Paul Weller è in grande forma, fisica, artistica, vocale.
Il concerto milanese (quasi due ore, 26 brani) si fonda su due solidi pilastri.
Primo: una band rodata, coesa, che lavora di fino, ritocca con eleganza e precisione ogni brano.
Una ritmica possente (batteria, percussioni, tastiere, sax ) che permette a Weller e Steve Cradock di lavorare tranquilli alla voce e ai solismi.
Il groove generale viaggia su atmosfere modern soul e funk, con numerose pennellate jazz che rendono inconfondibile e perfettamente fruibile il suo collaudato pop rock.
Secondo: una potenzialità di scelta tra centinaia di brani della lunghissima carriera che a breve toccherà il mezzo secolo.
Due omaggi ai Jam (Start in scaletta, Town called malice come secondo bis), tre Style Council ((Headstart for happiness, My ever changing moods, una spettacolare e imprevista Shout to the top), un ottimo ed energico inedito, Jumble Queen (pare scritto con Noel Gallagher) e largo spazio a cose recenti da Fat Pop vol. 1 (cinque), tre da On Sunset (bellissima la title track con la sezione fiati degli Stone Foundation), un paio da Saturns Pattern e poi ancora Peacock Suit (con cui chiude il concerto, prima dei bis), Broken Stones (nel bis, in duetto con il cantante degli Stone Foundation e la loro sezione fiati) e, sempre da Stanley Road, una grintosa versione della title track.
C'è spazio per una riuscita Wild Wood nel bis, All the pictures on the wall e Hung (tutti e tre da Wild Wood) e Above the clouds e Into tomorrow dall'album d'esordio.
In apertura l'impeccabile soul funk disco degli Stone Foundation.
Locale non sold out ma decisamente affollato, età media alta, resa sonora discreta (leggi impianto voci), palco minimale ed essenziale, nessuna concessione ad "effetti speciali", biglietto (35 euro) consono.
"un'eccellente Testify"?? Ma se non l'ha fatta :-(
RispondiEliminaCara "Sandra". Hai ragione. Ero convintissimo l'avesse fatta. Mi sono sbagliato con un altro brano. E' passato da Wild Wood a Rockets.
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