domenica, novembre 30, 2014

Davide Sapienza - Camminando



L'arte antica, primordiale ma altrettanto moderna e futuristica del CAMMINARE.
In lande lontane, ai confini con il mondo, tra vette silenti ma anche dietro casa o addirittura (capitolo bellissimo e sorprendente) da un capo all'altro di Milano.
Scoprire il respiro del mondo, il battito dell'universo.
Camminare per mettersi in viaggio verso .... verso luoghi che possiamo scoprire solo noi, uno diverso per ognuno di noi, per la sensibilità personale di me, di te, di voi.
Gran bel libro questo di Davide per chi sa camminare.
Per chi ha deciso di mettersi in viaggio.
Per chi è invece ancora indeciso un buon incentivo per caricarsi in spalla le proprie cose e compiere il primo passo.

sabato, novembre 29, 2014

Linda Sutti - Wild skies


Foto di Gibson Girl Photography.



Linda Sutti ha alle spalle una signora carriera fatta di concerti, album (già due) e una “pericolosa” frequentazione con la musica del diavolo, il blues, da sempre al suo fianco fin dagli esordi con i Blues Trigger.
E di blues ce n’è tanto anche in questa prima esperienza ad alto livello, con la tedesca Cable Car Records. Ma è un blues perfettamente amalgamato con la classe e la raffinatezza di arrangiamenti superbi curati da Heinrik Freischlader, “anima gemella” artistica in “Wild skies” e di uno spessore compositivo che va ben al di là della classica concezione che si ha del genere.
Siamo dalla parti di Suzanne Vega, Norah Jones, Fiona Apple, Rickie Lee Jones, Michelle Shocked, Ani Di Franco ma con un piglio personale, una voce forte e sicura (e un inglese impeccabile !) e influenze che si addentrano in pop, nel 70s’ folk (“For the thrill”), rock, blues rock (l’impetuosa, cattiva, “Down on the road”), perfino reggae nell’introduttiva, splendida “Hurry”.
Un gioiello di album, prezioso, luccicante da tenere tra le cose migliori del 2014.

Per trovare visibilità hai dovuto emigrare in Germania con la tua musica.
E’ così difficile fare musica in Italia ? E quali differenze hai trovato forte del tuo recente tour in Francia e Germania ?


Per amore di esattezza, non sono dovuta emigrare, bensì ho avuto la fortuna che qualcuno temporaneamente mi venisse a prendere!
E che quel qualcuno fosse Henrik Freischlader, produttore e proprietario della Cable Car Records, un’etichetta che lavora ancora nello stile delle label americane degli anni ’50. L’artista, la sua natura artistica e personale, sono al centro della produzione, e tutto viene fatto perché ci siano le condizioni adatte all’artista per esprimersi al meglio in fase di registrazione. Sono sicura che etichette con questo spirito esistano anche in Italia. Fare musica è difficile ovunque oggigiorno, dal mio punto di vista. In giro ci sono tantissimi musicisti, alcuni dei quali sono davvero eccezionali, è difficile distinguersi.
Credo che il modo migliore per farlo sia puntare sull’onestà del lavoro, sull’amore e la dedizione totale per quello che si fa, semplicemente.
Non ho gli elementi necessari per parlare delle differenze tra Germania e Italia in fase di produzione perché il mio album precedente (“Winter in my Room”) è stato realizzato in condizioni speciali, molto diverse, molto più “familiari”, se vogliamo. Anche per quanto riguarda la dimensione live non riesco a trovare delle differenze a livello “nazionale”, ma penso che siano legate ai tipi di locali in cui ho suonato durante il supporting tour a Freischlader, club storici e venue molto più grandi rispetto ai piccoli pub a cui ero abituata, posti dove la gente va principalmente per ascoltare musica.
E’ normale, in quelle condizioni, trovare un pubblico più attento. Generalmente però, all’estero trovo un maggiore interesse per la musica come espressione artistica, le persone sembrano avere una maggiore consapevolezza di quello che ascoltano e di quello che vogliono ascoltare.

C’è uno stupendo lavoro di arrangiamento e di estrema cura in “Wild skies”.
I brani sono nati chitarra acustica e voce e sono stati poi “vestiti” dal tuo produttore Henrik Freischlader o avevi già in origine chiaro in mente il risultato finale ?


I brani che io ed Henrik ci siamo scambiati durante tutto l’anno che sta per chiudersi erano “in pigiama”: appena appena svegli, solo chitarra acustica e voce. Henrik ha scelto i vestiti giusti perché uscissero dalla mia cameretta, ma tenendo sempre in considerazione i colori, i tagli e le stoffe in cui mi sento più a mio agio.
Affidarsi alla sua sensibilità è stato naturale per me fin da subito.
L’apporto di Martin Meinschaefer, poi, è stato preziosissimo. L’intesa che si è creata in studio ci ha permesso di lavorare con naturalezza nel momento, sviluppando o cassando quelle idee che i primi demo delle canzoni ci avevano suggerito.

Tu nasci con il blues, quello più puro e classico.
Che ritroviamo in abbondanza anche in “Wild skies” ma in forma più diluita e spalmata tra tante altre influenze.
E’ una scelta ?


No, è lo specchio della evoluzione che il mio modo di scrivere ha avuto dai Blues Trigger in poi. Per la band scrivevo principalmente dei blues, ma ogni tanto qualche canzone era decisamente troppo folk o troppo pop, così la tenevo in disparte. Qualche tempo dopo, quando il loro numero è aumentato e la band si è sciolta, le ho riunite ed è nato “Winter in my Room”.
“Wild Skies” riprende alcuni brani di quell’album e propone alcuni di quelli più o meno recenti che facevano capolino dai miei quaderni.

Essere cresciuta, anche artisticamente, in una città di provincia credi abbia influenzato la tua scrittura ? E che in qualche modo il nostro Po abbia fatto le veci del Mississippi nel rivolgersi al blues ?

Credo che, più che il Po – che rimane un elemento imprescindibile nell’immaginario degli artisti emiliani – sia stata la scena musicale piacentina a influenzarmi, ma non tanto nella scrittura, quanto nel modo di vivere la musica, ovvero un elemento che non può mancare nella quotidianità, soprattutto come ascoltatrice.
Nonostante molto spesso (forse troppo spesso) ci si lamenti dell’offerta culturale locale, trovo che Piacenza e i suoi musicisti (sono davvero tanti e davvero molto validi, nella loro speciale eterogeneità) mi abbiano fatta sentire a mio agio in una piccola comunità che, più di condividere una passione, creava e crea novità, si mette in gioco, è curiosa di “vedere chi suona stasera”.
Credo che non sia facile trovare questo spirito in una città di provincia, per questo mi considero molto fortunata di essere nata e cresciuta a Piacenza.

Secondo te un linguaggio “arcaico”, antico, come il blues è ancora attuale ?

Assolutamente sì.
Anche al di là del mio gusto personale, trovo che esistano poche espressioni musicali così potenti come la progressione armonica più semplice di un blues e una sillaba appena mormorata sopra.
Non so spiegare come, per me è uno dei più grandi misteri, come facciano quei pochi elementi a dare voce in modo così preciso e allo stesso tempo universale alle molte sfumature dei sentimenti umani, sia che provengano dalla gioia più pura, che dalla estrema disperazione. Questa potenza essenziale si può sentire ora come nel blues delle origini.

Con la (propria) musica un artista italiano ci può campare?

Sì. Io nella domanda utilizzerei senza esitazioni il verbo “vivere” al posto di “campare”. Un artista – di qualsiasi nazionalità – se esprime la sua arte con onestà e ha scelto con consapevolezza di farne la fonte principale dei suoi guadagni, può dire con orgoglio di “vivere”, perché nella professione della propria arte egli ha riconosciuto se stesso e il proprio posto nel mondo. Questo per me vale per qualsiasi professione scelta nonostante le difficoltà che essa comporta, soprattutto economiche, e non solo per i musicisti o gli artisti in generale. Nessuno dovrebbe, volendo “vivere”, lasciarsi “campare”.
Quindi, se posso permettermi di riformulare la domanda, può un artista riuscire a guadagnare il minimo indispensabile per vivere una vita dignitosa? Sì, alcuni li ho conosciuti di persona; servono coraggio, determinazione, spirito di adattamento, impegno, volontà, abnegazione, in qualsiasi parte del mondo.

Pensi che come ormai da tempo continuamente pronosticato il supporto fisico (CD, vinile etc) per l'ascolto sia destinato ad essere sostituito dalla musica "liquida" (file, mp3 etc) ?

La fruizione di un mp3, è banale dirlo, è diversa da quella di un vinile, è l’esperienza che la circonda, “il rituale”, ad essere profondamente differente, non c’è nemmeno bisogno di fare esempi.
Pensando a quanto il marketing sia orientato alla vendita dell’”esperienza” di ciò che viene venduto più di ciò che viene venduto, mi sento positiva: i vari formati conviveranno ancora per molto tempo, fino a quando l’ultimo uomo sulla Terra non avrà dimenticato completamente come si fa a mettere un disco su un piatto, a posizionare il braccio e a far scendere la puntina.

La band ideale con cui ti piacerebbe suonare (valgono anche i defunti…)

Ian Paice o Steve Copeland alla batteria, Ares Tavolazzi o Henrik Freischlader al basso, Rhoda Scott alle tastiere ed Henrik Freischlader alla chitarra elettrica.

L'inevitabile lista di dischi da portare sull'isola deserta

Ne ho tre, sono troppi? “Tapestry”, Carole King; “Harvest”, Neil Young, “West Side Soul”, Magic Sam. Ma solo con il primo sarei contenta.

venerdì, novembre 28, 2014

Novembre 2014. Il meglio



Manca un mese alla fine del 2014 i nomi che finiranno nella top 10 di fine anno:
Damon Albarn, Sleaford Mods, Sharon Jones and the Dap Kings, Temples, Robert Plant, Ty Segall, Benjamin Booker, The ghost of a saber tooth tiger, Bob Mould, Jack White, Lisa and the Lips, Pete Molinari, St.Paul & the Broken Bones, Hypnotic Eye, Quilt, Nick Pride and the Pimptones, Real Estate, Kelis, Stiff Little Fingers, Ian Mc Lagan, The #1S, Ty Segall, John Steel Singers, Sean Rowe, Goat, Leonard Cohen, Wanton Bishops, Marianne Faithfull, Macy Gray, Acid Baby Jesus.

Tra gli italiani Eugenio Finardi, Edda, Bologna Violenta, Steeplejack, Gli Illuminati, Bastard Sons of Dioniso, No Strange, Jane J’s Clan, Link Quartet, Nada, Monkey Weather, Plastic man, Guignol, Mads, Sick Rose, Paolo Negri, Avvoltoi, A toys Orchestra, News for Lulu, Paolo Conte, Cleopatras, Hikobusha


ASCOLTATO

GLI AVVOLTOI - Amagama
Trent’anni di storia attraverso i meandri del beat italiano (primissimi a riscoprirlo) ma non solo. La band di Moreno Spirogi ha esplorato più volte altre stanze musicali spingendosi anche nel cantautorato più colto, toccando addirittura certe forme di prog.
Sempre con una forte vena ironica e sarcastica a condire il tutto.
Il nuovo “Amalgama” sintetizza al meglio tutte le varie incarnazioni della band tenendo ben salde le radici nel beat italiano ma citando i Rolling Stones più psichedelici (“Come puoi”) o addirittura i Clash di “London calling” che fanno capolino in “Solo un nome”. Ma c’è anche il garage beat in “Storia di una notte” e “Federica”, atmosfere che furono care ai primi gruppi psych prog nei primi 70’s (vedi “Uomini fantastici” e “Isabel”), il blues in “Eh eh ah ah”.
Un album caleidoscopico, delizioso, divertente, che continua a testimoniare quanto sia importante un gruppo come gli Avvoltoi in Italia.

LAST INTERNATIONALE - We will reign
New yorkesi, prodotti da Tom Morello dei Rage Against the Machine e con l’e RATM Brad Wilk alla batteria, impegnati politicamente e autori di un sound potente tra blues, rock duro, tracce gospel soul alla Bellrays e folk americano condito dalla bellissima voce di Delila Paz, in bilico tra Joan Baez, Chrissie Hynde e Grace Slick.
Band molto interessante da ascoltare attentamente.

THE PAPERHEAD - Africa avenue
E’ probabile che siano in molti ad amare gli Who di “Sell out” o i primi album dei Pink Floyd, gli Stones di “Their satanic” e i Beatles di ”Magical mistery tour”. I new yorkesi Paperhead viaggiano proprio da quelle parti, in modo fedele agli originali e particolarmente convincente.
Molto gradevoli, interessanti e freschi (e non è un ossimoro).

JAMES WILLIAMSON - Re-Licked
Il buon James ha radunato scampoli di STOOGES (da Mike Watt a Steve McKay ma senza IGGY) e una serie di ospiti cantanti per una riedizione di una serie di vecchi brani della band.
Il risultato non è malaccio e con voci come quella di JELLO BIAFRA, LISA KEKAULA, MARK LANEGAN, ROB YOUNG, BOBBY GILLESPIE ,tra gli altri, salta fuori un album molto piacevole da ascoltare.

ACID BABY JESUS - Selected recordings
Quartetto greco, di Atene, alle prese con una psichedelia acidissima, super lisergica, liquida. A tratti ricordano Jesus and Mary Chain in chiave profondamente 60’s altre volte siamo in territorio primi Pink Floyd più sperimentali ma con un approccio quasi Crampsiano.
Originali ed estremi !

GONG - I see you
Guidati come sempre da David Allen, i Gong continuano senza timore la loro ormai quarantennale carriera. Personalmente li ho amati tantissimo fino alla svolta jazz rock fusion e ritorno ad abbracciare la causa Gong con questo sorprendente nuovo lavoro, a base delle consuete lucide bizzarrie, un potente jazz rock, inventiva a profusione e grandi momenti di pura psichedelia.

PINK FLOYD - Endless river
Non è che puoi dire che sia un brutto album.
Ci hanno messo tutto quello che di Pink Floyd ti aspetti da un album dei Pink Floyd, pur dovendo sfruttare gli scarti di un lavoro già debolissimo come "Division bell".
E' però un'operazione inutile, moscia, che non ha alcun senso e che scomparirà (giustamente) presto nel dimenticatoio.
Potevano anche avanzare.....(come si dice dalle mie parti).

BUZZCOCKS - The way
Lavoro dignitoso, più cupo del solito, meno gioioso del consueto pop punk con cui li conosciamo ma si fa ascoltare con grande piacere, ha energia e buone canzoni e fa il giusto paio con il ritorno degli STIFF LITTLE FINGERS con l'ottimo "No going back".

FOO FIGHTERS - Sonic highways
Grohl e soci parlavano di un viaggio nella cultura musicale americana.
Mi aspettavo un album roots con blues, soul e quant’altro. Niente invece di diverso dal solito ultra rock a cui ci hanno abituati. Qualche buon momento qua e là ma disco assolutamente trascurabile. Peccato.

BLOODHOUNDS - Let loose
Arrivano da L.A. e suonano come i primi Stones, quelli rozzi e ruvidi, malati di blues e rhythm and blues. Un album davvero genuino, sincero, diretto, a tratti macchiato da un goccio di sano garage punk.

BUDOS BAND - Burnt offering
Quarto album e ancora un ottimo lavoro a base di afro funk soul strumentale, con pennellate ethio jazz e numerose escursioni anche nel rock, talvolta tinto di psichedelico.

BAKER BROTHERS - Hear no devil
Questo è puro e semplice funk soul suonato alla grandissima con il groove necessario e grandi songs. Godibilissimo.

FEDERICO FIUMANI - Un ricordo che vale 10 lire
Fiumani si dedica per la prima volta ad un album interamente composto da cover, italiane nello specifico e provenienti dall’immenso panorama cantautorale nostrano.
La scelta è accurata e molto particolare anche se i nomi sono altisonanti, da Tenco a De Gregori a Dalla, Conte, Bennato. Ma ci sono anche Giuni Russo, Renzo Zenobi (con tanto di ironico omaggio con la R pronunciata come nell’originale) e Claudio Lolli.
Gli arrangiamenti sono scarni, prevalentemente (semi) acustici, l’approccio è rispettoso e riverente, non ci sono particolari stravolgimenti e la voce di Federico bene si accoppia con le scelte.

HIKOBUSHA - Disordini
Giunge al terzo album l'ambizioso progetto degli HIKOBUSHA. Il quartetto, alle soglie di una carriera decennale, riesce nell'ardito obiettivo di coniugare la poetica teatrale di un personaggio come Giorgio Gaber (citato tra le principali fonti di ispirazione) con lo sguardo avanguardista di nomi come Tom Waits, Nick Cave (non a caso nell'album è ospite l'ex Bad Seeds Hugo Race), Mark Lanegan e sonorità che alternano un approccio "rock" con sguardi all'elettronica e al trip hop. In mezzo frammenti parlati in loop ad accompagnare brani avvolgenti che rimandano alla new wave italiana dei prima Litfiba e dei Neon o ai Depeche Mode e Subsonica.
Un lavoro estremamente originale, una gamma di stili ampia, un respiro internazionale grazie anche ad una produzione raffinata, curata e piena di stile.

JOYELLO - “beat.”
Progetto solista di Joyello Triolo (Peluqueria Hernandez, già nelle Madri della Psicanalisi) tra elettronica e sperimentazione che si riassume bene nelle parole dello stesso Joyello “ho inviato ad alcuni amici musicisti un campione ritmico tra quelli che quotidianamente scandiscono le nostre vite (treno, goccia d'acqua, orologio, cuore eccetera...) e li ho lasciati liberi di farne ciò che volevano, senza vincoli, per poi rispedirmelo. Su queste “basi” ho trovato l’ispirazione per realizzare undici brani che, in più di un’occasione, sono risultati molto diversi da ciò che immaginavo in partenza”.
In mezzo campionamenti irriverenti e/o sorprendenti (da Jack Kerouac a pubblicità dei 60’s, estratti dai telefilm “e.r. medici in prima linea” e “grey’s anathomy”, Bob Dylan, Domenico Modugno e tanto altro) e un sound esplicitamente elettro dance o più semplicemente elettronico tra anni ’80, certi Kraftewerk algidi e aperture più attuali.
Un progetto bizzarro, particolare, sicuramente personalissimo, a cui dare assolutamente un ascolto.

CRUEL EXPERIENCE - Save the nature kill yourself
Il trio di Lucca all’esordio con un doppio EP si tuffa nelle torride sonorità che viaggiano pericolosamente a cavallo tra proto grunge (quello più acido e torrido dei primi Mudhoney di “Touch me I’m sick” e dei Nirvana di “Bleach”), hardcore punk californiano primi anni 80 (i Circle Jerks di “Group sex”, i primissimi Black Flag o addirittura ancora prima i Dickies), non disdegnando accenni più classici (Ramones e Social Distortion). Al di là dei riferimenti più o meno espliciti, un lavoro interessantissimo, genuino, suonato con attitudine e con il giusto “tiro”.

AA.VV – Sly's Stone Flower – I'm just like you
Reduce dal successo di Woodstock, da una serie di esplosivi singoli e da quattro album che infuocarono charts e platee con un travolgente mix di soul, psichedelia, rock, funk, nel 1970 Sly Stone si dedicò alla creazione di un nuovo sound che porterà a quel capolavoro seminale e innovativo che fu There’s a riot goin’ on del 1971.
Fonda l’etichetta Stone Flower, sceglie tre nuovi nomi della scena black, li produce, compone, arrangia ma soprattutto sperimenta, attingendo da nuove tecnologie (la prima batteria elettronica) e da una creatività in costante espansione.
L’etichetta durerà il tempo di 4 singoli (due delle Little Sister, uno di Joe Hicks, uno dei 6IX), ma getterà le basi per il nuovo corso di Sly and the Family Stone, aprendo strade inaspettate per la black music. I’m just like you raccoglie quei singoli, alcune outtakes e soprattutto quattro inediti di Sly in cui ritmi funk si intersecano con minimali tracce di batteria elettronica alternandosi a colorati e caldissimi brani soul.
Un prezioso compendio ad una carriera folgorante, spentasi poco tempo dopo in un abisso di eccessi.

THE FIRE - Bittersweet EP
La creatura di Olly Riva non è andata in pensione nonostante il concomitante progetto soul con i SoulRockets. E quindi accogliamo con la massima gioia questo nuovo EP che, per precisa scelta della band, raccoglie quelle che una volta sarebbero state le Bsides dei 45 giri. Non scarti ma quei brani “anomali” che difficilmente avrebbero trovato posto su un album. Materiale comunque di primissima qualità, a partire dalla riuscitissime covers di “Roxanne” dei Police, “Dr Rock” dei Motorhead e la semiacustica versione “Train in vain” dei Clash. Sontuosi gli altri tre brani autografi tra rock pompatissimo dalle inflessioni hard punk pop rock e una ballata minimale alla Guns n Roses .

DANIELE GUERINI - Il senso delle cose
Da Torino un’immersione completa nel brit pop più classico, quello di cui Oasis e Paul Weller prima, Noel Gallagher, Beady Eye poi sono stati  e continuano a rimanere i maestri incontrastati. Le dieci canzoni de “Il senso delle cose” partono da quelle precise coordinate ma non disdegnano di spaziare con personalità anche nel pop italiano più evoluto e personale (Cesare Cremonini in primis).
 L’album è particolarmente curato, i brani ottimamente arrangiati, con cura pur nella loro essenzialità, le composizioni di alta qualità.

ASCOLTATO ANCHE
TONY ALLEN (ottimo album di moderno afro funk con classe, stile, immenso groove), DAMIEN RICE (incensato ovunque per me noiosissimo), HOOKWORMS (un po’ wave, un po’ psych, un po’ Sonici ma trascurabili), DAWN PEMBERTON (raffinato soul jazz funk dal Canada. Elegante ma anche asettico), MAGIC CASTLES (americani, psichedelia liquida e fluente ma anche poco originale), CAVEAU (Da Pesaro tra il pop punk dei Prozac+ eSiouxsie and the Banshees. Interessante) ROYAL BLOOD (Metti insieme Black Keys, Nirvana, Queens of the Stone Age, un po' di Jack White e qualche altra bestiata bella ruvida e deragliante), EVA’S MILK ( grunge ed echi psichedelici di sapore 60’s, pop, Pixies, anche se la principale fonte di ispirazione sembra arrivare dai nostrani Verdena), FAST ANIMALS AND SLOW KIDS (emo-core alla Fine Before You Came ma non disdegna influenze apparentemente lontane come possono essere i nomi di Cure o Husker Du) HANNI EL KHATIB ( nel terzo album abbandona certe suggestioni 60's per abbracciare sonorità più "Tarantino" e hard bluesy ."Moonlight" è un discreto disco), SCRAPPY TAPES (dall’Olanda ottimo gruppo new blues, classico duo di sapore White Stripes/Black Keys ma molto più roots), 3 FINGERS GUITAR (concept album tra Primus e i King Crimson di “Discipline” tanto quanto Massimo Volume, post rock e soluzioni più cantautorali) LA MENTE (coordinate tra il Battiato post “Cinghiale bianco” ma con un occhio su sonorità che spaziano dal folk ai Cure), BLIND SHAKE (garage crampsiano, prevedibile), NOTS (garage e space punk...mah)

LETTO

ELISA RUSSO - Uomini
“Uomini” è un fantastico libro scritto splendidamente da Elisa Russo che raccoglie le diretta testimonianze di un’epoca unica e irripetibile, infuocata e travolgente come quella che si visse a Milano e dintorni negli anni 90. In primo piano la storia dei Ritmo Tribale, tra le band più rappresentative del periodo e le successive incarnazioni in No Guru e nell’esperienza solista di Edda ma sullo sfondo corre, quasi protagonista una storia che pulsa dei racconti di personaggi come Manuel Agnelli, Morgan, il Leocavallo e il Jungle Studio, la scena indie che esce dalle cantine, approda alle major e ne viene divorata, digerita e abbandonata a pezzi.
Il racconto è spesso estremamente spietato, non ci sono reticenze, mezze parole o malcelati sotto intesi. L’ascesa e la rovinosa caduta della band (e di alcuni suoi componenti) è tutta in queste pagine, crude e dirette come lo era il sound dei Ritmo Tribale. Uno scritto basilare ed essenziale per chi ha vissuto quei tempi allo stesso modo per chi non c’era e vuole conoscere una realtà di tanti anni fa ma che continua a pulsare in queste righe.

COSE & SUONI
Lilith and the Sinnersaints
Autunno e inverno in studio di registrazione per il nuovo album che uscirà a marzo 2015 e sarà accompagnato da un nutrito numero di date.
Stay in touch.

www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE
Esce a metà febbraio il mio libro su Paul Weller, “Paul Weller, L'uomo cangiante, The Modfather” per VoloLibero .
Seguirà una serie di presentazioni, alcune delle quali in coppia con Alex Loggia degli Statuto alla chitarra ad eseguire brani di Paul e non solo.

giovedì, novembre 27, 2014

Get back. Dischi da (ri)scoprire



Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.

Le altre riscoperte sono qui
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

LUCIO DALLA - 1999
L’esordio di Lucio Dalla del 1966, accompagnato dagli Idoli, con 14 brani (di cui alcuni già pubblicati in 45 giri).
Fu il suo unico album dei 60’s, un fiasco totale da un punto commerciale, tanto che per quattro anni si terrà lontano dal vinile di lunga durata. Dalla si destreggia tra rhythm and blues, blues, beat senza troppa lucidità ma il risultato è comunque interessante e spesso riuscito e coinvolgente e con la sua voce già perfettamente riconoscibile e personalissima.
Dopo la brevissima “Intro” (una “I feel good” accelerata su nastro), lo splendido psych beat “Quando ero soldato” e la “Careless love” che fu già di Ray Charles, ottimo jazz blues, bene interpretato in una versione piuttosto credibile. Grande performance degli Idoli nella versione di “I got you” di James Brown, un po’ meno quella di Lucio con gorgheggi fuori luoghi e un inglese perlomeno “incerto”. Carini il gospel blues “L’ora di piangere” ovvero “Rememebr (walking tin the sand)” delle Shangri Las e il rhythm and blues di “LSD” dalle vaghe influenze jazz e psych. Ancora James Brown con la versione “It’s man man’s world” (“Mondo di uomini”) non particolarmente riuscita e un paio di anonimi episodi come “1999” e “Tutto il male del mondo” per arrivare ad una delle prime hit della sua carriera, il famoso rhythm and blues “Paff Bum” (dall’incedere ritmico non lontano da “Get off my cloud” degli Stones) che nel 1966 presentò a SanRemo in coppia con gli Yardbirds. Bella anche “Le cose che vuoi”, sempre in odore di rhythm and blues.

DENNY LAINE - Holly days
DENNY LAINE - Japanese tears

Denny Laine è stato membro di Moody Blues e Wings, ha collaborato a vari album solo di Paul McCartney e anche con Ginger Baker.
Meno fortunata la carriera solista, rimasta nel dimenticatoio.
Da cui è invece interessante estrapolare due album in cui risalta la presenza di Paul McCartney (e Linda). Holly days, del 1977, è una raccolta di brani di Buddy Holly (del cui repertorio Paul aveva acquisito i diritti editoriali, subito messi a frutto...) in cui a suonare sono i soli Denny (voce, chitarra e tastiere), Paul (tutto il resto) , Linda (tastiere e cori).
Il risultato è prevedibilmente modesto, soprattutto considerati gli arrangiamenti modernizzati e talvolta “sintetici” di brani che rilucevano originariamente per la loro immediatezza, freschezza cristallina e spontaneità.
Japanese tears del 1980 esce invece in concomitanza con la fine dell’esperienza Wings ed è una raccolta di brani registrati e composti durante gli anni precedenti in un paio dei quali appare la band al completo Paul e Linda inclusi (vedi il country pop di Send me the heart, registrato a Nashville). Denny ripesca anche il classico del 1965 dei Moody Blues Go now , dedica la title track all’arresto di Paul in Giappone per possesso di marjuana, scimmiotta Got to get to into my life dei Beatles in Say you don’t mind con un’imbarazzante dose di synth.

CARPETTES - Frustration paradise
Già in attività dal 1974, soliti cambi di formazione (nella band transitò anche Simon Smith dei Merton Parkas e poi Mood Six), approdarono all’esordio nel 1979 con un sound che fu facilmente assimilato al mod revival, tra retaggi punk, chitarre alla Jam e Clash, ritmiche serrate, qualche accenno reggae (“ABC”) e melodie di colore power pop.
“Frustration paradise” suona datato ma ancora fresco nelle intenzioni e con ottimi spunti (inclusa una citazione addirittura ai Devo, “It don’t make sense”).

mercoledì, novembre 26, 2014

Partite dimenticate - 28 dicembre 1992 - QPR-Everton



ALBERTO GALLETTI ci porta alla scoperta di una serie di GRANDI PARTITE DIMENTICATE.

Questa settimana vi parlo di una partita che non ho proprio dimenticato, anzi, e che vidi in una gelida sera di fine dicembre 1992 mentre trascorrevo le vacanze di natale a Londra con due amici, ospite di mio fratello, eravamo tutti e quattro alla partita.
Motivatissimi e carburati a dovere ci presentiamo in tribuna a Loftus Road dopo aver attraversato Londra in autobus da Highgate a Shepherds Bush.

La partita comincia su buoni ritmi e in sostanziale equilibrio, fino a quando il portiere dell'Everton, il gallese Southall, interviene con le mani fuori area su avversario lanciato a rete e viene espulso.
Sulla punizione seguente la squadra di casa fa centro 1-0, ringalluzziti dal vantaggio e dall'uomo in più il QPR sotto l'abile e compassata regia del capitano, il vecchio Ray Wilkins, comincia a prendere possesso del campo e della partita, l'Everton comunque tiene bene e ribatte con palle lunghe e qualche discesa sulla sinistra di Peter Beardsley tutte a cercare l'ariete Rideout che ha ingaggiato un duello fierissimo ed esclusivamente fisico col gigantesco Peacock stopper dei londinesi.
Al 45' dopo l'ennesimo cross, conseguente corpo a corpo con trattenute spinte eccetera, Rideout colpisce Peacock con un diretto in pieno volto, il difensore barcolla e resta in piedi, Rideout trattenuto dai compagni viene a stento persuaso a non colpirlo di nuovo, ad ogni modo l'arbitro che ha visto tutto da vicino, appena lo scambio di cortesie è terminato espelle Rideout, sulla ripresa del gioco Penrice fa 2-0 con un bel diagonale in area, fine del primo tempo!.

'Durissima' mi fa il caro amico evertoniano che mi faceva compagnia quella sera mentre siamo in coda al bar per prenderci una birra durante l’intervallo, 'durissima' gli rispondo.
Nel frattempo, qualcosa che sembra un canto corale, un gospel o qualcosa di simile comincia a serpeggiare dall'interno, nel giro di due tre minuti si fa più forte, adesso si distingue, è un coro di incitamento, ma è una melodia lenta, in crescendo incessante, forte poi fortissima, bellissima.
Benchè rapiti dal canto non siamo ancora arrivati al bancone e penso ‘che strano, non è passato ancora un quarto d'ora, che succede?'

Quando riprendiamo posto in tribuna le squadre sono ancora negli spogliatoi ma ora la situazione è chiara, i tifosi ospiti, che stimo in circa tremila assiepati nella School End stanno dando fondo alle corde vocali, ben corroborati da robuste dosi di beveraggi che l’atmosfera natalizia incoraggia, i cori si levano ora altissimi, quando le squadre rientrano l'atmosfera ha dell’incredibile, i padroni di casa sono in vantaggio 2-0, in 11 contro 9, ma il pubblico di casa è ammutolito (fa anche molto freddo) e i tifosi ospiti stanno inscenando uno show che non ho mai visto prima, straordinario!
Sospinti dall'incitamento, l'Everton parte a testa bassa una carica in piena regola, ma dopo cinque minuti ancora Sinton, in contropiede, fa 3-0.
I tifosi per nulla scossi dagli avvenimenti non demordono e i cori si fanno ancora più imponenti, la squadra risponde come si deve e adesso l'Everton comanda la partita, lo svantaggio numerico e di punteggio è azzerato, lo stadio è in balia di giocatori e pubblico ospite, forcing a tutto campo un palo clamoroso, poi una doppietta del nuovo entrato Barlow rimette tutto in discussione 3-2, da non credere!

Uno spettacolo insieme intimorente ed affascinante, il sostegno dei tifosi ospiti non cala ma adesso anche il pubblico di casa si fa sentire , il QPR vacilla, l’Everton insiste e attacca a tutto spiano, Beardsley è incontenibile, ora a destra, colpisce anche una traversa, lo sforzo è massimo, ma la coperta è corta e verso la fine in un raro break i londinesi ottengono un corner e sulla ribattuta di testa della difesa Sinton spara di prima un missile centrale, gol e tripletta: 4-2.

Mancano due minuti, il sostegno del pubblico ospite si spegne rapidamente, ma è stata una grande partita, giocata come si conviene in campo e sugli spalti.

Loftus Road, London , 28 dicembre 1992

Q.P.R.: Roberts; McDonald,Bardsley,Peacock;Wilson; Holloway, Barker, Wilkins, Sinton; Penrice, LesFerdinand
Everton: Southall; Ablett,Keown,Watson,Jenkins; Kenny, Warzycha,Beagrie (dal 48' Barlow), Horne; Rideout,Beardsley

Espulsi: Southall (E) al 22’ e Rideout (E) al 45’

Reti; Sinton (QPR) al 27', 51' e 88', Penrice (QPR) al 46’, Barlow (E) al 65' e 72'

martedì, novembre 25, 2014

Stanley Mouse



Stanley George Miller, artisticamente conosciuto come Stanley Mouse (o Mouse) è stato uno dei principali autori di grafiche e manifesti psichedelici nei 60’s, lavorando in particolare per i Grateful Dead, Journey, Big Brother and the Holding Company, Quicksilver Messenger Service, e per gli eventi organizzati dal manager Bill Graham, segnando con il suo tratto l’iconografia di un’epoca.

Il tutto in collaborazione con il compagno di lavoro Alton Kelley (scomparso nel 2008).
La sua immagine con scheletro e rose divenne uno dei simboli di riconoscimento dei Grateful Dead.
Attualmente vive in California e continua a dipingere.
Disse Kelley :
“Io e Stanley non avevamo bene idea cosa stessimo facendo ma andavamo avanti prendendo ispirazione dall’arte dei Nativi Americani, da quella cinese, Art Nouveau, Art Déco, Modern, Bauhaus, qualsiasi cosa.”

lunedì, novembre 24, 2014

Musicisti che hanno venduto di più



Abbiamo già parlato dei dischi più venduti nella storia.

Qui:
http://tonyface.blogspot.it/2014/11/gli-album-piu-venduti-in-italia.html
e qui:
http://tonyface.blogspot.it/2014/10/gli-album-piu-venduti-di-tutti-tempi.html

Passiamo alla classifica cumulativa relativa ai singoli artisti. Come sempre i dati non sono accertati nè accertabili e sono frutto di stime più o meno attendibili ma abbastanza significative nel loro complesso.
Stravincono i Beatles (non male per otto anni di carriera discografica....)

1 The Beatles – quasi 2 miliardi di copie
2. Elvis Presley – oltre 1 miliardo
3. Michael Jackson – 750 milioni
4. Madonna – 300 milioni
5. Elton John – 300 milioni
6. Led Zeppelin – 300 milioni
7. Queen – 300 milioni
8. Pink Floyd – 250 milioni
9. Mariah Carey – 200 milioni
10. Celine Dion – 200 milioni

A ridosso seguono con cifre variabili tra i 200 e i 150 milioni di copie. Whitney Houston, AC/DC, Rolling Stones, ABBA, Eagles, Eminem, Garth Brooks. Rihanna, U2, Billy Joel, Phil Collins, Aerosmith, Frank Sinatra, Barbara Streisand, Genesis, Bruce Springsteen, Metallica, Taylor Swift, Rod Stewart, Bee Gees.

domenica, novembre 23, 2014

California (Gosaldo)



Sorta a metà Ottocento attorno ad un'antica osteria chiamata "Alla California", frequentata da minatori e boscaioli, CALIFORNIA, zona selvaggia e ostica, cominciò ad essere popolata grazie all'apertura di una miniera di mercurio.
In breve il paese raggiunse i 150 anime abitanti e la chiesa divenne parrocchiale.

Nella notte del 4 novembre 1966 a causa di piogge torrenziali che ingrossarono o torrenti Mis e Gosalda che si univano in corrispondenza dell'abitato una travolse tutto, spazzando via completamente California.
Gli abitanti riuscirono a mettersi in salvo nelle frazioni più alte del comune ma fu impossibile il recupero dell'insediamento originale.
California diventò un paese fantasma di pochi ruderi di case, semi-inghiottite dalle colate di ghiaia.
Ora il paese si raggiunge solamente a piedi attraversando un precario ponticello, a poche centinaia di metri dal termine della carrozzabile sterrata dal ponte Titele.

sabato, novembre 22, 2014

Uomini di Elisa Russo



“Uomini” è un fantastico libro scritto splendidamente da Elisa Russo che raccoglie le diretta testimonianze di un’epoca unica e irripetibile, infuocata e travolgente come quella che si visse a Milano e dintorni negli anni 90.
In primo piano la storia dei Ritmo Tribale, tra le band più rappresentative del periodo e le successive incarnazioni in No Guru e nell’esperienza solista di Edda ma sullo sfondo corre, quasi protagonista una storia che pulsa dei racconti di personaggi come Manuel Agnelli, Morgan, il Leoncavallo e il Jungle Studio, la scena indie che esce dalle cantine, approda alle major e ne viene divorata, digerita e abbandonata a pezzi.

Il racconto è spesso estremamente spietato, non ci sono reticenze, mezze parole o malcelati sotto intesi.
L’ascesa e la rovinosa caduta della band (e di alcuni suoi componenti) è tutta in queste pagine, crude e dirette come lo era il sound dei Ritmo Tribale.
Uno scritto basilare ed essenziale per chi ha vissuto quei tempi allo stesso modo per chi non c’era e vuole conoscere una realtà di tanti anni fa ma che continua a pulsare in queste righe.

venerdì, novembre 21, 2014

Emory Douglas



EMORY DOUGLAS era il Ministro della Cultura dei BLACK PANTHER ma diventò famoso soprattutto per le sue illustrazioni pubblicate sull’organo ufficiale dell’organizzazione “The black panther”, diventate ben presto icone della lotta più radicale per i diritti dei neri nei 60’s.
La sua opera esaltava l’immagine dei poveri e degli sfruttati, non come vittime ma come uomini e donne pronti alla lotta.

Incominciò ad interessarsi di grafica giovanissimo quando scontava una pena in un carcere californiano.
Dopo la fine del Black Panther Party ha continuato a lavorare a San Francisco nel “San Francisco Sun Reporter”.
Il suo scopo rimane quello di “continuare ad informare ed educare attraverso il mio lavoro. E’ un’avventura tutt’ora in corso”.

http://www.emorydouglasart.com/

giovedì, novembre 20, 2014

Intervista a Joyello Triolo



Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT, GIANCARLO ONORATO, LILITH di LILITH AND THE SINNERSAINTS, a Lorenzo Moretti, chitarrista e compositore dei GIUDA, il giornalista MASSIMO COTTO, a FAY HALLAM, SALVATORE URSUS D'URSO dei NO STRANGE, CESARE BASILE, MORENO SPIROGI degli AVVOLTOI, FERRUCCIO QUERCETTI dei CUT, RAPHAEL GUALAZZI, NADA, PAOLO APOLLO NEGRI, DOME LA MUERTE, STEVE WHITE, batterista eccelso già con Style Council, Paul Weller, Oasis, Who, Jon Lord, Trio Valore, il bassista DAMON MINCHELLA, già con Paul Weller e Ocean Colour Scene, di nuovo alla corte di Paul Weller con STEVE CRADOCK, fedele chitarrista di Paul, STEFANO GIACCONE, i VALLANZASKA, MAURIZIO CURADI degli STEEPLEJACK e la traduzione di quella a GRAHAM DAY, CARMELO LA BIONDA ai MADS, CRISTINA DONA', TIM BURGESS dei Charlatans, oggi spazio ad uno storico frequentatore del blog, anch'esso blogger (https://fardrock.wordpress.com), amico di lunga data, alle prese con nuove uscite musicali, letterarie, cinematografiche, JOYELLO TRIOLO.

Le precedenti interviste sono qua
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste

Non ti voglio dare dell'anziano ma la tua carriera musicale è lunga e piena di esperienze, fin dagli albori della scena "new rock" italiana"

Puoi darmi tranquillamente dell’anziano, ho superato i cinquanta, lo sono a pieno titolo!
Se mi guardo indietro, io stesso faccio fatica a crederci.
Pensare che sono passati 35 anni da quando son salito su un palco per la prima volta fa impressione anche a me.
E dire che quando ho compiuto trent’anni ho avuto una piccola crisi! Pensavo: “ecco, faccio 30 anni e non ho combinato nulla.
Avevo tante velleità e non sono riuscito a concretizzare nulla”…
Fu davvero incredibile. Avrei dovuto avere una sfera di cristallo perché dopo i trenta… ho fatto TUTTO!
Ho inciso dischi, ho cominciato ad uscire dalla provincia andando in giro per l’Italia con una band, ho imparato a suonare, ho iniziato a scrivere di musica.
Ho perfino scritto libri… hahaha!

Dopo il libro sui Krisma, tocca ora a quello su Faust'o (Rossi), VoloLibero ha appena pubblicato una bio di Donatella Rettore.
Come consideri questa riscoperta di certi personaggi degli 80's che sono sempre stati considerati, dopo brevi periodi di successo, abbastanza "marginali" ?


Non so risponderti con lucidità.
Suppongo che chi si appassiona alla musica leggera, prima o poi senta il bisogno di fare qualche rampa di scale verso il passato, per scoprire “cosa c’era prima”. Per uno della mia età, i Krisma e Faust’o non sono delle riscoperte, sono cresciuto con la loro musica ed è stato estremamente facile scrivere qualcosa su di loro, proprio perché sono musicisti e personaggi che ho sempre seguito.
Però molti mi hanno scritto dopo aver comprato i libri e mi ha fatto piacere sapere che tra loro ci sono anche molte persone di 20/25 anni.
Mi sono molto immedesimato. Lo dico perché a me è successo ed è stato fondamentale.
La “religione” del Punk ‘77 ci impediva di interessarci alla musica dei decenni precedenti.
Era una specie di regola che aveva un’origine più provocatoria che altro. Infatti ci rendemmo tutti conto molto presto che la ruvidezza del Punk Rock, che a noi sembrava nuova, era figlia di molte altre ribellioni venute negli anni precedenti…
Così finimmo ad ascoltare dischi di oscure band garage, a cercare i dischi della Motown così come i 45 giri dei nostri Delfini, Kings, Corvi fino a rivalutare perfino Riki Maiocchi.

Nel caso di Faust'O sei andato alla riscoperta di un personaggio ostico e "scomodo" però vero simbolo del primissimo underground italiano.

Io ho parlato dell’opera di Fausto Rossi cercando di non scendere mai nella biografia.
Lui, fin dai tempi in cui si firmava Faust’o, è sempre stato un personaggio estremo; da sempre è stato estraneo ai meccanismi del mercato e questo, evidentemente, per una sua precisa scelta che è poi la stessa che lo ha fatto diventare un personaggio di culto.
Anche negli anni ’80, quando l’edonismo era il veicolo principale per entrare nella scena musicale, lui puntava unicamente sulla sua musica. A me sembra un motivo sufficiente per disinteressarmi all’uomo analizzando unicamente la sua opera.
Ho impostato il libro come una analisi della sua discografia cercando di incasellarla nella storia (musicale) italiana.
Fausto è uno dei pochi musicisti del nostro Paese ad aver attraversato cinque decenni, facendo sempre un percorso personale, lavorando con le major, con le etichette satellite e anche con le indipendenti e per me era importante puntare su quell’aspetto cercando di rimanere neutro il più possibile, sebbene la mia ammirazione mi abbia impedito in qualche circostanza di essere completamente lucido.

Il tuo album solista "beat." è un excursus nell'elettronica più minimale e nella sperimentazione, ben lontano da esperienze più "rock" e "vintage" come Le Madri della Psicanalisi e Peluqueria Hernandez.

È vero.
Ma in realtà è solo questione di linguaggi. Le Madri della Psicanalisi e Peluqueria Hernandez sono due band e nelle band è normale creare un lavoro di equipe. Ognuno porta la sua sensibilità in favore di un lavoro corale. Almeno, per me è sempre stato così.
“beat.” invece è un lavoro “mio” che nasce dal mio percorso sulla musica elettronica che porto avanti da molti anni e che con le band ho espresso con minore evidenza.
Volendo metterci il naso dentro, si finirebbe per scoprire che l’origine di “beat.” non è molto distante da quella che ha generato la musica de le Madri o di Peluqueria.
In fondo ha solo un clima più letteralmente sperimentale ma c’è addirittura un assolo di organo Hammond in stile soul-jazz, c’è un brano con un coro polifonico e perfino un esercizio ritimico in cui un batterista cerca di stare a tempo sulla base di un vecchio treno a vapore evocando il jazz più tradizionale.
Ho voluto coinvolgere un po’ di amici musicisti proprio perché volevo che l’album avesse un sapore multicolore. L’idea era quella di fare un lavoro in modo telematico, scambiando file e sovraincisioni via mail tra musicisti. Pensavo di fare un album basato sul sound-stretching, i presupposti erano quelli di un lavoro (diciamo) ambient, ben lontano dalla musica pop e invece, alla fine, ci sono alcune tracce molto easy costruite su sequenze di accordi tipicamente tonali. A sorprendermi sono stati soprattutto i collaboratori. Ho chiamato musicisti che si muovono in ambiti diversissimi dal mio ed ho scoperto che non vedevano l’ora di fare qualcosa di diverso. Marcello Bono generalmente suona la ghironda e si esibisce in un repertorio di musica barocca.
Per me ha fatto un pezzo di “concrete musique” senza mai toccare la ghironda. Federico Mosconi è uno dei migliori chitarristi classici che abbiamo in Italia. Sapevo che aveva fatto anche molte cose nell’ambito del pop, del jazz e dell’elettronica e gli ho chiesto una collaborazione.
Mi ha mandato un pezzo in cui non c’è un solo accordo di chitarra!
Federico ha elaborato elettronicamente un suono, alla maniera di Alvin Lucier. Anche Mauro Marchesi, mio “socio” sia ne Le Madri che in Peluqueria Hernandez, che è un chitarrista piuttosto peculiare, alla fine mi ha mandato un pezzo dalle tinte noise. È stato divertentissimo perché quando aprivo i file che mi arrivavano via mail non avevo idea di cosa ci avrei trovato dentro.
Ero nell’impossibilità di programmare lo sviluppo del brano.
Il lavoro degli altri finiva con l’influenzarmi e confesso che qualche volta mi sono anche sentito sconfortato, non sapendo che pesci pigliare.
Alla fine ho avuto un atteggiamento Punk (vedi? Si torna sempre lì) ed ho lasciato che tutto scorresse, provando e riprovando le varie soluzioni, così come succede quando lavoro con la band.

A proposito di Peluqueria Hernandez, credo sia un caso unico o comunque molto raro quello di essere protagonisti di un vero e proprio film !

Non lo so.
Per quello che ne so mi pare di sì. La cosa bella è che il film non è stata un’idea nostra.
Una sera ci siamo visti arrivare in sala prove un amico che si diletta con la cinepresa che ci ha consegnato dei fogli A4. All’interno c’era la sceneggiatura del film. Ci ha chiesto se avessimo avuto voglia di assecondarlo in questa folle idea in cambio di… un film col nostro nome.
Abbiamo letto quel foglio e… era assurdo! Ci piacque subito. La vicenda era quella di una band di sfigati un po’ avanti con l’età, che diventa di colpo bravissima grazie a un orecchio!
C’erano i fratelli Marx, i Leningrad Cowboys, i Beatles di Richard Lester! Non vedevamo l’ora di cominciare. Ci abbiamo messo più di un anno, siamo stati nelle province di Piacenza, Rovigo, Mantova, la nostra Verona…
Abbiamo lottato contro le zanzare più grosse dell’universo, distrutto un camper, sciupato gli abiti da concerto, portato gli strumenti in situazioni al limite del tollerabile, navigato sul Po, sull’Adige e coinvolto un bel po’ del nostro pubblico che durante un concerto ha dovuto sopportare una serie di interruzioni finalizzate alle riprese. Il tutto divertendoci come dei bambini!
Il film è stato proiettato il 31 ottobre per la prima volta a Verona e c’era la sala strapiena di gente! Naturalmente è la nostra città, quindi non fa proprio testo, ma è stato emozionante lo stesso.
Stiamo cercando di capire se sarà possibile organizzare qualche altra proiezione in giro per l’Italia. In fondo i costi sono bassissimi e i piccoli club dotati di proiettore sono parecchi. Stiamo lavorando assieme alla produzione del film per capire se sia possibile (e sensato) produrre un DVD.
Ci piacerebbe… Vedremo.

Tu che sei esperto di musica di ogni tipo saprai dirmi con competenza quanto la musica sia ancora in grado di vendere attraverso i canali tradizionali "fisici" (vinile, CD etc) o se sia irrimediabilmente destinata a diventare solo un supporto "liquido" (mp 3, download, streaming etc)

A questo punto mi sembra evidente che il mercato discografico dovrà prima o poi cambiare nome, a meno che non vogliamo continuare a chiamare “dischi” anche quei folder che scarichiamo dalla Rete.
La direzione è quella sebbene, a noi che abbiamo vissuto una stagione fatta di negozietti e di gite a Londra alla ricerca dell’ultima novità, sembri impossibile.
Il supporto fisico sopravvivrà fino a quando resisteranno queste generazioni, poi il mercato dovrà adattarsi a un metodo nuovo, in cui la Rete sostituisce i negozi. Può sembrare uno scenario desolante a noi che abbiamo fatto della collezione di dischi un trofeo ma non credo si riesca a tornare indietro.
Il problema sarà riuscire a fare in modo che quello della musica possa tornare ad essere un mercato.
Con piattaforme come Spotify e Deezer si stanno creando le reali alternative che consentono, a fronte di una spesa piccolissima, di godere di un catalogo enorme di canzoni e di musica.
Il “senso del possesso che fu prealessandrino” che cantava Battiato sta via via diventando un retaggio del passato. D’altronde, parliamoci chiaro: il download illegale è molto diffuso e non è uno specchietto per le allodole come qualcuno crede.
Scaricare dischi gratis è una figata. Se di punto in bianco diventasse obbligatorio pagare, i download avrebbero un colossale crollo.
Le operazioni dei Radiohead e U2, da alcuni viste come rivoluzionarie, stanno dimostrando che le band famose possono permettersi di regalare i download perché hanno introiti che arrivano da altre parti grazie al fatto di essere “nati” nel periodo delle vacche grasse.
Una band esordiente che regala un disco, generalmente, deve accontentarsi di qualche centinaio di download, quando va bene. Gli ascoltatori non sono curiosi per natura, la curiosità va alimentata e se mancano le strutture (etichette, stampa, promozione) è impossibile accendere la miccia.
Questo era il lato “positivo” della “vecchia” gestione. Si producevano dischi e bisognava venderli e ciò scatenava la filiera che riusciva a “mantenere” addirittura due (o più) livelli diversi di mercato.
Oggi, è vero, è facilissimo produrre musica di qualità decente anche restando nel tinello di casa, altrettanto è facile renderla disponibile in Rete. La cosa difficile è convincere la gente a fermarsi ad ascoltare. E in Italia, non so spiegarmi bene il motivo, la situazione è davvero sconfortante.
Io lo vedo direttamente: le statistiche della pagina Bandcamp di Peluqueria Hernandez non sbagliano: ci sono una media di 5/10 ascolti la settimana e uno o due download (quasi tutti gratuiti) al mese. Se tralasciamo che con cifre del genere non si campa, bisogna aggiungere che sono tutti (e dico TUTTI) contatti provenienti dall’estero: Stati Uniti, Canada, Belgio, Olanda, Tibet (!), Norvegia, Scandinavia, Giappone… solo una piccola percentuale è italiana.
A noi dispiace molto più che altro perché è compromessa la nostra attività dal vivo. Ma da quando abbiamo notato questa cosa abbiamo anche cominciato a scrivere (anche) in inglese i nostri post di Facebook e i “Like” hanno cominciato ad aumentare visibilmente.
Grazie a questo siamo stati scelti da un giovane regista americano che si chiama Brian Williams, che ci ha chiesto la musica per il suo ultimo film (è già uscito, si intitola “Time to Kill”).
Sono dieci anni che tutti, in Italia, ci dicono che la nostra musica sarebbe adatta al cinema ma il primo che è passato ai fatti è americano.

Una bella lista di musicisti da mettere nella tua band ideale con cui girare l'Italia e il mondo (defunti inclusi)

Paul McCartney al basso, John Lennon e George Harrison alle chitarre, Ringo Starr alla batteria. Io alla voce. Come ti sembra?

I dischi per l'isola deserta dotata di uno splendido stereo

Oddio… temo sempre queste domande perché cambio idea in continuazione.
Ci sono giorni in cui mi va di sentire Rock duro altre in cui preferisco il Reggae, giorni perfetti per il Soul altri per Caterina Caselli. Se non dovessi scegliere porterei tutti i miei dischi. Dovendo sceglierne una decina direi (in ordine sparso):

CAKE: Fashion Nuggets
KRAFTWERK: Minimum Maximum
THE BEATLES: A Hard Day’s Night
Una raccolta Tamla Motown
DAVID SYLVIAN: Secrets of the Beehive
BURT BACHARACH: Reach Out!
STEVIE WONDER: Songs in The Key of Life
THE LAST SHADOW PUPPETS: The Age of The Understatement
BLONDE REDHEAD: Misery is a Butterfly

Come decimo titolo ne dico uno che terrei valido nel caso sciagurato in cui mi venisse concesso di portare un solo disco: THE CLASH: London Calling. Contiene tutto, dal Reggae al Funk al Soul, Rock, Punk, Jazz, un album che non mi annoia mai!

mercoledì, novembre 19, 2014

Simon Townshend



La rubrica DARK SIDE OF THE SUN esplorare quei personaggi rimasti sempre nell'ombra di grandi artisti (talvolta parenti stretti) ma essenziali nella loro carriera e comunque grandi musicisti che non hanno mai goduto delle luci della ribalta.
Dopo Enrico Ciacci (fratello e chitarrista di Little Tony) e Ian Stewart pianista fondatore dei Rolling Stones, si parla oggi di SIMON TOWNSHEND, fratello di Pete.


Fratello minore del BEN PIU' NOTO Pete, SIMON TOWNSHEND, appare per la prima volta su disco niente meno che nell'opera rock "TOMMY" degli WHO nel 1968, all'età di otto anni, facendo i cori in "Smash the mirror" e nel 1974, a 14 anni, incide il suo primo singolo "When I'm a man".
Seguiranno, negli anni, 7 album e numerosi singoli di modesta rilevanza e successo.
Nel 1994 è in tour con Roger Daltrey e dal 1996 entra a far parte come turnista negli WHO, durante il tour di "Quadrophenia" (dove si ritaglia anche un momento di ribalta cantando "Dirty jobs"), per continuare poi fino ai giorni nostri.
Dal 2004 al 2007 è stato anche membro dei CASBAH CLUB (che supportarono in tour anche gli Who) a fianco di Bruce Foxton (Jam), Mark Brzezicki e Bruce Watson dei Big Country.
Ha occasionalmente suonato anche con Pearl Jam, Dave Grohl e Jeff Beck.
Dell'aprile di quest'anno il nuovo album "Denial", concentrato di solido rock, palesemente influenzato dalla scrittura del fratello (a cui si avvicina molto anche il timbro vocale).

martedì, novembre 18, 2014

Come i Beatles - 5



Grazie ad una competentissima lista inviata da LUCA RE, storica voce dei SICK ROSE (la prima foto è della sua personale collezione di vinili) ci addentriamo con questa nuova rubrica in una serie di album, usciti DOPO lo scioglimento dei BEATLES, fortemente influenzati dal sound dei Fab Four. Spesso veri e propri gioielli dimenticati e che vale la pena di riscoprire.

Le altre puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Come%20i%20Beatles


THE MINUS 5 - s/t
Attivi dal 1993 i Minus 5 sono una solida power pop band che si è più volte avvalsa della collaborazione di Michael Stipe.
All’attivo una quindicina di dischi tra cui l’omonimo del 2006 riluce di tantissime influenze esplicitamente beatlesiane in particolare nell’introduuttiva “The rifle called goodbye” che suona come una perfetta outtake di qualsiasi album di John Lennon ma che sarebbe stata tranquillamente anche su “Abbey Road” o “Let it be”. Atmosfere che ritroviamo di nuovo in “My life as a creep” e meno marcatamente in altri brani.
Il power pop più elettrico prende talvolta il sopravvento ma si torna frequentemente ai Beatles (quelli più jingle jamgle di “Rubber soul” e “Help!”) in altri frangenti.

KLAATU - s/t
L’esordio dei canadesi Klaatu del 1976 mandò in fibrillazione i fans dei Beatles, ipotizzando addirittura una reunion sotto mentite spoglie (anche a causa di una copertina senza alcuna indicazione).
Le assonanze musicali sono infatti facilmente riconducibili ai Beatles tardo 60’s, post “Sgt Peppers”, psichedelici, con il basso pulsante “alla Paul McCartney” e il drumming spezzato “alla Ringo Starr” nell’introduttiva “Calling Ocupants Of Interplanetary Craftcon” (dove appare e scompare spesso l’incedere di “I’m the walrus”), un brano come “California Jam” che incrocia il riff di “Get back” con melodie tipicamente beatlesiane (anche se più Beach Boys o Bee Gees), accenni vaudeville alla “When I’m 64 four”, vere e proprie citazioni beatlesiane (i più accorti si possono divertire a scoprire evidenti plagi e furti da questo o quel brano), arrangiamenti di fiati ed archi che ritroviamo in abbondanza sul “White album” o in “Abbey Road”.
Il tutto attualizzato in chiave pop glam (Electric Light Orchestra, Queen, Wings) in voga all’epoca.
Non mancarono subito altre prove “inconfutabili” come un’università di Miami che confrontò le voci di Paul con quelle dei Klaatu e le dichiarò uguali o un DJ australiano che invece dichiarò che si trattava di un “lost album” dei Beatles intitolato “Sun” (guarda caso la copertina riportava un sole), suonando al contrario (ti pareva...) il brano “Sub Rosa subway” e filtrandolo con un oscillatore a bassa frequenza (......) era evidente il messaggio 'Its us, its the Beeeeetles!'.
Ma la prova regina veniva dal nome della band ovvero il protagonista del Bmovie degli anni 50 “The day the earth stood still” (“Ultimatum alla terra” in italiano) che Ringo Starr aveva impersonato nella copertina del suo album “Goodnight Vienna” del 1974.
Non appena fu ventilata l’ipotesi che fossero i Beatles l’album impennò il numero delle vendite e prontamente sia il manager che i dirigenti discografici alimentarono il mistero rifugiandosi dietro ad un furbesco “no comment”.
Il gruppo proseguì la carriera per altri quattro album sempre seguiti, nonostante successive ed espliciti smentite con tanto di nomi e cognomi, foto dei componenti, da un alone di mistero da parte dei beatlesiani più irriducibili.
Il secondo album “Hope” del 1977 venne addirittura registrato a Londra con la London Symphony Orchestra (evidenziando quindi qualsiasi estraneità con i Fab Four).

PLEASERS - Thamesbeat
Formatisi nel 1977 a Londra furono tra i primi a portare avanti la rinascita del beat, in epoca in cui punk e new wave la facevano da padroni. Cinque singoli all’attivo (ristampati nel 1996 su CD) e un sound fortemente debitore ai primi Beatles (anche se tra gli episodi più riusciti c’è la cover di “Kids are alright” degli Who, uscita nel 1978), in particolare nell’esordio del ’77 “You know what I’m thinking for”/”Hello little girl” che avremmo potuto trovare su “With the Beatles” (con voce palesemente ispirata al primo Lennon).
Sono spesso indicati tra i precursori del mod revival del ’79 in quanto molto seguiti tra i primissimi mods.

lunedì, novembre 17, 2014

Le recensioni negative e il diritto all'oblìo



Come segnalato dal sito Rockit.it il pianista classico DEJAN LAZIC ha minacciato di rivolgersi a Google per esercitare il suo diritto all'oblìo (ovvero la cancellazione dal motore di ricerca) in relazione ad una RECENSIONE NEGATIVA ricevuta sul Washington Post (questa: http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/12/05/AR2010120503272.html ) ritenuta diffamatoria (in realtà non è sicuramente positiva ma nemmeno si avvertono gli estremi di una diffamazione).

Lazic spiega, in maniera pacata, le motivazioni della sua richiesta sul proprio sito (http://www.dejanlazic.com/).
Alla fine, in pratica, non è successo nulla e la recensione è facilmente recuperabile on line.

Al di là del caso specifico, è dunque possibile far cancellare una recensione negativa dal web ?
Si può far apparire la propria "arte" (o il proprio profilo) solo positivamente distorcendo così la realtà ?
E' una pratica ipotizzabile per il prossimo futuro ?
L'artista ha il DIRITTO di DIFENDERSI da recensioni che reputa scritte da incompetenti o faziosi ?

domenica, novembre 16, 2014

Ryugyong Hotel



Il Ryugyong Hotel, grattacielo di 105 piani in costruzione a Pyongyang, in Corea del Nord, è l’ hotel più alto del mondo, il settimo edificio più alto del globo con la sua altezza di 330 metri e con una superficie calpestabile di 360.000 mq
La costruzione, iniziata nel lontano 1987, deve essere tuttora aperta al pubblico.
Il suo progetto fu ordinato da Kim Jong-il, padre dell’ attuale leader nord-coreano Kim Jong-un, in risposta all’inaugurazione del Westin Stamford Hotel a Singapore, costruito nel 1986 da parte della azienda sud-coreana SsangYong Group e diventato da quell’anno il più grande hotel del mondo.

La fine prevista per il 1992 è ancora ben lungi dalla realizzazione.
Il progetto venne fermato per carenza di fondi e per 16 anni l’hotel rimase privo di finestre e interni, impianti elettrici e idraulici.
Nel 2008 i lavori ricominciarono grazie a una compagnia telefonica egiziana, che ha investito in Corea del Nord, permettendo così l’ inizio della ristrutturazione degli ultimi piani dell’ edificio in modo di ottenere la concessione per l’ istallazione di antenne telefoniche sulla cima dell’Hotel.

Il grattacielo è costituito da 3 ali inclinate, 8 piani rotanti e altri 6 piani in cima fissi e dovrebbe contenere ristoranti, casinò, discoteche, uffici e 3.000 camere con un costo stimato di 750 milioni di dollari per la sua costruzione.

Il fallimento dell’opera ha indotto per lungo tempo il governo nord-coreano a negare l’ esistenza dell’edificio, escludendolo dalle mappe ufficiali e inserendo immagini manipolate che negano la presenza di oltre 300 metri di cemento armato.