giovedì, febbraio 28, 2013

Febbraio 2013. Il meglio



Tra i primi nomi che potrebero finire nella top 10 di fine anno Nicole Willis, Ocean Colour Scene, Nick Cave, Johnny Marr e Lilian Hak e tra gli italiani Lord Shani, Cut/Julie’s Haircut, Valentina Gravili, Cesare Basile e Andrea Balducci

ASCOLTATO
CUT / JULIE’S HAIRCUT - Downtown Love Tragedies
Ne abbiamo parlato martedì sul blog.
Eccellente split single da parte di due delle migliori bands italiane impegnate a rivisitare due gemme nascoste del 70’s soul. Super !

NICOLE WILLIS and the SOUL INVESTIGATORS - Tortured soul
Siamo a livelli di eccellenza assoluta per chi ama il buon vecchio soul.
Dall’esordio del 2005 “Keep reachin up” è passato parecchio tempo, la voce di Nicole è maturata, più sicura e avvolgente mentre il sound è rimasto stupendamente fedele alle buone vecchie radici Stax con inserti 70’s funk dalle calde tinte.
Suoni puliti ma mai leccati, dolcemente ruvidi, arrangiamenti scarni ma sontuosi, groove in abbondanza.
Bellissimo.

OCEAN COLOUR SCENE - Painting
Poco conosciuti e considerati da noi gli OCEAN COLOUR SCENE arrivano al decimo (!) album senza far trasparire segni di stanchezza.
Sound maturo e personale, brit pop, voluti e palesi riferimenti 60's e "Welleriani", un ottimo album che concilia facile ascolto e spessore compositivo.
“Painting” abbonda di riferimenti (dai Beatles al Lennon solista allo ska, dal soul al puro pop in chiave brit a tocchi di psichedelia inglese tardo 60’s) ma rimane magnificamente originale.

JOHNNY MARR - The messenger
A 49 anni, JOHNNY MARR arriva all'esordio solista, dopo una scintillante carriera con gli SMITHS, numerose altre esperienze con altre bands e il percorso con i suoi Healers.
"The messenger" è un ottimo capitolo della lunga storia di Marr. Il sound è diretto, scarno, chitarristico, molto immediato, corredato da avvolgenti melodie 60's (che riportano facilmente agli Oasis e ai Beatles), ricami chitarristici ovviamente debitori alla lezione impartita a suo tempo dagli Smiths e svariati richiami alla tradizione rock britannica (dagli Who, vedi l'iniziale "The right thing right", agli U2 più elettrci). 

NICK CAVE and the BAD SEEDS - Push the sky away
15 album con i Bad Seeds, 4 con i Birthday Party , 2 con i Grindermen, e 35 anni di onoratissima e rispettatissima carriera.
Il nuovo lavoro coglie un Nick Cave ispirato, solenne, pacificato su lente e lunghe ballate pianistiche dai toni malinconicamente romantici ,tra gospel e blues, arrangiamenti elaborati, spesso con gli archi a corredo del tutto. Niente di particolarmente nuovo nè un capolavoro ma fedele alla sua storia e alla tradizionale alta qualità delle produzioni, soprattutto un marchio personalissimo e inconfondibile.

LORD SHANI - Progress your soul
Splendido esordio della superband milanese dei LORD SHANI , guidati dall’inconfondibile voce soul di Viola Road , affiancata da tre musicisti dalla vastissima esperienza (trascorsi in Timoria, Ritmo Tribale, Miura, NoGuru, Free The Nation tra gli altri).
L’album è un energico rincorrersi tra atmosfere di psychedelic soul, hard primi 70’s (vengono in mente i Curved Air di Sonja Christina o gli Atomic Rooster), trame psichedeliche con tinte stoner (“Cosmic ordeal”), riferimenti tardo 60’s (Jefferson Airplane in primis).
Personalità a secchiate, originalità e piglio arrogante. Grande band, grande album.

AA.VV. - RecordKicks 10th
La “nostra” Record Kicks festeggia 10 anni di attività (ovvero 109 realizzazioni di cui 90 in vinile per 51 artisti) con una doverosa e STUPENDA compilation in cui raccoglie il meglio della sterminata produzione.
E siamo all’eccellenza pura da Hanna Williams a i Dojo Cuts, Baker Brothers, Nick Pride, Trio Valore, Link Quartet, Doss per un totale di 21 brani che spaziano nel mondo RK tra funk, soul, Hammondbeat, afrobeat, rocksteady e tanto altro.

MONOPHONICS - In your brain
Spettacolare terzo album della band di S.Francisco.
Puro psychedelic soul tardo 60’s/primi 70’s (Sly, Funkadelic, Temptations) ma con numerose concessioni al soul più crudo, uno splendido groove e brani di qualità eccellente.
Grande album.

ERIC BURDON - Till your river runs
Eric Burdon continua il difficile cammino di un vecchio combattente che non rinuncia a sfoderare le migliori armi per continuare ad urlare la sua anima black anche nel nuovo “Till your rivers runs”, prevedibile e manieristico finchè si vuole ma profondamente vero e genuino quando spazia da rocciosi rock blues ad omaggi a Bo Diddley, da crude roots ballads ad elettrici mid tempo gospel rock con una freschezza e un groove che in parecchi si sognano.

OSAKA MONOAURAIL - State of the world
Improbabile accostare funk e Giappone.
Ebbene costoro dal 2000 hanno infilato una decina di album a base di puro James Brown groove mid 70’s.
E replicano sulle stesse coordinate con il nuovo “State of the world” che sembra preso da qualche disco dimenticato di James, tra “Hot pants”, “Get on the good foot” o “The payback”.
Palesemente derivativo ma ugualmente piacevolissimo.

ELECTRIC SWAN - Swirl in gravity
Progetto parallelo alla pluridecennale attività dei Wicked Minds, i piacentini ELECTRIC SWAN firmano il secondo album, dopo l'esordio del 2008.  
       Prodotto e distribuito dalla prestigiosa Black Widow Records, "Swirl in gravity" è un fantasmagorico viaggio nell'hard rock psichedelico dei primi 70's con alla base i nomi altisonanti di Led Zeppelin, Black Sabbath, Blue Cheer, Black Widow (dei quali appare nel disco anche il sax di Clive Jones) e Deep Purple ma che diventa attualissimo quando riverberano chiari gli echi di nomi come Soundgarden. Rival Sons o Wolfmother o quando, guardando leggermente indietro, si avvertono richiami ai mai dimenticati proto stoner Monster Magnet o agli hendrixiani Burning Tree.
Album eccellente che entusiasmerà gli appassionati del genere ma che può far breccia tranquillamente in ogni cultore del miglior rock.

THE LAST KILLERS - Wolf inside
Poderoso garage, tiratissimo rock n roll, vampate elettriche, sound primitivo (la superlativa batteria di Pinna ex Hormonauts a tenere il tutto) e un album da sogno fuzz per i romagnoli Last Killers.
Grandi !

THE ROCK N ROLL KAMIKAZES - All kinds of people
Andy MacFarlane  ex chitarra e voce degli HORMONAUTS guida questa nuova avventura nel più profondo canyon del rock n roll, dello swing a billy, del blues, del jive. Uno splendido lavoro (il secondo della loro fulminante carriera) a base di ingredienti semplici, minimali, essenziali, vitali: ritmo, divertimento, travolgente voglia di far ballare e saltare. 
L'atmosfera è elettrizzante, la cover del classico di Dion "The wanderer" riuscitissima, il risultato finale a livelli di eccellenza.
Sarà banale ma: it's only rock n roll but we like it !!

ASCOLTATO ANCHE:
ADAM CARPET (con ex membri di Timoria, Vibrazioni e Kalweit & Spokes. Album strumentale, molto particolare tra post rock, new wave, sperimentazioni) MODENA CITY RAMBLERS (doppio album diviso tra un cd più elettrico e uno più fedele alle origini combat folk. Il sound è il solito, i temi pure ma alla fine buono), MAZES (Trio inglese che giunge ad un secondo accattivante album in cui si respirano fragranze 60’s e influenze shoegaze con tocchi psichedelici e un po’ di follia compositiva), PSYCHIC ILLS (da NY un buon album psych con derive Velvet Underground, Royal Trux e affini), I CIUFFI’S (trio di super elettrico rockabilly in italiano, divertente e ben fatto) JACK LA MOTTA AND YOUR BONeS (countryabilly tiratissimo nella miglior radizione di Jason and the Scorchers con un tocco di Cramps), TIMO LASSY (eccellente cool jazz, be bop, hard bop, ben suonato e splendidamente eseguito), JUNE NOA (Dall’Olanda un gradevolissimo album di ottimo new soul.Siamo dalle parti di Joss Stone e Duffy), POLAR FOR THE MASSES (interessante indie wave in odore di TDO), JAMIE LIDELL (un album alla Prince anni 80. Divertente ma inutile...), ALICE RUSSELL (grande voce, qualche buon brano soul ma anche molto pop ed elettronica rendono il nuovo album discontinuo e non riuscitissimo), LE MOSCHE DA BAR (ricordano da vicino il rock del periodo “Rock 80”, Skiantos, Kaos Rock , Luti Chroma...non male).

LETTO
“Ex” di Giancarlo Onorato
Il grande talento compositivo (musicale, lirico e letterario) di Onorato non si scopre ora e questa nuova fatica ne è l’ennesima conferma.
Ma in “Ex” riesce a fare di più, rileggendo la storia personale (dai primi passi nel punk all’esperienza degli Underground Life) con un tratto personalissimo, parlando in seconda persona, con accenti costantemente poetici e allo stesso tempo crudamente spietati e disincantati con un corredo di conoscenza artistica e musicale che si palesa in ogni riga.
Libro appassionante, sentito, intenso, lucido, onesto, che sbaraglia il lettore.
Consigliatissimo.

“Sweet Soul Music” di Peter Guralnick
Bibbia fondamentale per gli amanti del soul di cui analizza con dettagli interessantissimi la nascita (con il passaggio dal gospel) fino alla “morte” con la fine della Stax Records.

“Augusta Placentia” di Massimo Solari
Un gradevole, leggero ma competente e ricchissimo di preziose informazioni nella Piacenza di 2.000 anni fa quand odalle mie parti passavano Giulio Cesare e soprattutto Annibale che castigò i Romani proprio nei campi attorno a casa mia....

VISTO
“When you’re strange” di Tom Di Cillo
La sempre avvincente storia dei DOORS attraverso rare immagini e interviste.
Racconto piuttosto equilibrato e distaccato senza le solite elegìe al Re Lucertola.
Sicuramente il miglior documento per capire e conoscere i Doors.

“Piovono pietre”
“Ladybird ladybird” di Ken Loach

Loach non perdona mai.
Spietato, cattivo, non lascia mai speranze.
Dipinge storie squallide, estreme, durissime alla fine delle quali rimane solo vuoto e la consapevolezza che si tratta di una triste realtà.
“Ladybird ladybird” non fa prigionieri, “Piovono pietre” riesce invece a guardare al futuro.

“Maccheroni” di Ettore Scola
Commedia un po’ debole ma con attori come Mastroianni e Jack Lemmon nel pieno della maturità è sempre un bel vedere.

COSE & SUONI
Finita la prima parte del tour di “A kind of blues” di Lilith and the Sinnersaints si riprende in primavera a suonare
ven 5 aprile: Vittorio Veneto (TV) Spazio Mavv
ven 12 aprile Bari “Oasi”
sab 13 aprile Lecce “Womb”
ven 19 aprile: Cortemaggiore “Fillmore”

www.lilithandthesinnersaints.com
Mie recensioni quotidiane su www.radiocoop.it

IN CANTIERE
“Rock n goal” di Antonio Bacciocchi e Alberto Galletti in libreria dal 27 marzo 2013 per Volo Libero Edizioni
Libro su Weller per Arcana il 15 maggio: “This is the modern world”.
Viaggia spedito il libro sugli Statuto (ottobre 2013)

mercoledì, febbraio 27, 2013

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



HOT CHOCOLATE - Cicero Park
Band inglese guidata dal giamaicano Errol Brown, attivi dal 1970, con un contratto con la Apple dei Beatles agli esordi, arrivarono al successo negli anni della disco music in particolare con la celeberrima “You sexy thing” (poi riporatta in auge dal film “Full Monthy”).
In realtà la band di Brixton si muoveva nel primo pregevolissimo album, ad esempio, “Cicero park” del 1974 in uno stupendo contesto funk blaixploitation spesso debitore ai Temptations (“Could have been born in the ghetto”), ad una proto soul disco di eccellente fattura (“Funky Rock n roll” che incamera perfino elementi glam rock), in tesissime ballads come l’immaginifica “Emma” (come se i Velvet Underground si fossero cimentati con la soul music), nerissimi soul funk come la conclusiva “Bump and dilly down”.
Un piccolo gioiello da riscoprire al più presto. Merita.
(ps: grazie ai Cut, vedi post precedente...).

THE SLITS - Cut
Il fulminante esordio della “punk” band inglese, in realtà parte viva della scena ma a livello sonoro indirizzata verso orizzonti ben diversi, più inclini alla new wave, al regae e al dub.
Il tutto suonato in maniera diretta, tagliente, scarna, aggressiva, espressiva.
Con cover finale di “Heard it through the grapevine” di Marvin Gaye che la dice lunga sui riferimenti della band.
Epocale.

YOUNG DISCIPLES - Road to freedom
Il trio anglo americano di Carleen Anderson nel suo unico album, uscito nel 1991 per la Talkin Loud, impreziosio da una lista di collaboratori da urlo, dai fiati di Maceo Parker e Pee Wee Ellis alle tastiere di Mick Talbot, la batteria di Steve White e mr. Paul Weller in persona (nei cui studi registraronb oe mixarono il lavoro).
Un sound innovativo per l’epoca e tuttora ancora piuttosto fresco e attuale con soul, funk, elettronica e hip hop a fondersi in un mix elegante e raffinato (in stile Style Council).
Grande maestrìa tecnica e brani di qualità ultra chic.

martedì, febbraio 26, 2013

Sweet Soul Music: Cut / Julie’s Haircut Downtown Love Tragedies



In questo blog, in questa rubrica, si è a lungo dissertato di SOUL MUSIC, in tutti i suoi aspetti, meandri, derive, particolarità.
Personalmente sono un "purista" che ama il SOUL nella sua forma più classica ma che rimane profondamente affascinato quando la materia grezza e originaria viene rimodellata con ardimento, con creatività, estro, ricomponendola in una nuova forma, che tiene ben presente l'origine ma riesce nell'impresa (perchè di impresa si tratta) di darle un volto nuovo, fresco, personale, sfidando le insidie che un simile confronto comporta.

E' il caso di questo sorprendente singolo in vinile che la rediviva bolognese GAMMA POP metterà in circolazione l'8 marzo (giorno in cui sarà presentato in concerto al "Covo" di Bologna).
A realizzarlo due tra i gruppi che più stimo della scena italiana (e non solo) e che personalmente ritengo tra i più creativi, personali, interessanti che la nostra triste penisola abbia mai saputo donarci.

JULIE's HAIRCUT e CUT si cimentano nella rilettura, rivista e aggiornata, di due oscure gemme del soul dei primi anni 70.

Con i JULIE's HAIRCUT si va a scavare nel secondo album di BILL WITHERS, "Still Bill" (1972) per estrarre “Who is he and what is he to you”, resa in chiave ipnotica, elettronica, visionaria, psichedelica con il caratteristico riff di basso in primo piano e un'interpretazione drammatica che ben si adatta alla tematica del brano, incentrata sulla gelosia del protagonista nei confronto della compagna.

Altrettanto severo e drammatico è l'incedere di "Emma", uno stupendo (e dimenticato) brano degli HOT CHOCOLATE dall'album d'esordio del 1973 "Cicero Park" (si parla di una storia di suicidio), in cui entrano, a sorpresa, gli echi di "Dream baby dream" dei Suicide (brano, non a caso, da poco ha coverizzato da un altro nome che maneggia il soul con fare moderno e progressivo, Neneh Cherry in "Cherry Thing"), a cura dei CUT che ne rifanno una versione intensissima, cruda, in cui entrano blues, punk e il penetrante Hammond di Matt Verta-Ray degli Heavy Trash.

I puristi soul non passino da queste parti, storcerebbero il naso scandalizzati.
Per chi ama osare, cercare il nuovo, respirare altri profumi, odori, assaggiare altri sapori, sentire nuovi brividi, guardare lontano, questo piccolo tassello è importantissimo.

CUT
https://www.facebook.com/pages/CUT/42498138817
http://www.soundofcut.com

JULIE’S HAIRCUT
http://www.julieshaircut.com
https://www.facebook.com/julieshaircut

lunedì, febbraio 25, 2013

Dave Grohl e la tecnologia e la qualità della musica



In una recente intervista al David Letterman Show, Dave Grohl, presentando il suo docu film “Sound City” su uno storico studio di registrazione californiano ha detto:

I grandi studi non possono più competere con la nuova tecnologia che ti permette di registrare una album nella tua camera da letto.
Ma questi posti andrebbero conservati come musei perchè la musica mi ha cambiato la vita più di quanto abbiano fatto i politici o i presidenti.
Ricordo quando ero un teenager che avrei ucciso per riuscire a fare un disco.
Ora chiunque lo può fare a casa propria e con un clic mandarla in tutto il mondo.
Ebbene tutto questo ha migliorato la qualità della musica ?
Non mi sembra.


La tecnologia ha aumentato in maniera esponenziale la diffusione di musica e dei prodotti dei musicisti.
Ma la qualità ?
E’ aumentata proporzionalmente alla quantità ?
Non mi sembra.

Come cantava Cristina Donà:
“Sai dirmi che differenza passa tra ciò che nutre e ciò che ingrassa”
(“Deliziosa abbondanza” da “Nido” del 1999)

domenica, febbraio 24, 2013

La storia dei NOT MOVING: 1982 (primo semestre)



Nelle foto:
Concerto di Pavia "Celebrità" 12/2/1982
Articolo "Rockerilla" febbraio 1982
Volantino concerto Pavia
Lilith 1982


Il 1982 è l’anno dell’”esplosione” dei Not Moving.
Appena nati, pochi brani a disposizione, una sala prove allestita solo a metà gennaio e il 12 febbraio l’esordio fuori città (ai tempi uscire dalla propria provincia era impresa ardua e improbabile), non lontano, a Pavia, nella discoteca “Celebrità” con Aus Decline, Banhof e Chelsea Hotel con i quali ancora una volta condivido il palco.
Il concerto entra nel mito (oltre per la presenza di un giovane e punkettaro Max Pezzali) a causa (grazie) alla lamettata che Dany si infligge in un braccio schizzando sangue ovunque (alla fine saranno 14 i punti di sutura) e portando il “vero volto del punk” nella profonda provincia.

Da “Uscito vivo dagli anni 80” (Nda press) la descrizione della serata.

Il locale era pieno , ci furono problemi con la polizia , c¹era la consueta tensione delle serate punk , c¹era gente di Milano piuttosto incazzosa , e dalle prime istanze politicizzate , che distribuiva volantini , alcuni punks furono portati in caserma , ci fu qualche scontro.

Il tutto nella cornice di una tipica discoteca anni 70 riconvertita per la serata a tempio punk della bassa pavese. 

Avevamo appena visto a Bologna i filmati del Target Video , che un tizio americano portava in giro per il mondo , con le immagini di concerti di Cramps , Dead Boys , della prima scena californiana e rimanemmo estasiati da Lux Interior dei Cramps che sul palco   si tagliava con una lametta e lasciava colare il sangue sul petto.


Tanto estasiati che il nostro bassista , Dany , a metà concerto si lasciò andare un fendente con una lametta affilatissima sul braccio destro , aprendo una ferita (poi suturata con 14 punti !) che iniziò a zampillare sangue mentre proseguivamo imperterriti il concerto. 

La gente in delirio , noi si faceva sul serio , nessuna posa , nessun inganno.
Dany, nel frattempo, impallidiva progressivamente , il sangue colava implacabile dal braccio , cadeva sul palco , sul basso , sul pubblico . 
Si asciugò il sudore in faccia e restò una scia rossa  sul mento , mentre continuavamo a martellare isterici brani psychobilly e le candele nere sulla tastiera di Severine e la faccia bianca di Lilith (per quanto mi riguarda bastava il mio semplice aspetto per essere a tono) conferivano al tutto un¹aura ancora più cupa , inquietante , sabbatica , violenta , truce e pericolosa.


Si , pericolosa , tutto poteva succedere , il pubblico assolutamente impreparato era una miscela di eccitazione e paura , preoccupazione e violenza.


In molti urlavano , si buttavano contro il palco , altri alzavano i pugni, alcuni minacciosi, altri come gesto di approvazione.
Nel frattempo incominciammo a preoccuparci seriamente per Dany , la ferita era profonda  e ormai il braccio era rosso di sangue , ma non ne volle sapere di smettere.


Per fortuna eravamo alla fine e resistette incrollabile e stoicamente fino all'ultimo brano.
Deposto il basso fu portato urgentemente all¹ospedale a ricucire il danno di fronte ad un medico che trovandosi a sistemare il braccio ferito ad un giovane ragazzo con una collana di ossa (di gallina , sia chiaro , ma facevano comunque un bell'effetto) , vestito di nero e con ciuffi di capelli che scendevano fino al mento , disse qualcosa del tipo "non voglio sapere nulla di quello che è successo , non lo voglio proprio sapere , ma perbacco ragazzi , state attenti , non si scherza con queste cose"...



 Tornammo a Pavia in un minuscolo studio ad incidere il nostro primo demo tape a fine febbraio.
Sette brani (più due bozze scartate).
In una decina di ore si fa tutto, mixaggio incluso (in mezzo anche una data ad Arcore......con gli sperimentali Die Form) con un fonico abituato al liscio che non si capacitava dei nostri suoni, vestiti e modalità di registrazione !
Il demo aprirà le porte ad ulteriori contatti, concerti, interviste radiofoniche, aprirà un mondo insperato e insperabile.
Come arrivare il 19 marzo a suonare al già mitico “Slego” di Rimini e avere da Massimo Buda un’intervista a Radio San Marino.
Situazioni abituali e scontate al giorno d’oggi, riservate ai “famosi” ai tempi (soprattutto quando ancora non sei maggiorenne o lo sei appena diventato).
Da “banda giovanile” inseguita da fasci e compagni, derisa ed emarginata da (ex) amici e parenti, scansata per strada, a gruppo che finisce sulle pagine dei giornali “seri”, da quello locale a “Repubblica” alle riviste specializzate che incominciano a parlare di questa nuova strana band.

E’ forse questo che monta la testa a qualcuno, che ci fa pensare di essere “arrivati” da qualche parte. Si acuiscono le tensioni e in aprile Paolo lascia il gruppo alle prese con vari ripensamenti.
Tentiamo una patetica e avventurosa prosecuzione in quattro, senza chitarra, spostandoci verso suoni meno rock n roll e più new wave ma i risultati sono disastrosi, soprattutto quando ci presentiamo in sala prove di fronte ad uno smarrito Claudio Sorge, costretto anche ad annullare una data già programmata a Napoli.
Decretiamo la fine del gruppo che, inaspettatamente rinasce una quindicina di giorni dopo con Paolo che torna sui suoi passi e con un concerto a Torino, allo 011, con Dark Tales e Hiroshima, da dove torniamo con anche un “fan club” istituito da Ursus, futuro No Strange e da un inconsueto mattinee (alle 10 di mattina in una festa liceale) a Cesano Boscone (MI).

Nel frattempo il demo tape ha attirato l’attenzione di un altro giovane giornalista da poco sulle pagine de Il Mucchio Selvaggio.
Federico Guglielmi ne parla sulla rivista (“si ispirano prevalentemente al rockabilly stravolto dei Cramps...dai testi oscuri e dalle atmosfere tenebrose, primi capolavori di un complesso che farà parlare di sè e sicuramente in termini entusiastici”) e ci convoca (a Bologna) per un’intervista che apparirà in estate.
“Rockerilla” in febbraio, per mano di Sorge, ci dedica una pagina (...sono convinto che arriveranno molto in alto perchè la loro musica e la loro immagine non hanno eguali nel panorama new wave italiano così inflazionato di punk bands e gruppi stile Joy Division) e a marzo una recensione del concerto piacentino del 1981 (..assoli di chitarra neo psichedelici con il marchio di Ivy Rorschach e basi di felbile organo Farfisa stile Velvet, Lilith ha cantato con voce forte e chiara, sembrava di udire Exene degli X...), mentre su “Repubblica” un’altra intervista di Massimo Buda si affianca a vari articoli e segnalazioni che aumentano su varie fanzines.
Tra cui un’ esilarante recensione , negativa, di un concerto a Roma...che non avevamo mai fatto.
Contattai il responsabile che balbettando si scusò profondamente adducendo come scusa che non aveva materiale di cui scrivere...

Intanto con somma emozione possiamo vedere il nostro primo brano stampato su vinile.
E’ “Baron Samedi” del demo tape che finisce sulla compilation “Gathered” curata da “Rockerilla” e con alcuni dei nomi della neo nata “nuova scena rock”, dai Pankow ai Death SS, Victrola, Dirty Actions tra gli altri.

sabato, febbraio 23, 2013

Soul Time !



NICOLE WILLIS and the SOUL INVESTIGATORS - Tortured soul
Siamo a livelli di eccellenza assoluta per chi ama il buon vecchio soul.
Dall’esordio del 2005 “Keep reachin up” è passato parecchio tempo, la voce di Nicole è maturata, più sicura e avvolgente mentre il sound è rimasto stupendamente fedele alle buone vecchie radici Stax con inserti 70’s funk dalle calde tinte
Suoni puliti ma mai leccati, dolcemente ruvidi, arrangiamenti scarni ma sontuosi, groove in abbondanza.
Ballate commoventi come “Best days of our lives” si alternano agli umori quasi blaixploitation alla Curtis Mayfield primi 70’s dell’introduttiva “Light years ahead”, al poderoso funk soul (sembra tratto da un album di Sharon Jones) di “Break free”, il Philly sound della conclusiva “You got me moon walking”.
Bellissimo, capolavoro soul, già sicuro nella top 2013.

ALICE RUSSELL - To dust
Grande voce, un recente passato diviso con Quantic all’insegna di un sound che mischiava soul, atmosfere brasiliane e tanto altro.
Il nuovo album invece delude le attese concedendo qualche buon brano soul ma anche molto pop ed elettronica, atmosfere r ‘n’ b dalle movenze commerciali ed eccessivamente soft.
Rimangono intatti talento e potenzialità ma l’album è un passo falso.

KOFFIE ft. Nassan Silva Lopes - Kirye Aye
Energico lavoro all’insegna di un afro beat palese debitore alle lezioni di Fale Kuti ma che assorbe anche ritmi e suggestioni brasiliane, funk e altre influenze di world music.
Interessante.

venerdì, febbraio 22, 2013

Mario Castelnuovo "E' piazza del campo"



In pochi si sarebbero aspettati Mario Castelnuovo su questo blog.
Neanch'io in realtà perchè di Lui poco conosco ma con l'intercessione di AndBot/Andrea Fornasari eccovi un ottimo scritto dell'altrettanto ottimo Alberto Scotti ad introdurci al magico mondo di Mario.


Ciao amici, topolini miei, mi chiamo Alberto, sono un bel ragazzo di 41 anni, le mie passioni sono la musica, la poesia e la natura, ci sono ragazze che vogliono conoscermi?
Vorrei viaggiare con voi sulle ali della fantasia. 
Ok, questa è fatta, ora passiamo alla parte meno interessante del post (si chiamano così anche le cose che si scrivono sui blog?).
I fatti: Qualche giorno fa sul mio diario di facebook (si, anche noi bastardi nichilisti abbiamo un profilo facebook, probabilmente perché siamo una massa di pagliacci senza alcuna coerenza) pubblicavo un post (lì si chiamano così, ne sono sicuro) per invitare i miei amici immaginari (si, ho degli amici immaginari, come tutti gli adolescenti problematici) all’ascolto di quello che ritengo un (disco) capolavoro misconosciuto della musica italiana e, per esteso, di tutti i lavori dell’artista che ne è autore.
L’ho fatto subito dopo aver assunto la mia dose quotidiana di Paroxetina, un anti-depressivo che risveglia in me la voglia di fare l’amore con le belle ragazze (in fiore) ma anche di correre nudo dei prati (cosa che poi alla fine non faccio quasi mai) e di condividere con il mondo le mie passioni musicali, gastronomiche, politiche ecc…

Il giorno successivo alla pubblicazione, mi contatta in pvt (adoro usare questa terminologia giovane) un critico, musicista, uomo di mondo e fervente bestemmiatore che risponde al nome di Andrea Fornasari.
Nel msg (l’ho fatto di nuovo!) c’era scritto più o meno: “perché non posti qualcosa su Mario Castelnuovo (ecco rivelato il nome dell’artista…sono proprio un genio nel creare la suspance!) nel blog di Tony Face? Sai, è molto frequentato…”.
Io gli rispondo che ne sono onorato e che (forse) lo farò. Chiudo la conversazione, dicendogli che devo andare a fare “i miei esercizi yoga contro l’ansia” (un modo elegante che uso per definire la masturbazione), poi ascolto un disco dei Thin Lizzy, faccio una telefonata alla mia rag…(va beh, questi sono fatti miei, perché ve li sto raccontando?).


Comunque, prima di cena torno a pensare all’invito, sforzandomi di trovare una valida ragione per accettare. “Perché mai dovrei? A chi vuoi che freghi di scoprire l’ennesimo artista che l’ennesimo idiota (che in questo caso sarei io) si affanna a dipingere come un genio (incompreso)?”. Dio solo sa quanta irrazionale voglia di condivisione abbia sempre albergato nel mio stupido cervello, però è già da un po’ che ho perso la voglia di aprire la gabbietta per farla svolazzare liberamente (magari poi me la impallinano, poveretta).
Si, va bene, quel post l’ho scritto, ne scrivo anche altri ma, come vi spiegavo, è merito della paroxetina (e la “botta” dura pochino, giusto una mezz’oretta) e poi sono 4 parole in croce.
Su un blog invece devi allungare il brodo, rileggere quello che hai scritto, stare attento alle virgole ecc...

Per uno, come me, che non ci crede è roba assai impegnativa, mi capite, no?
Tu amico lettore, topino carissimo, a questo punto, ti chiederai: “Alberto, ma perché non ci credi più? Perché non vuoi dividere con noi le passioni che ti fanno battere il cuore?”. Bella domanda, davvero. Ti risponderò che non ci credo perché non credo più nel mondo e nella possibilità di migliorarlo, meno che mai attraverso l’arte (arte, arte un cazzo, qui non sappiamo come fare a pagare le bollette e tu vieni a parlarci di arte! Casomai proponici qualcosa che ci faccia divertire un po’, che non ci faccia pensare troppo e che subito dopo aver fatto il suo dovere svanisca nel nulla.
Facci un’endovena di nulla che svanisca nel nulla). 
Se penso a me, a te, caro topino, a tutti noi, mi/ci vedo come esserini infelici e spaventati (e anche piuttosto brutti da vedere) che vanno avanti spinti da puro istinto di conservazione. “Sopravvivo senza un motivo, prima ero felice ora sono cattivo, sopravvivo senza uno scopo, perché non mi sparo ve lo spiego dopo” (cit.).
Siamo esserini incapaci di immaginare il futuro e (soprav)viviamo aggrappandoci al passato (a tutto il passato, dai fenici al Pop Group) per percepirci “vivi e scalcitanti” in un ipotetico altrove. 
I nostri padroni, incessantemente, ci sommergono di materiali (inerti): “ecco altri dischi, altri film, vagonate di dischi e film!

Milioni di sogni, suoni, colori, tutti per voi, carissimi sottoposti!”. “E’ tutto gratis, tutto per noi, grazie, grazie, grazie…”, raccogliamo avidamente da terra e ci ingozziamo, fino a vomitare: “sono uscito dal tunnel, sai, non scarico più, però sto facendo l’abbonamento a Spotify” (sai, non mi faccio più le canne, ne sono venuto fuori, adesso solo crack).

Riusciamo a stare concentrati su un disco, su un libro, su un film, per quanto? 5 minuti? 5 Secondi? 5 Millesimi di secondo?
Iniziamo a leggere, ad ascoltare, a guardare e subito il pensiero corre all’enorme cumulo di altri materiali che ci aspettano. “Cazzo Alberto, devi ASSOLUTAMENTE ascoltarti i dischi dei Guru Guru, sono straordinari!”, “Certo, dopo li scarico”. Alberto non li scaricò mai, lo scordò un millesimo di secondo dopo.
Iniziamo a fumare una canna, due tiri, e subito il pensiero corre alla pera, uno schizzo e ci viene tanta tanta voglia di coca. Facciamo proprio schifo al cazzo! 

Abbiamo smesso di credere. Non abbiamo più il senso del sacro, siamo una massa di squallidi, razionali, cinici miscredenti. 
Dovremmo pregare la Madonna, invocarla, scongiurarla di apparirci almeno una volta (no, Carmelo, tu potevi apparire alla Madonna, noi decisamente no) e semmai (MIRACOLO!!!) lei decidesse di accogliere le nostre suppliche, dovremmo mostrarci grati, annullarci davanti a lei, restare in adorazione davanti alla sua sublime, celeste figura, con il cuore gonfio di gioia, almeno un paio d’ore al giorno. 
Ma noi non preghiamo più. Siamo sazi, monotoni, moderni, attrezzati e bruciamo cataste di maiali. Topi che bruciano maiali. Dove andremo a finire, signora mia? 

Mario Castelnuovo è la Madonna ma è anche un ragazzo (fantasma) timido e riservato, uno che arriva alla festa, lo saluti, ti distrai un attimo e non lo vedi più: “Qualcuno ha visto Mario?”. No, nessuno ha visto Mario.
”Sette fili di canapa”, Sanremo, primi anni ’80. Spaesato, fuori posto, oltre il giardino. Lui avrebbe voluto essere a Siena o a Lucca o chissà dove, ad annusare le signorine (che non si spaventano e gli sorridono). “Ciao ciao (pallida) bambina…”

Tu guardi l’autostrada e lui fissa un formicaio, tu Agosto, lui Gennaio. Le canzoni di Castelnuovo si spostano su vecchio catorcio e vanno (da nessuna parte), si arrampicano e poi scivolano giù (“questa parete è impossibile”, dissero un attimo prima di precipitare nel vuoto). Quando tutti gli altri sono arrivati loro devono ancora partire.

Sembra sia molto malato, si parla di tisi, lo hanno visto sputare sangue nel fazzoletto. 
Un giovane cantautore è stato inghiottito dalla terra, si è aperto un buco, così, dal nulla, all’improvviso e lui c’è finito dentro.
Immediatamente dopo la terra si richiuse. Un fatto che nessuno scienziato è mai riuscito a spiegare.
Guarda quel matto che apre e chiude la bocca, è convinto di parlare. Poveretto. Oh, senti qua, su questo disco hanno scordato di mettere la batteria!
Ahahahah…minchia, fa proprio schifo! 13000 lire buttate, vediamo se domani me lo cambiano, magari mi prendo l’ultimo di coso, quello là, quello bravo, come si chiama?
Ogni tanto (nelle notti particolarmente gotiche) Mario C. si materializza e suona per il suo strambo pubblico: tre distinti signori senza gambe, un morto, due allegri fantasmi, uno zoppo così pigro da fingersi paralitico.



Dalla bacheca di Alberto Scotti (che sono io): 


Siamo nel 1984, impazzano i Duran Duran e i paninari, e Mario Castelnuovo dà alle stampe "E' piazza del campo", uno dei capolavori assoluti (sto pesando attentamente le parole di questo post) dell'intera storia della musica italiana.

Il problema è che non se ne accorge quasi nessuno.
Io vi sto chiedendo di aiutarmi a porre riparo a questa macroscopica ingiustizia.
Si, ingiustizia, perché un disco come questo non può restare patrimonio della memoria dei quattro gatti che l'hanno venerato, stupendosi ogni volta per l’incredibile bellezza di questo miracolo.
Un disco così dovrebbe diventare patrimonio di chiunque ami la musica (in particolare quella italiana).
"E' piazza del campo" è uno di quei rarissimi lavori che non somiglia a nulla se non a sé stesso, non ha davvero termini di paragone (continuo a pesare attentamente le parole).
Nelle undici canzoni di questo Long playing non c'è una parola, una rima, un passaggio che non sia baciato dalla grazia dell’autentica poesia e sarebbe bastato registrarle solo con chitarra e voce per realizzare un grande album. Ma questo non è “solo” un grande album, è un miracolo e ciò che lo tale, sono gli straordinari, sublimi, geniali arrangiamenti (frutto di un lavoro certosino di quel genio pazzo che risponde al nome di Rodolfo “Araba fenice” Santandrea, di Arturo Stalteri, di Lilli Greco e dello stesso Castelnuovo).
Una sorta di straniante minimalismo sintetico "rinascimentale", come se i vestiti di queste canzoni fossero stati confezionati da un sarto di luce dentro la "camera bianca" kubrickiana.
E qui scatta la minaccia: se non comprate questo disco non potrete mai più dire di amare la musica.
E non intendo "procurare" (come dite voi maledetti giovani di oggi), intendo comprare.
E per farlo dovrete anche farvi in quattro, perché (sempre per compra vostra) il disco è da tempo fuori catalogo.

giovedì, febbraio 21, 2013

Calcio: Il Torneo Anglo Italiano



Tra i tornei di calcio più strani, particolari e alla fine sfortunati (pur se non privi di fascino) è da annoverare sicuramente il Torneo Anglo-Italiano.
Fu ideato da Gigi Peronace, ex calciatore e successivamente manager e dirigente sportivo che collaborò con la Nazionale di Vicini, con Juve e Toro oltre a diventare , durante una lunga permanenza a Londr, i lriferimento del calcio italiano in Inghilterra.
Il torneo, iniziato nel 1970 era aperto a compagini italiane ed inglesi, che, partendo da tornei tra squadre delle rispettive nazioni, facevano incontrare le vincitrici in finale.
Si sperimentarono anche nuove regole, sia nel fuorigioco, sia attribuendo un punto in più per ogni gol.
Fu anche il primo torneo ufficiale in cui si attribuirono i 3 punti per la vittoria (dal 1976).
Il torneo fu parecchio instabile, subì sospensioni, cambiamenti e infinite modifiche fino a diventare una competizione per squadre semi professionistiche.

Rimangono imprese epiche come il 10-0 con cui il Blackpool sommerse il Lanerossi Vicenza di Ezio Vendrame (che ne parla diffusamente in un suo libro) nel 1972 ma soprattutto l’unica vittoria in campo internazionale del Piacenza che nel 1986 spazzò in finale in Pontedera con un perentorio 5-1.
L’ultima edizione risale al 1996 quando a Wembley il Genoa sconfisse in finale il Port Vale per 5-2

Torneo Anglo-Italiano
1970 Swindon Town
1971 Blackpool
1972 Roma
1973 Newcastle United

Coppa Anglo-Italiana Semiprofessionisti
1976 Monza 
1977 Lecco

Alitalia Challenge Cup
1978 Udinese
1979 Sutton United
1980 Triestina

Talbot Challenge Cup
1981 Modena

Memorial Gigi Peronace
1982 Modena
1983 Cosenza
1984 Francavilla
1985 Pontedera
1986 Piacenza

Coppa Anglo-Italiana
1992/93 Cremonese
1993/94 Brescia
1994/95 Notts County
1995/96 Genoa

mercoledì, febbraio 20, 2013

La musica gratis



E’ noto come, per anni, da metà degli anni 70 fino a verso la fine l’Italia fu completamente tagliata fuori dai concerti di gruppi stranieri di rilievo.
Sia a causa di un clima politico e sociale avvertito all’estero come da “guerra civile”, sia a causa di frequenti problemi logistici ed economici (mancati pagamenti, strutture inadeguate) ma soprattutto dopo una serie di gravi incidenti che funestarono una serie di importanti concerti.


Nei primi anni dei 70 una parte del Movimento , incominciò a seguire le teorie leader di Stampa Alternativa, Marcello Baraghini, raccolte poi nel libro Riprendiamoci la musica del 1974 che denunciava la mercificazione antidemocratica della musica, l’asservimento dell'arte nei confronti del capitale e l’oligarchia discografica in grado di controllare indisturbata l'intero settore dello spettacolo.
Nacque così l’usanza pratica di “riprendersi la musica” attraverso lo sfondamento ai concerti, rifiutandosi di pagare il bilgietto.

Le prime avvisaglie si erano già avute il 1° ottobre 1970 Palalido di Milano con i Rolling Stones, quando scoppiarono incidenti all’esterno anche se dovuti alla scarsa capienza: alla fine 63 giovani vengono arrestati ma soprattutto sempre a Milano il 5 luglio 1971 al “Vigorelli” durante il concerto dei Led Zeppelin all’interno del 10° Cantagiro.
Anche in questo caso disordini non direttamente imputabili a contestazioni di sorta ma ad un’organizzazione quantomeno carente che accostò Bobby Solo, Gianni Morandi (che rifiutò di salire sul palco a causa dei fischi e oggetti che arrivavano sul palco) e Ricchi e Poveri con le star rock del momento che attirarono un pubblico enorme e poco gestibile che la polizia fronteggiò con botte e lancio di lacrimogeni (che finirono sul palco e interruppero il concerto dopo pochi pezzi).

Nello stesso perido una serie di concerti Colosseum a Roma(26 maggio 1971, Piper), i Grandfunk con gli Humble Pie (30 Giugno 1971, Palaeur), i Pink Floyd ( 25 Giugno 1971, Palaeur) PFM, Black Widow e Yes al teatro Brancaccio a Maggio 1971, oltre ad una lunga serie di band prog inglesi (dai Genesis ai VGG ai Gentle Giant) non avevano causato nessun problema di ordine pubblico.

I disordini imputabili alla diretta contestazione, alla “musica gratis” contro i “padroni della musica” si manifesta per la prima volta nel giugno 1973 al Festival di Avanguardia di Napoli quando duemila persone si rifiutarono di pagare il biglietto e di conseguenza, di accedere allo spettacolo, costringendo gli organizzatori ad aprire gratuitamente i cancelli.
Fu il concerto di Lou Reed a Roma il 10 febbraio 1975 con durissimi scontri con la polizia che manganellò ferocemente chiunque capitasse a tiro, lanciando lacrimogeni a profusione (anche a Milano ci fu parecchia tensione causata da pseudo autonomi) e con quello di Santana del 13 settembre 1977 a Milano con cartello Odio Santana servo della Cia , pietre, bulloni e una molotov sul palco.
In mezzo il processo a De Gregori (vedi http://tonyface.blogspot.it/2013/01/cultura-70s-il-processo-francesco-de.html) e gli incidenti al Festival di Re Nudo.

I gruppi eviteranno a lungo l’Italia per ricomparire solo nel 1979 con Patti Smith (e il poco conosciuto Iggy Pop) prima e Bob Marley e tutto il resto poi.

fonte principale: http://classikrock.blogspot.it/ 





 



martedì, febbraio 19, 2013

Obladi Oblada



E’ probabilmente il brano più conosciuto dei BEATLES. Se i musicofili, i beatlesiani e gli appassionati hanno sicuramente una lunga lista di brani che lo precedono, “Obladì obladà” è il ritornello che conosce anche l’”uomo della strada” che di musica mastica ben poco.
Alcuni lo indicano come il loro brano più brutto in assoluto (sicuramente odiatissimo e ben poco apprezzato da John, George e Ringo !), anche i più incalliti fan ne hanno un giudizio se non altro poco lusinghiero.
Probabilmente si è sempre salvato perchè inserito in quel calderone multicolore dell’Album Bianco al cui interno c’è stato di tutto e di più, dal classico (“While my guitar” , “Back in the Ussr”) al tocco di genio (“Dear prudence”, “Helter skelter”, “Happines is a warm gun”) alle bizzarrie (“Revolution 9”) fino alla profonda mediocrità (“Wild honey pie”, “Bungalow Bill” , “Don’t pass me by”).

Basti pensare che il suo successo deriva principalmente dalla cover che ne fecero i Marmalade nel 1969 che li portò al primo posto in Inghilterra (i Beatles lo pubblicarono come singolo in vari paesi del mondo, Italia inclusa, con “Back in the Ussr” sul retro , arrivando al primo posto in Australia, Giappone, Austria e Svizzera, ma non in Inghilterra e Usa).

Il titolo deriva da un’espressione in lingua yoruba che usava spesso il percussionista nigeriano Jimmy Scott-Emuakpor, amico di Paul.
I had a friend called Jimmy Scott who was a Nigerian conga player, who I used to meet in the clubs in London.
He had a few expressions, one of which was, 'Ob la di ob la da, life goes on, bra'. I used to love this expression..

Lo stesso Scott che chiese i diritti sul brano rivendicando la paternità del titolo (adducendo che l’espressione non era tipica della lingua yoruba ma era usata solo nella sua famiglia. Alla fine Paul elargì un sostanzioso assegno a Scott e la causa si concluse).

Il compositore è Paul che impose ai compari decine e decine di ripetizioni del brano tanto da portarli a detestarlo (John definì il brano: "Paul's granny shit") anche se la classica introduzione di pianoforte fu ideata da John per riuscire a dare al brano maggior ritmo (invano cercato nelle estenuanti precedenti versioni).
George sempre nel “White album” la cita nel brano “Savoy truffle” ("We all know ob-la-di-bla-da, but can you show me where you are.").

Il testo, un racconto “romanzato”, è nello stile, tipico di Paul, che aveva caratterizzato “Eleanor Rigby” , “Paperback writer” , “She’s leaving home”, “Lovely Rita”, con personaggi che agiscono all’interno di una storia (in questo caso Desmond, pare ispirato da Desmond Dekker, anche a causa del ritmo rocksateday ska del brano, e Molly).

Pare che George avesse manifestato le proprie perplessità a Paul: “Come fai a scrivere questi obladi oblada, Molly e Desmond, è gente che conosci davvero ?” Al che Paul rispose: Me li inevento e basta esattamente come fa un romanziere con i suoi personaggi”

Il brano è stato suonato occasionalmente da Paul Mc Cartney dal vivo solo a partire dal 2009.
Oltre ai Marmalade tra le decine di covers si ricordano quella di Jimmy Cliff, Arthur Conley, No Doubt, Phish, Desmond Dekker, Youssou N Dour, i Ribelli, I Nuovi Angeli.

lunedì, febbraio 18, 2013

Di cosa parliamo quando parliamo di musica: l'educazione musicale



L’Italia di Verdi, Rossini, Puccini ma aggiungerei anche, così a caso, di De Andrè, Area, Morricone, Gaslini che sulla musica dovrebbe fare perno e fondamento, le riserva, a livello scolastico/educativo, un ruolo del tutto marginale per non dire umiliante, con l’ora settimanale spesso ridotta ad imparare qualche nota con il flauto oltre ad una superficialissima spolverata di storia.
La passione per la musica viene delegata a genitori, amici, situazioni occasionali, iniziativa personale o a maestri e professori appassionati.
Lo dicono meglio tre personaggi di un certo peso .

Uto Ughi violinista e direttore d’orchestra.
"Manca un gusto, un’educazione nel pubblico. Per questo occorrerebbe ripartire prima di tutto dalla scuola, ripensare all’educazione musicale sin dalle prime classi delle elementari per preparare il terreno sul quale formare il pubblico di domani. Altrimenti i giovani musicisti, pop o classici, pur bravi, non avranno futuro.”

Ennio Morricone, compositore
"Bisognerebbe dare a tutte le scuole un impianto per ascoltare la musica e un corredo di una trentina di incisioni discografiche importanti, da fare ascoltare agli studenti come esempio degli argomenti teorici.
"in Germania ogni famiglia suona Bach con il flauto dolce e il pianoforte o addirittura il clavicembalo, cantando e leggendo gli spartiti. Quella è la vera nazione musicale, non l'Italia
"

Stefano Bollani, musicista (dal libro “Parliamo di musica”)
"Ti insegnano a disegnare e non a cantare, a leggere e a capire le arti figurative ma non ad ascoltare la musica, ti insegnano a godere del suono della poesia e non de lsuono di un clarinetto, ti insegnano la storia della cultura del tuo e di altri paesi e mai dell’apport odato dai musicisti.."
La musica e la sua storia non interessano a nessuno dei nostri politici.
"

domenica, febbraio 17, 2013

La storia dei NOT MOVING: 1981



La storia dettagliata dei NOT MOVING.
Date, dischi, storie.
Una visione ovviamente soggettiva che probabilmente differisce da quella degli altri componenti del gruppo ma che riassume o prova a farlo, una storia abbastanza interessante
.

Nelle foto:
i Not Moving in trio - settembre 1981.
Manifesto (fatto a mano) 28 dicembre 1981
.

1981

La prima volta che si parla di NOT MOVING è il 5 settembre 1981 quando a casa (nel senso di camera da letto) di DANY D (Danilo Dellagiovanna) al basso, il sottoscritto alle percussioni, PAOLO MOLINARI alla chitarra e voce e Ugo Solenghi al synth cambiano nome ai neo nati sperimentali NO EYES, prendendo ispirazione da un brano dei DNA dall’album “No New York” prodotto da Brian Eno, manifesto della cosiddetta “no wave” new yorkese.
Paolo Molinari era uscito mesi prima dai Chelsea Hotel (nei quali il sottoscritto continuava a militare) che si stavano spostando da un punk rock 77 sempre più verso un hardcore veloce, violento e tinto di atmosfere goth/dark.
Il sound dei primi NOT MOVING viaggia sulle coordinate sperimentali new yorkesi con una forte componente LouReediana e strani innesti rockabilly.

Erano giorni in cui i dischi punk di Dead Boys, Clash e Germs si mischiavano a quelli di Psychedelic Furs, Cramps e Lou Reed, in cui si fondavano e scioglievano gruppi da un giorno all’altro, si stampavano fanzines in poche copie, si cercava ogni occasione per vedere un gruppo punk o new wave.
Ogni cosa era ELETTRICA
Una Rivoluzione era finita, la guerra persa, con morti e feriti (reali), altri stavano perdendo tutto con l'eroina, altri ancora rientravano nei ranghi.
Noi iniziavamo un'altra battaglia
.

L’opportunità di esordire live il 20 settembre a Caorso (Piacenza) all’interno di una manifestazione contro la locale centrale nucleare accelererà i tempi, indurrà Ugo a lasciare immediatamente il progetto e il gruppo a virare in due o tre prove verso sonorità più immediate, scarne, minimali, soprattutto verso le origini del rock n roll e blues, sound poco praticato in tempi di new wave o hardcore.
Alle 21 del 20 settembre in una via centrale del piccolo comune piacentino (dopo i No Jap e i Requiem e prima di una devastante esibizione dei Chelsea Hotel) davanti a un paio di centinaia di persone e a qualche decina di punks, i NOT MOVING suonano i primi 20 minuti della loro carriera.
Una intro strumentale , due brani nostri (l’inedita “Old Magenta”, dedicata al bar milanese ritrovo dei primi punks e “Dolls” che sarà inserita sull’ EP d’esordio “Strange dolls”, “Devil’s rattle” che sarà sul secondo “Movin over” con il titolo “Double mind”, il classico surf dei Surfaris “Wipe out”, la nostra “Make up” (anch’essa su “Strange dolls”) con la partecipazione di Ugo Solenghi alla voce e finale con “Summertime blues” di Eddie Cochran.
Repertorio particolarissimo se pensiamo al periodo.

La ricerca disperata di un posto per provare ferma il gruppo fino ai primi di dicembre quando finalmente si riprende nella cantina sotto casa mia e esattamente l’8 dicembre per la prima volta MARIA SEVERINE (Mariella Rocchetta) e LILITH (Rita Oberti) partecipano, l’una al synth, l’altra alla voce alle prove.
A Piacenza avevano da poco aperto l’”Osteria di Sacc”, piccolo locale in centro con tavernetta sottostante dove la controcultura locale incominciava a coagularsi mischiando vecchi artisti e musicisti a giovani punks, autonomi stanchi di politica e curiosi per la “nuova onda”.
Pochissime prove alle spalle, approssimazione, minimalismo, arroganza adolescenziale (Lilith, Severine e Dany viaggiavano tra i 15 e 16 anni, io e Paolo ne avevamo appena compiuti 20) e la semplice voglia di salire su un palco in spregio ad ogni regola del buon musicista ci portò a fissare un concerto per il 28 dicembre.
Dove presentammo, in un locale gremito, 11 brani di cui otto nostri (con cover di “Wipe out” , “Be bop a lula” e “Los Angeles” degli X, alcuni di quelli già citati e qualcosa di nuovo tra cui una “Man from the past” giocata su un solo accordo....), con il palco illuminato solo da candele nere, senza pause tra un pezzo e l’altro, nessuna presentazione, nessun cenno al pubblico.

Qualcosa di assolutamente rivoluzionario, uno strappo totale e un immediato riscontro, soprattutto da parte del giovane Claudio Sorge, giornalista della neo nata rivista “Rockerilla” che prese subito a cuore le sorti della band, invitandoci a registrare qualcosa al più presto e promettendo un articolo/recensione nell’immediato.

Sorge ci portò in un vicolo a fianco del locale e ci fece scattare alcune foto dalla fotografa di "Rockerilla", Laura Du Plenty, per il futuro articolo.
A cena con lui parlava di nuove punk e new wave bands e noi rispondevamo citando classici blues e rockabilly, Rolling Stones, i gruppi di "Nuggets", con Tony che parlava di oscuri brani soul e 60's beat.
Eravamo i punk più estremi in circolazione ma guardavamo al passato per trovare le novità.
I Clash, i Pistols e l'hardcore ci avevano già stufato.

venerdì, febbraio 15, 2013

Festival di SanRemo 2013



In attesa di conoscere il vincitore del 63° Festival di SanRemo alcune personali considerazioni su canzoni e partecipanti.
Innanzitutto una nota di merito ai conduttori Carlo Massarini, pacato, colto, competente, e alla sempre bella e garbata Paola Cortellesi.
Riusciti anche i brevi inserti teatrali coordinati da Dario Fo.

Prevedibili ma buone le esibizioni di AFTERHOURS (la dura ballata “Milano maledetta ti amerò” con assolo deragliante finale di Xabier Iriondo) e SUBSONICA (l’electro rock “La Mole in depre” è ben fatto e convincente).
Sono ovviamente legato a doppio filo agli STATUTO e il mio giudizio è parziale ma il travolgente ska soul di “In curva in parka” è uno dei momenti più freschi e coinvolgenti del Festival.
Non scopriamo ora la classe di VINICIO CAPOSSELA sempre ottimo, aiutato da Goran Bregovic e dalla Kocani Orchestar, nell’evocare panorami balcanici in “A sud di Tirana” nè quella di FRANCESCO DE GREGORI che assume però tratti commoventi quando sul finale di “Dopo tutti questi anni” ai cori appare, a sorpresa, l’imponente figura di FRANCESCO GUCCINI.
Momento top del Festival.

Anche ZUCCHERO in “Guajabera Blues” non sfigura mettendo in scena un edulcorato mix di musica cubana e di soffice soul blues, comunque gradevole.
Poteva sembrare un’accoppiata improbabile e azzardata ma ASSALTI FRONTALI e CAPAREZZA riescono a portare rap, rhythm and blues e critica sociale con il giusto equilibrio e imprevedibile misura.
Si entra nelle zone più sperimentali con i JULIE’S HAIRCUT con un ipnotico ed elettronico “Vita sulla faccia nascosta di Marte” mentre fa saltare sulle sedie il power pop punk soul dei bolognesi CUT con “Punk il soul !”.
La suggestiva “sfida” del rock fiorentino finisce in parità.

I redivivi LITFIBA con la formazione originale nell’autoironica “Reaparecidos” coniugano bene le antiche influenze wave con le più recenti istanze da classifica mentre i DIAFRAMMA di Federico Fiumani proseguono imperterriti nella loro lunga strada art rock con la riuscita “Ti amo quando voglio”.
Bene anche FRANCO BATTIATO con “Nuova era derviscia” che riporta ai fasti di “L’era del cinghiale bianco”, CRISTINA DONA’ con l’intensa ballata (con testo di Davide Sapienza) “Aria pura” , i CALIBRO 35 con “Black bloc, la polizia ringrazia” e TEATRO DEGLI ORRORI con “Supponenza escatologica”.

Ottime sorprese nella categoria “A breve famosi” curata dal noto blogger, scrittore e musicista Tony Face Bacciocchi.
A partire dai veronesi PELUQUERIA HERNANDEZ alle prese con l’ironico, divertente e divertito tex mex sound in salsa merengue “Il Mocambo va a ramengo” , i piacentini LILITH AND THE SINNERSAINTS con il blues dai sapori punk “Il passato non si muove” che potrebbe benissimo stare sul primo album di Patti Smith, i parmensi THE JUNE che con il criptico “Bagoloni colorati” ci riportano ai Beatles del 1967 allo stesso modo in cui i piacentini TEMPONAUTS con “ Jingle Jangle batarò” ci portano ai Byrds e agli Stones 1965, i torinesi NO STRANGE con “Oh quanti colori” alla psichedelia tra i 60’s e i 70’s.
E ancora i pavesi HOT MAMA in pieno clima Blues Brothers con “Galletti Soul Food”, i sempreverdi torinesi SICK ROSE con l’ammiccante guitar rock di “Una notte nel mio garage” con l’affascinante FAY HALLAM alle tastiere.

A corollario l’ottima scelta degli ospiti con il medley di PAUL WELLER che ha spaziato nella sua lunga carriera con “Town called malice”, “Start”, “Shout to the top” e “From the floorboards up”, i redivivi WHO, anche loro con un ottimo medley che ha condensato il meglio dell’album “Quadrophenia”, il duetto in esclusiva di MADNESS e SPECIALS che hanno mischiato “A message to you Rudy” con “Night boat to Cairo” e STEVIE WONDER con una versione di “Superstition” impreziosita da uno splendida gara di assoli tra STEVE CROPPER e JEFF BECK.

Come sempre un BUON FESTIVAL.

giovedì, febbraio 14, 2013

Proto punk: Cecco Angiolieri



Dopo il Caravaggio di cui abbiamo raccontato le gesta anti autoritarie e dissennate (il 27 settembre 2012: http://tonyface.blogspot.it/2012/09/proto-punk-caravaggio.html), un altro esempio di proto punk ci arriva dalla Siena del 1260, dove nasce CECCO ANGIOLIERI.
Famoso per i suoi sonetti ma, al tempo soprattutto, per una vita dissoluta, senza freni e piuttosto agitata, partendo dalle multe ricevute per disturbo della quiete pubblica, dal processo per un ferimento, dall’allontanamento da Siena per motivi politici (si oppose a ogni forma di politica proclamandosi una persona libera e indipendente) nel 1296 e per aver dissipato una discreta fortuna per la sua predilezione per "la taverna e il dado".

I sonetti dell'Angiolieri sono circa 150 (più credibilmente 120) e sono eseguiti nella tipica tradizione goliardica della poesia giocosa.
Uno dei primi poeti in volgare, pare conobbe Dante con cui i rapporti non furono sempre buoni.
(Dante Alighier, i’ t’averò a stancare / ch'eo so’ lo pungiglion, e tu se’ ’l bue).
Morì tra il 1310 e i l1313, pieno di debiti, lasciando cinque figli.
Il suo sonetto più famoso (messo i nmusica da Fabrizio De Andrè nel terzo album “Volume III” del 1968) rimane “S'i' fosse foco”

S'i' fosse foco, ardere' il mondo;

s'i' fosse vento, lo tempestarei;

s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;

s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo;


s'i' fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;

s'i' fosse 'mperator, sa' che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.


S'i' fosse morte, andarei da mio padre;

s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi' madre,


S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:

le vecchie e laide lasserei altrui.

mercoledì, febbraio 13, 2013

Sweet Soul Music : Stax Records



Senza alcun dubbio l’etichetta Soul più importante della storia (con la Motown) la STAX RECORDS (dai cognomi dei due fondatori, Jim Stewart e Estelle Axton) nata come Satellite Records fu fondata a Memphis nel 1957, e fu attiva fino al 1976, anno del fallimento finanziario.

Dopo un primo periodo di produzione su scala regionale sfondò con Cause I Love You di Rufus e Carla Thomas e Gee Wiz, della sola Carla Thomas fino alla consacrazione con These Arms of Mine di Otis Redding.
L’arrivo del produttore dell’Atlantic Jerry Wexler consentì all’etichetta di ampliare lo studio di registrazione al 926 East McLemore Avenue ricavato nell’ex Capitol Theatre e di accedere al mercato internazionale, accogliendo nomi come Booker T. & the MG's, Sam & Dave, Eddie Floyd, Wilson Pickett, Isaac Hayes, Staple Singers e Mar-Keys che infilarono una lunga serie di successi.
Un breve elenco per un ipotetico (e personale) “Best of Stax” per comprendere l’importanza dell’etichetta nella storia della musica.

Gee Whiz (Look At His Eyes) - Carla Thomas
Last Night - The Mar-Keys
Green Onions - Booker T. & The MG's
Walking The Dog - Rufus Thomas
I've Been Loving You Too Long (To Stop Now) - Otis Redding
Respect - Otis Redding
Hold On! I'm Comin' - Sam & Dave
Knock On Wood - Eddie Floyd
Soul Finger - The Bar-Kays
Soul Man - Sam & Dave
(Sittin' On) The Dock Of The Bay - Otis Redding
Who's Making Love - Johnnie Taylor
Walk On By - Isaac Hayes
Theme From Shaft - Isaac Hayes

martedì, febbraio 12, 2013

Equipe 84



Salvatore URSUS D'Urso ci parla di uno dei gruppi più rappresentativi dei 60's italiani EQUIPE 84

Questo articolo è stato tratto e solo parzialmente riveduto dalla mia scheda, già pubblicata nel 1990 sul volume “MANIFESTO BEAT“ (edito da Jukebox all'idrogeno), in onore e nella memoria di Victor Sogliani e di Franco Ceccarelli, deceduto da poco tempo.
(Salvatore D'Urso)

L'articolo è già apparso su www.distorsioni.net

      INTRO
Quello che in Inghilterra furono i Beatles fu, allo stesso modo, il quartetto modenese in Italia. Non è esagerato dirlo, benchè il successo dei gruppi nostrani dell'epoca '60 fu abbastanza ristretto a livello nazionale. In questo caso però parliamo di una formazione che ha valicato di gran lunga i confini, fino a crearsi un seguito in paesi quali Spagna, Francia, Portogallo, Stati Uniti e Inghilterra).
Modena, nei primi 60, da ricca cittadina quale è tuttora, era piena di giovani benestanti e con molto tempo libere da spendere: qui i dischi di molti esecutori britannici, Beatles e Rolling Stones ad esempio, o di arrabbiati americani come Bob Dylan, arrivarono di gran fretta e subito recepiti da un pubblico molto più attento che altrove.

I PRIMI SUCCESSI A 45 GIRI
  La storia vuole che dal mitico bar "Grande Italia" (oggi esistente con altro nome) si incontrassero spesso Francesco Guccini, allora studente, con Adolfo Sogliani (detto Victor) per organizzare dei duetti in stile Everly Brothers e lanciare Bimba guarda come il cielo sa di pianto, sotto il nome di Blue Cups.
Vennero poi Maurizio Vandelli, cantante chitarrista, Franco Ceccarelli, chitarrista ed il siculo Alfio Cantarella, batterista piccolo e abile come Keith Moon, con la partecipazione estemporanea di Romano Morandi (detto Romano Ottavo), che si alternava al basso con Victor.
Li introduce nel giro della musica Pier Farri (più tardi produrrà anche il Guccini solista) e il primo vinile reso pubblico con il nome Equipe 84, nato nella speranza di essere "sponsorizzati" dal noto brandy Stock, reca data  1964: sono due brani curiosi, inciso per una piccola etichetta, Canarino va (addirittura l'inno della squadra di calcio modenese nel 63/64, all'arrivo in serie A), retro è Liberi d'amare che, sia pur rozzo sotto certi aspetti, denota già una certa classe e capacità del gruppo.

  Dopo molte date e concerti un po' dovunque alla ricerca di affermazione, giunge, nel mitico 1964 così ricco di fermenti, un contratto discografico con la Vedette del maestro Sciascia: Papà e mammà in coppia a Quel che ti ho dato, trafugata dal repertorio dei Rolling Stones (Tell me) è già un trionfo per la band, che conquista in breve tempo i cuori già conquistati dai maestri anglosassoni.
Nel frattempo il beat in Italia è già una realtà ed altri gruppi seguiranno l'esempio dei capiscuola Equipe 84.
Le seguenti incisioni, uscite a getto continuo sempre sul modello dei gruppi esteri, sono tutte gioiellini di un'epoca: Ora puoi tornare (altra cover, dalla Go now dei Moody Blues) con Prima di cominciare, Notte senza fine presentata al 13° festival di Napoli e cantata perciò in napoletano, che esce in coppia a Se credi a quello che, una delle mie favorite, o ancora La fine del libro (Time is on my side, di nuovo degli Stones) con Cominciamo a suonar le chitarre e Sei già di un altro (Don't worry baby dei Beach Boys) assieme a La den da da.

    IL SUCCESSO
E' del 1965 l'uscita del primo long playing che, in una ricca confezione apribile con manifesto interno e fascicolo (purtroppo sacrificati nell'edizione immediatamente successiva) raccoglie i brani migliori di questo primo periodo, compreso Sei felice tratto da un brano dei Kinks quale Tired of waiting for you ed uscito in forma 45 giri solo su versione juke-box. Ma alcuni problemi finanziari con l'etichetta portano i quattro, dopo altri 2 singoli (Un giorno tu mi cercherai, che compare a Sanremo in coppia con i Renegades, poi L'antisociale scritta da Guccini, Mi fa bene e Goodbye my love: originale dei Searchers e all'epoca coverizzata anche dai meno noti Rokketti), al divorzio con la Vedette, tradita in pieno 1966 per la Ricordi.
Quest'ultima porterà il gruppo ancora più in alto, sino a vincere il Cantagiro con Io ho in mente te, arcinota trascrizione da You were on my mind (Ian & Silvya e We Five) con testo di Lucio Battisti, uno dei massimi hits del gruppo incisa in coppia alla assolutamente magica Resta,  così come sono magici successi la Bang Bang di Sonny Bono ed Auschwitz del solito Guccini, in una interpretazione di effetto quasi drammatico.  

Questi ultimi verranno inclusi anche nel secondo album "Io ho in mente te", ancor più completo e ricercato del precedente. E' probabilmente questo il periodo più felice ed intenso per l'Equipe, che attraverserà agli albori del 1967, un magnifico viaggio psichedelico, fino alla svolta segnata da brani mitici quali 29 settembre, E' dall'amore che nasce l'uomo, Nel cuore nell'anima, Ladro, Nel ristorante di Alice (assistita, si dice, nientemeno che da Jimi Hendrix) ed Un anno, versione di No face no number dei  Traffic.
Un angelo blu (cover di I can't let Maggie go degli anglosassoni Honeybus) e Nella terra dei sogni  aprono il 1968 che porta, insieme al vento di contestazione, un terzo LP "Stereoequipe", il più lirico e complesso, il più autenticamente psichedelico della formazione che, oltre agli ultimi brani già citati, include perle lisergiche quali Tutto è solo colore, Per un attimo di tempo, più lo strumentale  Intermission riff (sigla del programma televisivo TV 7). Un altro successo in cima alle classifiche con Tutta mia la città (Blackberry way degli inglesi Move) insieme a Cominciava così, nel 1969, ed ancora Pomeriggio ore 6 (cover di Marley purt drive, un brano dei Bee Gees presente sul loro doppio album "Odessa"), con E poi... .  

  GLI ANNI 70 E 80
E poi la popolarità sembrerebbe venir meno, per via del ciclone BEAT che sta pian piano evolvendo ed una brutta vicenda giudiziaria che porterà sotto processo Alfio per possesso di "fumo".
La nuova decade si apre con Il sapone, la pistola, la chitarra ed altre meraviglie, altra sigla TV che vede Alfio momentaneamente rimpiazzato da Mike Shepstone dei Rokes (che la stampa dell'epoca, a scopo pubblicitario, indicava come rivali!) ed il nuovo album "ID" differisce abbastanza dalle precedenti produzioni ma, benchè i puristi del beat potrebbero storcere il naso, siamo ancora di fronte alla loro geniale sensibilità: in brani quali Padre e figlio, Jo, Un brutto sogno o l'inquietante strumentale che dà il titolo all'album, è ancora viva la passione lirica di sempre.
L'Equipe 84, negli anni 70, si muove senza più quella spinta popolare degli anni precedenti, tentando qualche carta commerciale (ma debbo dire, senza mai cadere nel banale) e scrivendo qualche momento di delicatezza quale Casa mia ed Una giornata al mare (in collaborazione con Paolo Conte).

  Nel 1971 esce l'LP “Casa mia" (sotto il nome di NUOVA Equipe 84), seguito da un paio di episodi progressive quali "Dr.Jekill e Mr. Hyde" e "Sacrificio", che restano buoni esempi di quel POP cerebrale e sinfonico (c'è l'apporto di un nuovo tastierista, a sostituzione di Ceccarelli, dimissionario) in voga in quel periodo, che però ottengono scarsi risultati di vendite (rispetto alla media dei tempi). L'Equipe si barcamena per qualche anno, tra scioglimenti parziali e ricostituzioni temporanee.
Vandelli ci rinuncia definitivamente nel 1979, dopo aver tentato diverse strade soliste e produzioni esterne al gruppo, mentre Alfio ne seguirà presto l'esempio.
I due originari Victor Sogliani e Franco Ceccarelli si ritrovano poi nuovamente insieme negli anni 80 e, carpiti al volo altri 2 elementi giovani e freschi, rifondano il mitico complesso, punto di riferimento per tutta la scena storica del beat e del pop psichedelico italiano, che per quanto "derivativo" da una corrente scaturita nei paesi anglosassoni, ha espresso il suo massimo splendore di originalità  in quegli anni,  “che la luce divina li abbia sempre in gloria” (come diceva l'amica Fernanda Pivano).

    DISCOGRAFIA
  33 GIRI 
  EQUIPE 84               (1965, Vedette)
IO HO IN MENTE TE       (1966, Ricordi)
STEREOEQUIPE            (1968, Ricordi)
ID                      (1970, Ricordi)
CASA MIA                (1971, Ricordi)
DR. JEKYLL E MR. HYDE   (1973, Ariston)
SACRIFICIO              (1974, Ariston)
UN AMORE VALE L'ALTRO   (1990, Rose Rosse)

  45 GIRI
  1964 - Canarino va/Liberi d'amare (Caravel)
1964 - Papà e mammà/Quel che ti ho dato (Vedette)
1965 - Ora puoi tornare/Prima di cominciare (Vedette)
1965 - Notte senza fine/Se credi a quello che... (Vedette)
1965 - La fine del libro/Cominciamo a suonare le chitarre (Vedette)
1965 - Sei già di un altro/La den da da (Vedette)
17 dicembre 1965 - Liberi d'amare/Non guardarmi così (Hobby; sul lato B i
Freddie's)
1966 - Un giorno tu mi cercherai/L'antisociale (Vedette)
1966 - Mi fa bene/Goodbye my love (Vedette)
1966 - Io ho in mente te/Resta (Dischi Ricordi)
1966 - Bang bang/Auschwitz (Dischi Ricordi)
1967 - 29 settembre/È dall'amore che nasce l'uomo (Dischi Ricordi)
1967 - Nel cuore, nell'anima/Ladro (Dischi Ricordi)
1968 - Un anno/Nel ristorante di Alice (Dischi Ricordi)
1968 - Un angelo blu/Nella terra dei sogni (Dischi Ricordi)
1969 - Tutta mia la città/Cominciava così (Dischi Ricordi)
1969 - Pomeriggio: ore 6/E poi... (Dischi Ricordi)
1970 - Il sapone, la pistola, la chitarra e altre meraviglie/Devo andare (Dischi Ricordi)
1971 - Casa mia/Buffa (Dischi Ricordi)
1971 - 4 marzo 1943/Padre e figlio (Dischi Ricordi)
1971 - Una giornata al mare/Quel giorno (Dischi Ricordi)
1971 - Pullman/Non si può (Dischi Ricordi)
1973 - Diario/Senza senso (Ariston Records)
1973 - Clinica Fior di Loto S.p.a./Meglio (Ariston Records)
1974 - Mercante senza fiori/Sigaretta e via (Ariston Records)
1974 - Risvegliarsi un mattino/Se c'è (Ariston Records)
1975 - Sogni senza fine/Meditazione (Ariston Records)
1975 - Vai, amore vai/Signor playboy (Ariston Records)
1977 - Opera d'amore/Anguilla rock (Ariston Records)
1989 - La lunga linea retta/Rosa (Rose Rosse)

lunedì, febbraio 11, 2013

Di cosa parliamo quando parliamo di musica: il cachet ad entrata



E’ ormai pratica (importata da Usa e Inghilterra) usuale anche in Italia provvedere al pagamento del cachet dei gruppi in base alle entrate della serata.
Parliamo di gruppi indie e “piccoli” ovviamente (per quanti anche i “grandi” abbiano dovuto adeguare i compensi e di parecchio per poter ancora suonare).
Biglietto a 5 euro.
10 persone ?
Porti a casa 50 euro.
100 paganti ?
Te ne toccano 500.

Un sistema in qualche modo “meritocratico” (più vali e più porti a casa) che in qualche modo tutela il locale (non dimenticando che un concerto implica comunque spese Siae e di gestione) e teoricamente mette in moto un circolo virtuoso che permette ai clubs di organizzare più concerti, senza temere tracolli economici nel caso di scelte sbagliate, avventate o cause di forza maggiore (quanti concerti deserti a causa di fitte nebbie o nevicate o concomitanze scomode con gruppi più altisonanti !).
Ma che rischia di danneggiare i gruppi meno “ricchi” che non si possono permettere di investire troppi soldi rischiando trasferte onerose a rischio di tracollo economico.
Una sorta di selezione “naturale” in atto, un punto di non ritorno.
Il salario garantito non c’è più neanche nel rock n roll.

domenica, febbraio 10, 2013

Coppa d'Africa



La Coppa d’Africa (che si conclude con un’inedita e sorprendente finale tra Nigeria, squadra di grande tradizione a secco da molti anni in campo internazionale anche a causa di gestioni dissennate della federazione locale, e il Burkina Faso, tra le cenerentole del torneo, senza alcun titolo alle spalle) è sempre qualcosa di più di un semplice torneo di calcio.

E’, con l’esclusione di qualche nome più “agiato”, espressione di povertà, disagio, estrema scarsità di mezzi, forzata improvvisazione (basti pensare al Togo i cui premi partita e spostamenti sono abitualmente pagati da Adebayor, (ricca) stella del team, soprattutto dopo che tre anni fa la federazione togolese costrinse la nazionale a raggiungere l’Angola, dove si svolgeva la Coppa d’Africa, in bus per risparmiare, passando in zone pericolose. Un agguato uccise tre componenti della squadra).
Molte squadre possono annoverare qualche nome che ha fatto fortuna in Europa (Drogba, Yaya Tourè, Asamoah, Essien, Adebayor o, tra gli assenti, Etoo e Boateng) ma spesso sono affiancati da compagni che rimangono nel paese natale a livello semi dilettantesco, dibattendosi in campionati di incerto spessore (e regolarità).
Il torneo da un punto di vista tecnico è (come sempre) altalenante tra colpi da maestro, grande fisicità, imbarazzanti errori (la difesa etiope su tutti !), approccio tattico ingenuo, arbitri impossibili ma rimane permeato da un gran fascino che sembra riportare il calcio ai primordi.

Soprattutto quando tra le prime quattro trovi il Mali, protagonista di una sanguinosa guerra civile e il Burkina Faso, tra i paesi più poveri del mondo dove si vive con 2 dollari al giorno e raramente si arriva ai 50 anni di età. Buttate subito fuori le squadre nord africane e l’ospitante Sud Africa, fatte fuori le “ricche”, favorite e prestigiose Ghana e Costa d’Avorio, nemmeno arrivate Egitto e Camerun.
L’Africa che, dopo la sola apparizione dell’Egitto nel 1934, tornò in Coppa del Mondo solo nel 1970 inanellando una serie di fallimentari esperienze con Marocco, Zaire, Tunisia, Camerun, Algeria, fino al 1986 quando il Marocco arrivò negli ottavi e nel 1990 il Camerun ai quarti (come il Senegal nel 2002 e il Ghana nel 2006 e 2010).
Un calcio che non è mai decollato, nonostante alcune stelle di prima grandezza e una serie di buoni giocatori e che continua a stentare ad imporsi a livello internazionale ma che rimane pieno di fascino, energia e SPERANZA.