mercoledì, settembre 27, 2023

Irlanda. La generazione degli arrabbiati

Riprendo qui l'articolo scritto da MICHELE SAVINI (con mio modesto apporto), relativo alla nuova scena rock irlandese, con particolare riferimento alla recente scomparsa di Sinead O' Connor, uscito nella sezione "Alias" de IL MANIFESTO, sabato scorso.

L'articolo nel Manifesto:
https://ilmanifesto.it/la-generazione-degli-arrabbiati

L'Irlanda declinata in chiave rock ha sempre sofferto una certa marginalità, soprattutto a causa dello ”scomodo” (non solo storicamente ma anche culturalmente e socialmente) vicino inglese, pur essendo riuscita ad esprimere talenti e personaggi di grande rilievo anche a livello mondiale.
Dal successo planetario degli U2 passando alla notorietà di Bob Gedolf, non prevalentemente per meriti artistici, anzi. E poi ancora i Thin Lizzy di Phil Lynnott, gli amatissimi Pogues, i grandi chitarristi Rory Gallagher e Gary Moore, i difensori della tradizione celtica, Chieftains, più recentemente Damien Rice, Cranberries e Corrs.
Non dimenticando i fratelli nord irlandesi che ci hanno dato Van Morrison, Stiff Little Fingers, Undertones tra i tanti.

E ancora lo spirito irrequieto e la tragica figura di Sinead O'Connor.
Negli ultimi tempi lo spirito e il cuore irlandesi sono tornati sulla scena grazie a una nuova ondata di nuove band molto attente a ciò che accade in una società sempre più precaria e in difficoltà e, tristemente, a causa della scomparsa di uno dei suoi nomi più amati.
Lo scorso 26 Luglio all’età di 56 anni se n’è andata Sinéad O’Connor.
L’artista irlandese è stata recentemente celebrata un po’ da tutti, in particolare in patria i commiati sono stati numerosi, con l’intento di darle la giusta collocazione che merita all’interno della storia del paese.Dal punto di vista artistico con una discografia di dieci album in studio in cui spicca la formidabile versione di “Nothing Compares 2 U” dei The Family di Prince, non si può rimanere indifferenti al suo talento, soprattutto se si avverte l’impressione che l‘impatto della sua figura nella storia sociale dell’Irlanda moderna sia ben più significativa.
Fu definita da tutti come “la pazza irlandese che si era rasata la testa”, a causa della sua immagine androgina in contrasto con lo stereotipato standard di femminilità che l’industria musicale promuoveva all’epoca e spesso ridicolizzata e derisa per aver parlato a favore delle minoranze, invece che apprezzata per quello che era realmente.
Un’ artista anticonformista, vera incarnazione dello spirito punk, che, senza mai intaccare la sua integrità personale o abilità artistica, è stata un’ispirazione assoluta per chiunque si sforzasse di dire e vivere la propria verità senza compromessi.

Nata nella seconda metà degli anni Sessanta in una famiglia ultracattolica irlandese, ha vissuto una infanzia tormentata a causa delle violenze fisiche e psicologiche ricevute dalla madre, che per punirla la lasciava di notte in giardino, impedendole di rientrare a casa, trauma infantile che racconta nella struggente Troy, dell’ album “The Lion and the Cobra” del 1987.
Cresciuta in una nazione in cui tutto quello che rappresentava peccato era considerato fuori legge, anche grazie alla grossa influenza esercitata dalla Chiesa cattolica nella vita politica di quel periodo, ha vissuto in prima persona all’età di 14 anni, il dramma delle “Magdalene Laundries”, gli istituti gestiti da suore per conto della stessa Chiesa, che ospitavano giovani ragazze etichettate come “problematiche”, a causa della loro condotta considerata peccaminosa o in contrasto con i pregiudizi della società benpensante. Molte delle ragazze che lavoravano nelle lavanderie erano giovani madri che venivano separate dai loro bambini, a loro volta affidati ad altri istituti chiamati “Mother and Baby Homes”, strutture inadatte a ospitare neonati con un altissimo tasso di mortalità infantile.
La più famosa, scoperta solamente nel 2014, è la “Bon Secours Mother and Baby Home” a Tuam, nella contea di Galway, dove la storica irlandese Catherine Corless ha ritrovato quasi ottocento resti di bambini, in cui si rilevava che le cause di morte più comunemente registrate erano debilitazioni congenite, malattie infettive e malnutrizione. Il tutto sotto gli occhi del governo irlandese che, pur avendo riconosciuto che le donne in questi istituti erano state vittime di abusi, ha sempre resistito alle richieste di indagine e alle proposte di risarcimento, sostenendo che le lavanderie erano gestite privatamente.
Affermazioni del tutto in contrasto con le evidenti prove che confermano che i tribunali irlandesi inviavano regolarmente donne condannate per piccoli reati alle lavanderie, come nel caso di Sinéad.
Nel 1992 la O’Connor suscitò indignazione quando strappò una foto del Papa durante la sua esibizione al Saturday Night Live.

Il gesto, volto a criticare la Chiesa cattolica per le coperture sugli abusi di minori, ha modificato radicalmente la sua carriera da pop-star, ruolo che pero ha sempre rifiutato:
"Non sono una pop star. Sono solo un'anima travagliata che ha bisogno di urlare nei microfoni di tanto in tanto.
" Sinéad O’Connor era innanzitutto una cantante di protesta, icona femminista e attivista nazionale in quelli che sono stati i cambiamenti sociali più grandi dell’ultimo decennio in Irlanda, quali i referendum per l’abrogazione degli articoli costituzionali contro l’aborto (2018) e il matrimonio tra persone dello stesso sesso (2015) che insieme alla denuncia degli orrori delle Lavanderie Magdalene hanno segnato la diminuzione dell’indice di gradimento della Chiesa cattolica a favore della maggiore emancipazione delle donne. Per questo forse il legame che è riuscita ad instaurare con il suo paese e in particolare con le nuove generazioni è enorme.

Non è facile conquistare l’amore degli Irlandesi, vista la scarsa venerazione che nutrono per le celebrità locali.
E se artisti del calibro di Luke Kelly dei The Dubliners o Shane McGowan dei The Pogues rimarranno per sempre i figli prediletti di un paese che trova nella tradizione musicale un attaccamento viscerale e patriottistico non certo facile da eguagliare, lo stesso trattamento non è di certo riservato a tutti.

Ne sa qualcosa Bono Vox, leader degli U2, che nel corso della sua carriera ha trovato tanti detrattori quanti sostenitori in patria.
Un po’ per una vecchia storia relativa alle tasse e un po’ per la sua costante presenza a lato di personaggi ingombranti, Tony Blair and George W. Bush in primis, questioni che hanno generato un aura d’ipocrisia del tutto in contrasto con la sua nota figura di benefattore e filantropo.
Inutile dire che la sua nomina a Cavaliere dell’Impero Britannico nel 2007 non abbia esattamente giocato a suo favore, facendo rimanere accigliati anche i più convinti Repubblicani dell’isola.
Ma forse il problema più grande che si porta dietro Bono è quell’immagine di vincente, di colui che “ce l’ha fatta”.
Sembra quasi che gli irlandesi provino una particolare affezione o instaurino un legame più profondo con quei personaggi che in qualche modo hanno sulla loro pelle quel tipo di sofferenza simile a quella che il popolo irlandese si trascina da secoli, tra carestie, immigrazioni forzate e invasioni da parte di vicini “difficili”.

Ne è un altro esempio eclatante Christy Dignam, cantante degli Aslan deceduto lo scorso giugno dopo una lunga battaglia contro il cancro.
Una vita sofferta e fatta di battaglie, tra abusi sessuali ricevuti da bambino, tossicodipendenza, un incidente aereo e la malattia finale, momenti bui e drammatici che non hanno pero mai intaccato la sua ironia e scanzonatezza, incarnando la dolcezza necessaria per affrontare una vita ostile e difficile. Esattamente come Sinéad.
Il documentario Nothing Compares uscito nel 2022 ripercorre passo per passo i drammi e i successi della vita di Sinéad O’Connor, dagli inizi nella band Tua Nua, fino all’esilio dal “mainstream”.

“They tried to bury me but they didn’t realise I was a seed”. (Hanno provato a seppellirmi ma non si sono accorti che ero un seme), dice Sinéad in una delle intime interviste con la regista nord irlandese Kathryn Ferguson, già nota per una serie di cortometraggi incentrati su temi sociali come la politica di genere.
E quel seme, che a qualcuno piaccia o meno, ha dato dei frutti. L’ Irlanda vive infatti un momento di vero splendore artistico e generosità creativa per quando riguarda la musica di “protesta”, che deriva dai gravi problemi socioeconomici che il paese sta attraversando. E se da un lato l’isola trascorre un periodo di gran lunga migliore di quello del secolo passato, è anche vero che problemi come l’aumento esponenziale dei senzatetto, a causa della crisi immobiliare e la mancanza di una vera alternativa per i giovani, sono temi all’ordine del giorno.

L’Irlanda ha una delle peggiori scale di distribuzione del reddito tra tutti i paesi dell'UE ed è uno dei paesi con il più alto tasso di malattie mentali in Europa.

A questo va aggiunta una sempre crescente crisi abitativa che ha lasciato un numero record di persone senzatetto o in alloggi di emergenza, mentre i prezzi degli affitti sono a un massimo storico.

E come spesso succede, quando le cose vanno male, la musica diventa per molte persone una fonte essenziale di catarsi.
Tra le band più interessanti del panorama musicaIe irlandese, ci sono sicuramente i Fontaines D.C., band post-punk di Dublino che nel loro album del 2022 Skinty Fia, hanno incluso la bellissima e politicizzatissima “ I Love You”, lettera d’amore all’Irlanda e feroce attacco a stato e chiesa per la gestione del paese.
Chiari riferimenti alle Mother and Baby Homes, all’incremento del tasso di suicidio maschile e accuse chiare e dirette a Fine Gael e Fianna Fáil, i due partiti conservatori di centro destra che governano la Repubblica d’Irlanda praticamente dalla sua nascita e principali responsabili dell’attuale crisi socioeconomica di cui il paese soffre nell’ultimo decennio.

E poi la nuova “Irish Trad Wave”, l’ondata di nuovi artisti che sta facendo risorgere il folk tradizionale irlandese, accompagnando questa rinascita culturale con un innato senso di orgoglio e fiducia nella loro identità nazionale.
Tra di loro i Lankum, una della più dotate formazioni del momento. La loro Drone Music composta da melodie intese ed oscure, create con il sapiente uso di strumenti tradizionali come uilleann pipes, concertina e bayan, mischiati ad organi elettrici e mellotron, creano atmosfere densissime, in cui si infila come un raggio di luce la voce della cantante Radie Peat. Le liriche, spesso incentrate su temi sociali, sottolineano ancora una volta lo straordinario potere sovversivo della musica folk irlandese.
Il loro nuovo album False Lankum, uscito quest’anno, è addirittura candidato ai Mercury Prize.

E poi Lisa O'Neill, cantautrice di folk tradizione originaria della contea di Cavan, che in passato aveva dedicato una canzone a Violet Gibson, la donna irlandese che tentò di assassinare Benito Mussolini, il 7 aprile 1926 a Roma.
Una sorta di eroina culturale che ha saputo costruirsi un' immagine di artista moderna ma attingendo dall’antico, con un cantato crudo e lamentoso, lontano anni luce dai ritmi edificanti della stereotipata musica da festa irlandese, ma che penetra e affascina.
Artisti sempre in prima linea nelle campagne come quelle a favore della legalizzazione dell'aborto e del matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’accoglienza degli immigrati e il sostegno alle persona senza fissa dimora.

I Mary Wallopers, gruppo folk irlandese contemporaneo, con sede a Dundalk, composto dai fratelli Charles e Andrew Hendy e Sean McKenna, dicono che la loro più grande influenza tematica derivi da una sorta di reazione alla povertà in aumento nel paese. Non sorprende che i fratelli Hendy si esibiscano anche come TPM, un duo rap comico esplicitamente politico, che come i Mary Wallopers, si definiscono un gruppo anti capitalista e nei testi fanno esplicito riferimento a temi come quello del sussidio di disoccupazione e l’assistenza sociale, dimostrando il potenziale di entrambi i generi nell’offrire uno spazio per l’espressione della classe operaia irlandese contemporanea.

Ma anche musica dura e diretta, come quella del punk spoken-word di Meryl Streek, in pieno stile Sleaford Mods e Billy Nomates.
Il suo album 796, chiaro riferimento al numero esatto di corpi di bambini ritrovati nella tomba delle Mother and Baby Home di Tuam, è un feroce e viscerale attacco alle malefatte della Chiesa cattolica e del governo, tra lavanderie Magdalene, abusi sessuali, crisi del costo della vita e aumento delle percentuali di suicidi.
Dodici tracce prodotte sapientemente in cui la bruciante energia punk si mischia a samples, sprazzi di elettronica e testi feroci , in cui è accompagnato vocalmente da Molly Vulpyne della punk band di Dublino, Vulpynes, che brandiscono la frustrazione di vivere sulla scia di insabbiamenti e profondi traumi intergenerazionali. Che quando riascolti “I Love You” dei Fontaines DC ti sembra il coro dell’Antoniano.

Non sorprende che John Lydon, AKA Johnny Rotten , lo abbia scelto per aprire il tour autunnale in Inghilterra dei sui P.I.L.
E ancora, i Kneecap, trio hip hop di Belfast che canta prevalentemente in Gaelico, con liriche satiriche e taglienti che fanno spesso riferimento al loro sostegno al repubblicanesimo. Per rimarcare, se ce ne fosse ancora il bisogno, come la Brexit non abbia certo migliorato il già travagliato rapporto tra l’isola di smeraldo e la perfida Albione.

Insomma tanta rabbia giovanile unita al concetto del “siamo più noi che loro,” che si trasforma in musica dando voce alla nuova generazione dell’ arrabbiata Irlanda. Come se fosse stata abbattuta una porta e ora tutti stessero entrando. Perché come diceva il cantante tradizionale irlandese Frank Harte:
“Those in power write the history, while those who suffer write the songs, and, given our history, we have an awful lot of songs”.
“Chi è al potere scrive la storia, mentre chi soffre scrive le canzoni, e, data la nostra storia, abbiamo un sacco di canzoni”.

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