martedì, settembre 24, 2013
Intervista a UMBERTO PALAZZO
Umberto Palazzo è un personaggio di prima grandezza della scena alt rock italiana, dagli esordi a suon di garage punk con gli Ugly Things al passaggio ad una psichedelia cantautorale più raffinata con gli Allison Run, la fondazione dei Massimo Volume, la lunga esperienza con il Santo Niente di cui “Mare tranquillitatis” è l’ultima prova (tra i migliori album italiani dell'anno vedi mia recensione su RadioCoop.it a ben sei anni di distanza dal precedente “Il fiore dell’agave”.
Sei anni in cui Palazzo ha comunque proseguito l’attività artistica con altri progetti ugualmente interessanti tra canzone d'autore con l'affascinante progetto solista che ha partorito “Canzoni della Notte e della Controra“ e l'alter ego Calexico oriented dei Santo Nada.
Umberto è anche un raffinato "polemista" (vedere in proposito i post quotidiani sul suo profilo Facebook) e profondo conoscitore di musica e di quanto è accaduto nella scena musicale italiana e non solo negli ultimi decenni.
L’Italia, con alcune eccezioni (Bloody Beetroots, Lacuna Coil su tutti), riesce raramente ad esprimere talenti in grado di competere all’estero e ad imporsi in Inghilterra e Usa (dove invece altre nazioni, dalla Germania alla Francia, dai paesi scandinavi, fino a realtà geopoliticamente “minori” come Islanda o Mali, ce la fanno a piazzare spesso e volentieri loro nomi).
Come spesso sottolinei tu nei tuoi post su Facebook ci incartiamo quasi sempre in provincialismo e autoreferenzialità.
Come uscirne ?
Il problema è appunto che siamo autoreferenziali cioè che in Italia non si ascolta quasi più per niente la produzione musicale internazionale contemporanea di settore, quindi non se ne conosce l’estetica.
Quello che va forte qui, all’estero suona completamente sbagliato.
Il provincialismo si vede al primo colpo d’occhio, dall’abito.
I gruppi italiani di “nuovo” rock più seguiti hanno una età media (con l’eccezione di Verdena e pochi altri) che viaggia tranquillamente dai 40 anni in su (Subsonica, Afterhours, Teatro degli Orrori, Marlene Kuntz etc).
Stiamo perdendo una generazione rock ?
L’abbiamo persa, non è recuperabile.
La nuova generazione non ascolta rock anche perché viene proposta in continuazione roba vecchia come concezione.
Come ci ha insegnato il nostro amico Paul Weller non bisogna mai dimenticarsi come ci si sentiva a sedici anni.
Io a sedici anni volevo ascoltare cose fatte da miei coetanei, che rispecchiassero la mia generazione e non tempi che non avrei potuto mai più rivivere.
Se avessi sedici anni ora odierei il rock. Inoltre il rock non ha più neanche il fascino della trasgressione.
La più banale discoteca commerciale è molto più selvaggia di un concerto di indie italiano e questa moscezza sembra pure diventata un motivo di vanto.
Credi che il declino della discografia (intesa nel senso tradizionale che abbiamo sempre conosciuto) sia irreversibile ?
Siamo ad un punto di non ritorno in cui è necessario inventare una nuova dimensione di come proporre la musica ovvero non più attraverso un contenitore (si chiami vinile, CD o mp3) a pagamento ?
E’ già stato inventato, è una conseguenza di Internet.
La fine dell’industria discografica dipende dal fatto che nei primi anni ottanta i boss delle major cestinarono i rapporti che li avvertivano che tutti avrebbero avuto a breve un computer personale.
Ne risero e ne sono morti.
Il vero colosso mondiale della discografia, nessuno sembra rendersene conto, è iTunes, ma non si sa ancora per quanto.
Anche l’era del download è entrata nella fase del declino.
Tu hai sempre precorso i tempi, pioniere nella prima scena garage (Ugly Things) poi con la psichedelia/rock evoluta degli Allison Run, il primo album dei Massimo Volume che inventarono un genere e un sound e infine il Santo Niente in scuderia con il Consorzio Produttori Indipendenti, per citare gli episodi salienti.
Insomma un gran lavoro di importante semina.
Pensi di aver raccolto in proporzione a quanto sparso nel terreno ?
Non ho raccolto niente, assolutamente niente a livello materiale, anzi le spese sostenute sono immensamente superiori agli incassi.
Di fatto lavoro per finanziarmi e i miei ritmi di produzione sono dettati dai tempi di lavoro e da quello che riesco a mettere da parte.
Sono conosciuto da pochissimi fuori dalla mia cerchia di Facebook.
Non sono mai entrato in una chart annuale delle maggiori testate.
Non c’è un giudizio univoco sul mio lavoro.
Facendo la media risulta che io sia considerato uno dei tanti, appunto, nella media.
Non che me ne freghi più di tanto, mi dispiace solo di non avere più tempo per suonare, comporre e registrare.
Ma poi può anche darsi che sia meglio così, chi può dirlo?
Di certo nessuna pressione a pubblicare qualcosa di cui non sono convinto.
“Mare tranquillitatis”, il nuovo album dei Santo Niente è un lavoro coraggioso, ardito, molto particolare, in cui solo apparentemente il testo è preponderante.
In realtà la musica non è semplice supporto ma si sviluppa in ogni brano in maniera articolata e le due cose vanno a costituire un mix particolarissimo e sicuramente molto originale.
Io sono un musicista innamorato della musica prima di tutto.
Gli italiani però mettono il testo su un livello più alto rispetto alla musica e questo mi fa pensare che non riescano a interpretare la musica come linguaggio.
La mia cultura è l’opposto.
Tra le cose che più ho apprezzato dell’album è che ti “costringe” a più ascolti se veramente lo vuoi capire.
“Una volta” un disco lo si ascoltava ripetutamente anche per settimane con in mano la copertina, leggendo i testi, cercando di approfondirne il più possibile la conoscenza. Ora è tutto veloce, hai la possibilità di accedere a decine di nuovi album ogni giorno e anche l’ascolto diventa spesso superficiale, il giudizio immediato e senza approfondimenti (spesso anche da parte dei critici e recensori).
E’ un disco pensato, da quel punto di vista, alla vecchia maniera, pieno di dettagli che si rivelano ascolto dopo ascolto.
Se ne fanno pochi così, ma un po’ è anche colpa delle band.
Voglio dire, io amo per esempio Raw Power, ma, se t’imbarchi in una cosa ambiziosa, non ti puoi fermare a metà strada, perché tanto va bene lo stesso e nessuno ci fa più caso.
Quando avevo lo studio di registrazione e mi chiedevano
“Ma tu cosa fai nella vita?”
“Ho uno studio di registrazione”
“Bello ma di lavoro cosa fai ?”.
Tu che vivi di musica è dunque possibile farlo in Italia o rimane il lavoro più precario che ci sia ?
Credi sia così solo da noi ?
E’ durissima ovunque, ma quello che rende penosa la faccenda in Italia è la mancanza di rispetto per gli artisti.
E’ una conseguenza di quella mentalità sottilmente autoritaria che affligge anche i nostri connazionali che si credono progrediti.
Per l’italiano medio l’artista è un deviante sociale, non qualcuno che ci deve essere in una società perché questa sia completa e bella.
Uno domanda del genere, analizzata con distacco, porta alla conclusione che può essere posta solo da una persona che riesca a concepire un mondo senza l’esistenza dell’arte e di qualcuno che esplichi la funzione di crearla.
L’ignoranza fa fare e dire cose molto cattive a persone che di natura magari non lo sono. Insomma, è una domanda gretta e abbastanza imperdonabile.
Infine la classica domanda leggera ma che personalmente diverte sempre molto.
Fammi una lista dei tuoi dischi preferiti in assoluto e di quei gruppi (o dischi) che consiglieresti di scoprire per conoscere qualcosa di nuovo attualmente in circolazione.
David Bowie: “Heroes”
Joy Division: “Closer”
The Beatles: “White Album”
Lou Reed: “Transformer”
Questi sono i cardini della mia formazione, ma difficilmente mi capita di ascoltarli.
M’innamoro spesso e volentieri di dischi di ogni epoca e parte del mondo.
Segue lunga e non esaustiva lista di band che secondo me hanno prodotto qualcosa d’interessante negli ultimi due anni:
Teho Teardo e Blixa Bargeld, Parquet Courts, Unknown Mortal Orchestra, Nick Cave, Matmos, Bowie, Mazes, The Men, Phosphorescent, Low, Dj Koze, Julina Lynch, Creole Choir Of Cuba, Wire, Bombino, Rokia Traorè, The Knife, Bevis Frond, Robyn Hitchcock, Daft Punk, Dirty Beaches, Disclosure, Gal Costa, Caetano Veloso, Vampire Weekend, Pet Shop Boys, Matias Aguayo, Ka, Disappears, Damien Jurado, Django Django, Eywind Kang, Earth, Hannie Hukkelberg, Meshuggah, Mike Wexler, Monolake, Oren Ambarchi, Daughn Gibson, Chromatics, Lower Dens, Mount Eerie, Zammuto, Light Asylum, Fiona Apple, Eleanor Friedberger, Cat Power, Cloud Nothings, Neneh Cherry And The Thing, Bonnie Prince Billy, Ty Segall, Diplo, Thee Oh Sees, Grizzly Bear, OM, Four Tet, Swans, Moritz Von Oswald Trio, Dirty Projectors, Goat, Godspeed You! Black Emperor, Metz, Chris Cohen, Mac De Marco…
Non che abbia una memoria di ferro, sono tutti nelle mie playlist di Spotify.
Bella l'intervista, ascolterò l'album nonostante la copertina orribile
RispondiEliminaL'Umberto ha ragione. siamo così meschini e tapini noialtri suonatori tricolori che siamo diventati ammuffiti, stantiti e bigotti. Dei ragionieri del nulla.
RispondiEliminacome fa un ragazzino a divertirsi in un contesto orribile, settario, elitista, mafioso, autoreferenziale, con canzoni al 99% inascoltabili, con facce brutte, odiose, bigotte, barbute, linguaggio criptico, cattocomunismo da oratorio, figa poca e con la testa al maestro del corso di ballo latino americano del giovedì sera. Anche i ballerini ci hanno fregati ormai.
Non che fosse difficile, eh!
Immagino tu sia ironico, Pibio
RispondiEliminaNo.
RispondiEliminaALLELIMO IN ARRIVO SUL 2ndo BINARIO
RispondiEliminatuut tuut
Uh..questioni strasentite ma terribilmente vere..azz Non ne usciremo MAI
RispondiEliminaC
Credo di no.
RispondiEliminaIl rock in Italia esiste dai primi anni 70 (lasciamo perdere i 60's che erano un'altra cosa) e non è cambiato granchè.
Si è evoluto per inerzia ma alla fine i problemi sono gli stessi, mancano strutture e quant'altro, tutto delegato all'iniziativa personale e all'estero ci guardano come una cosa esotica (con le dovute eccezioni e senza contare le nicchie)
Ci vorrebbe il famoso polemista innominabile (AxxExxxO)
RispondiEliminaAlle però è un polemista onesto e di carattere, lui la vede così e difende il suo punto di vista.
RispondiEliminaè un peccato che non partecipi più tanto.
mah..a me sembra un bastiancontrari
RispondiEliminaTeho Teardo?? w Purdenùn r'n'r-wave e gli Andy Warhol Banana Technicolor ,..great band!
RispondiEliminaUgly Things mi piaceva un casino quel brano su 'Lost trails' allegato ep,...ma vabeh, il 'rompicazzo' troll und moralizzarire del rocwrok non può capire di che si sta parlando:),...'neholitic sounds':)
RispondiEliminaFred Flinstone:)
uuups, moralizzatore , mi scuso,..ero distratto
RispondiEliminammmhh si sta facendo confusione tra "moralizzatore"-"rompicazzo"-"bastiancontrari" -"troll" e "allelimo"
RispondiEliminache siano la stessa entità?
...quante seghe mentali si fa questo, ma suona e ringrazia il cielo che lo fai e che non entri in fabbrica tutti i giorni...e lascia stare i provinciali che se non ti ascoltano ci sarà un motivo
RispondiEliminaForse non sarebbe male ricordarsi, di tanto in tanto, come vivevano i grandi artisti del passato: non parlo di musicisti rock (ai quali va tutto il mio rispetto) ma di giganti dell' arte (figurativa, letteraria).
RispondiEliminaLo dico solo perchè mi pare si faccia un po' di confusione.
C'è stato un tempo in cui se non era arte applicata nessuno la considerava: il gusto estetico è arrivato molto dopo.
Chi fa cinema oggi in Italia si lamenta, ad esempio. Ma si ricordano mai queste persone, tanto per dire, come funzionava all' epoca del neo-realismo italiano? Dov' erano i soldi e l' attenzione? Chi investiva?
Sia chiaro: io credo che l' espressione creativa sia una componente fondamentale di una società civile e progredita.
Ma non è facile per nessuno, manco per chi fa l' operaio, non meno disprezzato dell' artista.
AndBot
Infatti purtroppo negli ultimi anni, in cui il declino inesorabile, sociale ed economico, ha ormai affossato l'Italia e ridotto in povertà una buona parte di essa, la "discriminazione" nei confronti degli "artisti" non è differente da quella praticata nei confronti dei lavoratori generici.
RispondiEliminaOdio i boriosi che si autoproclamano artisti.
RispondiEliminaMi piacciono + quelli che, facendo quello che a loro piace, lasciano ad altri definizioni ed etichette.