lunedì, settembre 30, 2013
Settembre 2013. Il meglio.
John e Paul nel 1961...
Un po' di nomi che potrebbero finire nella top 10 di fine anno Strypes, Excitements, Miles Kane, Franz Ferdinand, Charles Walker & the Dynamites, Moment, Willis Earl Beal, Beady Eye, Sweet Vandals, Mudhoney, Nicole Willis, Ocean Colour Scene, Mavis Staple, Nick Cave, Johnny Marr , Willie Nile, Jimi Hendrix, Jesse Dee, Lilian Hak, Impellers e tra gli italiani Statuto, Raphael Gualazzi, Temponauts, Santo Niente, Lord Shani, Mauro Ermanno Giovanardi, Petrina, Zamboni/Baraldi, Cut/Julie’s Haircut, Valentina Gravili, Cesare Basile e Andrea Balducci, Electric Shields, Svetlanas, Stella Maris Music Cospiracy, Calibro 35.
ASCOLTATO
THE STRYPES - Snapshot
Giovanissimi, suonano come Dr Feelgood, Inmates, Yardbirds, primi Kinks e Stones messi insieme.
Suoni puramente 60’s, perfettamente calibrati, dinamica pazzesca, brani brevi pieni di elettricità, cori beatlesiani, armonica a bocca, chitarre sferraglianti, assoli precisi, ritmica pulsante e potente.
Bellissimo !
EXCITEMENTS - Sometimes too much ain’t enough
Travolgente, splendida collezione di brani uno più bello dell’altro a base di soul, rhythm and blues, blues debitori alla lezione di Ike & Tina Turner dei primi 60’s, rozzo, minimale, aggressivo, primitivo, freschissimo.
Groove incredibile, animalità a profusione, atmosfera cool.
Uno degli album dell’anno....
THE MOMENT - ep
Tornano i Mod Gods ! I Moment sono stati tra le migliori mod bands dei mid 80’s e dopo una lunghissima pausa sono di nuovo in pista (con alla batteria Buddy Ascott ex Chords non presente in questo disco).
I quattro brani (prodotti da Ben dei Corduroy) ci restituiscono una band, guidata dalla mente inesauribile di Adrian Holder, in formissima che spazia dal Moment/Jam sound di “You are free”, la ballata “Ben Daisy”, il soul di “Be my lady” (che riporta alla mente i grandi Truth di Dennis Greaves), il northern soul impeccabile di “Minor emergency”.
Da avere. Su http://www.plastic-pop-records.co.uk
SANTO NIENTE - Mare tranquillitatis
Umberto Palazzo è un personaggio della scena alt rock italiana, dagli esordi a suon di garage punk al passaggio ad una psichedelia cantautorale più raffinata con gli Allison Run, la fondazione dei Massimo Volume, la lunga esperienza con il Santo Niente di cui “Mare tranquillitatis” è l’ultima prova a ben sei anni di distanza dal precedente “Il fiore dell’agave”.
Solo sei i brani del nuovo album ma oltre 40 minuti di musica su cui svettano testi urticanti, spietati che fanno di questo album un lavoro importante, denso, di notevole spessore che va ascoltato e assimilato lentamente, nonostante sia ostico, lontano da ogni possibile compromesso commerciale, può piacere o meno, di sicuro non lascia indifferenti. Ed è un grande pregio.
ARCTIC MONKEYS - AM Lavoro maturo e introspettivo per la band di Alex Turner, di cui personalmente rimpiango sempre più i freschi esordi a base di elettricità e carica 60’s oriented.
Qui ci sono perfino omaggi spudorati a John Lennon e comunque sempre ottime canzoni ma l’impressione è che si sia persa l’urgenza iniziale, tratto caratteristico che li rendeva grandi.
WILLIS EARL BEAL “Nobody knows” Rinnovare il BLUES è impresa quasi impossibile.
Ci sono (quasi) riusciti negli ultimi anni Nick Cave, Tom Waits, il Gil Scott Heron di “I’m new here”) ce la fa anche WILLIS EARL BEAL, una vita al limite, anche da homeless, alle spalle che in questo album mischia John Lee Hooker con Tricky, Gil Scott Heron con Robert Johnson, canta un emozionante gospel con sottofondo di archi (“Wavering lines”), si lascia andare ad un brano perfettamente soul alla marvin Gaye (“Coming through”).
E’ BLUES, profondissimo, malato, inquietante, moderno, NUOVO.
MARK LANEGAN - “Imitations”
The Voice torna con un buon album di covers, essenziali e minimali prevalentemente semi acustiche in cui omaggia John Cale, Frank Sinatra e la figlia Nancy, “Le foglie morte” e “Mack the knife” di Brecht tra gli altri.
Il risultato è molto piacevole anche se, alla fine, un tantino stucchevole.
GRANT HART - The argument
Torna l’ex Husker Du con un doppio album, sorta di “Album Bianco” che spazia da crude ballate a omaggi alla band originaria, brani di sapore 60’s, sperimentazioni, lo-fi. C’è di tutto, mai banale, intensissimo, essenziale, minimale.
Grande.
JANELLE MONAE - Electric lady
La Prince in gonnella torna con un nuovo sorprendente album in cui mischia tutto lo scibile della black music, dal funk all’hip hop, da Stevie Wonder al soul, da Lionel Richie al blues.
Il sound è molto spinto e spesso eccessivamente patinato ma per rinnovare il soul si passa anche di qua.
GOV’T MULE - Shout
Al decimo album arriva un gioiello di classico rock dalle tinte southern mid 70’s con tinte blues, soul, jam sessions ed ospiti particolari come Elvis Costello e Steve Winwood, tra gli altri, che rendono il lavoro particolarissimo e interessante.
Consigliato.
GARLAND JEFFREYS - Truth serum
Ancora un buon album per il vecchio new yorkese in cui si respirano tutti gli umori della sua città , dal tenebroso rock alla Lou Reed a quelo di Bruce, sprazzi di reggae e black music, blues, ballate senza tempo.
MAZZY STAR - Seasons of your day
La cratura di Hope Sandoval e Dave Roback torna dopo 17 anni di silenzio con un nuovo lavoro lieve lieve, acustico, etereo, a tratti svenevole.
Forse troppo ma l’ascolto è comunque molto piacevole e affascinante.
THE MAUREENS - The Maureens
Dall’Olanda uno splendido album d’esordio in pieno mood Beach Boys nell’uso vocale, supportato da un groove chitarristico tra Big Star, Box Tops, REM, Beatles, Flamin Groovies, Byrds, accenni jingle jangle (non lontani dai nostri Temponauts).
Cristallino.
CALIBRO 35 - Giulia mon amour / Notte in Bovisa
Ritorna il funambolico ritmo 70’s dei grandissimi Calibro 35 che si apprestano a far uscire il nuovo (quarto) album “Tutti traditori” ad ottobre per la benemerita etichetta milanese RecordKicks.
Nel frattempo un succoso anticipo con un singolo esplosivo in cui spicca il nuovo “Giulia mon amour” in perfetto Quentin Tarantino style, con secchiate di funk, occhiate al primo James Taylor Quartet, ai film di James Bond, ai riff degli Shadows, al surf perfettamente accoppiato al retro tratto dall’album d’esordio del 2008.
CANE! - Sex, love and threesomes
Una mitragliata techno punk alla maniera degli Atari Teenage Riot, con secchiate di punk rock e furore vario, direttamente da Milano.
Quattro brani, una bomba !!
THE SUSPICIOUS THREE - We are U.F.O.
Dala profonda provincia di Piacenza un terzetto che ha fatto del rock n roll una ragione di vita, interpretando al meglio la lezione del Detroit Sound (Stooges, Mc5, Sonic’s Rendez Vous) e dei suoi più recenti epigoni.
Ci sono anche i semi che ha sparso ovunque Jack White con White Stripes, Dead Weather e Racounters.
Sound aspro, ipnotico per poi esplodere improvvisamente in astiosi riff di chitarra che infuocano i brani.
GIOBIA - Introducing night sound
I milanesi Giobia arrivano al terzo album proseguendo sulla consueta strada multicolore a base di psichedelia tardo 60’s che attinge da Pink Floyd, Beatles, da quelle bands che negli 80’s ripresero le stesse coordinate per creare nuovi mondi lisergici (dai Teardrop Explodes e la successiva carriera del loro cantante Julian Cope agli Spacemen 3 e Loop) fino alle più recenti performances dei Primal Scream e Black Angels.
ASCOLTATO ANCHE:
DIRTBOMBS (deludente omaggio al bubblegum pop, moscio , scarno nerbo, superfluo), FROOTFULL (Ottima soul funk band inglese che passa dal blues alla Alexis Korner ad omaggi al sound di Curtis Mayfield, al soul classico, a momenti jazzati. Forse troppa dispersione sonora ma ascolto piacevole e ottimo groove), POTTY MOUTH (convincente e abrasivo punk rock figlio di Breeeders, Dinosaur Jr, Sonic Youth e grattugie simili) MULATU ASTAKTE (un album a 360 gradi che assimila jazz, afro funk, musica contemporanea, ethio jazz, complesso ma non tra i migliori del Maestro),HAMILTON LOOMIS (rock blues, funk, un po’ di soulbluesy alla Robert Cray. Dal Texas. Carino, nulla più), JONATHAN RADO (psichedelia noise lo-fi poco interessante. Solo confusione), POKEY LA FARGE (buon album di american roots tra country, old blues, vaudeville, jazzblues), JOHN LEGEND (non che avessi dei dubbi ma il nuovo è davvero insignificante e inascoltabile), ANDREA DE LUCA Intenso viaggio in quegli anni 70 aspri e "contro" Nessuna nostalgia ma testi crudi su basi sonore che mischiano rock, De Gregori, atmosfere soul), REDROOMDREAMERS (Oscure lande alt rock, sospese, cupe, lente, tra Smog, American Music Club, primi King Crimson), TONYLAMUERTE ONEMANBAND (blues torrido, cattivo, sporco tra Black Keys e Pan Del Diavolo, Howlin Wolf e il Jack White più crudo), GREEN LIKE JULY (da Alessandria al terzo album tra Beatles, pop, influenze 60’s e riferimenti ai Talking Heads. Molto interessanti), KRIS BERRY & PERQUISITE (dall’Olanda un buon pop soul un po’ in stile Amy Winehouse. Gradevole), RESONARS (buon garage pop dagli echi Beatlesiani dagli USA), JACCO GARDNER (siamo dalle parti dei Pink Floyd Barrettiani, meno visionari, più dolcemente psichedelici. Gradevole), GIOVANCA (soft soul molto gradevole dall’Olanda)
LETTO
“La figlia” di Clara Uson La triste, drammaticissima storia di Ana Mladic, figlia di Ratko, il “boia di Srebrenica, suicida dopo aver scoperto le malefatte del padre di cui era ignara.
Una storia vera in cui si intrecciano parti romanzate e fedeli, terribili, testimonianze storiche sulla guerra in Yugoslavia.
Capolavoro emozionante.
VISTO
“Dreamgirls” di Bill Condon
Film musical ispirato alla storia delle Supremes, parte bene e diventa insopportabile dopo un po’, eccessivamente melenso e patinato.
“Qualunquemente” di Giulio Manfredonia
Antonio Albanese strepitoso nella sua più riuscita (e amara) interpretazione di Cetto La Qualunque ma film inconsistente, scontato e impalpabile.
“Il figlio più piccolo” di Pupi Avati
Un ottimo C.De Sica in un ruolo drammatico in una commedia agro dolce sull’Italietta dei ricatti politici, dei fallimenti immobiliari, degli squali della finanza.
Interessante anche se indolore.
“Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini
Film cupo e tragico con un Toni Servillo come sempre magico e tremendamente efficace.
“Mai senza mia figlia” di Brian Gilbert
Una moglie americana di un uomo iraniano nella Teheran appena conquistata da Khomeini.
Molto grossolano nella manichea distinzione Islam/cattivo e primitivo-Occidente/buono e civile ma alla fine abbastanza interessante.
COSE & SUONI
Esce il 21 ottobre “Stereo Blues vol.1 : Punk collection” di Lilith and the Sinnersaints .
E dal 1° novembre nuove date in giro per la penisola, un video, un teaser e un Tshirt ad hoc.
In cantiere anche una colonna sonora per Natale.
www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints
Mie recensioni su www.radiocoop.it
IN CANTIERE
Il libro sugli Statuto alle fasi finali (in uscita a febbraio 2014) mentre prosegue la promozione di “Rock n Goal” che in novembre si arricchirà di nuove presentazioni.
Per Natale un altro progetto semi letterario e particolarmente utile (a breve more info).
Poi magari un giorno vi racconto in dettaglio la storia del libro su Paul Weller....
domenica, settembre 29, 2013
La storia di Lilith - 1991/1992
Prosegue il breve excursus sulla storia di LILITH, dai primi giorni post Not Moving al nuovo disco, l'EP "Stereo Blues vol.1: Punk Collection" di LILITH AND THE SINNERSAINTS in uscita il 21 ottobre in confezione speciale per Alpha South (distr. Audioglobe), un personale omaggio al PUNK ROCK con cover di brani di Television, Saints, Clash, Bad Brains).
Nelle foto: Lilith a Los Angeles nel 92 (durante i disordini razziali....), foto promo album 1992, l'esordio ad Antenna 3 con Gianni Riso..., i due dischi del 1991/1992, dal vivo al "Thunder Road" a Pavia.
www.lilithandthesinnersaints.com
www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints
L’attenzione della stampa riservata all’esordio a 12 pollici di “Hello I love me” e una serie di richieste di esibizioni live induce Lilith ad accelerare i tempi sulla costituzione di un live act fino a quel momento non in immediato programma.
Betty Vercesi decide di rinunciare lasciando il posto alla chitarra al fratello Massimo, mentre al basso arriva il giovanissimo (16 anni) Cristiano Cassi con cui si esordisce (in playback, con il sottoscritto alla fisarmonica !!) nella Tv milanese “Antenna 3” , presentati da un guru della radiofonia commerciale, Gianni Riso, il 26 febbraio 1991.
Ma la band è già pronta per far tornare Lilith a calcare i palchi italiani.
E l’ 8 marzo (non a caso nel giorno della Festa della Donna) all’ “Area” di Carugate (Milano) avviene l’esordio live.
Segue una lunga serie di date a Novara, Verona, al “Bloom” di Mezzago, Parma, Monza (dove manca Massimo e viene sostituito da David Lenci, nostro fonico, con cui si prova nel pomeriggio del concerto nella sala prove dei Carnival of Fools di Mauro Ermanno Giovanardi, per imbastire alla bellemeglio una scaletta di mezzora....ce la facciamo !!), Torino ,Piacenza, Chieti, Ancona, Chiavari (Ge) (dove troviamo i....Not Moving che sbagliando giorno del concerto si presentano al sound check ....!!??!!), Terracina (Latina), Aosta (dove, in un festival, invece troviamo i..Timepills !!!).
Nota bene: 16 luglio: Chiavari, 17 luglio Latina, 18 luglio Aosta...Non dormimmo per tre giorni, praticamente...ah il giorno dopo io e Rita andammo in vacanza in Calabria !
E poi ancora Bergamo, Piacenza, Brescia, Torino al vecchio “Hiroshima” con i No Strange, Brescia, Venezia, Treviso, Verona, Bergamo, di nuovo Torino.
Il 7 novembre intanto esce per la Face Records il nuovo 45 giri con due omaggi a nostri maestri: Velvet Underground con “Venus in furs”, da sempre più o meno presente in scaletta e una versione tiratissima, quasi punk (con la fisa di Talia) di “Tombstone blues” di Bob Dylan.
Registriamo anche “Cocksucker blues” degli Stones (già cavallo di battaglia nei concerti dei Not Moving a metà 80’s) che verrà destinata al nuovo album a cui si incomincia a lavorare poco prima di Natale.
Le registrazioni si protraggono per tutto gennaio.
L’intenzione è di rappresentare al meglio in un “Album Bianco” personale tutto il mondo sonoro, artistico e culturale di Lilith.
I 14 brani spaziano dal tango (“Everything”) al punk beat (“Little Louise”) dal Battiato sperimentale (“Areknames”) alla canzone partigiana (“25-4-1945” di Milva) fino a Stones, Velvet Underground, un omaggio blues al dialetto dell’Alta Valnure (patria nativa di Lilith) con “Bluesin me” a una citazione cinematografica (la “Each man kills the thing he loves” di Fassbinder). E poi ballate, brani più duri, episodi acustici.
Anche “Spanishuffle” un brano dalle tinte tex mex (mutuate da un nostro epico viaggio in corriera in giro per il Messico) miste a new wave.
“The lady sings love songs” (citazione di Billie Holiday) esce il 28 febbraio 1992 in CD e vinile per la Face Records, trova numerosissimi plausi della stampa, vende parecchio bene e scatena un torrenziale tour in tutta Italia che dal 4 marzo all’ “Hiroshima” di Torino, passa a Verona, al “Bloom”, Bologna,Bergamo, Ancona, Roma, Potenza, Ostuni (BR), Grosseto,Faenza, Pescara, Brescia, Piacenza, Firenze, 4 date in Sardegna, a Clusone con Elliott Murphy, Pavia, Genova, a Radio Popolare a Milano (dove dimentico di portare i piatti della batteria e li recupero grazie ad un ascoltatore allertato in diretta per radio, pochi minuti prima l’inizio del live in diretta), Lodi, Trento, Pistoia, Pavia, Firenze, Arezzo, Piacenza, tre date in Germania, Torino e Valenza Po con Tav Falco.
Un tour de force che attraversa tutte le regioni italiane e la Germania e che parallelamente trova anche l’appoggio di radio, interviste alla Rai e sulle principali testate italiane, riviste, fanzines.
Il gruppo decolla, sul palco spesso facciamo faville con tutto il rodaggio fatto da un palco all’altro, i cachet ridotti all’osso per ripartire diventano più interessanti e dignitosi, il disco vende (e finalmente, essendo MIA l’etichetta, riusciamo a capire l’entità delle vendite con precisione.
Alla fine tra vinili e CD sarà qualche migliaio di copie, non male.....).
“Il teatro, il travestimento, sempre presenti nella mia anima hanno un exploit evidentissimo in questo periodo...spunti dagli anni Venti - periodo che personalmente ho sempre ritenuto il più creativo nel secolo scorso, dalle ombre, dalla storia del costume, dalla Parigi dei meandri sotto i ponti della Gare du Nord, dalle macerie del post Muro di Berlino tra i grigi palazzi adibiti a dormitori e la follia dei primi anni ’80 dissolti, dai bar di ogni luogo”.
sabato, settembre 28, 2013
Get Back. Dischi da (ri)scoprire
Qualche disco da riscoprire, colpevolmente dimenticato o trascurato.
GRADUATE - Acting my age
Visse dal 1979 al 1981 (giusto il tempo per saltare sul nuovo trenino del mod revival) il primo gruppo di Roland Orzabal e Curt Smith che poco dopo andarono a fondare i TEARS FOR FEARS prendendo altre strade.
“Acting my age” è l’unico album lasciato nella breve carriera (il secondo “Ambitions” non fu mai pubblicato) e riassume abbastanza dignitosamente le tematiche sonore del plastic mod di allora con un po ‘di ska (“Elvis should play ska” dedicato a Elvis Costello), un beat pulito con pennellate di new wave (non lontano dai Lambrettas) e brani pop dall’incedere souleggiante vicini ai Merton Parkas.
Un ascolto piacevole, datato per una band dimenticata.
TOOTS AND THE MAYTALS - Funky Kingston
Il loro capolavoro del 1972 quando già famosissimi in patria uscirono dalla Giamaica per imporre (grazie anche al film “They harder they come” con Jimmy Cliff e un paio di loro brani) il reggae in tutto i mondo a livello popolare (o quasi).
L’album mischia il classic reggae con influenze soul e rhythm and blues (vedi la cover di “Can’t believe” di Ike Turner o gli irresistibili 6 minuti di “Louie Louie”).
Miscela esplosiva, verde, fumosa e travolgente.
FAMILY - Music in a doll’s house
Caleidoscopico esordio dei Family, piccolo gioiello psych rock dalle mille influenze (dal blues, al soul, dalla psichedelia d’epoca con tanto di raga rock, sperimentazioni “floreali” di vario tipo, inserti cari all’estetica di Frank Zappa.
La versatile vocalità di Roger Chapman (il cui vibrato ritroveremo qualche anno dopo piuttosto simile in Feargal Sharkey degli Undertones) domina tutto ma il sound è originalissimo e ancora fresco.
Di lì a poco Dave Mason e Rick Grech lasceranno per unirsi ai Traffic.
Leggenda vuole che il titolo fece cambiare i programmi ai Beatles che avevano deciso di intitolare l’Album Bianco “Doll’s House”.
MASTER PLAN INC. - S/T
LA Jazzman Records ripesca in polverosi cassetti antichi master risalenti agli 70's di un'esplosiva soul funk band di Chicago con un solo singolo all'attivo ma tanto materiale registrato rimasto colpevolmente inedito.
Niente di nuovo, "solo" 70's funk con largo uso di fiati, ritmiche tra Funk Inc. e Meters, basso in primo piano che spara giri ipnotici bran icon titoli come "Younger generation" e "For the Brothers", una versione da paura di "Bright lights, big city" di Jimmy Reed in versione funk jazz e il piatto di SOUL FOOD è servito.
Prego, mangiatene e bevetene tutti: è FUNK !!!
venerdì, settembre 27, 2013
Mc Vicar Soundtrack
Prosegue la rubrica GLI INSOSPETTABILI ovvero una serie di dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr, il secondo dei Jam, "Sweetheart of the rodeo" dei Byrds, Arcana e Power Station è la volta della colonna sonora del film "Mc Vicar", QUASI un album degli WHO.
La discografia solista dei componenti degli WHO è stata, con l’ovvia eccezione di Pete Townshend, sempre di mediocre livello.
Keith Moon ha lasciato una sola scarsa prova con il suo “Two sides of the moon”, poco più di un divertimento, più dignitosa quella di John Entwistle che , senza mai esaltare, qua e là ha saputo realizzare discreti album a base di rock n roll, brani curiosi con momenti interessanti (in particolare nell’esordio “Smash your head against the wall”).
Roger Daltrey invece si è sempre distinto nei suoi otto album per una pochezza creativa che nemmeno la sua caratteristica e stupenda voce ha saputo mitigare.
Fa eccezione la colonna sonora ormai dimenticata di un altrettanto perso nella memoria modesto film del 1980, “Mc Vicar” (prodotto dalla Who Films), con Roger protagonista nei panni del rapinatore inglese John McVicar che nei 60’s fu dichiarato da Scotland Yard “nemico pubblico numero uno”.
Il disco è caratterizzato da un robusto rock che ben si addice alle qualità vocali di Daltrey e si avvale, qua e là, dell’apporto, tra gli altri, di Pete Townshend alla chitarra, John Entwistle al basso, Kenney Jones alla batteria, John Rabbit Brundick alle tastiere, ovvero gli WHO !
E brani come “Free me”, “Waiting for a friend”, “Bitter and sweet” non sfigurerebbero affatto su un album come “Face dances”.
Ci sono anche un paio di potenti strumentali, temi del film, in chiave “007”, qualche riuscita ballata e brani mid tempo che fanno di “Mc Vicar” il miglior album della carriera solista di Daltrey e un lavoro di tutto rispetto che pur suonando datato, soprattutto nel sound marcatamente 80s’ spesso iper arrangiato, merita un ascolto e una riscoperta.
giovedì, settembre 26, 2013
L'esistenzialismo
Non di sola musica e calcio si vive (anche se...).
ANDREA FORNASARI ci fornisce un prezioso contributo alla scoperta, in poche, leggere, parole dell'ESISTENZIALISMO.
Due parole, non di più, sull' esistenzialismo.
Nonostante le sue convinzioni cristiane, Soren Kierkegaard viene generalmente considerato il primo esistenzialista per aver definito "spaventosa" la visione umana che lega casualità e indifferenza al pensiero di universo.
Verso la fine del 1800 (Kierkegaard, danese, visse nella prima metà di questo secolo) erano in molti a pensare e ritenere che gli esseri umani fossero sul punto di fare propria l' intera conoscenza; grazie alla fisica ed alla matematica la cognizione del mondo teorico e naturale sembrava essere ad un passo, e da lì a poco quella stessa realizzazione si sarebbe estesa alla sfera sociale: l' umanità avrebbe conosciuto una nuova epoca dorata e illuminata dalla sapienza scientifica.
Ma forse quella esagerata presunzione (ciò che i greci antichi chiamavano hubris) insieme allo smisurato ottimismo si sarebbero scontrati con la ben più umile realtà dei fatti e della prassi: e così fu all' inizio del secolo successivo.
Con la teoria della relatività di Einstein, con la teoria dei quanti e il principio di indeterminazione di Heisenberg e con il teorema dell' incompletezza di Godel, ecco che il mondo teorico venne messo a soqquadro, le certezze svanirono e così la fiducia nell' avvenire si trasformò in inquietudine e rassegnazione.
La prima guerra mondiale e le avvisaglie, poi confermate, del secondo conflitto, minarono in profondità l' ottimismo degli animi e il sentimento filosofico che prese piede fu quello di scarsa fiducia nell' uomo.
Parlo di sentimento perchè, come molti altri, ritengo l' esistenzialismo più uno stato d' animo che non una filosofia vera e propria, e alcuni dei suoi testi fondamentali sono infatti dei romanzi ("La nausea" di Sartre, "Lo straniero" di Camus i classici esempi).
Gli esistenzialisti, dunque, si calano in quell' abisso convinti che non vi fosse nessuna essenza iniziale (respingendo quindi sia l' ideale platonico che quello religioso-divino) ma solo l' essere.
Tuttavia essi cercano un' etica in assenza di una idea essenziale di bontà.
Affermavano cioè che dobbiamo fare la cosa giusta (in rapporto alla responsabilità verso tutti gli uomini) anche se non c'è motivo di farla: le cose inique accadono solo perchè accadono, non per punizione.
Questo liberava dal senso di colpa, fra le altre cose.
Gli esistenzialisti, insomma, riscoprono la moralità e può darsi che il loro pensiero filosofico si riduca a questo.
Naturalmente non riescono a spiegare perchè si dovrebbe seguire una morale piuttosto che un' altra: in ciò ricordano Kant senza la giustificazione religiosa e, in parte, il proto-esistenzialista Kierkegaard.
Sartre poneva anche la questione del libero arbitrio (di nuovo la responsabilità personale e universale) in virtù dell' indeterminismo: ciò può apparire scoraggiante e liberatorio a seconda delle interpretazioni.
Camus era particolarmente attratto dall' assurdo, di cui si serviva per descrivere (da letterato) il sentimento di una esistenza priva di significato: i suoi eroi spesso si sacrificano nonostante tutto.
Che dire?
Si tratta di idee molto soggettive e spesso poco razionali, in un certo senso non dissimili dal vecchio romanticismo in cui l' emotività esprime concetti che derivano dai sentimenti più che da una vera e propria analisi o da un metodo: credo che questo possa produrre ottima letteratura e poesia ma non filosofia. D' altra parte, pur appartenendo alla sfera irrazionale - come potrebbe essere un prodotto artistico - possono comunque farci riflettere: da prendere con grande cautela.
Alcuni sostengono che filosofi metafisici quali Heidegger possano essere annoverati fra gli esistenzialisti: senz' altro si tratta di filosofi dell' esistenza ma nel caso specifico di Heidegger (discepolo di Husserl) credo lo si possa facilmente ricollegare all' idealismo tedesco hegeliano.
Inoltre l' eccessiva saturazione grammaticale con termini incomprensibili e arbitrari lo rendono non solo difficile ma anche inutile, se non per quanto riguarda l' ermeneutica.
Ma questa è tutta un' altra storia...
mercoledì, settembre 25, 2013
Madness live in Paris 16 september 2013
Dal nostro inviato a Parigi CHARLIE
Inseguivo i Nutty Boys da molto tempo, quando li ho scoperti a 19 anni loro non erano più in attività mentre le altre due successive Mad-trasferte le avevo bucate sempre per una serie di contrattempi vari, addirittura quando vennero ad Assago, un paio di anni fa, mentre loro erano a Milano io ero a Londra...che tempismo del cazzo, vero?
Anyway alla fine sono riuscito a vederli dal vivo, in una location splendida, in una serata indimenticabile.
E' valsa la pena aspettare.
Prima di tutto la location: il teatro dell'Olympia è suggestivo ed ha una acustica eccezionale, ospita sovente sia musical che concerti di musica leggera (ci suonò pure Jimi Hendrix negli anni 70) insomma direi che è quasi il top per godersi un concerto nella Ville Lumiere.
Si parte alle ore 20 in punto con un gruppo spalla gradevole che fa un raggae-patchancato con influenze soul, sono dei crucchi berlinesi e si chiamano The Seeed (si con tre e) e per quaranta minuti hanno tenuto compagnia ad una audience davvero variegata.
A vedere i ragazzi di Camden c'era un mix di skin panciuti fuori tempo massimo, famigliole con Nutty genitori e mini Mad-maniaci under 12, coppiette in attesa di My Girl, insomma un gran caravan-serraglio che va dai 10 ai 60 anni (l'età giusta di alcuni Nutty Boys originali), molti con un look decisamente brit, d'altronde si sa i Nutty Boys sono più inglesi del thè alle cinque!
Tantissimi tra il pubblico facevano sfoggio del Mad-cappellino modello Loggia del Leopardo di Happy Daysiana memoria, tutti comunque (io incluso anche se collocato in piccionaia) pronti a far caciara sulle note di questo ska-pop super-brit che ancora scalda il cuore.
E quanto lo scalda!
Alle 21.15 parte un sottofondo Shakesperiano con tanto di To be or not to be recitato a mo di intro poi entrano i Nutty Boys versione deluxe (altri tre fiati a supporto di Thompson) ed infine Chas Smash lancia il leggendario...Ehi you don't watch that Watch this!
Il teatro de L'Olympia ribolle di entusiasmo e la prima tripletta è da visibilio, si parte con One Step Beyond e si prosegue con Embarrassment e The Prince.
Lo show si regge molto sui ricami di Mr Barson alle tastiere e sulla interpretazione gigiona e stilosa di Suggs.
La scaletta pesca principalmente dal nuovo disco e dal repertorio storico dei ragazzi (si fa per dire) di Camden saltando il periodo di mezzo storicamente avaro di grandi hit.
I Madness tengono il palco con maestria e con una ironia tutta inglese che gli fa proporre prima My Girl e poi My Girl 2 con Suggs che invita tutti a notare che tipo di idea si son fatti i nostri eroi della vita di coppia nel corso degli ultimi 30 anni, tanti ne sono trascorsi tra la composizione della prima e la seconda canzone in oggetto.
Molto apprezzata dal pubblico una canzone storica come Bed and Breakfast Man mentre ho temuto che il palchetto potesse cadere quando è stato il momento di House of Fun e Baggy Trousers.
Ogni persona presente ha la sua Mad-canzone preferita e i Nutty Boys cercano di non deludere nessuno, ci sono un paio di escursioni dal disco di cover Dangermen Session ed un pezzo tratto del mini-musical (perchè ascoltandolo si capisce che è una sorta di concept album) The Liberty of Norton Folgate. In momento di assoluto delirio parte un siparietto tra Monsieur Barson (vero marchio di fabbrica del Mad-sound con le sue tastiere) che improvvisa un mini-casting modello X Factor invitando Thompson a cantare una versione tremenda de La Vie en Rose il tutto mentre Chrissie Boy Foreman gira per il palco su di un monopattino!
Spettacolare poi il gran finale con i nostri eroi che salutano sulle note di It Must Be Love salvo poi rientrare con una doppietta del calibro di Madness e Night Boat to Cairo con il fiati in grande spolvero.
Calano le luci e rimangono in scena Suggs e Chas che cantano Always looking the bright side of life con tutto il teatro che fischietta il celebre motivetto dei Monty Phyton.
Più british di così.......
martedì, settembre 24, 2013
Intervista a UMBERTO PALAZZO
Umberto Palazzo è un personaggio di prima grandezza della scena alt rock italiana, dagli esordi a suon di garage punk con gli Ugly Things al passaggio ad una psichedelia cantautorale più raffinata con gli Allison Run, la fondazione dei Massimo Volume, la lunga esperienza con il Santo Niente di cui “Mare tranquillitatis” è l’ultima prova (tra i migliori album italiani dell'anno vedi mia recensione su RadioCoop.it a ben sei anni di distanza dal precedente “Il fiore dell’agave”.
Sei anni in cui Palazzo ha comunque proseguito l’attività artistica con altri progetti ugualmente interessanti tra canzone d'autore con l'affascinante progetto solista che ha partorito “Canzoni della Notte e della Controra“ e l'alter ego Calexico oriented dei Santo Nada.
Umberto è anche un raffinato "polemista" (vedere in proposito i post quotidiani sul suo profilo Facebook) e profondo conoscitore di musica e di quanto è accaduto nella scena musicale italiana e non solo negli ultimi decenni.
L’Italia, con alcune eccezioni (Bloody Beetroots, Lacuna Coil su tutti), riesce raramente ad esprimere talenti in grado di competere all’estero e ad imporsi in Inghilterra e Usa (dove invece altre nazioni, dalla Germania alla Francia, dai paesi scandinavi, fino a realtà geopoliticamente “minori” come Islanda o Mali, ce la fanno a piazzare spesso e volentieri loro nomi).
Come spesso sottolinei tu nei tuoi post su Facebook ci incartiamo quasi sempre in provincialismo e autoreferenzialità.
Come uscirne ?
Il problema è appunto che siamo autoreferenziali cioè che in Italia non si ascolta quasi più per niente la produzione musicale internazionale contemporanea di settore, quindi non se ne conosce l’estetica.
Quello che va forte qui, all’estero suona completamente sbagliato.
Il provincialismo si vede al primo colpo d’occhio, dall’abito.
I gruppi italiani di “nuovo” rock più seguiti hanno una età media (con l’eccezione di Verdena e pochi altri) che viaggia tranquillamente dai 40 anni in su (Subsonica, Afterhours, Teatro degli Orrori, Marlene Kuntz etc).
Stiamo perdendo una generazione rock ?
L’abbiamo persa, non è recuperabile.
La nuova generazione non ascolta rock anche perché viene proposta in continuazione roba vecchia come concezione.
Come ci ha insegnato il nostro amico Paul Weller non bisogna mai dimenticarsi come ci si sentiva a sedici anni.
Io a sedici anni volevo ascoltare cose fatte da miei coetanei, che rispecchiassero la mia generazione e non tempi che non avrei potuto mai più rivivere.
Se avessi sedici anni ora odierei il rock. Inoltre il rock non ha più neanche il fascino della trasgressione.
La più banale discoteca commerciale è molto più selvaggia di un concerto di indie italiano e questa moscezza sembra pure diventata un motivo di vanto.
Credi che il declino della discografia (intesa nel senso tradizionale che abbiamo sempre conosciuto) sia irreversibile ?
Siamo ad un punto di non ritorno in cui è necessario inventare una nuova dimensione di come proporre la musica ovvero non più attraverso un contenitore (si chiami vinile, CD o mp3) a pagamento ?
E’ già stato inventato, è una conseguenza di Internet.
La fine dell’industria discografica dipende dal fatto che nei primi anni ottanta i boss delle major cestinarono i rapporti che li avvertivano che tutti avrebbero avuto a breve un computer personale.
Ne risero e ne sono morti.
Il vero colosso mondiale della discografia, nessuno sembra rendersene conto, è iTunes, ma non si sa ancora per quanto.
Anche l’era del download è entrata nella fase del declino.
Tu hai sempre precorso i tempi, pioniere nella prima scena garage (Ugly Things) poi con la psichedelia/rock evoluta degli Allison Run, il primo album dei Massimo Volume che inventarono un genere e un sound e infine il Santo Niente in scuderia con il Consorzio Produttori Indipendenti, per citare gli episodi salienti.
Insomma un gran lavoro di importante semina.
Pensi di aver raccolto in proporzione a quanto sparso nel terreno ?
Non ho raccolto niente, assolutamente niente a livello materiale, anzi le spese sostenute sono immensamente superiori agli incassi.
Di fatto lavoro per finanziarmi e i miei ritmi di produzione sono dettati dai tempi di lavoro e da quello che riesco a mettere da parte.
Sono conosciuto da pochissimi fuori dalla mia cerchia di Facebook.
Non sono mai entrato in una chart annuale delle maggiori testate.
Non c’è un giudizio univoco sul mio lavoro.
Facendo la media risulta che io sia considerato uno dei tanti, appunto, nella media.
Non che me ne freghi più di tanto, mi dispiace solo di non avere più tempo per suonare, comporre e registrare.
Ma poi può anche darsi che sia meglio così, chi può dirlo?
Di certo nessuna pressione a pubblicare qualcosa di cui non sono convinto.
“Mare tranquillitatis”, il nuovo album dei Santo Niente è un lavoro coraggioso, ardito, molto particolare, in cui solo apparentemente il testo è preponderante.
In realtà la musica non è semplice supporto ma si sviluppa in ogni brano in maniera articolata e le due cose vanno a costituire un mix particolarissimo e sicuramente molto originale.
Io sono un musicista innamorato della musica prima di tutto.
Gli italiani però mettono il testo su un livello più alto rispetto alla musica e questo mi fa pensare che non riescano a interpretare la musica come linguaggio.
La mia cultura è l’opposto.
Tra le cose che più ho apprezzato dell’album è che ti “costringe” a più ascolti se veramente lo vuoi capire.
“Una volta” un disco lo si ascoltava ripetutamente anche per settimane con in mano la copertina, leggendo i testi, cercando di approfondirne il più possibile la conoscenza. Ora è tutto veloce, hai la possibilità di accedere a decine di nuovi album ogni giorno e anche l’ascolto diventa spesso superficiale, il giudizio immediato e senza approfondimenti (spesso anche da parte dei critici e recensori).
E’ un disco pensato, da quel punto di vista, alla vecchia maniera, pieno di dettagli che si rivelano ascolto dopo ascolto.
Se ne fanno pochi così, ma un po’ è anche colpa delle band.
Voglio dire, io amo per esempio Raw Power, ma, se t’imbarchi in una cosa ambiziosa, non ti puoi fermare a metà strada, perché tanto va bene lo stesso e nessuno ci fa più caso.
Quando avevo lo studio di registrazione e mi chiedevano
“Ma tu cosa fai nella vita?”
“Ho uno studio di registrazione”
“Bello ma di lavoro cosa fai ?”.
Tu che vivi di musica è dunque possibile farlo in Italia o rimane il lavoro più precario che ci sia ?
Credi sia così solo da noi ?
E’ durissima ovunque, ma quello che rende penosa la faccenda in Italia è la mancanza di rispetto per gli artisti.
E’ una conseguenza di quella mentalità sottilmente autoritaria che affligge anche i nostri connazionali che si credono progrediti.
Per l’italiano medio l’artista è un deviante sociale, non qualcuno che ci deve essere in una società perché questa sia completa e bella.
Uno domanda del genere, analizzata con distacco, porta alla conclusione che può essere posta solo da una persona che riesca a concepire un mondo senza l’esistenza dell’arte e di qualcuno che esplichi la funzione di crearla.
L’ignoranza fa fare e dire cose molto cattive a persone che di natura magari non lo sono. Insomma, è una domanda gretta e abbastanza imperdonabile.
Infine la classica domanda leggera ma che personalmente diverte sempre molto.
Fammi una lista dei tuoi dischi preferiti in assoluto e di quei gruppi (o dischi) che consiglieresti di scoprire per conoscere qualcosa di nuovo attualmente in circolazione.
David Bowie: “Heroes”
Joy Division: “Closer”
The Beatles: “White Album”
Lou Reed: “Transformer”
Questi sono i cardini della mia formazione, ma difficilmente mi capita di ascoltarli.
M’innamoro spesso e volentieri di dischi di ogni epoca e parte del mondo.
Segue lunga e non esaustiva lista di band che secondo me hanno prodotto qualcosa d’interessante negli ultimi due anni:
Teho Teardo e Blixa Bargeld, Parquet Courts, Unknown Mortal Orchestra, Nick Cave, Matmos, Bowie, Mazes, The Men, Phosphorescent, Low, Dj Koze, Julina Lynch, Creole Choir Of Cuba, Wire, Bombino, Rokia Traorè, The Knife, Bevis Frond, Robyn Hitchcock, Daft Punk, Dirty Beaches, Disclosure, Gal Costa, Caetano Veloso, Vampire Weekend, Pet Shop Boys, Matias Aguayo, Ka, Disappears, Damien Jurado, Django Django, Eywind Kang, Earth, Hannie Hukkelberg, Meshuggah, Mike Wexler, Monolake, Oren Ambarchi, Daughn Gibson, Chromatics, Lower Dens, Mount Eerie, Zammuto, Light Asylum, Fiona Apple, Eleanor Friedberger, Cat Power, Cloud Nothings, Neneh Cherry And The Thing, Bonnie Prince Billy, Ty Segall, Diplo, Thee Oh Sees, Grizzly Bear, OM, Four Tet, Swans, Moritz Von Oswald Trio, Dirty Projectors, Goat, Godspeed You! Black Emperor, Metz, Chris Cohen, Mac De Marco…
Non che abbia una memoria di ferro, sono tutti nelle mie playlist di Spotify.
lunedì, settembre 23, 2013
Gli Strypes e la purezza ideologica
La band irlandese dei giovanissimi (14/16 anni) THE STRYPES ha realizzato con il debutto “Snapshot” l’album dell’anno.
Un esplosivo mix di Yardbirds, Dr Feelgood, Jam di “In the city”, i primissimi Stones, i Beatles ancora selvaggi del Cavern e di “I saw her standing there”, i Kinks di “You really got me” espresso con una dinamica, una potenza, una pulizia sonora che non intacca la carica e l’urgenza “sporca” adolescenziale.
Non a caso a produrre c’è Chris Thomas (quello di “Never mind the...” dei Sex Pistols, dell’ “Album Bianco” dei Beatles, “Empty glass” di Townshend, U2, Paul McCartmey e tanto tanto altro...scusate se è poco). La band è finita sotto le ali protettrci di Elton John e si sono scomodati ad andarli avedere in concerto gente come Paul Weller, Miles kane, Noel Gallagher, Dave Ghrol etc.
Tutto bene?
No.
Continuo a leggere in varie discussioni su Facebook o in recensioni (italiane ed estere) del “timore” che sia un gruppo “costruito” che non sia possibile che a 15 anni si possa suonare con tale competenza e tale resa.
C’è chi li aspetta al varco con i prossimi album per vedere se cambieranno (spero vivamente che si evolvano !), chi gli rimprovera di essere troppo bellocci e puliti (a quell’età dovresti assomigliare a Keith Richards forse ?) e via discorrendo.
Tutte critiche che vengono prevalentemente da persone ultra quarantenni che sembrano mettere davanti a tutto una necessità di “purezza ideologica” per poter suonare un certo tipo di cose (per quanto suonare selvaggio rhythm and blues anni 60 possa essere una via per il successo...), l’obbligo di presentare un patentino di appartenenza per poter osare di toccare un certo genere, l’impossibilità di accettare che nel 2013 con tutti i mezzi a disposizione per accedere alla musica, alle immagini, ai contenuti di un certo genere non è così improbabile che un gruppo di giovanissimi si appassioni ad un mondo così affascinante come i primi 60’s e lo sappia riprodurre con così tanta competenza e passione.
MA...LA MUSICA ??
Non è sufficiente ASCOLTARE e APPREZZARE un grande disco ?
Che siano costruiti o meno non è importante SOLO l’ascolto ?
Non furono costruiti i Beatles (che buttarono fuori da un giorno all’altro il batterista Pete Best per ragioni d’immagine), gli Stones (che per lo stesso motivo fecero la medesima cosa con Ian Stewart), gli Who (rivestiti da mods per assecondare i gusti dell’epoca), Elvis, New York Dolls, Sex Pistols, i Jam in divisa mod (il solo Weller era dedicato al verbo mod) ?
domenica, settembre 22, 2013
La storia di Lilith - Gli inizi 1989/1990
Incomincia oggi un breve excursus sulla storia di LILITH, dai primi giorni post Not Moving al nuovo disco, l'EP "Stereo Blues vol.1: Punk Collection" di LILITH AND THE SINNERSAINTS in uscita il 21 ottobre in confezione speciale per Alpha South (distr. Audioglobe), un personale omaggio al PUNK ROCK con cover di brani di Television, Saints, Clash, Bad Brains).
www.lilithandthesinnersaints.com
www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints
La brusca rottura con i Not Moving di fine 1988 lasciò il sottoscritto e Rita / Lilith, con Betty Blue Milani, piuttosto frastornati.
Veniva meno dopo anni ed anni la nostra “missione” nel rock n roll, la cosa a cui avevamo dedicato più tempo, energia e sacrifici e che proprio negli ultimi tempi ci stava finalmente ripagando anche economicamente.
Ma allo stesso tempo fu un’iniezione di libertà, freschezza, il riaprire un universo di potenziali nuovi percorsi prima in qualche modo preclusi da una dimensione di gruppo di per sè rigida e articolata.
Non perdemmo tempo, Lilith trovò un nuovo nome dai contorni suggestivi, TIMEPILLS e ci mettemmo, in tre, immediatamente al lavoro per trovare un nuovo sound, un nuovo indirizzo sonoro.
Il 1989 fu un calderone di impulsi: io e Lilith stavamo preparando in allegria il nostro matrimonio e non passava settimana in cui non fossimo a vedere un concerto da qualche parte nel nord Italia, da nomi ultra come daRolling Stones e Lou Reed da Cramps, Cab Calloway, Mano Negra, Negresses Vertes, Lenny Kravitz, Fuzztones, Marianne Faithfull, Beasts of Bourbon, Paul Welle, Ramones, Miracle Workers, , Nirvana.
E non dimenticando gli amici italiani, dai Bohhos ai Gang, CCCP, Sick Rose, Statuto (di cui stavo producendo il nuovo EP “Senza di lei” e con cui suonai perfino un concerto in sostituzione di Naska).
E poi il festival degli Autonomi a Parco Lambro, serate al Leonka, raduni mod, i Prime Movers, mostre di Dalì, la partenza della Face Records.
In questo brodo di influenze nasce il primo, unico e sfortunato demo dei Timepills con tre brani che spaziano dal blues ad un rock beat orecchiabile.
Il progetto però tentenna, entra Renzo Bassi (futuro Link Quartet) al basso e poco dopo Lilith decide di lasciare la band (che proseguirà per un paio di anni come trio e di cui la mia neonata Face Records pubblicherà l’unico 45 giri) per dedicarsi a teatro, disegno, cucina macrobiotica, mercatini vintage, modella.
“Un giorno Tony venne a casa mia e mi disse della sua nuova idea, una casa discografica, la Face Records di cui mi chiese di disegnare il logo e di incidere un disco...da solista.
Non avevo preso in considerazione questa opzione ma mi piacque l’idea. Da tempo avevo ricominciato a scrivere testi in forma poetica senza suono perché tutto quello che mi girava per la testa erano dei talking blues, forse per sfuggire alle chitarre metalliche e ululanti dell’ultimo periodo dei Not Moving.
Mi disse “Fai una cosa diversa dal solito, una cosa che ti piace, solo a nome tuo, senza membri di un gruppo a cui dover rendere conto. Ci metti un tango, un blues, cose acustiche.
Con i Not Moving avevamo suonato qualcosa di pionieristico, totalmente all’opposto di quello che andava agli inizi degli anni 80. Ricominciai con lo stesso spirito e decisi per una strada completamente acustica e lo-fi”.
Qualche prova con l’amica Betty Vercesi (ex Scrimshankers) alla chitarra acustica e il sottoscritto con percussioni minimali, in breve quattro brani pronti, veloci session di registrazione, autogestite, crude ed essenziali, un aiuto da parte di qualche amico (inclusi il fratello di Betty, Massimo Vercesi , anche lui dagli Scrimshankers e Talia Accardi dei Ritmo Tribale alla fisarmonica” e “Hello I love me” diventa una realtà, nonostante la proposta originaria di Lilith fosse a base di spunti cinematografici, spesso confusi del tipo:
“Immaginati un bar di notte dove c’è solo Lei con i capelli rossi che serve un whisky e in sottofondo solo un piano…protagonista di questo brano ( da qui nasce “The piano” ndr).
“Registravamo a notte fonda quando avevo appena finito i turni nella fabbrica di pomodori dove lavoravo. Non era cotone ma poco ci mancava…”
Soprattutto il 4 ottobre 1990 quando viene pubblicato, trovando un’inaspettata accoglienza da parte della stampa che rilascia una serie di ottime e incoraggianti recensioni e del pubblico che acquista numeroso l’inatteso esordio.
“A child” e “I love me” sono due ballate acustiche, “The piano” un boogie blues mutuato dalla lezione di John Lee Hooker, Rickie Lee Jones, Michelle Shocked, “You got the silver” un omaggio blues ai Rolling Stones dei 70s’.
sabato, settembre 21, 2013
Giorgio Chinaglia
Omaggio a GIORGIO CHINAGLIA a cura di Alberto Galletti (autore con Antonio Bacciocchi di "ROCK n GOAL", VoloLibero Edizioni in cui Long John compare con il 45 che incise negli anni 70 "I'm football crazy").
E’ tornata in Italia, poco più di un anno dopo la sua scomparsa, la salma di Giorgio Chinaglia, mitico bomber italiano deceduto lo scorso anno in Usa.
Nasce a Carrara nel 1947 da una famiglia di umili origini e si trasferisce in Galles all’età di 8 anni dove il padre lavora come operaio in un acciaieria, dopo aver vissuto in Italia per tre anni con la nonna a Carrara, a scuola pratica rugby , scelto dall’allenatore della squadra, ma si stufa presto della palla ovale (gioca 2à linea vista la stazza) e si segnala subito per il carattere intemperante e spigoloso dichiarando ,nel paese dove il rugby è una religione, che solo gli idioti giocano a rugby, i migliori giocano a calcio.
Incomincia a giocare nello Swansea Town (dopo un provino non superato per il Cardiff City) che lo nota nelle semifinali di una competizione scolastica e lo mette tra gli apprendisti, a 16 anni si segnala subito per l'arroganza, il vizio del gioco e gli scherzi ai colleghi più grandi (professionisti) che non sono affatto divertiti dal nuovo arrivato,in quattro stagioni riuscirà a mettere insieme solo 5 presenze in prima squadra, dopo reiterate insistenza con l'allenatore per schierarlo (gli disse di farlo giocare perchè era forte e Torino, Bologna e Juventus lo volevano prendere, ovviamente una palla) ,viene scaricato dopo la partita di Londra col Brentford alla quale si presentò solo 10 minuti prima del calcio d'inizio, Glyn Davies, allenatore molto all'antica, non gradì e lo mise alla porta, tornò tra le riserve e comiciò ad arrivare tardi agli allenamenti per aver fatto le ore piccole e Davies cominciò a multarlo ripetutamente finchè Chinaglia non si ritrovò talmente in bolletta da rubare le bottiglie di latte ordinatamente lasciate la mattina sulla porta delle abitazioni della via dello stadio, in modo da poterci fare qualche soldo rivendendola.
Il padre ad ogni modo si confrontò duramente con l'allenatore, convinto che il figlio fosse un grandissimo fuoriclasse, e dopo non esser riuscito ad ottenere di faro giocare (le sue poche apparizioni furono decisamente deludenti) cominciò ad insistere per farlo liberare da vincolo del tesseramento.
Accuserà in seguito i britannici di essere razzisti e di essersi sempre accaniti contro di lui perchà figlio di italiani emigrati, ricordando spesso il fatto di aver pulito le scarpe per tre anni ad un giocatore della prima squadra quando lui era apprendista, dimenticandosi (o ignorando, non sarei sorpreso) del fatto che ciò costituiva la consuetudine all'epoca all'interno delle squadre di calcio in Gran Bretagna.
La famiglia avrebbe voluto mandarlo alla Carrarese, squadra della città di origine, ma l’iter burocratico scoraggia la presidenza gialloblù, così nell’estate del 1966 se lo assicura la Massese grazie ad un pre-tesseramento fittizio ad una società di dilettanti che consentirà di aggirare il transfer e molto più importante l’indennizzo da corrispondere ai gallesi (il trucco è usato ancora oggi dai settori giovanili delle società professionistiche), il giovane Chinaglia si comporta discretamente e chiuderà la stagione con 32 presenze e 5 reti e una generale impressione di grande potenziale a dispetto della stazza e dei movimenti sgraziati (Sivori lo definirà poi un elefante in un negozio di porcellana) .
Nell’estate 1967 a dispetto di un promesso o ventilato trasferimento alla Fiorentina, Chinaglia viene ceduto all’Internapoli che sborsa senza fiatare i milioni richiesti, un duro colpo per il centravanti.
Ma si sa non tutto il male vien per nuocere e a Napoli si ritrova in squadra con Pino Wilson e Franco Cordova (che sarà poi una bandiera giallorossa) , la prima stagione si chiude con un nono posto , ma soprattutto lo scudetto categoria Beretti vinto in finale con il Prato 1-0 grazie ad un gol suo. La seconda stagione è trionfale la squadra compie una grande cavalcata sotto la guida di Luis Vinicio e chiude al terzo posto accarezzando a lungo la possibilità di una promozione in serie B .
Il biennio si chiude con 24 reti in 66 presenze, Chinaglia ha fatto faville sfoderando il suo repertorio di sgroppate velocità potenza colpi di testa e tiri di prima, se lo assicura la Lazio neo-promossa in Serie A.
Il suo arrivo a Roma è leggendario, vestito come una delle star del calcio inglese dell’epoca, coppola da golfista, vestiti sgargianti e auto sportiva (che si era preso alla Massese), aprirà persino una boutique a Roma con vestiti alla moda,chiamata Long John, soprannome che da allora non lo mollò fino alla fine, Chinaglia va al centro dell’attenzione nonostante sia l’ultimo arrivato e soprattutto si scontra contro l’allenatore argentino Lorenzo un duro che va per le spicce (come tutte le sue squadre), nonostante qualche frizione Lorenzo riesce a lavorare su Giorgio affinandone tiro, controllo in corsa e difesa della palla cercando di trasformare l’irruenza in un arma a proprio favore, e ci riuscirà, Chinaglia si sblocca nella partita interna col Milan, iniziando una lungo rapporto col gol che entusiasmerà le folle biancocelesti.
La stagione i chiude all’ottavo posto.
L’anno dopo la squadra non rende e un brutto avvio porta a tensioni e divisioni interne che comprometteranno irrimediabilmente la classifica, Chinaglia viene preso come capro espiatorio da giornali e tifosi (esponenti del classico ambiente di pretini e non moralisti) che lo accusano di fare la bella vita a suon di ore piccole, champagne e sesso sfrenato, di certo ci sono le serate, molte delle quali finiscono in tremende scazzottate, vittime i malcapitati tifosi che gli rinfacciavano di godersela troppo, arriva ad accenni di rissa persino con i dirigenti della Lazio, il suo modo di risolvere le cose era noto, ma era una modo di fare parecchio condiviso tra i membri della rosa. Ad ogni modo penultimo posto , retrocessione e Lorenzo licenziato, al suo posto viene assunto tra l’indifferenza generale (e parecchi mugugni) Tommaso Maestrelli, uomo dai modi gentili artefice del miracolo Foggia in Serie A.
La storia è nota, promozione in Serie A, Chinaglia capocannoniere con 21 reti, l’anno dopo terzo posto, ma in realtà scudetto perso all’ultima giornata, trascinati ancora da Chinaglia che mette a segno 10 reti e poi scudetto (il primo nella storia biancoceleste) nella stagione successiva 1973/74, trascinatore ancora Chinaglia capocannoniere con l’incredibile cifra di 24 reti.
Lo spogliatoio della Lazio scudetto meriterebbe un discorso a parte, ma ad ogni modo mi limito ad citare l’opera di Maestrelli nel cercare di tenere a bada un gruppo di giovani parecchio esuberanti, all’apice del successo, con abbastanza soldi in tasca (in gran parte mai dichiarati) nella Roma dei primi anni 70 ovvero un posto dove tentazioni e pericoli si nascondevano dietro ogni angolo, ma mi limiterò al campo segnalando l’incredibile Lazio – Ipswich Town di quella stagione che culminò in una caccia all’uomo (arbitro e calciatori inglesi) che costò al club biancoceleste tre anni di squalifica dalle competizioni europee e il conseguente divieto di giocare in Coppa dei Campioni l’anno dopo.
Chinaglia lascerà Roma nell’estate del 1976 dopo una salvezza stentatissima, un ambiente dilaniato da divisioni e polemiche, che non si confà più ormai alla sua continua voglia di emergere e cavalcare l’onda.
Firma per i New York Cosmos dove giocherà con Beckenbauer, Pelè e Neeskens tra gli altri, ma soprattutto segnerà la bellezza di 231 reti in 234 incontri diventando una leggenda del calcio nordamericano di dimensioni che tendono un po’ a sfuggire a noi appassionati del vecchio continente.
La sua carriera in Nazionale è breve, 14 presenza e 4 reti, chiuso da Boninsegna e Anastasi prima e dal vaffanculo a Valcareggi a Stoccarda poi, non rispecchia forse quello che avrebbe potuto essere, ma tant’è Pulici che era molto meglio di lui mise insieme solo 19 presenze (5)., è stato comunque il primo giocatore militante in Serie B ad essere convocato e a giocare in Nazionale.
Chinaglia è stato un grande, animato da un’indomabile voglia di riscatto e di affermazione ha preso la vita e il mondo a calci, pugni e spintoni, come se fosse stata una partita continua.
Come calciatore è stato un centravanti del tipo britannico-classico i modi che potevano essere accettabili o addirittura divertenti in Gran Bretagna, dentro e fuori dal campo, hanno costiuito per lui un grosso problema agli occhi dell’opinione pubblica di questo paese di catto-comunisti finto-perbenisti o finto-contestatorivoluzionari del periodo , rendendolo grande solo agli occhi dei tifosi della sua squadra e pochi altri dotati di vero sense of humor.
Ad ogni modo la potenza fisica, il tiro in porta al volo o in corsa, il coraggio nei colpi di testa e nell’affrontare le difese avversarie , oltre ai numeri, ne hanno fatto , a mio modo di vedere, uno dei grandi attaccanti italiani di ogni tempo.
Dopo aver smesso col calcio giocato ha continuato a vivere in America rientrando una prima volta a Roma in soccorso della Lazio a capo di una cordata USA che non si metrializzò e lasciò lui e il club in braghe di tela, successivamente ha avuto incarichi dirigenziali in Ferencvaros, Marsala, Foggia e Lanciano, balzando all’onore delle cronache per sporadici guai giudiziari dovuti alle imprese in cui si gettava a capofitto senza ragionare (come ai bei tempi).
Ha inciso un 45 giri nel 1974 alll’apice della popolarità post-scudetto dal titolo ‘I’m football crazy’, scritto per lui dai laziali Oliver Onions, che diventerà il tema del film ‘L’arbitro’ con Lando Buzzanca.
E’ nominato nella sbrodolata anticalciatori-antitutto ‘Nuntereggaepiù’ di Rino Gaetano, gli Squallor gli dedicarono ‘Il Vangelo secondo Chinaglia’ dall’album ‘Palle’ (ovviamente del 1974) con l’immortale ‘Mi sento un verme, se penso che per andar a veder Chinaglia ho lasciato senza soldi la mi hermana…’, testimonianza di quanto fosse popolare all’epoca.
Muore per infarto (cos’altro vecchio Long John) il 1 aprile 2012 in Florida, e dopo esser stato ivi tumulato, la sua salma viene fatta rimpatriare (rispettando così le sue volontà), grazie anche all’aiuto dei Pino Wilson e Giancarlo Oddi suoi compagni nell’anno dello scudetto che insieme ad altri hanno completato le pratiche necessarie.
Riposerà nella tomba della Famiglia di Maestrelli al cimitero di Prima Porta a Roma, accanto al suo vecchio maestro.
venerdì, settembre 20, 2013
Mods Mayday 1979
Nelle foto la copertina del disco originale, la pubblicità della serata alla Bridgehouse, quella per l'uscita del disco e una promo dei The Mods.
Il 7 maggio del 1979 si tenne uno dei principali atti di inizio del Mod Revival con il concerto alla Bridge House a Canning Town a Londra, chiamato successivamente Mods Mayday e immortalato nel settembre dello stesso anno nell’omonimo album (che grazie alla presenza dei Secret Affair arrivò alla Top 40).
Dalle 6.30 del pomeriggio alle 11 si esibirono Small Hours , Squire, Secret Affair, Beggar, The Mods e Merton Parkas (non inclusi originariamente nell’album di cui sopra se non nella successiva ristampa in CD).
Ad aprire erano previsti i Little Roosters che saltarono però il concerto, sostituiti dagli SQUIRE in cambio della strumentazione da condividere con gli altri.
La band di Anthony Meynell suonò 6 brani aprendo con “It’s a mod mod world”.
Da lì prese il via una buona carriera fatta di album sempre interessanti e piacevolmente beatleasiani.
A seguire con 5 brani i gallesi BEGGAR, già attivi da un paio di anni con un sound debitore a pub rock e rhythm and blues bianco.
Non durarono molto (sciolti già nel 1980). Il cantante Bryn Gregory continuò su coordinate vagamente mod oriented con i Co Stars, altri come The Breathers, il batterista Mike Slocome troverà maggior fortuna con Monochrome Set e Dream Academy.
Tre i brani riservati ai MODS, un buon gruppo che sciolse quasi subito proseguendo chi con il nome Long Run prima, The Astrals poi, il cantante Mark Casson con i Catch 22.
Sei quelli per gli SMALL HOURS (che Gary Bushell di “Sounds” definì "Soul Meets Springsteen at the Grassroots of Mod" ) tra cui “Midnight to six” (non quella dei Pretty Things).
Sempre sei i brani anche per i MERTON PARKAS dei fratelli Talbot incluse le cover di “Tears of a clown” di Smokey Robinson e “What I’d say” di Ray Charles.
Star della serata i SECRET AFFAIR (seguiti da un nutrito manipolo di Glory Boys ) che eseguirono 11 brani , buona parte tratti dal primo album “Glory boys” oltre a “My world” che sarà sul secondo e “Going to a go go” (ancora Smokey Robinson & the Miracles) e “Get ready” dei Temptations.
Due bis con “Time for action” e “Let your heart dance”.
L’album riproduce con discreta qualità l’atmosfera caldissima della serata e il via ad uno dei fenomeni più particolari ed interessanti della fine degli anni 70: il Mod Revival.
giovedì, settembre 19, 2013
Bertolucci, l'Ultimo tango e lo stupro al burro
Bernardo Bertolucci,è il regista di “Novecento”, “Ultimo tango a Parigi”, “L’ultimo imperatore” (Premio OScar alla regia), “Il piccolo Buddha”, Grand'Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana, vincitore di una lunghissima serie di prima grandezza, uno dei registi che , artisticamente più ho amato.
Ha da poco rilasciato una dichiarazione in merito alla famosa, scandalosa, pluricensurata e discussa scena “al burro” da “L’ultimo tango a Parigi”, in cui Brando sodomizza Maria Schneider utilizzando il burro come lubrificante (per non usare giri di parole).
Senza moralismi, senza volersi ergere a giudici, le sue parole mi hanno lasciato esterefatto per la crudezza, la mancanza di “pietà”, di rispetto, il cinismo spietato (appunto) di chi concepisce la propria arte/proprio scopo al di sopra di ogni cosa.
“L’idea è venuta a me e a Brando mentre facevamo colazione…
A un certo punto lui ha cominciato a spalmare il burro su una baguette, subito ci siamo dati un’occhiata complice … Abbiamo deciso di non dire niente a Maria per avere una reazione più realistica, non di attrice ma di giovane donna.
Lei piange, urla, si sente ferita...questa ferita è stata utile al film.
Non credo che avrebbe reagito in questo modo se l’avesse saputo.
Sono cose gravi ma è anche così che si fanno i film: le provocazioni a volte sono più importanti delle spiegazioni… E’ anche in questo modo che si ottiene un certo clima, non saprei come altrimenti.
Maria aveva vent’anni.
Per tutta la vita è stata rancorosa nei miei confronti perché si è sentita sfruttata.
Purtroppo succede quando si è dentro un’avventura che non si comprende, lei non aveva i mezzi per filtrare quello che succedeva.
Forse sono stato colpevole ma non potranno portarmi in tribunale per questo”.
Nel 2007 a La Repubblica Maria Schneider dichiarò:
“Mi hanno ingannato.
Mi hanno quasi violentata. Quella scena non era prevista nella sceneggiatura. Io mi sono rifiutata, mi sono arrabbiata.
Ma poi non ho potuto dire di no. Avrei dovuto chiamare il mio agente o il mio avvocato perché non si può obbligare un attore a fare qualcosa che non è nella sceneggiatura.
Ma all’epoca ero troppo giovane, non lo sapevo. Così fui costretta a sottopormi a quella che ritengo essere stata una vera violenza.
Le lacrime che si vedono nel film sono vere. Sono lacrime di umiliazione. Non ho ancora perdonato Bertolucci per il modo in cui mi ha trattata e anche quando l’ho incontrato a Tokyo 17 anni fa l’ho ignorato. Lo ricordo ancora bene sul set. Era grasso, sudato e ci ha manipolati, sia Marlon che me. Alcune mattine sul set era molto gentile e salutava, altri giorni non diceva niente, solo per vedere le nostre reazioni. Io ero troppo giovane e ingenua.
E sfruttata.
Per il film mi diedero solo 5 mila dollari“. “Ultimo Tango a Parigi”, invece, incassò milioni.
Dopo quel set Maria scivolò nella dipendenza dall’eroina.
Colpa, diceva lei, dell’immagine che Bertolucci le aveva fatto assumere nel film.
“Ero triste perché mi trattavano come un sex symbol, ma io volevo essere apprezzata e riconosciuta come attrice“.
mercoledì, settembre 18, 2013
Le peggiori maglie nella storia del calcio
Non è difficile fare (soprattutto ai nostri giorni in cui i designer si possono sbizzarrire senza alcun freno) una classifica delle peggiore maglie da calcio della storia. Negli anni si sono accumulati orrori di ogni genere, grazie anche all’introduzione della terza maglia, senza alcun ritegno e fedeltà nei confronti della storia della squadra e dei colori sociali originali. Quest’anno l’esempio più clamoroso è la sconcertante terza maglia del NAPOLI in chiave mimetica (non dimenticando il rosso fuoco dell’Inter dello scorso anno o quella dorata del Milan da trasferta mentre Liverpool e Manchester United hanno fatto faville per vincere la palma per quella più orrenda da trasferta).
Nella storia delle peggiori maglie un premio speciale va a quella del 1978 degli americani The Caribous of Colorado
Anche il Liverpool 1995/96 non scherza
Che dire di quella pop art dell’Australia del 1991 ?
Difficile da digerire la maglia di trasferta della Germania nel 94/95
Pacchiano il richiamo al passato del Messico del 1998
Da giungla quella dell'Hull City 92/93
Psichedelica quella dell’Atletico Bilbao del 2004
Su tutti resta inattaccabile quella indossata dal portiere messicano Jorge Campos durante il mondiale 1994.