giovedì, novembre 20, 2014
Intervista a Joyello Triolo
Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT, GIANCARLO ONORATO, LILITH di LILITH AND THE SINNERSAINTS, a Lorenzo Moretti, chitarrista e compositore dei GIUDA, il giornalista MASSIMO COTTO, a FAY HALLAM, SALVATORE URSUS D'URSO dei NO STRANGE, CESARE BASILE, MORENO SPIROGI degli AVVOLTOI, FERRUCCIO QUERCETTI dei CUT, RAPHAEL GUALAZZI, NADA, PAOLO APOLLO NEGRI, DOME LA MUERTE, STEVE WHITE, batterista eccelso già con Style Council, Paul Weller, Oasis, Who, Jon Lord, Trio Valore, il bassista DAMON MINCHELLA, già con Paul Weller e Ocean Colour Scene, di nuovo alla corte di Paul Weller con STEVE CRADOCK, fedele chitarrista di Paul, STEFANO GIACCONE, i VALLANZASKA, MAURIZIO CURADI degli STEEPLEJACK e la traduzione di quella a GRAHAM DAY, CARMELO LA BIONDA ai MADS, CRISTINA DONA', TIM BURGESS dei Charlatans, oggi spazio ad uno storico frequentatore del blog, anch'esso blogger (https://fardrock.wordpress.com), amico di lunga data, alle prese con nuove uscite musicali, letterarie, cinematografiche, JOYELLO TRIOLO.
Le precedenti interviste sono qua:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste
Non ti voglio dare dell'anziano ma la tua carriera musicale è lunga e piena di esperienze, fin dagli albori della scena "new rock" italiana"
Puoi darmi tranquillamente dell’anziano, ho superato i cinquanta, lo sono a pieno titolo!
Se mi guardo indietro, io stesso faccio fatica a crederci.
Pensare che sono passati 35 anni da quando son salito su un palco per la prima volta fa impressione anche a me.
E dire che quando ho compiuto trent’anni ho avuto una piccola crisi! Pensavo: “ecco, faccio 30 anni e non ho combinato nulla.
Avevo tante velleità e non sono riuscito a concretizzare nulla”…
Fu davvero incredibile. Avrei dovuto avere una sfera di cristallo perché dopo i trenta… ho fatto TUTTO!
Ho inciso dischi, ho cominciato ad uscire dalla provincia andando in giro per l’Italia con una band, ho imparato a suonare, ho iniziato a scrivere di musica.
Ho perfino scritto libri… hahaha!
Dopo il libro sui Krisma, tocca ora a quello su Faust'o (Rossi), VoloLibero ha appena pubblicato una bio di Donatella Rettore.
Come consideri questa riscoperta di certi personaggi degli 80's che sono sempre stati considerati, dopo brevi periodi di successo, abbastanza "marginali" ?
Non so risponderti con lucidità.
Suppongo che chi si appassiona alla musica leggera, prima o poi senta il bisogno di fare qualche rampa di scale verso il passato, per scoprire “cosa c’era prima”. Per uno della mia età, i Krisma e Faust’o non sono delle riscoperte, sono cresciuto con la loro musica ed è stato estremamente facile scrivere qualcosa su di loro, proprio perché sono musicisti e personaggi che ho sempre seguito.
Però molti mi hanno scritto dopo aver comprato i libri e mi ha fatto piacere sapere che tra loro ci sono anche molte persone di 20/25 anni.
Mi sono molto immedesimato. Lo dico perché a me è successo ed è stato fondamentale.
La “religione” del Punk ‘77 ci impediva di interessarci alla musica dei decenni precedenti.
Era una specie di regola che aveva un’origine più provocatoria che altro. Infatti ci rendemmo tutti conto molto presto che la ruvidezza del Punk Rock, che a noi sembrava nuova, era figlia di molte altre ribellioni venute negli anni precedenti…
Così finimmo ad ascoltare dischi di oscure band garage, a cercare i dischi della Motown così come i 45 giri dei nostri Delfini, Kings, Corvi fino a rivalutare perfino Riki Maiocchi.
Nel caso di Faust'O sei andato alla riscoperta di un personaggio ostico e "scomodo" però vero simbolo del primissimo underground italiano.
Io ho parlato dell’opera di Fausto Rossi cercando di non scendere mai nella biografia.
Lui, fin dai tempi in cui si firmava Faust’o, è sempre stato un personaggio estremo; da sempre è stato estraneo ai meccanismi del mercato e questo, evidentemente, per una sua precisa scelta che è poi la stessa che lo ha fatto diventare un personaggio di culto.
Anche negli anni ’80, quando l’edonismo era il veicolo principale per entrare nella scena musicale, lui puntava unicamente sulla sua musica. A me sembra un motivo sufficiente per disinteressarmi all’uomo analizzando unicamente la sua opera.
Ho impostato il libro come una analisi della sua discografia cercando di incasellarla nella storia (musicale) italiana.
Fausto è uno dei pochi musicisti del nostro Paese ad aver attraversato cinque decenni, facendo sempre un percorso personale, lavorando con le major, con le etichette satellite e anche con le indipendenti e per me era importante puntare su quell’aspetto cercando di rimanere neutro il più possibile, sebbene la mia ammirazione mi abbia impedito in qualche circostanza di essere completamente lucido.
Il tuo album solista "beat." è un excursus nell'elettronica più minimale e nella sperimentazione, ben lontano da esperienze più "rock" e "vintage" come Le Madri della Psicanalisi e Peluqueria Hernandez.
È vero.
Ma in realtà è solo questione di linguaggi. Le Madri della Psicanalisi e Peluqueria Hernandez sono due band e nelle band è normale creare un lavoro di equipe. Ognuno porta la sua sensibilità in favore di un lavoro corale. Almeno, per me è sempre stato così.
“beat.” invece è un lavoro “mio” che nasce dal mio percorso sulla musica elettronica che porto avanti da molti anni e che con le band ho espresso con minore evidenza.
Volendo metterci il naso dentro, si finirebbe per scoprire che l’origine di “beat.” non è molto distante da quella che ha generato la musica de le Madri o di Peluqueria.
In fondo ha solo un clima più letteralmente sperimentale ma c’è addirittura un assolo di organo Hammond in stile soul-jazz, c’è un brano con un coro polifonico e perfino un esercizio ritimico in cui un batterista cerca di stare a tempo sulla base di un vecchio treno a vapore evocando il jazz più tradizionale.
Ho voluto coinvolgere un po’ di amici musicisti proprio perché volevo che l’album avesse un sapore multicolore. L’idea era quella di fare un lavoro in modo telematico, scambiando file e sovraincisioni via mail tra musicisti. Pensavo di fare un album basato sul sound-stretching, i presupposti erano quelli di un lavoro (diciamo) ambient, ben lontano dalla musica pop e invece, alla fine, ci sono alcune tracce molto easy costruite su sequenze di accordi tipicamente tonali. A sorprendermi sono stati soprattutto i collaboratori. Ho chiamato musicisti che si muovono in ambiti diversissimi dal mio ed ho scoperto che non vedevano l’ora di fare qualcosa di diverso. Marcello Bono generalmente suona la ghironda e si esibisce in un repertorio di musica barocca.
Per me ha fatto un pezzo di “concrete musique” senza mai toccare la ghironda. Federico Mosconi è uno dei migliori chitarristi classici che abbiamo in Italia. Sapevo che aveva fatto anche molte cose nell’ambito del pop, del jazz e dell’elettronica e gli ho chiesto una collaborazione.
Mi ha mandato un pezzo in cui non c’è un solo accordo di chitarra!
Federico ha elaborato elettronicamente un suono, alla maniera di Alvin Lucier. Anche Mauro Marchesi, mio “socio” sia ne Le Madri che in Peluqueria Hernandez, che è un chitarrista piuttosto peculiare, alla fine mi ha mandato un pezzo dalle tinte noise. È stato divertentissimo perché quando aprivo i file che mi arrivavano via mail non avevo idea di cosa ci avrei trovato dentro.
Ero nell’impossibilità di programmare lo sviluppo del brano.
Il lavoro degli altri finiva con l’influenzarmi e confesso che qualche volta mi sono anche sentito sconfortato, non sapendo che pesci pigliare.
Alla fine ho avuto un atteggiamento Punk (vedi? Si torna sempre lì) ed ho lasciato che tutto scorresse, provando e riprovando le varie soluzioni, così come succede quando lavoro con la band.
A proposito di Peluqueria Hernandez, credo sia un caso unico o comunque molto raro quello di essere protagonisti di un vero e proprio film !
Non lo so.
Per quello che ne so mi pare di sì. La cosa bella è che il film non è stata un’idea nostra.
Una sera ci siamo visti arrivare in sala prove un amico che si diletta con la cinepresa che ci ha consegnato dei fogli A4. All’interno c’era la sceneggiatura del film. Ci ha chiesto se avessimo avuto voglia di assecondarlo in questa folle idea in cambio di… un film col nostro nome.
Abbiamo letto quel foglio e… era assurdo! Ci piacque subito. La vicenda era quella di una band di sfigati un po’ avanti con l’età, che diventa di colpo bravissima grazie a un orecchio!
C’erano i fratelli Marx, i Leningrad Cowboys, i Beatles di Richard Lester! Non vedevamo l’ora di cominciare. Ci abbiamo messo più di un anno, siamo stati nelle province di Piacenza, Rovigo, Mantova, la nostra Verona…
Abbiamo lottato contro le zanzare più grosse dell’universo, distrutto un camper, sciupato gli abiti da concerto, portato gli strumenti in situazioni al limite del tollerabile, navigato sul Po, sull’Adige e coinvolto un bel po’ del nostro pubblico che durante un concerto ha dovuto sopportare una serie di interruzioni finalizzate alle riprese. Il tutto divertendoci come dei bambini!
Il film è stato proiettato il 31 ottobre per la prima volta a Verona e c’era la sala strapiena di gente! Naturalmente è la nostra città, quindi non fa proprio testo, ma è stato emozionante lo stesso.
Stiamo cercando di capire se sarà possibile organizzare qualche altra proiezione in giro per l’Italia. In fondo i costi sono bassissimi e i piccoli club dotati di proiettore sono parecchi. Stiamo lavorando assieme alla produzione del film per capire se sia possibile (e sensato) produrre un DVD.
Ci piacerebbe… Vedremo.
Tu che sei esperto di musica di ogni tipo saprai dirmi con competenza quanto la musica sia ancora in grado di vendere attraverso i canali tradizionali "fisici" (vinile, CD etc) o se sia irrimediabilmente destinata a diventare solo un supporto "liquido" (mp 3, download, streaming etc)
A questo punto mi sembra evidente che il mercato discografico dovrà prima o poi cambiare nome, a meno che non vogliamo continuare a chiamare “dischi” anche quei folder che scarichiamo dalla Rete.
La direzione è quella sebbene, a noi che abbiamo vissuto una stagione fatta di negozietti e di gite a Londra alla ricerca dell’ultima novità, sembri impossibile.
Il supporto fisico sopravvivrà fino a quando resisteranno queste generazioni, poi il mercato dovrà adattarsi a un metodo nuovo, in cui la Rete sostituisce i negozi. Può sembrare uno scenario desolante a noi che abbiamo fatto della collezione di dischi un trofeo ma non credo si riesca a tornare indietro.
Il problema sarà riuscire a fare in modo che quello della musica possa tornare ad essere un mercato.
Con piattaforme come Spotify e Deezer si stanno creando le reali alternative che consentono, a fronte di una spesa piccolissima, di godere di un catalogo enorme di canzoni e di musica.
Il “senso del possesso che fu prealessandrino” che cantava Battiato sta via via diventando un retaggio del passato. D’altronde, parliamoci chiaro: il download illegale è molto diffuso e non è uno specchietto per le allodole come qualcuno crede.
Scaricare dischi gratis è una figata. Se di punto in bianco diventasse obbligatorio pagare, i download avrebbero un colossale crollo.
Le operazioni dei Radiohead e U2, da alcuni viste come rivoluzionarie, stanno dimostrando che le band famose possono permettersi di regalare i download perché hanno introiti che arrivano da altre parti grazie al fatto di essere “nati” nel periodo delle vacche grasse.
Una band esordiente che regala un disco, generalmente, deve accontentarsi di qualche centinaio di download, quando va bene. Gli ascoltatori non sono curiosi per natura, la curiosità va alimentata e se mancano le strutture (etichette, stampa, promozione) è impossibile accendere la miccia.
Questo era il lato “positivo” della “vecchia” gestione. Si producevano dischi e bisognava venderli e ciò scatenava la filiera che riusciva a “mantenere” addirittura due (o più) livelli diversi di mercato.
Oggi, è vero, è facilissimo produrre musica di qualità decente anche restando nel tinello di casa, altrettanto è facile renderla disponibile in Rete. La cosa difficile è convincere la gente a fermarsi ad ascoltare. E in Italia, non so spiegarmi bene il motivo, la situazione è davvero sconfortante.
Io lo vedo direttamente: le statistiche della pagina Bandcamp di Peluqueria Hernandez non sbagliano: ci sono una media di 5/10 ascolti la settimana e uno o due download (quasi tutti gratuiti) al mese. Se tralasciamo che con cifre del genere non si campa, bisogna aggiungere che sono tutti (e dico TUTTI) contatti provenienti dall’estero: Stati Uniti, Canada, Belgio, Olanda, Tibet (!), Norvegia, Scandinavia, Giappone… solo una piccola percentuale è italiana.
A noi dispiace molto più che altro perché è compromessa la nostra attività dal vivo. Ma da quando abbiamo notato questa cosa abbiamo anche cominciato a scrivere (anche) in inglese i nostri post di Facebook e i “Like” hanno cominciato ad aumentare visibilmente.
Grazie a questo siamo stati scelti da un giovane regista americano che si chiama Brian Williams, che ci ha chiesto la musica per il suo ultimo film (è già uscito, si intitola “Time to Kill”).
Sono dieci anni che tutti, in Italia, ci dicono che la nostra musica sarebbe adatta al cinema ma il primo che è passato ai fatti è americano.
Una bella lista di musicisti da mettere nella tua band ideale con cui girare l'Italia e il mondo (defunti inclusi)
Paul McCartney al basso, John Lennon e George Harrison alle chitarre, Ringo Starr alla batteria. Io alla voce. Come ti sembra?
I dischi per l'isola deserta dotata di uno splendido stereo
Oddio… temo sempre queste domande perché cambio idea in continuazione.
Ci sono giorni in cui mi va di sentire Rock duro altre in cui preferisco il Reggae, giorni perfetti per il Soul altri per Caterina Caselli. Se non dovessi scegliere porterei tutti i miei dischi. Dovendo sceglierne una decina direi (in ordine sparso):
CAKE: Fashion Nuggets
KRAFTWERK: Minimum Maximum
THE BEATLES: A Hard Day’s Night
Una raccolta Tamla Motown
DAVID SYLVIAN: Secrets of the Beehive
BURT BACHARACH: Reach Out!
STEVIE WONDER: Songs in The Key of Life
THE LAST SHADOW PUPPETS: The Age of The Understatement
BLONDE REDHEAD: Misery is a Butterfly
Come decimo titolo ne dico uno che terrei valido nel caso sciagurato in cui mi venisse concesso di portare un solo disco: THE CLASH: London Calling. Contiene tutto, dal Reggae al Funk al Soul, Rock, Punk, Jazz, un album che non mi annoia mai!
bella intervista..ciao ragazzi
RispondiEliminaSi, molto interessante, più di altri tromboni "famosi"
RispondiEliminavoglio vedere il film!!
RispondiEliminaGrande Maestro Joyello!
RispondiEliminaDi lui mi permetto di consigliare a tutti sia le produzioni con le band che quelle soliste,spin-off compresi (El Pulpo) e sperando presto il FILM!!
c
Tra le mejo interviste!
RispondiEliminaW
Proprio vero, dentro London Calling c'è più o meno tutto.
RispondiEliminaCharlie
bella intervista,molte cose condivisibili dette..w il vecchio Faust'O,..e anche i Faust,..e Faustino Ruperez:)
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