Riprendo qui l'ultimo articolo scritto per "Libertà", domenica scorsa, nell'inserto "Portfolio", diretto da maurizio Pilotti.
La musica è sempre stata protagonista di cambi epocali.
Lo scomodo ed elitario 78 giri, prerogativa delle case nobili e più facoltose, fu soppiantato nel primo Dopoguerra dal formato che dominerà per più di mezzo secolo, il disco in vinile, che permise progressivamente l'ascolto del genere preferito in casa, per tutto il tempo e per quante volte fosse desiderio dell'utente, senza dover pazientemente attendere la trasmissione della canzone amata in radio.
Il giradischi divenne velocemente un elettrodomestico di uso comune, grazie a un costo che si abbassò, fino a farlo diventare acquistabile anche dalle fasce meno abbienti.
Nei primi anni Sessanta arrivò la musicassetta, che permise l'ascolto in auto ma soprattutto di potere assemblare a proprio piacimento raccolte delle canzoni preferite, ottimizzando, a poco prezzo, la propria collezione o usufruendo di quelle degli amici.
A metà del 1979 la Sony commercializza i primi Walkman, altra rivoluzione nella fruizione della musica, che ora si poteva portare con sé, su cassetta, ovunque si volesse andare, camminando, correndo, spostandosi con qualsivoglia veicolo, dalla bicicletta all'aereo.
Nel 1983 arriva l'invasione del Compact Disc, dopo la pubblicazione del primo album su CD, nel 1982, “Visitors” degli Abba.
Formato più maneggevole e leggero della cassetta, fedele al suono originale (rispetto alla bassa qualità di riproduzione del nastro), soprattutto riproducibile in una copia, senza alterarne l'aspetto sonoro).
Durata di 74 minuti (pare che la decisione fu presa modellandola sulla durata della “Nona” di Beethoven).
Nel 1985 “Brothers in arms” dei Dire Straits supera, per primo, il milione di copie vendute.
Nel Cd sono contenuti dati digitali, trasferibili su computer e pertanto diffondibili, senza costi, a chiunque e ovunque. La digitalizzazione della musica sferza un duro colpo all'industria discografica.
Si apre l'era del cosiddetto file sharing, ovvero la possibilità di scambiarsi via internet i file contenenti tutta la musica possibile e immaginabile.
La piattaforma Napster permette di scaricare gratuitamente (e abusivamente) centinaia di migliaia di album. La rivoluzione è completa: la musica diventa gratis.
Artisti, musicisti, case discografiche subiscono un terribile contraccolpo.
Chi li paga ora per il servizio (il più delle volte lavorativo) che forniscono?
Colpevole è la mancata lungimiranza delle stesse case discografiche che rivendono in sostanza nuovamente il proprio catalogo, originariamente stampato in vinile, in Compact Disc, con guadagni esponenzialmente enormi, considerato che il nuovo formato digitale ha costi nettamente inferiori rispetto a quello precedente e che non c'è, in aggiunta, alcun costo suppletivo per registrazioni e materiale di produzione.
E nel caso di nuove produzioni i costi di realizzazione si abbattono notevolmente, grazie all'economicità del nuovo supporto.
Non considerando che ben presto lo stesso prodotto sarebbe diventato gratuito grazie alla possibilità di scaricarlo grazie all'uso del computer.
Ricordo l'isterica svendita di intere collezioni di preziosi album in vinile per ricomprare il tutto nel futuristico nuovo formato, dilapidando vere e proprie fortune di dischi poi schizzati a prezzi folli tra i collezionisti.
Ovviamente ne approfittai per riempire ancora di più la casa di montagne di vinili a pochi spiccioli.
L'industria ci ha messo un po' a rimettersi in piedi e rimodulare il proprio modus operandi. Da una parte lo sfruttamento dell'effetto nostalgia. I fruitori di musica “classica”, intesa come il “classic rock” o pop d'autore (dai Beatles ai Pink Floyd, fino a Nirvana e Bruce Springsteen) sono ormai attempati signori/e, bene o male con un minimo di disponibilità economica, sempre pronti a sborsare qualche soldino per accaparrarsi il box set di turno con la discografia completa (o lo storico disco) dei propri eroi, rimasterizzata, con qualche (sempre trascurabile e inutile) inedito, tante belle foto, un libretto, qualche gadget aggiunto. Costi di produzione minimi, prezzo al consumatore altissimo e sproporzionato e il gioco è fatto.
A fianco le piattaforme di musica gratuita vendono abbonamenti (progressivamente sempre più cari) per evitare che l'ascolto sia inframezzato da fastidiosi messaggi pubblicitari.
Dal recente rapporto della FIMI (Federazione Industriale Musicale Italiana) sul mercato musicale italiano, emerge che è lo streaming a coprire una quota di mercato complessivo pari al 65% e i cui ricavi sono cresciuti del 16.2%, arrivando a più di € 287 milioni per un totale di oltre 6.5 milioni di abbonati premium ai servizi di streaming.
Vuoi per nostalgia, vuoi perché non è improbabile che la “musica liquida”, quella che in sostanza non si possiede, pur trovandola a proprio piacimento liberamente su internet, abbia stancato e sia (ri)sorta la necessità, anche tra molti giovani, di tenere in mano ciò per cui si è speso (poco o tanto che sia), il vinile, nel 2023, cresce del 24.3%, ma si segnala anche una presenza dell'ormai dimenticato cd, le cui vendite salgono del 3.8%. Dati che non contemplano il vasto mercato dell'usato.
Nel frattempo, come detto, il vinile è tornato in auge (pur limitatamente) ma a prezzi spesso inaccessibili o quasi, con le nuove uscite che variano dai 30 ai 50 euro (non di rado accessoriati da facezie per pseudo fan collezionisti, dagli adesivi al brano inedito, alla confezione particolare).
Contemporaneamente i prezzi dei biglietti per i concerti sono esplosi in modo incontenibile.
Assistere a un concerto dei big (se non si vuole guardare un maxischermo e avere il palco là in fondo, dove distingui a mala pena piccole figure muoversi sotto una cascata di luci colorate e si sente la musica come dallo stereo di casa), significa preventivare come minimo cento se non duecento o più euro per l'ingresso.
Non considerando il contorno di parcheggi (carissimi), eventuale “cena” e/o bibite, viaggio e altro.
In questo senso sono sempre più frequenti le cancellazioni di concerti (ovviamente con comunicati che nascondono la verità) a causa della scarsa prevendita (imputabile ai prezzi alti ma anche all'aumentata frequenza di tour, che, ovviamente, essendo i prezzi sempre più alti, inducono a dolorose scelte).
Paradossalmente più la possibilità di ascolto della musica in maniera gratuita è aumentata, più la musica è diventata faccenda per “ricchi”. Possedere un supporto è estremamente costoso, come abbiamo visto, proprio nel momento in cui la tendenza sembra indirizzarsi verso un (pur tiepido) ritorno all'acquisto del mezzo fisico per ascoltarla. Allo stesso tempo i concerti sono sempre più cari e il costo va a pari passo con l'aumento dei prezzi della vita (benzina, autostrade, cibo bevande).
Assistiamo, ad esempio, allo strano caso dei CCCP – Fedeli alla Linea che in occasione del clamoroso e imprevisto ritorno sulle scene per un tour estivo di una dozzina di date hanno fissato il biglietto a 60 euro.
Esiste ovviamente e per fortuna un'altra faccia della medaglia per la fruizione di ottima musica, attraverso nomi meno titolati e storici (al cospetto di questi ultimi invece spesso si va solo per “esserci” o perché, visto l'invecchiamento inesorabile delle icone del rock, ogni concerto, cinicamente o meno, potrebbe essere quello finale): una scena ormai non più tanto sotterranea, che ci regala sempre eccellenti dischi e performance live, senza costare un occhio della testa.
E' sufficiente rivolgersi a distributori ed etichette che non perseguono necessariamente l'ampio guadagno a tutti i costi ma richiedono solo un ritorno economico equo e giusto.
Dunque, quale può essere la soluzione?
Difficile prevederlo anche se l'impressione è che quello che abbiamo sempre chiamato rock e abbiamo sempre visto come espressione di alternativa e ribellione sia diventato semplicemente l'ennesimo tassello di quel mosaico che possiamo chiamare “musica classica”, riservata a un pubblico eletto di intenditori che non si preoccupa di spendere (perché nella maggior parte dei casi lo può fare) e in cui quell'elemento “sovversivo” che ha sempre caratterizzato l'ambito è ormai una semplice appendice folkloristica.
E che quindi ha un costo incontrollato e assolutamente lontano da ogni operazione di calmieramento.
Finché dura…
Appunto, finché dura. Ci fu il Punk che fece terra bruciata al mainstream di allora, ce ne sarà sicuramente un altro movimento o un'altra situazione che darà l'opportunità a tutti di usufruire della musica e si ritornera a suonare in club, centro sociali e cantine a prezzi bassi. Grazie Antonio bell'articolo
RispondiEliminaSuccede già che si suona nei piccoli locali etc ma contemporaneamente è impossibile andare a vedere gruppi di "medio" livello. Faccio un esempio: Black Crowes a Milano da 50 a 80 euro. Se si aggiungono i costi per viaggio, cibo, parcheggio etc vanno preventivati almeno 100 euro. Se si va in due diventa una spesa importante. Loro bravissimi etc ma non sono il gruppo a cui non puoi rinunciare. Paul Weller all'Alcatraz era a 35/40 euro, già più abbordabile ma alla fine la spesa è stata un po' pesante. Andrò con mia moglie ad Alba a vedere Fantastic Negrito: 40 di biglietto per 2 = 80 + 80 euro di viaggio = 80. Una cena in pizzeria = 50. Totale 210. Se poi ci scappa una shirt o qualcosa del genere si va a 250.
RispondiEliminafaccio più o meno le stesse considerazioni da un po' di anni, a volte penso se potrà mai esserci una rivoluzione come quella punk citata sopra.. o comunque qualcosa di similare. Ma poi mi chiedo come possa esserci una rivoluzione di questo tipo se per esempio:
RispondiElimina1) tutto diventa "virale" e fruibile dopo un secondo che è stato suonato live (o addirittura in streaming) e masticato e digerito in un brevissimo lasso di tempo.. come fosse un altro "reel".
2) le produzioni musicali attuali sono tutte (forse non tutte ok, ma la maggior parte) tra Vst e computer, vedo difficile un ritorno duro e puro agli strumenti completamente analogici (o che questo ritorno non sia sempre solo per "folklore"..)
Forse ci sarà una nuova "rivoluzione" completamente diversa, visti come sono cambiati i mezzi di ascolto e di produzione, una roba che non si è mai vista. Ma sono scettico!
Ciao (e avanti sempre col Blog! Grazie Tony!)