(George Harrison e John Lennon in vacanza in Irlanda al Dromoland Castle durante il weekend di Pasqua del 1964)
L'amico MICHELE SAVINI, nostro inviato a Dublino, ci svela tutte le connession idei quattro BEATLES con l'Irlanda, non di rado molto dirette.
Uno dei primi ricordi che ho del mio arrivo in Irlanda è una conversazione con un anziano signore irlandese al bancone del pub “Gaffney and Son” a Fairview, nel North side della città, nel lontano 2008.
Paradossalmente non ricordo il suo nome ma ricordo chiaramente che, come spesso mi succede, parlavamo di musica e della mia passione per le band d’oltremanica, Beatles su tutti.
Io sostenevo che fossero i più grandi musicisti della storia e lui mi guardava divertito con lo sguardo condiscendente, probabilmente anche a causa del mio inglese approssimato unito al mio eccessivo entusiasmo.
Di tanto in tanto controbatteva con un lapidario “Io preferisco i The Dubliners …”, accompagnato da uno scaltro sorriso sul volto, senza però mai contraddirmi apertamente. Discutemmo per un’ora abbondante, senza che nessuna delle due parti sembrasse minimamente incline ad abbracciare il punto di vista dell’altra. Al momento di salutarci, posando il bicchiere di Beamish ormai vuoto sul bancone, mi ringraziò per la piacevole chiacchierata, si alzò dallo sgabello su cui era seduto e se ne andò, ma non prima di sussurrare quella frase che da quel momento in avanti avrei sentito sempre più frequentemente in chiusura di interminabili discussioni musicali notturne nei pub della città.
“Listen son, if it wasn't for the Great Hunger the Beatles would have been Irish … “
(“Ricorda figliolo, se non fosse stato per la Great Hunger, i Beatles sarebbero stati irlandesi … “)
Ora, nella mia vita ho imparato che quando qualcuno più anziano di te inizia una conversazione con “Ricorda figliolo …” alla fine di tale scambio di opinioni, tu avrai automaticamente torto e l’altra parte, la ragione assoluta e incondizionata. Ma mai, come in questo caso, sentii che la sua affermazione fosse in qualche modo legittima.
Con il termine “Great Hunger” (Grande Fame) ci si riferisce al periodo di carestia che colpi l’Irlanda dal 1845 al 1852 causando la morte di circa un milione di persone e l'emigrazione all'estero di quasi il doppio, con relativa riduzione dalla popolazione del 25% in pochi anni, avvenimento che ha cambiato permanentemente il panorama demografico, politico e culturale dell’isola.
La simpatica provocazione del rivendicare i Beatles come irlandesi, è una sorta di simbolico “rimborso” nei confronti degli scomodi vicini e tira in ballo il momento storico più importante dell’Irlanda, lanciando l’ennesima frecciata all’acerrimo nemico britannico riguardo alla storia della carestia e le sue cause.
(Nella foto il FAMINE MEMORIAL, una scultura situata in Irlanda, a Dublino, memoriale della grande carestia).
La principale causa apparente infatti è solitamente associata alla sfortunata apparizione della Peronospora della patata (Phytophthora infestans), un fungo che colpi il tubero in tutta Europa negli anni Quaranta dell’Ottocento.
Raggiunse il paese nell'autunno del 1845, distruggendo la totalità del raccolto per i successivi 2 anni, motivo per cui la carestia irlandese viene comunemente anche chiamata Potato Famine (Carestia delle patate).
La sopravvivenza dell’Irlanda era infatti legata all’agricoltura e unicamente dipendente dalla monocultura della patata, motivo per cui l’arrivo della piaga ebbe effetti devastanti per l’isola.
È importante ricordare che nel 1845, l’Irlanda faceva ancora parte del Regno Unito e rispondeva al Governo Britannico a Londra.
La rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra, nonostante la vicinanza geografica, non l’aveva coinvolta e l’economia del paese era principalmente legata alla produzione agricola e all’allevamento di bestiame.
Nonostante l’Irlanda producesse un considerabile surplus di viveri, essi erano interamente destinati all’esportazione invece che all’ autoconsumo e diretti principalmente in Gran Bretagna.
Inoltre, la maggior parte degli appezzamenti coltivabili apparteneva a famiglie protestanti inglesi e anglo-irlandesi che, fino al 1860 possedevano 90% di tutte le terra in Irlanda, detenendo un potere più o meno incontrollato sugli affittuari, che raramente ricevevano un salario per le loro prestazioni lavorative, ma bensì un piccolo appezzamento di terra da coltivare.
Fu questo che rese gran parte della popolazione dell’isola dipendente dalla monocoltura della patata e allo stesso tempo estremamente vulnerabile, come dimostrerà l’arrivo della piaga che troverà terreno estremamente “fertile” in un paese con un tasso di povertà già in costante aumento.
Le aree più affettate furono quelle delle campagne occidentali e orientali, dove gli effetti furono devastanti. Interi paesi, principalmente abitati da famiglie di contadini la cui sopravvivenza era legata all’agricoltura, furono letteralmente spopolati a causa delle morti per denutrizione, malattie infettive o l’esodo massivo della popolazione, spesso a bordo delle navi dirette in America o in Gran Bretagna.
Nel frattempo, gli irlandesi osservavano con crescente furia le navi cariche di avena, grano e bestiame che partivano secondo programma dalle loro coste per essere spediti in Gran Bretagna.
Durante questo periodo infatti, le esportazioni con l’Inghilterra continuava tranquillamente, visto che Londra aveva rifiutato di bloccarle nonostante le circostanze.
I diari di porto attestano che, per un battello che arrivava pieno di viveri per gli affamati, ne partivano sei pesantemente carichi di prodotti alimentari diretti oltremanica, spesso scortati dalle guardie di “sua maestà” per evitare problemi.
Le azioni di aiuto da parte di Londra furono infatti limitate e insufficienti e le cose non migliorarono quando, a metà del 1846, John Russell del partito Whig venne eletto primo ministro del Regno Unito.
Russell nominò Charles Trevelyan come Ministro del Tesoro e principale responsabile dell'amministrazione degli aiuti governativi diretti all’Irlanda durante la carestia.
Trevelyan è, senza ombra di dubbio, il villano della storia.
L’amministrazione Whig infatti, sosteneva la filosofia economica del Laissez-Faire (dal francese “lascia fare”) che prevedeva la minima interferenza da parte del governo nell’economia irlandese e lo stesso Trevelyan, fervente protestante, affermava che la Peronospora della patata era da considerare come un atto della provvidenza, una sorta di giudizio divino nei confronti dei cattolici irlandesi.
Sosteneva che la carestia era in una certa misura auto inflitta e pensava che i cattolici dell’isola si fossero fatti carico del problema “avendo troppi figli”, causando uno spropositato aumento demografico.
Il tutto con il forte sostegno della stampa britannica del tempo, estremamente spietata e razzista nei confronti degli irlandesi, che venivano descritti come pigri, “sempliciotti” e alcolizzati (ironico peraltro, da parte degli inglesi, elargire consigli a qualcuno sull’alcolismo, ma lasciamo stare …).
Esiste un forte dibattito sul termine da utilizzare, con Great Hunger (Grande Fame) ritenuto quello più corretto a catturare la complicata storia del periodo.
Per molti infatti la parola Famine (carestia) è estremamente inadeguata a descrivere ciò che accadde in Irlanda in quel periodo.
C'era abbastanza cibo coltivato nel paese per sfamare l'intera popolazione, ma veniva tutto esportato dagli inglesi in Inghilterra, dimostrando che non fu una mancanza di risorse a impedire al Governo di Londra di aiutare gli Irlandesi, ma bensì una mancanza di volontà “politica”.
Per qualcun altro, il termine più accurato da utilizzare è quello di Genocidio.
Tra di loro il giornalista e nazionalista irlandese John Mitchel, secondo cui la carestia era stata una politica di genocidio deliberatamente organizzata dagli inglesi e che nel 1960 scriveva "L'Onnipotente, in effetti, mandò la peronospora della patata, ma gli inglesi crearono la carestia... e un milione e mezzo di uomini, donne e bambini furono uccisi con cura e prudenza dal governo inglese …”.
(La copertina dell’album Universal Mother di Sinéad O'Connor del 1994)
A fagli compagnia (neanche a dirlo), la tanto compianta Sinéad O’Connor che nel suo album del 1994 Universal Mother, raccontava la sua verità sulla carestia irlandese nella canzone ““Famine””, in cui le virgolette del titolo sono assolutamente volute e ribadiscono il conflitto di terminologia che essa vive. Una traccia dal sapore hip hop, pungente e arrabbiata, con un parlato schietto e diretto che già dal primo verso ci ricorda come la O’Connor non le mandava certo a dire:
OK, voglio parlarvi dell'Irlanda
Nello specifico voglio parlarvi della "carestia"
Sul fatto che non ce n'è mai stato una
Non c'era "carestia"
Vedi, agli irlandesi era permesso mangiare solo patate
Tutti gli altri alimenti, carne, pesce, verdure
Erano spediti fuori dal paese sotto scorta armata
In Inghilterra mentre gli irlandesi morivano di fame
Nell’ultima parte della prima strofa, sottolinea inoltre un’altra interessante questione legata agli effetti della carestia sulla lingua gaelica:
Poi nel mezzo di tutto questo
Ci hanno dato soldi per non insegnare ai nostri figli l'irlandese
Così abbiamo perso la nostra storia
Ed è questo che penso ci stia ancora facendo male
“Famine” di Sinéad O’Connor:
https://www.youtube.com/watch?v=EZIB6MslCAo
Le aree più affettate dall’aumento della povertà furono infatti le zone rurali del nordovest dell’isola dove la lingua Gaelica era dominante e l’ondata di morte ed emigrazione forzata è una delle principali cause della progressiva scomparsa dell’idioma irlandese da questo momento in avanti.
Già dal 1831 infatti il governo britannico istituì il sistema scolastico nazionale con l'inglese come unica lingua di insegnamento e le pressioni economiche e il fiorire della lingua anglosassone a Dublino iniziarono a minare la sicurezza della lingua irlandese. L’emigrazione e il lavoro urbano erano visti come vie d’uscita dalla povertà, e questo significava che l’inglese era la “lingua del futuro”, contribuendo violentemente al declino della lingua irlandese e allo stigma ad essa legato.
Nelle scuole, ad esempio, i bambini erano costretti a indossare un bastoncino di legno appeso ad una corda intorno al collo per monitorare il loro uso della lingua.
Ogni volta che venivano sorpresi a parlare gaelico, il maestro tagliava una tacca nel bastone e a fine giornata venivano picchiati per ogni “errore” effettuato.
La cara Sinéad puntualizza inoltre come, a livello storico si utilizzi ancora molto il termine BLACK 47 quando si parla del periodo (in riferimento al “nero” 1947, l’anno peggiore della carestia) e come esso faccia convergere le cause dalla tragedia quasi unicamente sulla piaga della patata.
Ma ciò che alla fine ci ha spezzato non è stata la carestia
Ma il suo utilizzo nel controllo della nostra istruzione
Le scuole continuano a parlare del "Black 47"
Ancora e ancora della "La terribile carestia"
Ma quello che non dicono è la verità
Non ce n'è mai stata davvero una
Per chiudere il cerchio e tornare alla nostra storia, casualità vuole che il ritornello della canzone sia un richiamo ai Beatles e alla loro Eleanor Rigby (All the lonely people Where do they all come from?), canzone che narra la storia di una donna sola e dimenticata dalla società, proprio come l’Irlanda durante la carestia, motivo per cui sia Lennon che McCartney sono menzionati nei crediti della canzone come compositori.
Entrambi durante la loro carriera solista, sono stati attivi nel sostenere il popolo irlandese, anche artisticamente parlando, il primo che due canzoni nell’album del 1972 Sometime in New York City (“The Luck of the Irish” and “Sunday Bloody Sunday”) e il secondo con gli Wings, quando fu addirittura bandito dalla BBC con il suo pezzo "Give Ireland Back to the Irish”, per la sua posizione politica anti unionista.
Canzone che arrivò solamente al numero 16 della classifica del Regno Unito, ma che ovviamente trionfò in Irlanda raggiungendo il primo posto.
Le origini irlandesi dei Beatles risalgono appunto alla grande emigrazione causata dalla Great Hunger quando centinaia di migliaia di persone si imbarcarono sulle navi dirette in America. Moltissimi altri scelsero invece le navi dirette in Inghilterra, specialmente alla vicina Liverpool, tanto che la città viene spesso simpaticamente chiamata “The Capital of Ireland in England” visto che si stima che tre quarti della sua popolazione abbia origini Irlandesi.
Tra questi appunto, anche gli antenati dei Fab Four.
I legami tra John Lennon e l’Irlanda sono ben noti a tutti, tanto che comprò anche un’isola nella contea di Mayo a metà degli anni sessanta, come già narrato sulle pagine di questo stesso blog:
https://tonyface.blogspot.com/2023/03/beatle-island.html
I suoi precessori venivano dalla contea nordirlandese di Down al sud di Belfast.
Quando la grande carestia devastò l'Irlanda, il suo bisnonno James Lennon si trasferì a Liverpool con la sua futura moglie Jane McConville e la sua famiglia intorno al 1848.
Il cognome Lennon è un derivato anglicizzato dell'irlandese O'Lennon, discendente del gaelico Ó Leannáin che nella lingua celtica significa “Amore”. Curioso, considerando il messaggio che John ha più volte indirizzato al mondo attraverso molte delle sue canzoni.
Paul ha radici irlandesi da entrambi i rami della famiglia.
Non si sa esattamente che parte dell'Irlanda provenga il ramo paterno, ma è noto che i McCartney (originariamente McCarthy) lasciarono l'Irlanda nel 1860 direzione Galloway, in Scozia, prima di spostarsi a Liverpool.
Il suo bisnonno materno, Owen Mohin, era di Tullynamalroe nella contea di Monaghan e cambiò il cognome in “Mohan” prima di trasferirsi a Liverpool dove nacque la madre di Paul, Mary Patricia Mohan.
Il “quite Beatles” George Harrison non fa ovviamente eccezione.
Gli antenati di George, che erano cavalieri normanni provenienti dalla Francia, si stabilirono nell'Irlanda meridionale.
Suo nonno materno, John French, era di Corah nella contea di Wexford e si era trasferito a Liverpool all'inizio del ventesimo secolo quando, per ragioni economiche, aveva dovuto mettere all’asta la fattoria di famiglia.
Il piccolo George visitò spesso l’Irlanda tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta, quando sua madre Louise imbarcava l’intera famiglia sul traghetto che da Liverpool era diretto a Dublino, per far visita ai loro cugini che vivevano a Drumcondra, un quartiere nella zona nord della capitale irlandese. A testimoniare ciò esiste questa simpatica foto dei lui con sua madre e suo fratello Peter che camminano per O’Connell Street a Dublino, scattata intorno al 1950.
Rimane quindi solo Ringo.
“No dai … Ringo no, lo sappiamo tutti che è inglesissimo“ dirà qualcuno.
E invece Ringo sì…
Se è vero effettivamente che il cognome Starkey ha profonde origini inglesi da circa tre generazioni, è altrettanto vero che tutti i nonni e bisnonni di Ringo erano inglesi, la maggior parte di Liverpool, tranne uno.
La bisnonna materna Elizabeth "Minnie" Cunningham nacque infatti a Rostrevor, nella contea di Down (la stessa da cui provenivano gli antenati di John) nel 1851.
Come se non bastasse, entrambi i trisavoli materni di Ringo, William Conroy e Maria O'Conner, nacquero in Irlanda intorno al 1847, esattamente come il suo bis-bis-bisnonno paterno, Thaddeus John Edward James che emigrò poi a Liverpool dove conobbe la sua futura moglie, Sarah Jane Steele, anche lei di origini irlandesi!
Pertanto, magari un po’ forzatamente, possiamo considerare anche Richard Starkey pienamente arruolato e asserire che tutti e quattro i membri dei Beatles avevano ascendenze irlandesi.
Tenendo presente che i loro antenati emigrarono a Liverpool tutti a ridosso degli anni della Grande Fame, la provocazione di rivendicarli come Irlandesi, per quanto goliardica, non è poi così sconsiderata.
E se a tutto questo aggiungiamo il fatto che successivamente gli antenati di George Harrison si spostarono a Dublino, avvicinandosi notevolmente alla parte occidentale della costa est dove sono situate le radici di John, Paul e Ringo, diventa quasi impossibile non lasciarsi andare all’ immaginazione e fantasticare sulla bizzarra teoria in cui i nostri eroi si sarebbero potuti incontrare anche in terra irlandese.
Un po’ pretenzioso?
Può darsi, ma sono sicuro che quel simpatico signore seduto al bancone del Gaffney and Son di Fairview la penserebbe esattamente come me.
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