiche subiscono un terribile contraccolpo.
Chi li paga ora per il servizio (il più delle volte lavorativo) che forniscono?
Colpevole è la mancata lungimiranza delle stesse case discografiche che rivendono in sostanza nuovamente il proprio catalogo, originariamente stampato in vinile, in Compact Disc, con guadagni esponenzialmente enormi, considerato che il nuovo formato digitale ha costi nettamente inferiori rispetto a quello precedente e che non c'è, in aggiunta, alcun costo suppletivo per registrazioni e materiale di produzione.
E nel caso di nuove produzioni i costi di realizzazione si abbattono notevolmente, grazie all'economicità del nuovo supporto.
Non considerando che ben presto lo stesso prodotto sarebbe diventato gratuito grazie alla possibilità di scaricarlo grazie all'uso del computer.
Ricordo l'isterica svendita di intere collezioni di preziosi album in vinile per ricomprare il tutto nel futuristico nuovo formato, dilapidando vere e proprie fortune di dischi poi schizzati a prezzi folli tra i collezionisti.
Ovviamente ne approfittai per riempire ancora di più la casa di montagne di vinili a pochi spiccioli.
L'industria ci ha messo un po' a rimettersi in piedi e rimodulare il proprio modus operandi. Da una parte lo sfruttamento dell'effetto nostalgia. I fruitori di musica “classica”, intesa come il “classic rock” o pop d'autore (dai Beatles ai Pink Floyd, fino a Nirvana e Bruce Springsteen) sono ormai attempati signori/e, bene o male con un minimo di disponibilità economica, sempre pronti a sborsare qualche soldino per accaparrarsi il box set di turno con la discografia completa (o lo storico disco) dei propri eroi, rimasterizzata, con qualche (sempre trascurabile e inutile) inedito, tante belle foto, un libretto, qualche gadget aggiunto. Costi di produzione minimi, prezzo al consumatore altissimo e sproporzionato e il gioco è fatto.
A fianco le piattaforme di musica gratuita vendono abbonamenti (progressivamente sempre più cari) per evitare che l'ascolto sia inframezzato da fastidiosi messaggi pubblicitari.
Dal recente rapporto della FIMI (Federazione Industriale Musicale Italiana) sul mercato musicale italiano, emerge che è lo streaming a coprire una quota di mercato complessivo pari al 65% e i cui ricavi sono cresciuti del 16.2%, arrivando a più di € 287 milioni per un totale di oltre 6.5 milioni di abbonati premium ai servizi di streaming.
Vuoi per nostalgia, vuoi perché non è improbabile che la “musica liquida”, quella che in sostanza non si possiede, pur trovandola a proprio piacimento liberamente su internet, abbia stancato e sia (ri)sorta la necessità, anche tra molti giovani, di tenere in mano ciò per cui si è speso (poco o tanto che sia), il vinile, nel 2023, cresce del 24.3%, ma si segnala anche una presenza dell'ormai dimenticato cd, le cui vendite salgono del 3.8%. Dati che non contemplano il vasto mercato dell'usato.
Nel frattempo, come detto, il vinile è tornato in auge (pur limitatamente) ma a prezzi spesso inaccessibili o quasi, con le nuove uscite che variano dai 30 ai 50 euro (non di rado accessoriati da facezie per pseudo fan collezionisti, dagli adesivi al brano inedito, alla confezione particolare).
Contemporaneamente i prezzi dei biglietti per i concerti sono esplosi in modo incontenibile.
Assistere a un concerto dei big (se non si vuole guardare un maxischermo e avere il palco là in fondo, dove distingui a mala pena piccole figure muoversi sotto una cascata di luci colorate e si sente la musica come dallo stereo di casa), significa preventivare come minimo cento se non duecento o più euro per l'ingresso.
Non considerando il contorno di parcheggi (carissimi), eventuale “cena” e/o bibite, viaggio e altro.
In questo senso sono sempre più frequenti le cancellazioni di concerti (ovviamente con comunicati che nascondono la verità) a causa della scarsa prevendita (imputabile ai prezzi alti ma anche all'aumentata frequenza di tour, che, ovviamente, essendo i prezzi sempre più alti, inducono a dolorose scelte).
Paradossalmente più la possibilità di ascolto della musica in maniera gratuita è aumentata, più la musica è diventata faccenda per “ricchi”. Possedere un supporto è estremamente costoso, come abbiamo visto, proprio nel momento in cui la tendenza sembra indirizzarsi verso un (pur tiepido) ritorno all'acquisto del mezzo fisico per ascoltarla. Allo stesso tempo i concerti sono sempre più cari e il costo va a pari passo con l'aumento dei prezzi della vita (benzina, autostrade, cibo bevande).
Assistiamo, ad esempio, allo strano caso dei CCCP – Fedeli alla Linea che in occasione del clamoroso e imprevisto ritorno sulle scene per un tour estivo di una dozzina di date hanno fissato il biglietto a 60 euro.
Esiste ovviamente e per fortuna un'altra faccia della medaglia per la fruizione di ottima musica, attraverso nomi meno titolati e storici (al cospetto di questi ultimi invece spesso si va solo per “esserci” o perché, visto l'invecchiamento inesorabile delle icone del rock, ogni concerto, cinicamente o meno, potrebbe essere quello finale): una scena ormai non più tanto sotterranea, che ci regala sempre eccellenti dischi e performance live, senza costare un occhio della testa.
E' sufficiente rivolgersi a distributori ed etichette che non perseguono necessariamente l'ampio guadagno a tutti i costi ma richiedono solo un ritorno economico equo e giusto.
Dunque, quale può essere la soluzione?
Difficile prevederlo anche se l'impressione è che quello che abbiamo sempre chiamato rock e abbiamo sempre visto come espressione di alternativa e ribellione sia diventato semplicemente l'ennesimo tassello di quel mosaico che possiamo chiamare “musica classica”, riservata a un pubblico eletto di intenditori che non si preoccupa di spendere (perché nella maggior parte dei casi lo può fare) e in cui quell'elemento “sovversivo” che ha sempre caratterizzato l'ambito è ormai una semplice appendice folkloristica.
E che quindi ha un costo incontrollato e assolutamente lontano da ogni operazione di calmieramento.
Finché dura…
martedì, giugno 18, 2024
Punkreas & Kokadame - Live a Piacenza 14 giugno 2024
Grande folla alla Festa Rebeldes alla Cooperativa S.Antonio di Piacenza.
Tantissimi giovani, platea rilassata e colorata, voglia di divertimento.
Scaldano l'atmosfera i locali KOKADAME, come sempre travolgenti con uno street punk rock viscerale, diretto, sguaiato, un po' primi Skiantos, un po' Cockney Rejects, tantissima energia. Grandi.
I PUNKREAS partono molto penalizzati da un impianto che fatica a sistemarsi, giocano con il pubblico, sfoderano il loro consueto repertorio pop punk rock, con i classici spesso cantati in coro da decine di persone, bolgia sotto il palco.
Tantissimi giovani, platea rilassata e colorata, voglia di divertimento.
Scaldano l'atmosfera i locali KOKADAME, come sempre travolgenti con uno street punk rock viscerale, diretto, sguaiato, un po' primi Skiantos, un po' Cockney Rejects, tantissima energia. Grandi.
I PUNKREAS partono molto penalizzati da un impianto che fatica a sistemarsi, giocano con il pubblico, sfoderano il loro consueto repertorio pop punk rock, con i classici spesso cantati in coro da decine di persone, bolgia sotto il palco.
domenica, giugno 16, 2024
Libertà
Si è conclusa la mia collaborazione con il quotidiano di Piacenza, "Libertà".
Iniziata nel febbraio 2017 (vedi foto con il primo articolo, allegata alle cartelle in cui ho raccolto le pagine del giornale) è proseguita per oltre sette anni e più di 300 articoli di una pagina, (quasi) ogni domenica.
Il merito va al direttore dell'inserto "Portfolio", il giornalista Maurizio Pilotti, che mi ha cercato e affidato uno spazio, senza alcun limite di espressione.
Grazie a ciò si è parlato, in un quotidiano di provincia, da sempre conservatore e, appunto, volutamente "provinciale", di Northern Soul e Henry Rollins, Lydia Lunch e Linton Kwesi Johnson, della musica prodotta dall'Isis, dai mod agli skinhead, al punk (rockers, mai!), Steve Albini, Bad Brains, hardcore punk, John Cage e tanto altro.
Scelte di carattere aziendale e "dinamiche interne" hanno chiuso il rapporto.
“Il futuro significa perdere quello che si ha ora e veder nascere qualcosa che non si ha ancora.”
(Haruki Murakami, scrittore)
Iniziata nel febbraio 2017 (vedi foto con il primo articolo, allegata alle cartelle in cui ho raccolto le pagine del giornale) è proseguita per oltre sette anni e più di 300 articoli di una pagina, (quasi) ogni domenica.
Il merito va al direttore dell'inserto "Portfolio", il giornalista Maurizio Pilotti, che mi ha cercato e affidato uno spazio, senza alcun limite di espressione.
Grazie a ciò si è parlato, in un quotidiano di provincia, da sempre conservatore e, appunto, volutamente "provinciale", di Northern Soul e Henry Rollins, Lydia Lunch e Linton Kwesi Johnson, della musica prodotta dall'Isis, dai mod agli skinhead, al punk (rockers, mai!), Steve Albini, Bad Brains, hardcore punk, John Cage e tanto altro.
Scelte di carattere aziendale e "dinamiche interne" hanno chiuso il rapporto.
“Il futuro significa perdere quello che si ha ora e veder nascere qualcosa che non si ha ancora.”
(Haruki Murakami, scrittore)
sabato, giugno 15, 2024
Quadrophenia al Festival Beat e Passaggi Festival
Doppio appuntamento per il libro "Quadrophenia" pubblicato da Interno 4.
Venerdì 28 giugno a Salsomaggiore (Parma) all'interno del 30° Festival Beat alle 18.30 al Winebar Vincanto in Largo Roma 2.
Modera Luca Frazzi.
https://www.facebook.com/FestivalBeatSalsomaggioreTerme
Domenica 30 giugno a Fano (Pesaro e Urbino) - Fosso Sejore (Bagni Elsa n°3) alle 18.30 al Passaggi Festival.
Modera Luca Valentini.
https://www.facebook.com/passaggifestivalfano
https://www.passaggifestival.it/
Gli Who e la storia del disco e del film che hanno definito un genere.
Antonio Bacciocchi, prime mover del movimento Mod italiano, e tra i maggiori esperti italiano del movimento, si misura per la prima volta con il disco, e il film, di culto che nel 2023 compie 50 anni.
Esce il 26 ottobre del 1973 “Quadrophenia”, sesto album in studio degli Who, a cui si aggiunge il live “Live at Leeds”. Un’opera rock che amplia le tematiche più volte espresse da Pete Townshend sul disagio adolescenziale e il traumatico passaggio alla vita adulta, espressa in questo lavoro attraverso la vicenda, ambientata nel 1965, del giovane mod Jimmy.
La musica è magniloquente, pomposa, in perfetto equilibrio tra il possente rock della band e arrangiamenti di sapore neo classico.
Il libro ripercorre passo per passo le fonti di ispirazione, la tormentata gestazione dell’opera, le difficili modalità di registrazione, l’altrettanto complessa riproduzione dal vivo, entrando nei dettagli dell’elaborata copertina, dei testi, dei significati più reconditi di ogni singola canzone, inediti inclusi.
Spazio anche al film di Frank Roddam, uscito nel 1979, trasposizione cinematografica dell’opera e alla sua colonna sonora, al musical, ai tour celebrativi, alle curiosità (la similitudine non casuale al film “Saturday Night Fever”, ad esempio).
Un capitolo approfondisce l’impatto del disco e del film sulla scena Mod italiana di cui l’autore è stato prime mover.
Venerdì 28 giugno a Salsomaggiore (Parma) all'interno del 30° Festival Beat alle 18.30 al Winebar Vincanto in Largo Roma 2.
Modera Luca Frazzi.
https://www.facebook.com/FestivalBeatSalsomaggioreTerme
Domenica 30 giugno a Fano (Pesaro e Urbino) - Fosso Sejore (Bagni Elsa n°3) alle 18.30 al Passaggi Festival.
Modera Luca Valentini.
https://www.facebook.com/passaggifestivalfano
https://www.passaggifestival.it/
Gli Who e la storia del disco e del film che hanno definito un genere.
Antonio Bacciocchi, prime mover del movimento Mod italiano, e tra i maggiori esperti italiano del movimento, si misura per la prima volta con il disco, e il film, di culto che nel 2023 compie 50 anni.
Esce il 26 ottobre del 1973 “Quadrophenia”, sesto album in studio degli Who, a cui si aggiunge il live “Live at Leeds”. Un’opera rock che amplia le tematiche più volte espresse da Pete Townshend sul disagio adolescenziale e il traumatico passaggio alla vita adulta, espressa in questo lavoro attraverso la vicenda, ambientata nel 1965, del giovane mod Jimmy.
La musica è magniloquente, pomposa, in perfetto equilibrio tra il possente rock della band e arrangiamenti di sapore neo classico.
Il libro ripercorre passo per passo le fonti di ispirazione, la tormentata gestazione dell’opera, le difficili modalità di registrazione, l’altrettanto complessa riproduzione dal vivo, entrando nei dettagli dell’elaborata copertina, dei testi, dei significati più reconditi di ogni singola canzone, inediti inclusi.
Spazio anche al film di Frank Roddam, uscito nel 1979, trasposizione cinematografica dell’opera e alla sua colonna sonora, al musical, ai tour celebrativi, alle curiosità (la similitudine non casuale al film “Saturday Night Fever”, ad esempio).
Un capitolo approfondisce l’impatto del disco e del film sulla scena Mod italiana di cui l’autore è stato prime mover.
venerdì, giugno 14, 2024
Carlo Babando - Miss Black America
Il lungo e intricato percorso di Carlo Babando (già autore dello splendido "Blackness" qui: https://tonyface.blogspot.com/2020/09/carlo-babando-blackness.html) all'interno della "black music" e della cultura afroamericana ci porta in un nuovo viaggio che passa da Robert Johnson a Sun Ra, ai Public Enemy, Gil Scott Heron, Travis Scott, Beyoncè, Angela Davis.
Una riflessione sui collegamenti, le evoluzioni, i passaggi attraverso i secoli, i dischi, la cultura.
Come specifica alla fine: "I capitoli che avete letto hanno l'unica pretesa di complicare le idee, non di metterle in ordine...incamminarsi lungo i percorsi dell'identità afroamericana contemporanea significa buttarsi alle spalle molti steccati e provare per un attimo a guardare con occhi nuovi quello che talvolta diamo per assodato. Non azzerando la storia, al contrario: riportandola alla luce e imparando a dialogarci".
Molto interessante la considerazione su come l'impegno socio/politico di molti artisti sia in qualche modo imposto dalla necessità di "ottenere attenzione e non venire contemporaneamente accusato di disinteresse da parte della comunità di appartenenza".
E pure quella di come lo sguardo all'Africa sia talvolta solo di facciata, una suggestione verso una realtà immaginata ma non corrispondente alla quotidianità del luogo.
Ovvero: gli afroamericani non sono africani.
Neppure gli immigrati dalle West Indies in Inghilterra sono più giamaicani (come si evince dai capitoli dedicati alla Black Culture britannica).
Come sosteneva Sun Ra in una conferenza, già nel 1971:
"Afroamericani e africani non possono ritenersi parte di una realtà interconnessa.
L'uomo nero a stelle e strisce si sta solo raccontando una bugia, proitettando oltre il Sahara qualcosa che ormai i secoli hanno inevitabilmente mutato".
La cultura afroamericana è in costante movimento, assimilando progressivamente nuove influenze, mantenendo il rapporto con le radici ma rielaborandole, sorpassando gli schemi classici che le vogliamo attribuire, per comodità e pigrizia mentale.
Il libro è colmo di riferimenti a brani, dischi, artisti e richiede un minimo di preparazione e conoscenza della materia ma è anche fonte di infiniti stimoli e indicazioni per il lettore meno competente della materia.
Come sempre, un saggio competente e completo.
Carlo Babando
Miss Black America
Mar Dei Sargassi Edizioni
220 pagine
18 euro
Una riflessione sui collegamenti, le evoluzioni, i passaggi attraverso i secoli, i dischi, la cultura.
Come specifica alla fine: "I capitoli che avete letto hanno l'unica pretesa di complicare le idee, non di metterle in ordine...incamminarsi lungo i percorsi dell'identità afroamericana contemporanea significa buttarsi alle spalle molti steccati e provare per un attimo a guardare con occhi nuovi quello che talvolta diamo per assodato. Non azzerando la storia, al contrario: riportandola alla luce e imparando a dialogarci".
Molto interessante la considerazione su come l'impegno socio/politico di molti artisti sia in qualche modo imposto dalla necessità di "ottenere attenzione e non venire contemporaneamente accusato di disinteresse da parte della comunità di appartenenza".
E pure quella di come lo sguardo all'Africa sia talvolta solo di facciata, una suggestione verso una realtà immaginata ma non corrispondente alla quotidianità del luogo.
Ovvero: gli afroamericani non sono africani.
Neppure gli immigrati dalle West Indies in Inghilterra sono più giamaicani (come si evince dai capitoli dedicati alla Black Culture britannica).
Come sosteneva Sun Ra in una conferenza, già nel 1971:
"Afroamericani e africani non possono ritenersi parte di una realtà interconnessa.
L'uomo nero a stelle e strisce si sta solo raccontando una bugia, proitettando oltre il Sahara qualcosa che ormai i secoli hanno inevitabilmente mutato".
La cultura afroamericana è in costante movimento, assimilando progressivamente nuove influenze, mantenendo il rapporto con le radici ma rielaborandole, sorpassando gli schemi classici che le vogliamo attribuire, per comodità e pigrizia mentale.
Il libro è colmo di riferimenti a brani, dischi, artisti e richiede un minimo di preparazione e conoscenza della materia ma è anche fonte di infiniti stimoli e indicazioni per il lettore meno competente della materia.
Come sempre, un saggio competente e completo.
Carlo Babando
Miss Black America
Mar Dei Sargassi Edizioni
220 pagine
18 euro