sabato, settembre 30, 2023

Not Moving LTD ottobre 2023

Con i NOT MOVING LTD torniamo in pista per tre date (dopo le due di settembre all'Isola d'Elba e nell'house concert di Imperia).
A Poviglio (Reggio Emilia) sabato 7 ottobre al "Caseificio La Rosa"

https://www.facebook.com/events/624444656439107

A La Spezia venerdì 27 ottobre allo "Shake"
Al "Joshua Club" di Como sabato 28 ottobre


Profilo FB
https://www.facebook.com/profile.php?id=100051397366697

Video "Love Beat"
https://www.youtube.com/watch?v=j2nN9zpE1sQ

Su Bandcamp
https://areapiratarec.bandcamp.com/album/love-beat

venerdì, settembre 29, 2023

Settembre 2023. Il meglio

A metà del 2023 tra i migliori album ci sono quelli di Jaimie Branch, Aja Monet, Corinne Bailey Rae, Teenage Fanclub, Noel Gallagher, Graham Day, The Darts, Blur, Miles Kane, Durand Jones, Edgar Jones, Bobby Harden, DeWolff, Wreckless Eric, Public Image LTD, Billy Sullivan, Iggy Pop, Everettes, Everything But The Girl, PJ Harvey, Slowthai, Meshell Ndegeocello, Sleaford Mods, John Cale, Elza Soares, Acantha Lang, Joel Sarakula, Algiers, The Men, Tex Perkins and the Fat Rubber Band, Gina Birch, Gabriels, Lonnie Holley, The Who, Mudhoney, Kara Jackson, Tinariwen, Geese, Don Letts, Pretenders, Bobby Bazini, lankum.
Tra gli italiani Alex Fernet, Funkool Orchestra, Sick Tamburo, Zac, Polemica, Milo Scaglioni, Il Senato, Lucio Corsi, Statuto, Broomdogs, The Cut, Senzabenza, Forty Winks, The Lancasters, Elli De Mon, Ellen River, Double Syd, Pitchtorch, C+C=Maxigross, Blue Moka, Lory Muratti, Garbo, Electric Machete, Avvoltoi & Steno, Dome La Muerte EXP, Marco Rovelli & Paolo Monti.
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CORINNE BAILEY RAE - Black rainbows
Ispirata da una visita al Stony Island Arts Bank a Chicago, un archivio dell'arte e cultura afroamericana, gestito dall'artista Theaster Gates, CORINNE BAILEY RAE realizza un album esplosivo.
In "Black rainbows", spazia tra soul, jazz, punk, Pj Harvey, sperimentazione, hip hop, elettronica.
Un lavoro complesso, spesso difficile, politico, pieno di stimoli e messaggi, suoni nuovi e suggestioni artistiche.

TEENAGE FANCLUB - Nothing lasts forever
Che meraviglia il dodicesimo album della band scozzese. Jingle jangle sound, Byrds, Buffalo Springfield nell'anima, nel cuore, nelle corde, nelle voci. Canzoni strepitose, atmosfere "californiane" e solari, di una bellezza rara, nessuna caduta di tono. Al top degli album del 2023.

DON LETTS - Outta Sync
Dopo aver portato il reggae nel primo punk inglese, condiviso con l'ex Clash Mick Jones l'esperienza nei BAD e realizzato mille altri progetti, il DJ anglo giamaicano giunge all'esordio con un lavoro molto gustoso e ricco di ospiti (tra cui il compianto Terry Hall degli Specials, Wayne Coyne dei Flaming Lips, la regina del reggae inglese, Hollie Cook, figlia del batterista dei Sex Pistols). L'impronta è marcatamente reggae, dub e ska ma con varie contaminazioni e sfumature che assorbono gli umori britannici e che riportano alla mente l'esperienza dei Clash in “Sandinista!”. OUTTA SYNC ha il gusto speziato e indimenticato degli anni Ottanta di Brixton e dintorni.

PRETENDERS - Relentless
Dopo l’ottimo “Hate for sale” di tre anni fa, torna la longeva creatura di Chrissie Hynde con un nuovo lavoro che ci conferma la freschezza della proposta, tra energici rock chitarristici, malinconiche ballate, irresistibili intermezzi più pop. La voce della Hynde rimane impeccabile, sexy, calda, suadente, avvolgente, il disco più che godibile.

LANKUM - False Lankum
Il quarto album della band irlandese è un sorprendente lavoro sperimentale, dove si respira un'aria drammatica, minacciosa, demoniaca, con lunghi raga quasi psichedelici e di sapore Velvet Underground, la tradizione musicale dell'Isola in sottofondo, ballate acustiche malinconiche e improvvisi salti in post rock e noise. Affascinante e ipnotico.

BOBBY BAZINI - Pearl
Eccellente album che arriva dal Canada. Folk soul e soul funk, che riporta a Michael Kiwanuka e Myles Sanko ma anche a Marvin Gaye, Bill Withers e Stevie Wonder. Le canzoni sono sempre perfettamente equilibrate, suadenti, ben arrangiate.

THE SEXTONES - Love can't be borrowed
La band americana si affida alla nostra Record Kicks per il terzo album, prodotto da Kelly Finnigan dei Monophonics. Uno splendido viaggio nella soul music a cavallo tra i 60 e 70, con particolare riguardo per Impressions e Curtis Mayfield. Arrangiamenti raffinati ed eleganti, mood slow e sensuale, sonorità "vintage", canzoni di grande livello.

THE FAITHFUL BROTHERS - s/t
Arrivano da Tel Aviv e sono (con i Men of North County) i più noti rappresentanti della locale scena soul, grazie all'attività del Tel Aviv Soul Club.
Alla guida del club e delle due band c'è il DJ, cantante e musicista Yashiv Cohen.
L'album, omonimo, della band è super cool, tra puro Northern soul, soul e rhythm. and blues.

THE BLIND BOYS OF ALABAMA - Echoes Of The South
I "gospel titans" sono attivi dal 1944, hanno ovviamente cambiato parecchie volte formazione e son oancora in circolazione (dopo aver caollaborato con, tra gli altri, Stevie Wonder, Chrissie Hynde, Lou Reed, Tom Waits, Peter Gabriel). La ricetta è consolidata e immutata: gospel/soul/blues, grande vocalità, atmosfere profondamente "sudiste", cuore e anima. Non male.

BOMBINO - Sahel
Tinariwen, Mdou Moctar, Bombino sono tra i nomi principali del desert rock di origine Tuareg, caratterizzato da matrici rock psichedeliche che si uniscono sapientemente alla tradizione folk Sahariana, su cui si raccontano storie, spesso amare e drammatiche, di esilio, povertà, guerre, soprusi, rendendo i loro album manifesti politici e di denuncia. Il nuovo di Bombino si muove su queste coordinate, affascinanti, sinuose, avvolgenti, altamente suggestive.

JALEN NGONDA - Come Around and Love Me
Uno dei tanti preziosi regali della Daptone Records che porta, ancora una volta, il fantasma di Marvin Gaye in vita, grazie a questo giovane autore americano, residente a Londra. Vintage soul, suadente e mellow, bella voce in falsetto, sottofondo godibilissimo.

IDRIS ACKAMOOR & THE PYRAMIDS - Afro Futuristic Dreams
Afro jazz, spiritual jazz, funk, trame etno world, sperimentazione, free jazz. Un calderone ipnotico, tribale, psichedelico a tratti. Interessante e dal sapore moderno.

THE FUNK REVOLUTION - Don’t Go Away / Space Dream
Doppio album per Joel Ricci aka Lucky Brown a base di un funk basico e crudo, registrato live in studio, con una grande sezione fiati e un tiro micidiale. Gli amanti del genere ne rimarranno affascinati.

THE ARROGANTS - Brainwashed
Secondo album per laband francese, supporter degli Who nel recente concerto parigino, con tanto di endorsement di Pete Townshend sul disco.
Lavoro di ottimo pregio per chi ama il garage punk e il più crudo 60's sound, aggressivo e pulsante.

DOME LA MUERTE EXP - Il Santo
La nuova creatura di Dome la Murte, personaggio dalle mille esperienze e incarnazioni artistiche lo coglie in una veste insolita per chi si aspetta i sentieri che abitualmente percorre, tra primitivo rock 'n'roll, punk e distorsioni. Il sound è invece raffinato, strumentale, debitore a influenze che vanno dallo “spaghetti western” di stampo Morricone al surf, Tex Mex, organo Hammond, country rock e altre delizie affini. C'è anche una collaborazione con Hugo Race e la consueta smisurata passione.

GLI AVVOLTOI & STENO – Un Uomo Rispettabile / Scenderemo Nelle Strade
Due leggende della musica bolognese e italiana insieme per un incontro estemporaneo su 45 giri: Steno, voce della Oi! band dei Nabat si unisce alla storica neo beat band degli Avvoltoi. “Uomo rispettabile” è la versione italiana di “A well respected man” dei Kinks, tradotta dai Pops nei Sessanta, da sempre presente nel repertorio degli Avvoltoi, impreziosita qui dalla voce ruvida di Steno, autore di quello che è diventato un classico del punk nostrano, “Scenderemo nelle strade” che in questa versione assume vesti garage beat che, sorprendentemente, si adattano alla perfezione al taglio compositivo del brano. Bellissimo tutto!

MIKE PAINTER – UFO Theme /Star Trek Theme
La carriera del tastierista milanese è lunga e articolata, dai Four By Art agli Investigators, Il Santo, al Quintetto con Viola Road e tanto altro. Il nuovo 45 giri in puro e raro vinile, rende omaggio alla tradizione delle sigle delle colonne sonore di film e telefilm a tema “spaziale”. “Ufo theme” e “Star Trek theme” sono due travolgenti reinterpretazioni, piene di groove, ritmo, valenza tecnica e giusta attitudine.

ELECTRIC MACHETE – High Penetration Formula
Difficile credere a chi sostiene di essere influenzato sia dai Black Sabbath che dai maestri del funk Meters.
Personalmente aggiungerei anche i riff dei primi Led Zeppelin (vedi l’incipit di “Processionarie”), l’attitudine dei Blue Cheer e una buona dose del miglior stoner, quello più ruvido e meno psichedelico e, perché no?, l’irruenza di certi brani degli Hellacopters.
Però c’è sempre quel groove funk, black, che imperversa nella ritmica o nella chitarra che apre “Go to hell” e che prosegue con un riff che, con le dovute modifiche, potremmo trovare in un album di funk dei 70 o dei Grand Funk Railroad (vedi tra i tanti “Black licorice”).
Alla fine la band marchigiana ha tirato fuori un disco fantastico, suonato benissimo, con un sound originale e una personalità unica. Notevoli!

MARCO ROVELLI & PAOLO MONTI – Concerto d’amore
Un album denso di collaborazioni ma soprattutto di grande intensità, trattandosi di una serie canti d’amore della tradizione popolare italiana cantati da Marco Rovelli insieme ad alcune voci femminili della scena musicale italiana, e suonati da Paolo Monti. Il parterre degli ospiti è prestigioso: Fausta Vetere della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Mara Redeghieri (ex Üstmamò), Angela Baraldi, Erica Boschiero, Serena Altavilla e Paola Rovai (voce femminile nel live). La parte strumentale è curata da Paolo Monti alle chitarre, Lee Ranaldo (Sonic Youth), Cesare Basile, Bruno Dorella (OvO, Bachi da Pietra, Ronin), Nicola Alesini, Rocco Marchi, Lara Vecoli. Il risultato è un album originalissimo, profondo, romantico, avvolgente, in cui la tradizione viene rinnovata, senza comprometterne l’essenza originaria.

THE CORAL - Sea of mirrors
L'undicesimo album della band inglese viaggia su binari folk rock, molto gradevoli, raffinati, piacevoli all'ascolto ma che mancano di sostanza, lasciando il tutto in un limbo di anonimato.

THE RATBOYS - The window
Il quartetto di Chicago è divertente, suona fresco e adolescenziale. Power pop tra Juliana Hatfield, primi Blondie e Cardigans. Molte canzoni sono godibilissime e il disco scorre via come una birra ghiacciatra in una calda giornata estiva.

GIANNI MARCHETTI - Milano, Il Clan Dei Calabresi M2 / Milano, Il Clan Dei CalabresiM3
CARLO PES con I MARC 4 - Un Uomo Dalla Pelle Dura

La Four Flies Records ristampa per la prima volta su due 45 giri in edizione limitata, estratti dalle colonne sonore di due film polizieschi anni 70.
Tra funk grooves, una favolosa samba, sferzate e un tocco prog (nel primo dei due), due preziosi gioielli in vinile da non perdere.

VICTOR AXELROD - If you ask me to
Gustosissima compilation che raccoglie una serie di brani prodotti, arrangiati (e anche suonati) da Victor Axelrod per la mitica Daptone Records. Una bellissima compilation di original reggae e rocksteady, tanto groove, grandi canzoni di Sugar Minott, Sharon Jones, Bob & Gene.

ASCOLTATO ANCHE:
ROYAL BLOOD (sempre ottime cose arrivano da quelle parti anche se sempre meno personali), SLOWDIVE (statico), JEFF ROSENSTOCK (punk rock più o meno scontato), SPEEDY ORTIZ (punk pop wave molto esile), CLEO SOL (molto gradevole il connubio tra Sade e Erykah Badu), LYDIA LOVELESS (niente male. Pop rock molto fruibile con influenze country), MAX BEESLEY'S'HIGH VIBES (jazz funk di alta qualità). Zeus

LETTO

THOMAS MAUCERI / SEB PIQUET - In search of Gil Scott Heron. The Godfather of rap
Gil Scott Heron rimane un faro nella "black culture", un infinito universo di spunti artistici, culturali, musicali, socio/politici.
Un personaggio e un lascito che è necessario continuare ad approfondire, studiare, esaminare con cura, tanto è prezioso il contenuto che ha espresso nella sua convulsa vita.
Questa graphic novel è semplicemente stupenda nel raccontare il sincero e appassionato tentativo di uno studente francese di incontrare Gil per girare un documentario su di lui cercando di vincerne la ritrosia ("non ho nulla di interessante per te, tutto ciò che ho da dire lo dico nei miei testi. Non riesco a capire il motivo di fare un film su di me" lo gela nella prima convesazione telefonica).
Non ce la farà, passando attraverso mille disavventure ma riuscendo però a entrare in un percorso di formazione, culturale e sociale, nel mondo afroamericano, vivendo il drammatico e drastico passaggio da Obama a Trump e continuando a dover fare i conti con discriminazione e razzismo.
Stupendi i disegni, le citazioni, la discografia ragionata e commentata alla fine.

NADINE COHONDAS - Spinning Blues into Gold: The Chess Brothers and the Legendary Chess Records
Uscito nel 2000, è un esaustivo e puntiglioso viaggio nella storia della CHESS RECORDS dei fratelli Lejzor e Fiszel Czyz, ebrei polacchi immigrati nel 1928 in Usa, approdati a Chicago e che cambiarono nome nei più comprensibili Leonard e Phil Chess.
Cresciuti nei quartieri neri della città, ne assimilarono gusti musicali e attitudine a una vita dura e rude.
Lavorarono nel giro dei club della città, prima di dedicarsi a dare voce con l'etichetta ai nomi più brillanti della storia del blues e rock 'n' roll, da Muddy Waters a Howlin Wolf, Chuck Berry, Etta James, Bo Diddley, John Lee Hooker e tante altre stelle (incluso il "nostro" Rocky Roberts).
Fedeli alla loro "legge" "“se investi un dollaro, fallo se sei sicuro di riprenderne uno e mezzo” fecero una montagna di soldi, spesso scontrandosi con gli artisti per diritti e compensi mal distribuiti.
Sapevano poco di musica ma avevano un senso degli affari innato:
“Se mi mostrate la scala armonica delle note e mi chiedete dove e cosa siamo Do, Re, Mi non velo potrei dire. Nemmeno Leonard. Ma – mostrando le orecchie – queste invece velo possono dire.”
Il libro è ricchissimo di informazioni, indulge troppo spesso su guadagni, tariffe, retribuzioni, somme di danaro, percentuali, ininfluenti nel contesto della vicenda ma ci consegna una storia unica e irripetibile.
Smentendo anche la famosa leggenda che quando gli Stones arrivarono nei loro mitici studi trovarono Muddy Waters che dipingeva il soffitto degli uffici, fatto considerato impossibile e assolutamente mai verificato.
Mike Rowe nel libro “Chicago Breakdown”:
“Le due principali caratteristiche della vita dei neri in America erano la migrazione e la segregazione. Con la prima che dava impulso alla seconda. Musicalmente mentre la segregazione creò il blues, la migrazione diffuse il messaggio”.

PAOLO BORGOGNONE - The Beatles. Il mito dei Fab Four
Oddio!
Un altro libro sui Beatles!!!
Che altro si può ancora dire?
Eppure...
Paolo Borgognone riesce ad aggiungere, se non cose nuove (impossibile!), un taglio interessante, competente, godibile e approfondito, pieno di nomi, dati, particolari spesso poco conosciuti, alla storia più bella del mondo, quella dei BEATLES.
Partendo da un'accurata analisi sociologica dell'ambiente in cui i quattro Fab Four sono nati e cresciuti, aggiungendo particolari sempre poco citati della loro storia, concludendo con una veloce analisi del post Beatles e delle varie opportunità di possibili, ventilate e mai realizzate reunion.
I Beatlesiani di ferro troveranno la lettura più che piacevole e potranno annotare un po' di particolari insoliti e non sempre messi in evidenza, gli "occasionali" avranno una visione completa della storia dei Beatles al di fuori del consueto taglio "Wikipedia".

ROBERTO CALABRO' - Fugazi. Committed To Excellence
Pubblicato dalla collana "Director's Cut" di Blow Up, esce, firmato dalla competente penna di Roberto Calabrò, la biografia dei FUGAZI, una delle band più particolari, originali e influenti uscite dalla scena hardcore (quando ancore si chiamavano Teen Idles e si evolveranno nei favolosi Minor Threat) per evolversi verso un sound personalissimo che ne conservava l'attitudine, spostandosi verso un inconfondibile mix di alt rock, reggae/dub, punk, jazz e tanto altro.
Dal 2003 la band ha interrotto l'attività senza ufficialmente sciogliersi, intraprendendo mille altri progetti solisti ma mantenendo l'amicizia e saltuariamente suonando ancora insieme in sala prove.
Il libro è dettagliatissimo e particolareggiato, approfondito e di agevole lettura.
Inevitabilmente si torna a riascoltare la discografia della band.

VISTO

Paul Weller live @Alcatraz - Milano 20 settembre 2023
Paul Weller è in grande forma, fisica, artistica, vocale.
Il concerto milanese (quasi due ore, 26 brani) si fonda su due solidi pilastri.
Primo: una band rodata, coesa, che lavora di fino, ritocca con eleganza e precisione ogni brano.
Una ritmica possente (batteria, percussioni, tastiere, sax ) che permette a Weller e Steve Cradock di lavorare tranquilli alla voce e ai solismi.
Il groove generale viaggia su atmosfere modern soul e funk, con numerose pennellate jazz che rendono inconfondibile e perfettamente fruibile il suo collaudato pop rock.
Secondo: una potenzialità di scelta tra centinaia di brani della lunghissima carriera che a breve toccherà il mezzo secolo.
Due omaggi ai Jam (Start in scaletta, Town called malice come secondo bis), tre Style Council ((Headstart for happiness, My ever changing moods, una spettacolare e imprevista Shout to the top), un ottimo ed energico inedito, Jumble Queen (pare scritto con Noel Gallagher) e largo spazio a cose recenti da Fat Pop vol. 1 (cinque), tre da On Sunset (bellissima la title track con la sezione fiati degli Stone Foundation), un paio da Saturns Pattern e poi ancora Peacock Suit (con cui chiude il concerto, prima dei bis), Broken Stones (nel bis, in duetto con il cantante degli Stone Foundation e la loro sezione fiati) e, sempre da Stanley Road, una grintosa versione della title track.
C'è spazio per una riuscita Wild Wood nel bis, All the pictures on the wall e Hung (tutti e tre da Wild Wood) e Above the clouds e Into tomorrow dall'album d'esordio.
In apertura l'impeccabile soul funk disco degli Stone Foundation.
Locale non sold out ma decisamente affollato, età media alta, resa sonora discreta (leggi impianto voci), palco minimale ed essenziale, nessuna concessione ad "effetti speciali", biglietto (35 euro) consono.

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

IN CANTIERE
NOT MOVING LTD live
This could be the last time Tour

Sabato 7 ottobre: Poviglio (Reggio Emilia) “Caseificio La Rosa”
Venerdì 27 ottobre: La Spezia “Shake”
Sabato 28 ottobre : Como “Joshua"

Venerdì 24 novembre: castelnuovo di Borgonovo (Piacenza) “Kelly’s”
Sabato 25 novembre: Lonate Ceppino (VA) “Black Inside"

Venerdì 1 dicembre: Pisa “Caracol”
Sabato 2 dicembre: Rubiera (Reggio Emilia) “Condor”
Domenica 3 dicembre: Torino "Blah Blah" ore 18
Sabato 9 dicembre : S.Arcangelo Romagna “Sidro”
Sabato 16 dicembre: Milano “CIQ”

Sabato 6 gennaio 2024: Savona "Raindogs"

giovedì, settembre 28, 2023

The Sensational Alex Harvey Band

Speciale THE SENSATIONAL ALEX HARVEY BAND.
Scarsamente considerato e conosciuto in Italia Alex Harvey ha lasciato un segno indelebile nella cultura musicale inglese, spesso citato come proto punk e grande influenza per numerose band.
Ci ha lasciati nel 1982 a soli 47 anni.


Negli anni Sessanta fa parte prima del giro skiffle e poi di quello mod/beat lasciando buoni album di blues e rhythm and blues, in particolare "Alex Harvey and His Soul Band" del 1964 con un paio di brani autografi e le classiche cover del genere (eseguite sempre con una certa personalità).
Nel 1969 incide "Roman wall blues" in cui rimangono retaggi soul che si intrecciano a sonorità più dure e crude, unite a una teatralità vocale molto spinta (vedi la cover di "Jumpin' Jack Flash") mutuata da una recente esperienza nel musical "Hair".

I just wanna make love to you
https://www.youtube.com/watch?v=3tGqKPJP8YI

Jumpin Jack Flash
https://www.youtube.com/watch?v=oU-tEdaR2x0

Framed (1972)
Esordio per la Sensational Alex Harvey Band, con un rock blues minimale energico e ruvido, pub rock, qualche retaggio 60's. L'ispirazione dai musical e dal cabaret è già evidente nel cantato sempre molto enfatico. Ipnotica la versione funk di "I just wanna male love to you" di Muddy Waters.

I just wanna make love to you
https://www.youtube.com/watch?v=8UDKWDrgb4U

Next (1973)
La band esalta lo spirito teatrale e cabarettistico che ha sempre caratterizzato lo stile di Harvey (anche e soprattutto dal vivo) e si immerge in glam, boogie, rock, con forti pennellate blues.

Next
https://www.youtube.com/watch?v=dpl_8N6647M

The impossible dream (1974)
Tomorrow Belongs to Me (1975)
Il sound si sposta verso un rock più corposo spesso vicino all'hard, debitore a nomi come i Faces, Slade, Rod Stewart, David Bowie ma più aspro, personale, deviato, con elementi funk, melodie a tratti quasi circensi (vedi "Action Strasse") con testi sempre particolarissimi e ironici.

The Tale Of The Giant Stoneater
https://www.youtube.com/watch?v=geN-Fsl4GEk

SAHB Stories (1976)
Atmosfere meno iconoclaste e più convenzionali ma un album più che dignitoso con le atmosfere ipnotico psichedeliche di "Sirocco" e della minor hit "Boston Tea party" che anticipa (di un annetto o due) l'incedere di certe ballate ritmate dei Talking Heads.

Boston Tea Party
https://www.youtube.com/watch?v=0JvHroG3u5E

Fourplay (1977)
Rockdrill (1978)
Alex Harvey esce dalla band, che prosegue abbracciando in "Foreply" un sound easy, lontano dal consueto, lasciando un album anonimo e incolore.
Il ritorno per l'ultimo album, l'anno successivo, non porterà particolari benefici, con un lavoro assolutamente dimenticabile e di scarsa personalità.

mercoledì, settembre 27, 2023

Irlanda. La generazione degli arrabbiati

Riprendo qui l'articolo scritto da MICHELE SAVINI (con mio modesto apporto), relativo alla nuova scena rock irlandese, con particolare riferimento alla recente scomparsa di Sinead O' Connor, uscito nella sezione "Alias" de IL MANIFESTO, sabato scorso.

L'articolo nel Manifesto:
https://ilmanifesto.it/la-generazione-degli-arrabbiati

L'Irlanda declinata in chiave rock ha sempre sofferto una certa marginalità, soprattutto a causa dello ”scomodo” (non solo storicamente ma anche culturalmente e socialmente) vicino inglese, pur essendo riuscita ad esprimere talenti e personaggi di grande rilievo anche a livello mondiale.
Dal successo planetario degli U2 passando alla notorietà di Bob Gedolf, non prevalentemente per meriti artistici, anzi. E poi ancora i Thin Lizzy di Phil Lynnott, gli amatissimi Pogues, i grandi chitarristi Rory Gallagher e Gary Moore, i difensori della tradizione celtica, Chieftains, più recentemente Damien Rice, Cranberries e Corrs.
Non dimenticando i fratelli nord irlandesi che ci hanno dato Van Morrison, Stiff Little Fingers, Undertones tra i tanti.

E ancora lo spirito irrequieto e la tragica figura di Sinead O'Connor.
Negli ultimi tempi lo spirito e il cuore irlandesi sono tornati sulla scena grazie a una nuova ondata di nuove band molto attente a ciò che accade in una società sempre più precaria e in difficoltà e, tristemente, a causa della scomparsa di uno dei suoi nomi più amati.
Lo scorso 26 Luglio all’età di 56 anni se n’è andata Sinéad O’Connor.
L’artista irlandese è stata recentemente celebrata un po’ da tutti, in particolare in patria i commiati sono stati numerosi, con l’intento di darle la giusta collocazione che merita all’interno della storia del paese.Dal punto di vista artistico con una discografia di dieci album in studio in cui spicca la formidabile versione di “Nothing Compares 2 U” dei The Family di Prince, non si può rimanere indifferenti al suo talento, soprattutto se si avverte l’impressione che l‘impatto della sua figura nella storia sociale dell’Irlanda moderna sia ben più significativa.
Fu definita da tutti come “la pazza irlandese che si era rasata la testa”, a causa della sua immagine androgina in contrasto con lo stereotipato standard di femminilità che l’industria musicale promuoveva all’epoca e spesso ridicolizzata e derisa per aver parlato a favore delle minoranze, invece che apprezzata per quello che era realmente.
Un’ artista anticonformista, vera incarnazione dello spirito punk, che, senza mai intaccare la sua integrità personale o abilità artistica, è stata un’ispirazione assoluta per chiunque si sforzasse di dire e vivere la propria verità senza compromessi.

Nata nella seconda metà degli anni Sessanta in una famiglia ultracattolica irlandese, ha vissuto una infanzia tormentata a causa delle violenze fisiche e psicologiche ricevute dalla madre, che per punirla la lasciava di notte in giardino, impedendole di rientrare a casa, trauma infantile che racconta nella struggente Troy, dell’ album “The Lion and the Cobra” del 1987.
Cresciuta in una nazione in cui tutto quello che rappresentava peccato era considerato fuori legge, anche grazie alla grossa influenza esercitata dalla Chiesa cattolica nella vita politica di quel periodo, ha vissuto in prima persona all’età di 14 anni, il dramma delle “Magdalene Laundries”, gli istituti gestiti da suore per conto della stessa Chiesa, che ospitavano giovani ragazze etichettate come “problematiche”, a causa della loro condotta considerata peccaminosa o in contrasto con i pregiudizi della società benpensante. Molte delle ragazze che lavoravano nelle lavanderie erano giovani madri che venivano separate dai loro bambini, a loro volta affidati ad altri istituti chiamati “Mother and Baby Homes”, strutture inadatte a ospitare neonati con un altissimo tasso di mortalità infantile.
La più famosa, scoperta solamente nel 2014, è la “Bon Secours Mother and Baby Home” a Tuam, nella contea di Galway, dove la storica irlandese Catherine Corless ha ritrovato quasi ottocento resti di bambini, in cui si rilevava che le cause di morte più comunemente registrate erano debilitazioni congenite, malattie infettive e malnutrizione. Il tutto sotto gli occhi del governo irlandese che, pur avendo riconosciuto che le donne in questi istituti erano state vittime di abusi, ha sempre resistito alle richieste di indagine e alle proposte di risarcimento, sostenendo che le lavanderie erano gestite privatamente.
Affermazioni del tutto in contrasto con le evidenti prove che confermano che i tribunali irlandesi inviavano regolarmente donne condannate per piccoli reati alle lavanderie, come nel caso di Sinéad.
Nel 1992 la O’Connor suscitò indignazione quando strappò una foto del Papa durante la sua esibizione al Saturday Night Live.

Il gesto, volto a criticare la Chiesa cattolica per le coperture sugli abusi di minori, ha modificato radicalmente la sua carriera da pop-star, ruolo che pero ha sempre rifiutato:
"Non sono una pop star. Sono solo un'anima travagliata che ha bisogno di urlare nei microfoni di tanto in tanto.
" Sinéad O’Connor era innanzitutto una cantante di protesta, icona femminista e attivista nazionale in quelli che sono stati i cambiamenti sociali più grandi dell’ultimo decennio in Irlanda, quali i referendum per l’abrogazione degli articoli costituzionali contro l’aborto (2018) e il matrimonio tra persone dello stesso sesso (2015) che insieme alla denuncia degli orrori delle Lavanderie Magdalene hanno segnato la diminuzione dell’indice di gradimento della Chiesa cattolica a favore della maggiore emancipazione delle donne. Per questo forse il legame che è riuscita ad instaurare con il suo paese e in particolare con le nuove generazioni è enorme.

Non è facile conquistare l’amore degli Irlandesi, vista la scarsa venerazione che nutrono per le celebrità locali.
E se artisti del calibro di Luke Kelly dei The Dubliners o Shane McGowan dei The Pogues rimarranno per sempre i figli prediletti di un paese che trova nella tradizione musicale un attaccamento viscerale e patriottistico non certo facile da eguagliare, lo stesso trattamento non è di certo riservato a tutti.

Ne sa qualcosa Bono Vox, leader degli U2, che nel corso della sua carriera ha trovato tanti detrattori quanti sostenitori in patria.
Un po’ per una vecchia storia relativa alle tasse e un po’ per la sua costante presenza a lato di personaggi ingombranti, Tony Blair and George W. Bush in primis, questioni che hanno generato un aura d’ipocrisia del tutto in contrasto con la sua nota figura di benefattore e filantropo.
Inutile dire che la sua nomina a Cavaliere dell’Impero Britannico nel 2007 non abbia esattamente giocato a suo favore, facendo rimanere accigliati anche i più convinti Repubblicani dell’isola.
Ma forse il problema più grande che si porta dietro Bono è quell’immagine di vincente, di colui che “ce l’ha fatta”.
Sembra quasi che gli irlandesi provino una particolare affezione o instaurino un legame più profondo con quei personaggi che in qualche modo hanno sulla loro pelle quel tipo di sofferenza simile a quella che il popolo irlandese si trascina da secoli, tra carestie, immigrazioni forzate e invasioni da parte di vicini “difficili”.

Ne è un altro esempio eclatante Christy Dignam, cantante degli Aslan deceduto lo scorso giugno dopo una lunga battaglia contro il cancro.
Una vita sofferta e fatta di battaglie, tra abusi sessuali ricevuti da bambino, tossicodipendenza, un incidente aereo e la malattia finale, momenti bui e drammatici che non hanno pero mai intaccato la sua ironia e scanzonatezza, incarnando la dolcezza necessaria per affrontare una vita ostile e difficile. Esattamente come Sinéad.
Il documentario Nothing Compares uscito nel 2022 ripercorre passo per passo i drammi e i successi della vita di Sinéad O’Connor, dagli inizi nella band Tua Nua, fino all’esilio dal “mainstream”.

“They tried to bury me but they didn’t realise I was a seed”. (Hanno provato a seppellirmi ma non si sono accorti che ero un seme), dice Sinéad in una delle intime interviste con la regista nord irlandese Kathryn Ferguson, già nota per una serie di cortometraggi incentrati su temi sociali come la politica di genere.
E quel seme, che a qualcuno piaccia o meno, ha dato dei frutti. L’ Irlanda vive infatti un momento di vero splendore artistico e generosità creativa per quando riguarda la musica di “protesta”, che deriva dai gravi problemi socioeconomici che il paese sta attraversando. E se da un lato l’isola trascorre un periodo di gran lunga migliore di quello del secolo passato, è anche vero che problemi come l’aumento esponenziale dei senzatetto, a causa della crisi immobiliare e la mancanza di una vera alternativa per i giovani, sono temi all’ordine del giorno.

L’Irlanda ha una delle peggiori scale di distribuzione del reddito tra tutti i paesi dell'UE ed è uno dei paesi con il più alto tasso di malattie mentali in Europa.

A questo va aggiunta una sempre crescente crisi abitativa che ha lasciato un numero record di persone senzatetto o in alloggi di emergenza, mentre i prezzi degli affitti sono a un massimo storico.

E come spesso succede, quando le cose vanno male, la musica diventa per molte persone una fonte essenziale di catarsi.
Tra le band più interessanti del panorama musicaIe irlandese, ci sono sicuramente i Fontaines D.C., band post-punk di Dublino che nel loro album del 2022 Skinty Fia, hanno incluso la bellissima e politicizzatissima “ I Love You”, lettera d’amore all’Irlanda e feroce attacco a stato e chiesa per la gestione del paese.
Chiari riferimenti alle Mother and Baby Homes, all’incremento del tasso di suicidio maschile e accuse chiare e dirette a Fine Gael e Fianna Fáil, i due partiti conservatori di centro destra che governano la Repubblica d’Irlanda praticamente dalla sua nascita e principali responsabili dell’attuale crisi socioeconomica di cui il paese soffre nell’ultimo decennio.

E poi la nuova “Irish Trad Wave”, l’ondata di nuovi artisti che sta facendo risorgere il folk tradizionale irlandese, accompagnando questa rinascita culturale con un innato senso di orgoglio e fiducia nella loro identità nazionale.
Tra di loro i Lankum, una della più dotate formazioni del momento. La loro Drone Music composta da melodie intese ed oscure, create con il sapiente uso di strumenti tradizionali come uilleann pipes, concertina e bayan, mischiati ad organi elettrici e mellotron, creano atmosfere densissime, in cui si infila come un raggio di luce la voce della cantante Radie Peat. Le liriche, spesso incentrate su temi sociali, sottolineano ancora una volta lo straordinario potere sovversivo della musica folk irlandese.
Il loro nuovo album False Lankum, uscito quest’anno, è addirittura candidato ai Mercury Prize.

E poi Lisa O'Neill, cantautrice di folk tradizione originaria della contea di Cavan, che in passato aveva dedicato una canzone a Violet Gibson, la donna irlandese che tentò di assassinare Benito Mussolini, il 7 aprile 1926 a Roma.
Una sorta di eroina culturale che ha saputo costruirsi un' immagine di artista moderna ma attingendo dall’antico, con un cantato crudo e lamentoso, lontano anni luce dai ritmi edificanti della stereotipata musica da festa irlandese, ma che penetra e affascina.
Artisti sempre in prima linea nelle campagne come quelle a favore della legalizzazione dell'aborto e del matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’accoglienza degli immigrati e il sostegno alle persona senza fissa dimora.

I Mary Wallopers, gruppo folk irlandese contemporaneo, con sede a Dundalk, composto dai fratelli Charles e Andrew Hendy e Sean McKenna, dicono che la loro più grande influenza tematica derivi da una sorta di reazione alla povertà in aumento nel paese. Non sorprende che i fratelli Hendy si esibiscano anche come TPM, un duo rap comico esplicitamente politico, che come i Mary Wallopers, si definiscono un gruppo anti capitalista e nei testi fanno esplicito riferimento a temi come quello del sussidio di disoccupazione e l’assistenza sociale, dimostrando il potenziale di entrambi i generi nell’offrire uno spazio per l’espressione della classe operaia irlandese contemporanea.

Ma anche musica dura e diretta, come quella del punk spoken-word di Meryl Streek, in pieno stile Sleaford Mods e Billy Nomates.
Il suo album 796, chiaro riferimento al numero esatto di corpi di bambini ritrovati nella tomba delle Mother and Baby Home di Tuam, è un feroce e viscerale attacco alle malefatte della Chiesa cattolica e del governo, tra lavanderie Magdalene, abusi sessuali, crisi del costo della vita e aumento delle percentuali di suicidi.
Dodici tracce prodotte sapientemente in cui la bruciante energia punk si mischia a samples, sprazzi di elettronica e testi feroci , in cui è accompagnato vocalmente da Molly Vulpyne della punk band di Dublino, Vulpynes, che brandiscono la frustrazione di vivere sulla scia di insabbiamenti e profondi traumi intergenerazionali. Che quando riascolti “I Love You” dei Fontaines DC ti sembra il coro dell’Antoniano.

Non sorprende che John Lydon, AKA Johnny Rotten , lo abbia scelto per aprire il tour autunnale in Inghilterra dei sui P.I.L.
E ancora, i Kneecap, trio hip hop di Belfast che canta prevalentemente in Gaelico, con liriche satiriche e taglienti che fanno spesso riferimento al loro sostegno al repubblicanesimo. Per rimarcare, se ce ne fosse ancora il bisogno, come la Brexit non abbia certo migliorato il già travagliato rapporto tra l’isola di smeraldo e la perfida Albione.

Insomma tanta rabbia giovanile unita al concetto del “siamo più noi che loro,” che si trasforma in musica dando voce alla nuova generazione dell’ arrabbiata Irlanda. Come se fosse stata abbattuta una porta e ora tutti stessero entrando. Perché come diceva il cantante tradizionale irlandese Frank Harte:
“Those in power write the history, while those who suffer write the songs, and, given our history, we have an awful lot of songs”.
“Chi è al potere scrive la storia, mentre chi soffre scrive le canzoni, e, data la nostra storia, abbiamo un sacco di canzoni”.

martedì, settembre 26, 2023

Gary Utterback - The Lost Guitar Hero The Great Pretender – James Honeyman-Scott

L'amico FRANCESCO FICCO ci parla di un libro sul chitarrista dei PRETENDERS.

Allora, cominciamo col dire che non si tratta di pubblicazione ufficiale poiché non è una produzione di una casa editrice esistente, ma risulta come segue:
Printed by Amazon Italia Logistica srl
Torrazza Piemonte (TO)


Quindi ci troviamo di fronte ad una delle nuove frontiere del fai-tutto-da-te dove bypassando l’editore di turno, e stampando solo le copie che verranno ordinate online, si risparmia un bel po' di carta che rischierebbe di prendere polvere, come nel caso specifico dello scritto in questione, perché di scritto si tratta.

Ma ora passiamo al “libro” vero e proprio, non riportante alcun prezzo in ultima di copertina ma solo bar code e ISBN.
Premetto che anche la qualità della stampa non è granchè, inchiostro sbiadito su alcune pagine a conferma della logica del risparmio stile ebook ma almeno lì l’inchiostro non sbiadisce.

Come un po' avevo sospettato non si tratta di una biografia del compianto James Honeyman-Scott, eccelso chitarrista della prima formazione dei Pretenders di base a Londra, prematuramente e accidentalmente scomparso, ma di una retrospettiva della band stessa con aggiunta di alcuni aneddoti più o meno noti ai fans della band di Chrissie Hynde.

Gary Utterback scrive in un inglese abbastanza approssimativo e con qualche errore di sintassi e costrutto di troppo, ma chiunque mastichi un po' la lingua non avrà problemi di comprensione.
Piuttosto la seccatura, almeno nel mio caso, è che lo scritto è ridondante e ripetitivo su molti argomenti relativi ai componenti dei Pretenders, e a volte paradossalmente moralistico (a chi può fregare della lista dei musicisti morti per OD dai 60s ad oggi !?).

Ritornando a James Honeyman-Scott (il vero topic annunciato nel titolo) non è neanche riportata la corretta lista delle sue chitarre possedute o che fine abbiano fatto.
Il libro si snoda sull’attività dei Pretenders, specialmente sulla collaborazione tra Chrissie Hynde e Jimmy, e su quanto siano stati pericolosi gli anni 70 e 80 per il consumo di droghe da parte dei personaggi del mondo del rock.
È quasi un ossessivo ammonimento che viene ripetuto come un mantra (ma chi è questo Utterback, un fottuto prete?).

Vi è anche il tentativo di tracciare un profilo psicologico attraverso le canzoni dei Pretenders, con descrizioni tecniche approssimative ma godibili.
Nulla di più.

Certamente non si tratta di speculazione ma piuttosto di tributo da parte di un fan per i fans.
Quindi sta a voi decidere di perdonare le sviste contenute relative al topic del titolo, che risulta abbastanza allettante per un fan dei Pretenders del periodo UK dei primi due fondamentali album.
Ordinabile ovviamente solo su Amazon, lo scritto è corredato da alcune fotografie in formato ridotto bianco e nero, delle quali l’ultima a pag. 166 sembra mostrare un James Honeyman-Scott invecchiato ma invero non si sa chi sia, ne viene menzionato.
Insomma non voglio parlare di fregatura per rispetto al compianto chitarrista, ma approssimazione e ridondanza sono davvero troppe in questo caso.

lunedì, settembre 25, 2023

Russia. Febbraio 2023 #1



L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.


La prima puntata qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/05/tashkent-novembre-2022.html

Le precedenti puntate di "Tales from ex Urss" sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20Ex%20Urss

PARTE #1

L’ultima volta che sono stato in Russia, a settembre, Saša e Igor’ mi hanno proposto un paio di dj set a Mosca e a San Pietroburgo, quando sarei tornato. “Magari a novembre. Ti porti i dischi, troviamo un bel posto e facciamo il volantino. Vedrai che figata.”

Non era male come idea ma mi sentivo un po’ a disagio, meglio se non si sapeva niente in giro, Saša è sempre lì che posta su Facebook, anche se non potrebbe, vai a sapere come reagisce la gente che vede il tuo nome, una festa da qualche parte in Russia e tu che metti i dischi.
Eravamo rimasti che ci saremmo sentiti in autunno.

Qualche giorno dopo hanno dichiarato la mobilitazione, e la parvenza di normalità sospesa, a piede libero con la condizionale, la minaccia latente di una guerra vicina e lontana, la guerra degli altri, la guerra che si combatteva in tv, nei giornali e nei cartelloni lungo le strade, quella normalità originaria, stravolta dallo shock di febbraio che tanti russi avevano superato a colpi di tranquillanti, preghiere e “speriamo finisca presto”, quella normalità corroborata da un’estate calda alla riscoperta della propria terra, visto che per molti i viaggi all’estero erano diventati proibitivi, quella normalità era entrata in una nuova fase, ora a combattere ci andava anche la gente comune, non solo i militari di professione.
Un altro cambiamento nella vita del russo medio, che adesso rischiava di finire in tv, con l’elmo e la divisa.
Basta una cartolina con sopra il tuo nome e l’invito a presentarsi al distretto militare entro due giorni. Un altro passetto verso il precipizio perché un conto è parlare di Operazione Militare Speciale, un altro è se la Russia dichiara lo Stato di Guerra, la legge marziale, la chiusura dei confini e quelle cose lì, non solo per i russi arruolabili ma anche per gli stranieri, quelli come me, che magari, nel momento in cui Putin fa un annuncio a reti unificate, si trovano in territorio russo per vendere un po’ di ferramenta.
“Eh ma cosa vuoi che ti succeda?”

Non lo sa nessuno, l’ultima volta che è capitata una cosa del genere, ottant’anni fa, un tot di gente è finita nei campi di prigionia o c’ha lasciato le penne perché in tasca aveva il passaporto sbagliato.
A ottobre ho parlato con un editore che pareva interessato ai miei racconti e mi ha detto: “Mi sa che in Russia non ci andrai più per qualche anno.” Ho convenuto con lui e l’amarezza mi ha guastato il resto della giornata.
Poi col passare del tempo anche il bubbone della mobilitazione si è sgonfiato, riassorbito nella quotidianità delle brutte notizie, di quella bruttezza opaca e senza forma che dopo un po’ non sconvolge più.

Bombe su Kiev, bombe sul Donbass, civili morti, soldati morti, nuovo pacchetto di sanzioni, le minacce del Cremlino, gli aiuti militari, la difesa della democrazia e dei nostri valori, che è quasi un anno che le senti tutti i giorni, ormai c’hai fatto l’abitudine, come quando vai a fare il bagno al mare e appena metti i piedi in ammollo l’acqua ti pare freddissima e vorresti tornare a riva, poi ti immergi, due bracciate e ti sei già ambientato.

Potrebbe andare peggio, dicono i clienti.
In effetti a ottobre c’è stato un calo, chi è che si indebita per comprare una cucina se domani ti mandano a combattere, ma già a novembre la situazione si è stabilizzata, una volta chiusa la mobilitazione, il panico è rientrato, almeno in quelle famiglie, in quelle comunità che non hanno parenti o amici al fronte. La gente è tornata alla vita di prima, anche se non è chiaro di prima quando.
E così, dopo le vacanze di Natale, ho chiamato Vasja, il mio referente, che mi ha tranquillizzato:
“Qua è tutto a posto, c’è un sacco di roba da fare. Ti aspettiamo.”

Ho comprato il biglietto, cinque giorni a Mosca, quasi una settimana per trovarsi, guardarsi negli occhi, fare un po’ di analisi sulle vendite e sulle giacenze di magazzino, previsioni per i prossimi ordini.
Tutte attività che puoi gestire anche da remoto, e sarà un cliché, come dire che in Russia fa freddo, eppure, sedersi uno di fronte all’altro, parlare con i venditori, andare in giro dai clienti, ascoltare quello che hanno da dire, contare le macchine parcheggiate fuori dai capannoni, prendersi nota di quanti e quali scatoloni con il marchio della concorrenza sono accatastati in produzione, tutte queste cose non le sostituisci con una video-chiamata.
Puoi tamponare, confrontare dati e informazioni, percentuali, ma un meeting in presenza è fondamentale per superare un ostacolo, prendere una decisione condivisa, trasmettere un sentimento o un’emozione e più in generale andare avanti nelle trattative perché quando ti trovi nella stessa stanza con altre persone, senza il postino che citofona o tuo figlio che chiede il succo, sei obbligato a sentire e a osservare come tutti gli altri.
Le parole hanno un suono preciso, ti toccano in modo diverso, come l’acuto di una tromba dal vivo, pare impossibile che siano le stesse note quando le ascolti con gli auricolari del telefonino.

Non tutti lo capiscono, fan fatica certi miei colleghi, figuriamoci i miei genitori. Alla Nico invece non lo devo spiegare e questo è uno dei motivi per cui stiamo assieme da quasi vent’anni, non rompe il cazzo se vado in Russia ma non tutti ci arrivano, in ufficio mi interrogano con gli occhi spalancati:
“Ma davvero vai a Mosca? Non hai paura?”

Paura anche no, un po’ di ansia ma cerco di non pensarci, non cascherà il mondo per un viaggio di cinque giorni, speriamo non succeda niente e in queste cose mi sa che sono un po’ fatalista, o imprudente, come i russi.

All’inizio di febbraio ce ne sono un sacco, di russi, in aeroporto a Istanbul.
Li vedi per i corridoi, li senti parlare. Famiglie, donne, ragazzini, uomini obesi, sacchi a tracolla e borse piene, zaffate di aglio, il tizio con la felpa Emporio Armani che entra in aereo con lo stuzzica dente in bocca, a lato, come Vito Catozzo.
Tanti ventenni, visi puliti, riposati, lo sguardo sicuro di chi è a posto.
Soldi, posizione, viaggi all’estero.

Molti si alzano subito dopo il decollo, scattano in piedi appena si spegne la luce delle cinture di sicurezza e camminano avanti e indietro, con passo deciso, che rimbomba per la carlinga, come se avessero premura di andare da qualche parte.
Il peggio è quando hai il posto vicino al corridoio, arriva uno e inizia a chiacchierare con la coppia accanto a te e che cazzo avranno di così importante da dirsi.
Niente, parlano delle procedure per il tax-return, a Dubai sono organizzati meglio.
E tu in mezzo, col tipo che si dondola appoggiato al tuo schienale.
Atterriamo che è tardi, quasi le due di notte.
I russi non spostano le lancette in autunno per cui in inverno c’è un’ora in più di differenza, le coincidenze dei voli sono scomode.

In fila per il controllo passaporti ricomincio da dove ero rimasto.
Una signora con due figli ventenni mi passa davanti, come se non esistessi. Borbotto in maniera aggressiva che c’ero prima io e la donna alza lo sguardo con aria di sufficienza e si rivolge direttamente al ragazzo che indossa una tuta di Christian Dior, in ciniglia, verde e morbidosa che sembra la rana Kermit: “Lёša fai passare questo tizio.”

Mi chiama djadja, letteralmente significa zio ma è un modo colloquiale per indicare un uomo adulto, come guy in inglese.
Fino a qualche mese fa ero un molodoj čelovek, un giovanotto, e rispondevo con tono scherzoso, compiaciuto, quando mi apostrofavano in questo modo. Ormai sono diventato un djadja e vorrei sapere da quanto è, di preciso, che non sono più un molodoj čelovek.

Prendo un taxi per andare in albergo.
Il centro è tutto illuminato che sembra un parco giochi.
Le strade, le silhouette dei palazzoni, le finestre degli uffici coi neon ancora accesi e chissà se c’è gente che lavora o se fanno le pulizie, che poi è la stessa cosa.
Le facciate e le cupole delle chiese sono accarezzate dalle proiezioni dei fari dal basso, anche le gru e i cantieri sono puntinati in maniera armoniosa, simmetrica.
Ai lati degli stradoni, cartelloni pubblicitari dieci per venti, il concerto-tributo ai Nirvana per il compleanno di Kurt Cobain; l’orchestra sinfonica esegue le hit dei Queen in uno spettacolo intitolato The show must go on.

Le torri acciaio e vetro della city sono ricoperte di schermi led su cui sventola una bandiera russa.

Sullo sfondo, rossa che pare incandescente, brilla la stella sul tetto di una delle Sette Sorelle, i grattacieli fatti costruire da Stalin tra la fine degli anni quaranta e i primi cinquanta, per celebrare l’ottavo centenario della fondazione di Mosca.

Inizialmente erano previste otto costruzioni, uno per ogni secolo, ma i lavori per l’ultima torre non sono mai cominciati.
Il mix di casermoni, guglie e pinnacoli che caratterizza le Sette Sorelle ha dato vita a uno stile detto “gotico staliniano”, e anche se il binomio stesso non ispira allegria, in realtà nel panorama moscovita ha il suo perché, soprattutto di notte. Arrivo in albergo che sono le due passate di domenica mattina, faccio il check-in e salgo al nono piano.

Appena si spalancano le porte dell’ascensore, dal fondo del corridoio arrivano le urla di una donna che sta godendo.
Non sono gridolini sommessi, la tipa si sta sgolando, a intervalli regolari, in un crescendo e con un’intensità che ricordano più un parto che un amplesso.
Peggio ancora, i gorgheggi provengono dalla stanza accanto alla mia e in sottofondo c’è musica new age. Arpa e piano intrecciati sopra un base sintetica, i bassi che spingono, probabile che abbiano una di quelle casse portatili col bluetooth che la gente usa in spiaggia per ascoltare musica da maranza a tutto volume.
Come non bastasse, la mia camera è più piccola di quella dove dormo di solito, non c’è neanche spazio per fare ginnastica la mattina e il letto è troppo vicino alla scrivania, impossibile lavorare al pc la sera.
Chiamo la ragazza alla reception, le chiedo se c’è qualcosa di più spazioso. Si scusa con tono sincero, mi chiede di pazientare qualche istante, adesso mi porta la chiave della nuova camera.
Mi siedo sul letto, dalla parete filtrano le grida della donna, un po’ li invidio.

Ho conosciuto una ragazza che gridava così.
Tatjana.

Nel 2002 feci l’ultimo viaggio da studente a San Pietroburgo.
Il prof Aleksandr mi aveva sistemato all’ultimo piano del suo condominio, in un mini appartamento dove abitava sua madre. La vecchia l’aveva spedita in campagna con la moglie; il figliastro Denis si era dovuto sposare in primavera perché aveva messo incinta una tipa e quella che una volta era la mia camera adesso era occupata da un omone finlandese, Seppo, che studiava il russo quando non era impegnato a ubriacarsi. La madre e la moglie di Seppo erano malate di cancro, lui non ce la faceva a vederle morire e con la scusa di rinfrescare la lingua di Puškin si era preso una pausa ed era venuto a San Pietroburgo per sfondarsi di vodka.
Si faceva fuori una bottiglia al giorno di Zubrovka, da zubr, il bisonte raffigurato sull’etichetta che dà il nome al distillato di colore marroncino.

Seppo era grande e grosso, con i baffi biondi e l’anda da burbero, più che cattivo, pareva avvelenato dalle sfighe che lo circondavano. La sera che c’eravamo conosciuti, durante una sessione di vodkini e cetrioli nella cucina di Saša, mi aveva detto che ero “decadente”.
Parlava per invidia, faceva fatica a mascherare il risentimento per la leggerezza di chi è giovane, non ha rogne e non è obbligato a lavorare.
Uno che non era più giovane e lavorava poco era il prof. Debole di carattere e incline alla depressione, in quel periodo era in crisi con la moglie e con le finanze, certo un alcolizzato come coinquilino non gli era di aiuto.

Seppo non era l’unico tipo strano che girava per il trilocale di Saša, uno degli habitué era un certo Vasja, un altro sbevazzone con i baffi folti e gli occhi da donna, ma il più scroccone di tutti era Jurij, un impiegato statale, una specie di dirigente che abitava al piano di sotto. Era grosso, i capelli rasati ai lati, i baffetti curati e il portamento da sergente, di chi è abituato a comandare.
Era un acceso nazionalista, non perdeva occasione per provocarmi: “Venezia tra poco sprofonda! Il vostro Papa è messo male, vedrai che tira le cuoia.” e cose del genere a cui rispondevo alzando le spalle, del papa tremolante di Parkinson non me ne fregava niente e da Venezia prima o poi me ne sarei andato.
La prima volta che ci eravamo incontrati mi aveva guardato con disprezzo e aveva domandato a Saša, quasi non potessi sentirlo: “Otkuda etot bolgarin?”.
Da dove salta fuori questo bulgaro.
Bulgaro, a me, che indossavo una camicia a quadri con il button-down, Levi’s Sta-Prest e un paio di mocassini scamosciati.

Jurij esercitava una certa influenza sul prof, che un po’ lo temeva, forse per il suo ruolo di funzionario o semplicemente per il modo di fare, da prepotente. Entrava e usciva di casa a tutte le ore, apriva il frigo e si serviva senza tante cerimonie.
Una sera c’eravamo ritrovati nel mio appartamento, in cucina, forse perché da me si poteva fumare. Jurij aveva voglia di fare festa, sua moglie era fuori città… insomma voleva andare a troie. Io mi ero fatto questa idea che in Russia ci fossero dei bordelli eleganti, dove con pochi euro ti sceglievi una modella profumata, con l’intimo di pizzo e che poi te la portavi in una stanza con le tende damascate e le lenzuola di raso, per cui avevo detto di sì, io ci stavo.
Non avevo mai pagato per scopare ma per una volta si poteva anche fare, poi in Russia, non lo avrebbe mai saputo nessuno. E così, per curiosità, chiesi a Jurij se ci portava in un bel posto, che tipo di ragazze c’erano. Jurij mi puntò addosso i suoi occhietti furbi, lo sguardo perfido, spietato, e spiegò cosa aveva in mente: “Adesso noi andiamo giù in strada, troviamo una bella cagnetta, ce la portiamo qua in camera tua, ce la facciamo a turno e intanto che uno scopa gli altri guardano.” e sghignazzò con gusto mentre spingeva il palmo della mano destra avanti e indietro, a mo’ di stantuffo. Le palle mi si restrinsero come due noccioline e mi salirono in gola.

Montammo tutti quanti sulla Lada verde del prof e partimmo per il safari.
Appena Jurij vide una coppia di ragazzine che passeggiavano sul marciapiede, fece cenno al prof di fermarsi.
Uscì come un ossesso, disse qualche parola alle due e prese a strattonarne per il braccio una, che fu abbastanza pronta a divincolarsi e ad allontanarsi assieme alla sua amica.
Dall’abitacolo assistemmo a quella scena senza dire una parola, c’era qualcosa di comico e raccapricciante nelle movenze di Jurij, nelle espressioni del volto, solenni e sconce, chissà cosa aveva detto a quelle poverette.

Salì in macchina come se non fosse successo niente, imprecando sotto i baffi, e diede ordine a Saša di rimettersi in marcia. Vagammo per qualche strada semi-deserta finché non passammo davanti a una fermata del bus. Appoggiata al baracchino di metallo arrugginito, c’era una ragazza sulla ventina che teneva in mano un sacchetto di plastica. Anche in questo caso Jurij si mise a parlottare fitto fitto mentre stringeva il braccio della ragazza, che però non fece tante storie, si liberò dalla sua presa e salì in macchina in tutta tranquillità.
Dopo qualche istante di imbarazzo generale si presentò, disse che si chiamava Tatjana e che veniva da Novosibirsk, quattromila chilometri di distanza da San Pietroburgo.
Era in città per visitare un’amica ma qualcosa era andato storto, non avevo capito cosa di preciso. Prima di rientrare dal prof, ci fermammo in un negozietto a comprare un po’ di birre.

A casa, Tanja parlava con gli altri alla pari, senza soggezione, invece con me era restia, non mi guardava, se mi inserivo nel discorso girava la testa da una parte, il mento all’insù, la bocca piegata in una smorfia di sdegno.
Si vedeva che non ero russo e in quegli anni uno straniero coi capelli neri e la barba di tre giorni non poteva che essere un ceceno, un terrorista, il nemico numero uno.
E poco importava che i ceceni avessero la chioma rossiccia e l’iride azzurra, per quella ragazza siberiana con la pelle bianchissima e gli occhi allungati, io ero uno scurotto, un musulmano del Caucaso pronto a farsi esplodere. Quando le spiegarono che ero italiano, Tanja cambiò espressione, le pupille si allargarono, il volto si distese in un sorriso accattivante. Ora non ricordo i dettagli ma eravamo nel soggiorno del prof a chiacchierare del più e del meno, c’era un po’ di confusione, musica in sottofondo, c’era anche Denis, il figliastro del prof, chissà cosa era venuto a fare.
A un certo punto Tanja si alzò per uscire dalla stanza, prima di varcare la porta si girò verso di me e mi lanciò un’occhiata, giusto un lampo, i capelli castani le ondeggiarono sopra le spalle. Attraversò il corridoio ed entrò in una cameretta con una libreria di legno scuro alla parete. Quando la raggiunsi stava sfogliando un volume senza guardarlo, quasi mi aspettasse.
Io l’abbracciai da dietro, al primo tocco si voltò verso di me con le labbra socchiuse, un invito a infilarle la lingua in bocca, il libro che teneva in mano cadde a terra con un tonfo e io presi a palpeggiarla un po’ ovunque finché non fummo interrotti dal risolino di Denis che ci stava osservando dal corridoio.
Tatjana si ricompose e senza dire niente a nessuno ci trasferimmo nel mio appartamento. Appena entrata, chiese di farsi una doccia, ci spogliammo e restammo sotto il getto d’acqua per qualche istante. Non era una bellezza appariscente ma aveva i lineamenti regolari, armoniosi, il busto sottile e due tette incredibili.

Tanja era spiritosa e pronta a soddisfare tutte le mie voglie, si concedeva e godeva con gioia, in maniera sincera. Gridava con la bocca spalancata, mentre mi muovevo sopra di lei mi chiedevo se il tappeto appeso alla parete, accanto al letto, avrebbe attutito almeno in parte le sue urla, chissà se i vicini ci sentivano, magari li avevamo svegliati, chissà cosa pensavano.

Alla mattina scopammo di nuovo, io sarei rimasto a letto con lei tutto il giorno, era domenica e non avevo niente da fare ma Tanja era in para, era arrivata da Novosibirsk per trovare lavoro ma l’amica che l’aveva invitata era sparita. L’avevamo trovata sotto casa della tipa, era rimasta lì qualche ora senza sapere cosa fare, dove andare.
In mano un sacchetto con tutti i suoi averi. Poi era arrivato Jurij, avevamo riso di questa cosa, era talmente sfinita che non aveva neanche capito cosa volesse da lei.
Tanja doveva andare, forse c’era un’altra persona che poteva darle una mano. Mi chiese dieci dollari, non aveva un rublo con sé, aveva speso tutto per il biglietto del treno, tre giorni di viaggio.
Quando chiuse la porta presi a domandarmi, senza grossi tormenti, se avessi aiutato quella ragazza o se invece avessi pagato per farmela.

E la curiosità è sempre la stessa, in questa stanza di albergo.
La tipa qua accanto, quanto sono sincere le sue urla. La ragazza della reception bussa alla porta, mi ha evitato di scendere con le valigie per poi risalire.
Resta ben lontana dall’uscio, ferma al centro del corridoio, sarà una forma di cautela, avrà paura che la inviti ad ascoltare un po’ di new age, allunga la mano e mi porge la tessera magnetica della nuova stanza, al piano di sotto.
Apro le finestre appena entrato perché c’è un caldo fastidioso, ci saranno almeno venticinque gradi e il termostato non si regola.
Sono quasi le tre quando vado finalmente a dormire.

giovedì, settembre 21, 2023

Paul Weller live @Alcatraz - Milano 20 settembre 2023

Paul Weller è in grande forma, fisica, artistica, vocale.

Il concerto milanese (quasi due ore, 26 brani) si fonda su due solidi pilastri.

Primo: una band rodata, coesa, che lavora di fino, ritocca con eleganza e precisione ogni brano.
Una ritmica possente (batteria, percussioni, tastiere, sax ) che permette a Weller e Steve Cradock di lavorare tranquilli alla voce e ai solismi.
Il groove generale viaggia su atmosfere modern soul e funk, con numerose pennellate jazz che rendono inconfondibile e perfettamente fruibile il suo collaudato pop rock.

Secondo: una potenzialità di scelta tra centinaia di brani della lunghissima carriera che a breve toccherà il mezzo secolo.

Due omaggi ai Jam (Start in scaletta, Town called malice come secondo bis), tre Style Council ((Headstart for happiness, My ever changing moods, una spettacolare e imprevista Shout to the top), un ottimo ed energico inedito, Jumble Queen (pare scritto con Noel Gallagher) e largo spazio a cose recenti da Fat Pop vol. 1 (cinque), tre da On Sunset (bellissima la title track con la sezione fiati degli Stone Foundation), un paio da Saturns Pattern e poi ancora Peacock Suit (con cui chiude il concerto, prima dei bis), Broken Stones (nel bis, in duetto con il cantante degli Stone Foundation e la loro sezione fiati) e, sempre da Stanley Road, una grintosa versione della title track.
C'è spazio per una riuscita Wild Wood nel bis, All the pictures on the wall e Hung (tutti e tre da Wild Wood) e Above the clouds e Into tomorrow dall'album d'esordio.

In apertura l'impeccabile soul funk disco degli Stone Foundation.

Locale non sold out ma decisamente affollato, età media alta, resa sonora discreta (leggi impianto voci), palco minimale ed essenziale, nessuna concessione ad "effetti speciali", biglietto (35 euro) consono.

mercoledì, settembre 20, 2023

Roberto Calabrò - Fugazi. Committed To Excellence

Pubblicato dalla collana "Director's Cut" di Blow Up, esce, firmato dalla competente penna di Roberto Calabrò, la biografia dei FUGAZI, una delle band più particolari, originali e influenti uscite dalla scena hardcore (quando ancore si chiamavano Teen Idles e si evolveranno nei favolosi Minor Threat) per evolversi verso un sound personalissimo che ne conservava l'attitudine, spostandosi verso un inconfondibile mix di alt rock, reggae/dub, punk, jazz e tanto altro.

"Suonare per i Fugazi ha sempre significato comunicare. Per farlo hanno pensato che fosse necessario abbattere le barriere di qualsiasi tipo: generazionali, ecoinimiche, linguistiche, culturali.
Da qui la scelta di organizzare concerti aperti a un pubblico di tutte le età e di tutte le estrazion isociali e quindi - in maniera concreta - con un prezzo del biglietto non superiore ai cinque dollari.
Da qui la scelta di rifiutare le molteplici offerte milionarie arrivate dalle major (dissero di no a Ahmet Ertegün dell'Atlantic in persona a fronte di un assegno di dieci milioni di dollari ndr) per mantenere il totale controllo non soltanto sulla propria musica, ma anche sulle modalità con cui essa doveva essere distribuita e fruita dal pubblico."


Dal 2003 la band ha interrotto l'attività senza ufficialmente sciogliersi, intraprendendo mille altri progetti solisti ma mantenendo l'amicizia e saltuariamente suonando ancora insieme in sala prove.

"Mai dire mai. Come possiamo dire qualcosa sul futuro? Ma sembra che manchi il tempo per permettere una reunion perché noi quattro dovremmo passare molto tempo insieme per capire: "Dovremmo suonare le vecchie canzoni? - "Chi siamo ora?" - Cosa c'è ora?".
Non siamo il tipo di band che si riunisce e si limita a provare due ore di vecchie canzoni per uscire, suonare, rastrellare e tornare a casa". Se tornassimo insieme dovrebbe essere per spirito di ceatività.
Non si può rimettere insieme un gruppo intrinsecamente creativo e poi non avere l'elemento creativo".


Il libro è dettagliatissimo e particolareggiato, approfondito e di agevole lettura.
Inevitabilmente si torna a riascoltare la discografia della band.

Roberto Calabrò Fugazi. Committed To Excellence
Director's Cut #31
Tuttle Edizioni
116 pagine b/n
13,00 euro

Per ordinarlo:

https://www.blowupmagazine.com/prod/fugazi.asp

martedì, settembre 19, 2023

Beatles reunion 1979

Dopo lo scioglimento dei Beatles, nonostante le spesso aspre polemiche tra gli ex e, allo stesso tempo, varie collaborazioni incrociate, si sono spesso rincorse vaghe ipotesi di un ritorno insieme della band, mai però verificatosi.

Sancendo un ulteriore capolavoro della loro storia, un "Ritratto di Dorian Gray" in musica che ce li ha consegnati per sempre giovani e al top della popolarità, senza clamorose cadute di tono.

Il 1979 fu un anno in cui una ormai sempre più improbabile REUNION dei BEATLES fu (quasi) sul punto di realizzarsi.

Incominciarono il 14 maggio Paul, Ringo e George a fare una jam session al matrimonio di Eric Clapton con Pattie Boyd (ex moglie di George con cui si era lasciata cinque anni prima). Presenti anche sopra e sotto il palco Mick Jagger, Bill Wyman, Elton John, David Bowie, Jim Capaldi, Denny Laine e tanti altri.
Tra i brani suonati anche “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” e “Get Back.”
Pur invitato John Lennon non partecipò all'evento (viveva in America).

Fu però tra settembre e ottobre che il segretario dell'Onu Kurt Waldheim inoltrò una richiesta ufficiale alla band per suonare per beneficienza a favore dei profughi Vietnamiti (i "Boat people) al Palazzo di Vetro dell'Onu di New York. Il concerto avrebbe avuto un seguito con date al Cairo e a Gerusalemme, per ratificare l'accordo di pace tra Israele ed Egitto.
Il concerto fu annunciato dal New York Post e ripreso poi dai giornali italiani con la dovuta enfasi.

Ma subito dopo smentito seccamente da Paul McCartney:
"I Beatles sono finiti e per sempre. Nessuno di noi è interessato a farlo. Per un sacco di ragioni. Immaginate se facessimo una grande show e non andasse bene. Che rottura".
Ma ben presto se ne tornò a parlare in occasione del Concerto per la Cambogia del 26 dicembre all'Hammersmith Odeon a Londra a cui parteciparono Paul McCartney, Who, Queen, Robert Plant, Clash, Pretenders, Elvis Costello e altri.

Paul McCartney mise insieme la sua Rockestra (che aveva partecipato anche all'album dei suoi Wings, "Back to the egg", uscito a giugno dello stesso anno con Robert Plant, John Bonham e John Paul Jones dei Led Zeppelin, (un ubriachissimo) Pete Townshend e Kenny Jones degli Who, Ronnie Lane dei Faces; Gary Brooker dei Procol Harum; Dave Edmunds dei Rockpile; James Honeyman-Scott dei Pretenders e Bruce Thomas degli Attractions.

Poco tempo prima la giornalista Pauline McLeod del Daiy Mirror, ipotizzò che all'evento avrebbero partecipato anche gli altri tre Beatles.
Quando di fronte alle richieste di altri giornalisti a Paul McCartney di sapere i nomi degli ospiti il bassista rispose che non lo avrebbe detto, facendo aumentare la suspence e avvalorando un possibile presenza dei Fab Four.
Come sappiamo la reunion non si fece nemmeno stavolta anche se a un certo punto si sparse la (falsa) voce della presenza in sala di John Lennon.

lunedì, settembre 18, 2023

Paolo Borgognone - The Beatles. Il mito dei Fab Four

Oddio!
Un altro libro sui Beatles!!!
Che altro si può ancora dire?
Eppure...

Paolo Borgognone riesce ad aggiungere, se non cose nuove (impossibile!), un taglio interessante, competente, godibile e approfondito, pieno di nomi, dati, particolari spesso poco conosciuti, alla storia più bella del mondo, quella dei BEATLES.

Partendo da un'accurata analisi sociologica dell'ambiente in cui i quattro Fab Four sono nati e cresciuti, aggiungendo particolari sempre poco citati della loro storia, concludendo con una veloce analisi del post Beatles e delle varie opportunità di possibili, ventilate e mai realizzate reunion.

I Beatlesiani di ferro troveranno la lettura più che piacevole e potranno annotare un po' di particolari insoliti e non sempre messi in evidenza, gli "occasionali" avranno una visione completa della storia dei Beatles al di fuori del consueto taglio "Wikipedia".

Paolo Borgognone
The Beatles. Il mito dei Fab Four
Diarkos
500 pagine
22 euro

mercoledì, settembre 13, 2023

The Who - Who’s Next | Life House

Esce venerdì la versione Super Deluxe di "Who's next" degli WHO, quello che doveva essere l'opera rock "Lifehouse" ma che, ridotto ad album singolo, è diventata una pietra milare della storia del rock.
Sono 155 brani di cui 89 mai pubblicati e 59 remixati.

Il box si trova tra i 250 e i 280 euro, un prezzo non facilmente affrontabile pur con un'offerta così ricca e gustosa.

Il che pone il consueto motivo di discussione su come la discografia (con la connivenza degli artisti) speculi sulla passione dei fan per realizzare prodotti a prezzi molto "importanti" che contengono semplice materiale di repertorio che non ha richiesto alcun investimento.

Per i fan e collezionisti degli Who parte del materiale è già reperibile su bootleg e sul web (vedi le b sides e i 45 usciti nel periodo o i demo già presenti sul "Lifehouse Chronicles" di Pete Townshend pubblicato nel 2000 o varie parti live).

Non di meno il contenuto è, da fan e, da cultore della musica rock, oggettivamente superlativo.
La band è al top della forma, sia compositiva che esecutiva (i brani dal vivo sono impressionanti), i suoni spettacolari, il materiale prezioso.


Baba O'Riley strumentale di 13 minuti, Pure and easy, Baby don't do it di Marvin Gaye di nove minuti, brani minori dal vivo come Too much of anything, una rara Bargain, le cover live di Roadrunner e Bonie Moronie, i quattro minuti violentissimi della cover di Going Down di Freddie King.
La band si perde spesso in jam session in cui mischiano rhythm and blues, rock, blues e un approccio improvvisativo jazz, suonando come nessuno mai.

Un pezzo di storia della musica (e cultura) degli anni Settanta, ampliato in tutta la sua completezza, che coglie gli Who (ovvero uno dei gruppi rock più importanti di sempre) all'apice delle capacità.
Vale l'esborso di una cifra così alta?

L'edizione (proposta anche in versioni ridotte) contiene 10 CD, tutti rimasterizzati dai nastri originali da Jon Astley, più un Blu-ray Audio disc con nuovi remix Atmos e 5.1 surround di Who's Next e altre 14 bonus track a cura di Steven Wilson.

Ci sono i demo di Townshend per "Life House", le session di registrazione degli Who al Record Plant di New York nel 1971, le session agli Olympic Studios di Londra del 1970 al 1972 e due concerti completi del 1971, uno al Young Vic Theatre di Londra e uno al Civic Auditorium di San Francisco.

Il cofanetto contiene un book di 100 pagine con l’introduzione di Townshend e nuove note bio-discografiche di Andy Neil e Matt Kent. Incluso anche Life House - The Graphic Novel, un libro di 170 pagine supervisionato da Townshend che racconta la storia dietro il progetto.

E poi un poster di un concerto degli Who a Sunderland (7 maggio 1970), un altro poster di un concerto al Denver Coliseum (10 dicembre 1971), le repliche del programma del concerto del Rainbow Theatre di Londra (4 novembre 1971) e del programma del tour della band in UK di ottobre/novembre 1971, un set di quattro spille da collezione e una foto a colori degli Who con autografi stampati.

martedì, settembre 12, 2023

The Clash - Should I stay or should I go

The CLASH - Should I stay or should I go
https://www.youtube.com/watch?v=xMaE6toi4mk

"Should I say or should I go" è un noto brano dei CLASH scritto da Mick Jones per l'album "Combat Rock" del 1982.
Fu pubblicato anche come singolo con "Straight to Hell" senza particolare successo.
Quando l'uso del brano, dopo molte reticenze, fu concesso, nel 1991, per uno spot della Levi's, fu ristampato e andò dritto al primo posto delle classifiche inglesi.
Pare che il testo fosse rivolto alla allora fidanzata di Jones, Ellen Folley, in un periodo di profonda crisi relazionale.

E' singolare come nessuno abbia mai imputato ai Clash (che sono tutti firmatari del brano) una causa di plagio, per la evidente somiglianza con il brano "Little Latin Lupe Lu", composto da Bill Medley e pubblicato nel 1963 dai Righteous Brothers.

The Righteous Brothers - Little Latin Lupe Lu (1963)
https://www.youtube.com/watch?v=TuzgO_8DJA8

L'anno successivo fu ripreso dai Kingsmen (quelli di "Louie Louie").
https://www.youtube.com/watch?v=uTPaxWdn9U8

E infine nel 1966 da Mitch Ryder and the Detroit Wheels in versione più veloce e garage.
https://www.youtube.com/watch?v=KEGS-pAEvCA

Nel 1965 la facciata B di "Keep on running" (arrivato al primo posto delle charts) dello Spencer Davis Group, "High time baby", ha un'evidente attinenza con "Little Latin Lupe Lu".
https://www.youtube.com/watch?v=ByJp-Ujv-3g

I John's Children si ispirarono parecchio all'originale per il loro "Let me know" incluso nell'album "Orgasm" nel 1967 (prima dell'arrivo di Marc Bolan) ma che fu realizzato solo nel 1970 con l'aggiunta di urla del pubblico (prese dal film "A hard's days night") per simulare un finto live.
https://www.youtube.com/watch?v=vU1kHDP3fKg

Nei primi anni 70 gli Sharks, band sullo stile di Mott The Hopple, glam, Free (ai tempi un sound molto amato dal giovane Mick Jones) incise "Sophistication" che qualche vaga similitudine nel riff ce l'ha:
https://www.youtube.com/watch?v=KF8JbsLPupY

Paradossalmente gli One Direction vennero accusati di plagio del brano dei Clash per la loro hit "Live While We're Young" che ha però accordi diversi.
https://www.youtube.com/watch?v=AbPED9bisSc

L'unico che ha maliziosamente sottolineato le similitudini è stato David Lee Roth (che ebbe ai tempi di un festival americano in cui divise il palco con Strummer e soci qualche diverbio con la band inglese):
"Adoro i Clash. Adoro "Should I Stay or Should I Go", soprattutto perché amavo "Little Latin Lupe Lu" di Mitch Ryder tanti anni fa."

Le parti in spagnolo vennero cantate da Joe Strummer e dal cantautore Joe Ely che provvide alla traduzione (aiutato anche da un amico sud americano).